La felicità: sognando una commedia
Secondo una recente inchiesta, fatta tra uomini e
donne, chiedendo loro quale reazione avrebbero se si svegliassero dalla propria
vita, riconoscendola solo come un lungo sogno, l’80% di loro ha risposto: “ne sarei sollevato”. Questo fa pensare: perché sono così
tanti a credere la vita come un sogno? Freud ha definito i sogni come le nostre
paure e i nostri desideri inconsciamente seppelliti nel fondo della nostra
mente. Sembrerebbe una definizione da poco ma contiene
la chiave per la felicità. Essa è fatta solo di paure e desideri; si raggiunge quando si hanno le cose desiderate vicine e le
cose temute lontane. Qui sta anche la differenza tra un bel
sogno e un incubo: nel primo sono soddisfatte queste due condizioni; nel secondo
no. Tutte le vite sarebbero felici se gli uomini potessero scegliere loro quali
paure e desideri avere: tutti sceglierebbero desideri facili da raggiungere e
paure lontanissime; ma chi li assicura di riuscire comunque a raggiungere i
loro desideri e di non incorrere lo stesso nelle loro paure, nella vita che
stanno per vivere? La vita è troppo mutevole per avere certezze. Forse
la condizione ideale è quella descritta da Calderón de la Barca ne “La vita è sogno”: «Cos’è la vita? Illusione, appena chimera
ed ombra, e il massimo bene è nulla ché tutta la vita è sogno e i sogni, sogni
sono.» In questa cosmologia onirica e metaonirica,
l’uomo continua a cambiare esistenza, sognandone una, svegliandosi per
ritrovarsi in un altro sogno e svegliarsi di soprassalto in un incubo fino ad
uscirne e trovarsi in un altro sogno ancora e così all’infinito. In questo modo
l’uomo avrebbe la speranza dell’attesa di un sogno in cui i desideri sono
vicini e le paure lontane. Certo, quando vi si trova teme il risveglio, ma sa
di avere un’eternità di sonno per ritornare nuovamente in quella condizione
beata. E la realtà? La parola “sogno” è anche sinonimo di condizione felice;
questi comporta che la disgrazia stia nel rimanente, cioè nella realtà. Per
questo le beatitudini sono fin troppo fragili ed effimere, come sogni. Come può
l’uomo, immerso nella realtà, uscirne? Rendendola finzione. Shakespeare
afferma: «Tutto il mondo è una scena, e gli uomini e le donne sono soltanto
attori.» Così l’uomo in disgrazia paragona se stesso
ad un virtuoso attore e la sua vita ad una perfetta tragedia scritta dal
migliore degli sceneggiatori. Questo dà la forza di andare avanti, di
completare il dramma fino a quando potrà sentire lo
scrosciare degli applausi e vedere, tra le lacrime di gioia, il sipario calare.
Allora potrà, finalmente, lasciare il palco; ma per andare dove? In un nuovo
teatro dove, spera, potrà inscenare una commedia. E se è di nuovo una tragedia,
pazienza. Lo spettacolo deve andare avanti!