A Tina
“Contro un amore
gradito vuoi
ribellarti?”
Con queste parole
incendiò l’animo
ardente d’amore,
speranza diede al cuore
incerto,
dissolse il pudore.
“Me fuggi? Oh, per
queste mie lagrime,
per la tua destra,
pel nostro amore,
se t’ho fatto del
bene, se pur qualche
cosa
di me ti fu dolce,
o ti prego,
se posto
c’è ancor per le suppliche,
smetti questo pensiero!
T’inseguirò,
con faci fumose:
quando la gelida morte
separerà corpo ed
anima,
fantasma
t’inseguirò dappertutto.”
Crudele Amor, a che cosa non
forzi i
cuori degli uomini.
Ascendere ancora alle
lagrime, ancora a
tentar le preghiere,
a piegare
l’orgoglio, supplicando,
all’amore,
per non lasciar nulla
intentato,
per non vanamente morire.
Virgilio, Eneide, Libro Quarto
Parte di te
Capelli.
Seta
d’oriente, rifugio per le mie dita, attratte da essi
come da un ancestrale richiamo. Velluto prezioso, scomposta matassa,
vortici
ineffabili, girandole gioiose, rassicurante oscurità.
Riflessi notturni,
lucente fragilità, eppure instancabile forza, appiglio,
ricongiungimento.
Con gli
occhi chiusi, in piedi davanti a me, la mia mano,
protesa, continuamente scompare tra essi. Si ribellano alle carezze,
quando
ancora ti ritrovo e non sei più parte di me.
Non passa
molto, tuttavia, perché divengano docili e si
arrendano al mio tocco continuo e scomposto, incostante ma persistente.
Eccoli,
nuovamente, riconoscono me e i miei palmi che li accompagnano nella
giusta
direzione.
Ricordi
di quando ti trascinavo dovunque su di me,
stringendoli e tirandoli, così forti, unica speranza di
salvarmi dal vento
impetuoso dell’infinito che sopraggiungeva.
Sono
ancora miei, i tuoi capelli. Fibre del mio corpo, corde
della mia anima, essenza e destinazione.
Sono
miei, li sento, e posso sentirti cedere attraversandoli,
e ancora posso sentire la mia pelle arrendersi al solo sfiorarli,
tremante e a
tratti insicura, quando vorrei solo riaverti, come un tempo, nulla
più.
Occhi.
Calore
tropicale, intensità del firmamento, fogliame
autunnale caduto su un prato di giovane erba. Resina di un vecchio
abete,
tramutatasi in ambra battuta dall’arsura solare. Alveare
stillante il miele più
dolce, e amaro al contempo, quando l’apicoltore esige un non
dovuto tributo e
le custodi del prezioso tesoro si ribellano a lui. Battaglie
d’ogni tempo si
intrecciano in essi e da essi si spandono, diramandosi alla continua
ricerca di
un punto indefinito su cui arrestarsi. Languore, terra bagnata, vento
del
deserto, acque agitate, mare mosso in un inarrestabile turbinio. Noce,
castano,
ciliegio, imbrunire, o forse albeggiare.
Mi
perderei se non vi trovassi una strada già tracciata, e
potrei percorrerla a nuoto, quando limpidi e cristallini mi invitano a
immergermi in essi.
Ti guardo
e in un momento ti vedo dentro. Attraverso
l’impalpabile velo dai mille riflessi dell’oro e
rimango abbagliato
dall’intensità di ciò che scopro.
Un intero
universo si schiude intorno a me e credo di volare.
Vortice, vortice, e ancora bufera, ma d’un tratto arresti il
mio incedere
incerto.
Ti ho
trovato, e mi hai riconosciuto. Mi guardi di nuovo come
la prima volta, sbalordito e incantato. Mi guardi e io torno a vivere.
Sei
consapevole di noi, lo sei così tanto che il tuo stupore mi
squarcia il cuore e
se ne nutre.
Volevo
soltanto che anche tu mi vedessi. Volevo soltanto che
anche tu non mi dimenticassi.
Pelle.
Infinita
distesa ombreggiata, solcata da rilievi e
avvallamenti. Sinuosa malinconia, nettare, primizia. Nata per
richiamarmi alla
fonte. Liscio e morbido incanto, avvolgente primavera, aurora
d’inverno, mio
nutrimento. Fragile seppur sicuro rifugio per ogni parte di me.
Alla tua
pelle attingo quando il richiamo nella notte si fa
irresistibile e l’oscurità sopraggiunge
inarrestabile. Mi fondo in essa e con
essa, e lascio che mi avvolga tutt’intorno senza tregua.
Immobile la osservo,
nelle sue lievissime increspature, quasi invisibili ma presenti. Segni,
segni
del nulla, bianca e delicata, protezione.
Le tue
braccia scoperte mi rimandano a mille promesse e ancor
più desideri. Mi ricordano il calore e la forza, il mio
tremare tra esse. Ogni
porzione esposta del tuo collo è un diverso profumo e
sapore, un diverso
sentore, un diverso colore, diverso da tutti quelli esistenti e da
quelli
ancora ignoti. Non potrei, nemmeno se lo volessi, smettere di venerare
ogni singola
parte di te, quando dormi e la tua schiena nuda è
l’enorme distesa su cui
disporre il mio corpo, su cui tessere intricati e invisibili intrecci
con le
mie dita, su cui inspirare a pieni polmoni e poi poggiare il capo,
seguendo i
tuoi movimenti fluidi e lasciandomi cullare.
Mi manca
poterti sfiorare, mi manca poterlo fare in ogni
momento del giorno, mi manca la ruvidezza della tua barba appena
accennata, mi
manca la tensione nell’incavo del tuo collo quando vi affondo
con le labbra.
E tu, che
stai qui davanti, non dici niente, immobile e forse
impassibile finché non faccio un passo nella tua direzione.
Eccoci di
nuovo, legati dallo stesso respiro che viene fuori
dalla mia bocca e si insinua nelle tue narici per poi essermi
restituito. Sento
il tuo calore, eppure non mi credi ancora, lo sento e mi distrugge.
Fidati di
me. Ti prego. Fidati.
Mani.
Fusi
sottili e torniti, sentore di fragilità, chiaroscuro di
lucido e opaco, tensione, delicatezza, ricordo. Mille volte ho tentato
di
spiegarmi le ragioni, mille volte ho miseramente fallito nel trovarle,
quando
vagavo dentro me stesso chiedendomi il perché. Sono nate per
rendere palese e
manifesta ogni parte di te che tenti con ostinazione di nascondere, si
ribellano alla tua volontà, rischiarando ogni singola
sfumatura della tua
essenza. Non potrai fermarle, non potrai controllarle, sfuggono di
continuo
come anguille guizzanti e rimango incantato a osservarle. Dicono di te
tutto
ciò su cui taci, e ne gioisco, poiché grazie ad
esse ho potuto scoprire i cangianti
e mille volte sorprendenti caleidoscopici riflessi che da te si
irradiano.
Sapienti,
come poche, pizzicano corde tese creando melodie
che parlano di noi. Lo so. Ancor prima che ti incontrassi suonavi per
noi.
Avevi già creato quel rifugio di nuvole per me e te.
Aspettavi solo di
trovarmi, aspettavi solo che la tua metà se ne accorgesse, e
ti permettesse di
prenderla per mano e di aiutarla a ricongiungersi a te.
Su di me
vagano, esplorano, si confondono mischiandosi e
separandosi. Mai potei immaginare, neppur delle più sfrenate
fantasie, tutto
ciò che avrei provato quando si fossero posate lievi su di
me. Come un
ceramista lascia che l'argilla ruoti morbida tra le sue mani,
l'accompagna nel
percorso che la porterà alla sua destinazione. Il suo
è un lavoro lento e
paziente, non tenta di forzarla, si limita ad assecondarla
poiché conosce già
il suo destino e, per quanto possa essere lunga la strada per il suo
compimento, sa che nulla potrà impedire che avvenga.
È
per esse che ritrovai me stesso, fui la tua argilla e tu mi
plasmasti ogni notte in modo diverso, rendendomi capace di assumere
forme di
cui non ero mai stato a conoscenza.
Vorresti
tornare a toccarmi? Vorresti credere che questo
ammasso incomposto si stia sciogliendo lentamente alla pioggia
rischiando di
spargersi sull'asfalto e non trovando più appigli per
resistere?
Vorresti
sentire il mio richiamo diverso ogni volta che mi
sfiori, mi stringi, mi fai quasi male lasciandomi i segni delle tue
dita che si
artigliano alla mia schiena in cerca di salvezza?
Dimmi che
lo vorresti anche tu, e pure se fosse la minima
parte di quanto lo voglia io stesso, sarebbe comunque più di
quanto abbia mai
voluto qualunque altra cosa al mondo.
Forse la
vista m'inganna quando scorgo un cenno di movimento
tra le mani che hai mollemente lasciato cadere lungo i fianchi,
nonostante io
sia qui e t'implori.
No. Stai
piano sollevandola e portandola al mio petto in
tumulto. C'è qualcosa, qualunque cosa che io possa fare
perché tu non lo senta?
Per nascondere alla tua coscienza ogni scosceso dirupo e ogni
invalicabile
montagna il mio cuore si trovi a dover affrontare ogni volta che mi
spoglio di
ogni difesa e al tuo cospetto mi pongo quasi scorticato da ogni singola
fibra
non sia stata tessuta da te?
Non
vorrei credessi che, attendendo il tuo perdono, io stia morendo.
Potrei
semplicemente accoglierti ancora come un tempo, potrei
ancora fare in modo che tu mi accolga.
Ma questa
volta ho paura che, qualunque cosa dica o faccia,
continuerò a scorgere il terrore nei tuoi occhi.
Non avrei
voluto, non lo avrei mai voluto, ho trattenuto il
respiro mentre lui era accanto a me, ho rivolto altrove lo sguardo, gli
ho
risposto con freddezza.
Dimmi,
dammi una ragione, ho il sentore di qualcosa che sta
per spezzarsi, e sono quasi sicuro che sia tu. Ti vedo, già
incrinato, non
basta più quel momento di noi, al sicuro da tutto.
Stenti. E
ancora mi uccide tutto il male che ci stiamo
facendo.
"Sai che
non potrei mai amare nessun altro, sai che sei
il solo, sai che sei tutto."
Ti sento
trattenere il respiro.
Poi ti
arrendi, la tua barriera crolla come un muro di
mattoni seccati dal sole da infinite torride estati.
Non ho
neppure il tempo di allargare le braccia e richiamarti,
che sei su di me, il mio viso inondato dalle lacrime che mischi a baci
disperati
come non lo erano mai stati, esplodendo, meteora che arresta la sua
corsa
nell'oceano, occhi di giada, pelle d'avorio, mani di raso. Amami.
Amami,
sento che lo vuoi, ti stringo così forte perché
temo
che, se lasciassi la presa, i mille pezzi di te crollerebbero
sparpagliati sul
freddo pavimento che calpestiamo con questi corpi stanchi e pesanti.
Basterebbe
poco per librarci in volo, basterebbe che trovassi
nuovamente il coraggio.
Ma tremi
e non mi permetti di parlare, dipendente dalle mie
labbra come ne andasse della nostra stessa sopravvivenza.
Lascio
che mi baci, lascio che mi graffi e mi odi e mi batta
i pugni sul petto. Lascio che mi guardi con disprezzo e schifo e
disgusto.
"Se
davvero esiste un Dio in questo mondo dominato da
demoni, se davvero c'è una luce di speranza, un orizzonte
caldo cui puntare, spiegami
perché, dimmi perché ogni volta che ti vedo con
lui un briciolo del mio cuore
va in frantumi per sempre? Dimmelo! Non era questo che volevo per noi.
Mi
strapperei la carne dal corpo pur di proteggerti. E tu, invece, hai
scelto
ancora lui."
"Se solo
per un secondo riuscissi a vedere ciò che vedo
io quando ti guardo con questi occhi, non avresti più
timori, dubbi, insicurezze,
mai più. Perché ciò che vedo io
è uno scorcio di me stesso, e non uno
qualunque, ma l'unico vero motore della mia esistenza. Potrai
continuare a
pensare che io abbia scelto lui. Ma non riuscirai nemmeno per un attimo
a farmi
desistere dall'ostinata intensità con cui ti appartengo.
Vai. Sei libero.
Lasciami per sempre, smetti di soffrire, non subire tutto questo."
"Sarei
nulla senza di te."
"Provaci."
"Nonostante
mi costringa, non riesco a ricordare cosa
fosse la mia vita prima di te. Credo di aver, in fondo, sempre vissuto
per
attenderti."
Mi
allontano da lui. Gli volto le spalle. Non riesco a
guardare la sua bellezza mentre sta cercando le parole per dirmi addio.
Conto i
passi che mi separano dalla porta e compio il primo di essi.
"Non
voglio che tu vada."
La sua
voce insicura non è abbastanza, non quando sono
vittima e carnefice al contempo.
Scomparirò.
Pur di smettere di fargli del male.
"Fermati!
Non mi importa. Non mi importa di quanto
spesso dovrò vedere il tuo sorriso spento, non mi importa di
dover restare in
disparte e guardarti da lontano. Non mi importa. E anche se crollo
miseramente
senza di te, so che tornerai. Sempre. A passare le notti con le dita
tra i miei
capelli, a ridere di cuore perso nei miei occhi, a prenderti cura di
ogni
millimetro della mia pelle, a lasciare che le mie mani accolgano tutte
le parti
di te. Non posso vedermi attraverso te, è vero, ma posso
vedere ogni sfumatura
delle tue labbra, e voglio che continuino a posarsi su di me, a far
affiorare
quel sorriso che riservi a me soltanto, ad assumere quella strana forma
quando
pronunci il mio nome. Voglio te, Chris."
"Tu mi
hai, Darren. Più di quanto gli uomini abbiano un
cuore. Ce la faremo, lo sai, non ho altre certezze nella mia vita. Ce
la
faremo, in fondo sei parte di me. Ed io, io non sono null'altro che
parte di
te."
Buon
compleanno, Tina.
Grazie,
Elisa.