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Autore: Luigi    22/07/2008    0 recensioni
Come può l'uomo essere felice? Vivendo una vita che è sogno in un mondo che è teatro.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La felicità: sognando una commedia

La felicità: sognando una commedia

 

Secondo una recente inchiesta, fatta tra uomini e donne, chiedendo loro quale reazione avrebbero se si svegliassero dalla propria vita, riconoscendola solo come un lungo sogno, l’80% di loro ha risposto: “ne sarei sollevato”. Questo fa pensare: perché sono così tanti a credere la vita come un sogno? Freud ha definito i sogni come le nostre paure e i nostri desideri inconsciamente seppelliti nel fondo della nostra mente. Sembrerebbe una definizione da poco ma contiene la chiave per la felicità. Essa è fatta solo di paure e desideri; si raggiunge quando si hanno le cose desiderate vicine e le cose temute lontane. Qui sta anche la differenza tra un bel sogno e un incubo: nel primo sono soddisfatte queste due condizioni; nel secondo no. Tutte le vite sarebbero felici se gli uomini potessero scegliere loro quali paure e desideri avere: tutti sceglierebbero desideri facili da raggiungere e paure lontanissime; ma chi li assicura di riuscire comunque a raggiungere i loro desideri e di non incorrere lo stesso nelle loro paure, nella vita che stanno per vivere? La vita è troppo mutevole per avere certezze. Forse la condizione ideale è quella descritta da Calderón de la Barca ne “La vita è sogno”: «Cos’è la vita? Illusione, appena chimera ed ombra, e il massimo bene è nulla ché tutta la vita è sogno e i sogni, sogni sono.» In questa cosmologia onirica e metaonirica, l’uomo continua a cambiare esistenza, sognandone una, svegliandosi per ritrovarsi in un altro sogno e svegliarsi di soprassalto in un incubo fino ad uscirne e trovarsi in un altro sogno ancora e così all’infinito. In questo modo l’uomo avrebbe la speranza dell’attesa di un sogno in cui i desideri sono vicini e le paure lontane. Certo, quando vi si trova teme il risveglio, ma sa di avere un’eternità di sonno per ritornare nuovamente in quella condizione beata. E la realtà? La parola “sogno” è anche sinonimo di condizione felice; questi comporta che la disgrazia stia nel rimanente, cioè nella realtà. Per questo le beatitudini sono fin troppo fragili ed effimere, come sogni. Come può l’uomo, immerso nella realtà, uscirne? Rendendola finzione. Shakespeare afferma: «Tutto il mondo è una scena, e gli uomini e le donne sono soltanto attori.» Così l’uomo in disgrazia paragona se stesso ad un virtuoso attore e la sua vita ad una perfetta tragedia scritta dal migliore degli sceneggiatori. Questo dà la forza di andare avanti, di completare il dramma fino a quando potrà sentire lo scrosciare degli applausi e vedere, tra le lacrime di gioia, il sipario calare. Allora potrà, finalmente, lasciare il palco; ma per andare dove? In un nuovo teatro dove, spera, potrà inscenare una commedia. E se è di nuovo una tragedia, pazienza. Lo spettacolo deve andare avanti!

  
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