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Autore: Akicchi    03/05/2014    1 recensioni
E se Nowaki avesse spedito le lettere, mentre era in America, al suo amato Hiro-san?
Una piccola flashfiction dove Nowaki combatte con il suo 'io' interiore, indeciso se mandare o meno le lettere e la reazione del suo Hiro-san alla lettura di quelle lettere ricevute nel momento 'opportuno'.
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Dato che amo tantissimo questa coppia, ho pensato di farci qualcosa. :)
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hiroki Kamijō, Nowaki Kusama
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Una mano si muoveva in sintonia con una penna, la quale con il proprio inchiostro macchiava quel foglio bianco che si trovava davanti ma, dopo poche parole, il nero non riempì più quello sconfinato spazio. La mano si fermò, facendo ricadere l’oggetto dalla propria mano e, passandosi una mano fra i capelli azzurrognoli, con qualche sfumatura di nero, tirò un sospiro. E se stesse facendo una cavolata? E se si sarebbe arrabbiato? Conoscendolo, gli avrebbe sbraitato contro dall’imbarazzo, che ogni volta cercava di nascondere, o avrebbe sostenuto che non gli era arrivato nulla quando invece, la verità, era il contrario.
Alla fine si fece coraggio e riprese a scrivere, l’unica cosa che poteva fare e per la quale aveva tempo. Anche perché le lettere dopo si conservavano per sempre, questo era il bello di esse e, purtroppo, ormai erano poche le persone che ne facevano uso di questo simbolo d’amore, se a distanza. Ormai le parole scorrevano fluide, come un fiume che non aveva problemi a sfociare.
Le parole che utilizzava erano semplici, ma abbastanza tenere e premurose da saperti travolgere, come un tifone. Non a caso Nowaki significa ‘Tifone’ e chiunque, nessun escluso, che lo conosceva, non ne rimaneva travolto e coinvolto nelle sue emozioni tutte movimentate, tutte dinamiche e mai statiche. Ed il primo ad esserne rimasto intrappolato sentimentalmente, è stato Hiroki.
Già, lui era un tipo razionale e, di conseguenza, gli era ancora molto difficile da accettare questo sentimento e di essere stato travolto da lui, ma a quanto pare era meglio fare un passo per volta. Lo amava, certo, ma questa relazione a distanza gli lacerava un po’ il cuore già pieno di graffi.
Finita di scrivere la propria lettera, tirò un sospiro accompagnato da un sorriso. La rileggeva, parola per parola, punto per punto, virgola per virgola. Un piccolo rossore gli dipinse le guance, proprio perché era imbarazzante e, al tempo stesso, gli stava crescendo la voglia di rivederlo. Rivederlo anche se lui si trovava in America e l’altro in Giappone. Chissà come stava e che tempo faceva.
Dopo essersi vestito pesante, proprio perché stava scendendo la prima neve, mise la lettera in tasca ed uscì dalla dimora, senza scordarsi niente (chiavi comprese).
Una volta arrivato davanti ad una cassetta delle lettere, tirò fuori la propria e, con la mano tremante, l’avvicinò all’entrata. Non sapeva se faceva o no la cosa giusta. Stava per ritirare la mano, quando tirò un respiro profondo e la infilò dentro.
Sperava di non pentirsene.
E così fece, però, per altri giorni. Tutte le volte in cui sentiva il bisogno di sentirlo, vederlo gli scriveva e con un enorme dose di coraggio, inseriva le lettere all’interno della cassetta.
   
 
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