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Autore: Love_My_Spotless_Mind    03/05/2014    0 recensioni
La storia di una ragazza affetta da sordità e del suo primo amore.
Avevo partecipato con questo lavoro ad un concorso ma, purtroppo, non ho vinto.
Genere: Satirico, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Alcuni giorni passano semplicemente,
Altri sono indimenticabili.
Non possiamo decidere la ragione per cui sia così
Ma possiamo scegliere cosa fare
Dal giorno seguente.
Così con questa speranza,
con questa determinazione
Rendiamo l’oggi
Un giorno luminoso e migliore.
Ho letto queste parole nel testo di una canzone, alcuni anni fa, eppure, non mi hanno mai abbandonato. Ci sono frasi che si incastonano perfettamente nel nostro cuore e che ci accompagnano per il resto della nostra vita,  chiare ed indelebili. Qualsiasi cosa abbia fatto queste parole sono tornate a far capolino nella mia mente e mi hanno dato coraggio, erano calde come i ricordi a cui le associavo.
Nella mia vita non ho mai ascoltato la musica, non ho mai potuto ed è per questo, forse, che la ritengo così importante. La musica l’ho sempre creata dentro di me ed anche per queste parole l’ho immaginata. Adesso il mio concetto di musica è così ben chiaro che non vorrei mai sapere com’è in realtà, nel mio piccolo mondo la musica è esattamente come la immagino io. È così anche per le voci delle persone che amo, per i rumori, per i suoni. Non ho mai conosciuto queste realtà e , per questo, le ho immaginate, rendendole mie.
Tutto questo può sembrare strano, ma è un principio importante per raccontare la mia storia. Senza questo aspetto di me, quello che tutti definiscono un handicap, non sarei veramente e completamente io. Parlare di questo nei primi anni della mia vita non è stato affatto facile ed odiavo la mia condizione. Era come se vedessi una costante distanza tra me ed il resto del mondo. Fin da bambina avevo imparato che possedevo qualcosa in meno degli altri, che ero in svantaggio.    
Per un bambino accettare una cosa simile non è affatto semplice e nemmeno per la mia famiglia lo era. Tutti mi vedevano incompleta ed anch’io mi vedevo così, semplicemente perché non mi era stato insegnato a considerare la realtà da un’altra prospettiva.
In fondo ,come può mancarti qualcosa che non hai mai posseduto? A rivolgermi per la prima volta questa domanda fu un ragazzo che conobbi in un campo estivo e questa domanda mosse in me il cambiamento. Ricordo l’agitazione di quei giorni. Non ero mai stata per più di un giorno lontana da casa e restare con i miei amici, senza la mia famiglia, per ben due settimane, mi agitava terribilmente.
Era un’esperienza nuova per me e mi stupivo per ogni piccola cosa. Per la priva volta capii che la mia vita andava avanti anche senza i miei genitori, riuscivo a gestirmi da sola e a tenere in ordine la stanza senza bisogno che fossero loro a ricordarmi di farlo. Mi sentivo forte, stavo crescendo.
Nessuna delle mie compagne di classe aveva voluto condividere la stanza con me e quelle con cui ero capitata erano state scelte dalla professoressa. Leggevo perfettamente la rabbia nei loro occhi. Mi vedevano come un’intrusa e nessuna aveva mai provato a stringere amicizia con me. Tutto questo mi faceva soffrire, ma non dicevo niente. Ogni volta che aprivo bocca le persone ridevano ed ero arrivata a credere che la mia voce avesse un suono ripugnante. Per me era faticoso parlare, sentivo soltanto la mie corde vocali vibrare e non riuscivo a capire come dovessi moderare il tono della voce.
Era la vacanza dell’estate dopo l’esame di terza media. Dopo quell’anno i miei compagni di classe non li avrei più visti ed avrei avuto occasione di ricominciare la mia vita daccapo. Inizialmente in vacanza non volevano nemmeno invitarmi, ma si erano trovati costretti.
Quando tutti ballavano nella piccola sala vicino alla mensa, io restavo immobile e li guardavo invidiosa. Io non potevo sentire la musica e non sapevo come si ballasse.  Per le prime due sere me ne andavo in camera e piangevo tutta sola nel buio, nascosta tra le coperte.
Conobbi quel ragazzo durante una lezione di canoa. Era diverso dai ragazzi che avevo conosciuto fino ad allora. Lui non aveva mai provato a ridere di me o a prendermi in giro e questo mi apparve fin da subito molto strano.
Anche lui non aveva un compagno per la canoa ed andammo insieme. Non era bravo a remare ed io gli insegnai come fare. In quell’occasione ero molto timorosa e non volevo che sentisse la mia voce. Mi esprimevo a gesti e sorridevo, cercando di fargli capire che ero felice di insegnargli come fare. Aveva capito che fossi sorda, ma sembrò non importargli. Per lui sembrava non fare la minima differenza.
Di sera il ragazzo, vedendomi in disparte, mi afferrò per un braccio e, senza dir niente, mi condusse verso la mensa. Tutti i tavolini erano stati puliti e la stanza era vuota. Ci accomodammo ad un tavolino e lui prese dalla macchinetta due caffè.
Parlava lentamente ed io riuscivo a capire perfettamente il suo labiale. Sorridevo e partecipai timidamente al discorso.
-La tua voce è davvero molto bella – mi disse.
Nessuno mi aveva mai detto una cosa simile, anche i miei genitori lo davano per scontato. Ma io avevo bisogno di sentirmelo dire. Avevo bisogno che qualcuno mi rassicurasse, volevo essere certa di non avere nulla di diverso dagli altri.
Ripensare alla sua dolcezza mi colpisce ancora. A distanza di anni rimango colpita da certi ricordi. Nella vita si possono incontrare poche persone in grado di cambiarcela per sempre ed io ero stata fortunata.
Era vero, il mio “problema” non poteva essere un fardello per sempre. Che io lo volessi o no, non sarei mai cambiata e non dovevo rassegnarmi, dovevo semplicemente dire a me stessa – Sono così, poco importa se gli altri sono diversi da me. –
Le chiacchiere di fronte ad un bicchierino di caffè continuarono quasi ogni sera, quando non eravamo impegnati con le attività sportive. L’ultima sera, prima di ripartire, offrii io il caffè e lo bevemmo sulla spiaggia, seduti sulla sabbia.
Grazie a quell’incontro colsi l’inizio delle superiori per migliorare. Non avevo più così paura della sordità, ci convivevo da tutta la vita ed avevo appreso altri modi per capire le persone, oltre che ascoltarle.
Gli occhi, ad esempio, parlano più di tutto il resto. E poi ci sono i gesti, la frequenza del respiro.
Io e quel ragazzo restammo in contatto anche quando la gita terminò ed io lo usai come espediente per imparare a decifrare le persone.
Di carattere non parlava molto ma  il suo corpo, i suoi piccoli gesti, i dettagli, comunicavano per lui. In questo eravamo molto simili.
Nei pomeriggi in cui ci incontravamo era come se scoprissimo il mondo insieme.
Più di tutto ricordo un pomeriggio d’autunno. Gli alberi del parco avevano le foglie di colori irreali. Noi camminavamo lungo lo stretto viale di terriccio e le foglie secche scricchiolavano sotto i nostri piedi. Mi stringeva la mano e per me, ormai, era divenuto un gesto naturale, colmo di una dolcezza infinta.
In quel momento, forse per la prima vera volta nella mia vita, mi accorsi di quanto il mondo che abitavo fosse silenzioso. Vedevo quei colori, sentivo il vento soffiarmi contro il viso, ma, in fondo, era come se fossi ad anni luce di distanza da quel luogo. Appreso questo mi bloccai. La mia mente girò a vuoto ed io, immobile, sentii mancarmi il respiro.
“Com’è il mondo che gli altri vivono?” mi chiesi.
È una domanda banale per chiunque tranne che per me. Mi vergognavo a chiederlo, avevo paura di sembrare stupida, eppure, non riuscii a trattenermi.
-Andrea, il tuo mondo com’è? – chiesi.
Immaginai come la mia voce fosse risuonata, come si fosse congiunta al soffio del vento che l’aveva già portata via.
Le parole non avevano senso. Io spendevo tanta fatica per pronunciarle e loro volavano via. Non capivo proprio perché gli altri le trovassero così importanti. Le parole non sono fatte d’altro che d’aria e si dissolvono prima che possano raggiungerci il cuore. Il mio universo, ai miei occhi, era molto più infinito e sensato rispetto a quello delle persone che avevo conosciuto.
Lui restò qualche minuto in silenzio. Mi sembrava di vedere gli ingranaggi della sua mente girare per elaborare una frase. Non ci aveva mai pensato al suo mondo, forse.
-Il mio mondo è vuoto ed io ci galleggio dentro. – rispose semplicemente.
In quel momento compresi che lui era esattamente come me. Forse tutti quei pensieri, quelle inquietudini, perseguitavano anche lui. Ma lui aveva le parole, eppure, non le usava.
-E ti basta vivere così? –
Lui mi sorrise. Il mio cuore sembrò svegliarsi ed agitarsi.
-Mi bastava. Poi sei arrivata tu –
Le sue braccia strinsero la mia vita e mi baciò.
Era la prima volta che un ragazzo mi stringeva in quel modo. Fu una sensazione che non dimenticherò mai, è rimasta impressa sulla mia pelle. Il momento in cui il ragazzo che stavo iniziando ad amare mi strinse per la prima volta, io mi sentii infinitamente piccola. Mi sentivo come se quelle braccia non mi avrebbero mai lasciata cadere, ero sicura di questo. È una delle sensazioni più simili all’amore.
Da allora compresi qualcos’altro di importante. La vita non inizia il giorno della propria nascita, bensì nel momento in cui ci si rende conto di essere in vita, di avere un cuore che batte coraggiosamente e di avere tutto il tempo e la forza per fare qualsiasi cosa.
La mia vita iniziò in quel momento. Non perché la mia esistenza dipendesse da lui, no, ma perché avevo capito di non essere la sola a galleggiare nell’universo.
La sera del mio compleanno entrò dalla finestra della mia stanza, si accomodò sul mio letto e mi svegliò con un bacio. Aveva lasciato una torta con le candeline accese sul pavimento e lui era seduto di fianco a me, con la chitarra fra le mani. La luce soffusa delle candele illuminava parte del suo viso ed il resto era avvolto dal buio.
-Ho scritto una canzone per te – disse.
Io sorrisi, era un’idea davvero romantica. Ero felice, poi mi ricordai di chi fossi .
Lui iniziò a suonare ed io non sentivo niente. Niente, esattamente niente. Il mio mondo era silenzioso come al solito ed io non potevo fare nulla per alzare il volume.
Iniziai a piangere, con disperazione, carica di ogni delusione possibile.
Fu in quel momento che lui mi strinse a sé e guardandomi dritto negli occhi mi disse.
-Chiudi gli occhi, ascolta soltanto il tuo cuore e sentirai la mia canzone. –
Nessuno mi aveva mai detto qualcosa di così bello. Il suo cuore aveva creato quella melodia ed anche se le mie orecchie non potevano sentirlo, il mio cuore lo avrebbe fatto.
Chiusi gli occhi e respirai lentamente. La musica la sentii davvero e mi riempì il cuore di speranza.
Quando lui ascoltava la musica a me faceva leggere i testi e mi diceva che avevo la fortuna di immaginarla. Quei momenti erano gioiosi e mi facevano sentire speciale. La mia vita appena iniziata sembrava piena di belle aspettative.
Il tempo non può distruggere ricordi così belli. È vero, le cose finiscono e ci si sta male, ma odiare il passato semplicemente perché si è andati avanti è un crimine.
Anche la nostra storia finì. La vita è fatta anche di queste cose e le storie d’amore, se ci si pensa, non finiscono mai per un motivo vero.
Credevo di morire senza di lui. Ero appena riuscita e riemergere e stavo di nuovo affogando nel mondo. Ma non sono morta, non potevo ora che avevo saputo come fosse bello vivere.
Io non vedo più il mio “difetto” come un problema, non dico che la mia vita sia semplice, ho tante difficoltà ma tutti le hanno. In compenso ho avuto una vita tutto sommato tranquilla, ma ho amato con sincerità e di questo, anche se spesso non è finita come avrei voluto, non potrò mai pentirmi.
Quella felicità così pura e semplice non l’ho più vissuta, solo lui poteva donarmela ed io non avrei mai provato a sostituirlo. Ogni esperienza è un caso a sé e quando ci penso mi commuovo ancora.
Se lo rincontrassi lo abbraccerei e gli direi semplicemente :
-Grazie – perché con lui ho imparato a vivere. 
 
 https://www.youtube.com/watch?v=sbtMoTY8Fj0&hd=1
 
Questa è la canzone che ha ispirato questo racconto, dategli un'occhiata!
  
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