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Autore: LokiSoldier    04/05/2014    4 recensioni
E' bastata una sola domanda a far cadere il dottore militare John H. Watson nella più totale confusione. Una domanda per scatenare una serie di pensieri e riflessioni che alla fine lo hanno portato a capire la più imbarazzante e ovvia verità.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Era bastata una sola domanda a farlo cadere nel panico. Una domanda spontanea, che lo aveva paralizzato per pochi secondi.
 
Come al solito stavano discutendo, nel piccolo soggiorno del 221B di Baker Street, di ciò che la gente diceva e ipotizzava su di lui. Sherlock. Un uomo così chiuso, così esasperante, intelligente, irritante. Una creatura più unica che rara la quale in qualche modo portava sempre un cambiamento nella vita di chi incontrava. Sarebbero bastati pochi istanti con lui e la tua vita sarebbe stata segnata per sempre. Era difficile non rimanere colpiti dalla sua persona. Un uomo elegante, apparentemente tranquillo, con i suoi riccioli scuri e gli occhi limpidi. Occhi di un azzurro intrigante, penetrante, del quale stare attenti, del quale stare il più lontano possibile. Perché loro non falliscono mai e senza saperlo ti mettono a nudo al loro cospetto. Stracciano via ogni copertura, abbattono ogni muro abbassando qualsiasi difesa. E ti violentano in silenzio scoprendo ogni tuo più piccolo e imbarazzante segreto. Nulla sfugge a quelle iridi cristalline e da quel momento in poi non riuscirai più a farti vedere da loro allo stesso modo. Ti sentirai sempre nudo, sempre scoperto. Indifeso. E tutto questo, questo turbinio di emozioni violente e selvagge, è scatenato solo da uno sguardo. Uno sguardo breve, fugace, quasi inesistente. Ma ciò che davvero lascia sconvolti è la sua capacità di dire sempre la cosa giusta anche se nel modo sbagliato. Non ha tatto, dolcezza né accortezza. Risulta sgradevole e rude ma in qualche modo è evidente come non si rivolga così volontariamente, gli esce spontaneo come fosse la cosa più naturale del mondo. Il suo dire verità scomode e segrete è irritante almeno quanto si rivela essere tenero. I suoi occhi che tutto sanno e tutto scoprono rivelano anche tutta la sua ingenuità, la sua spontaneità. Come un bambino che non sa come comportarsi, un ragazzino che non ha idea di come approcciarsi al prossimo. Ma a lui va bene. Lui non prova vergogna nel suo non sapere cosa sia un sentimento, un atto di dolcezza. Non teme ciò che la gente pensi di lui. Lui sa cos’è, sa chi è e sa che nulla può negare quella verità e gli va bene così. Non bada a cose effimere e soggettive come i pensieri, lui ama potersi affidare a cose più solide e stabili come prove, fatti oggettivi e immutabili. Come la verità. E di questo si circonda facendone il suo credo.
 
« Perché ti importa tanto di ciò che la gente pensa di me, John? »
 
John boccheggiò preso in contropiede da quella domanda. Lo fissò con le labbra schiuse, deglutendo, in piedi davanti alla finestra mentre lui con quegli occhi confusi lo fissava seduto al tavolo del soggiorno. Non capiva davvero perché ogni minima accusa o critica contro di lui mandasse così in bestia il suo collega. Non capiva cosa volesse dire tenere ad una persona tanto da sentirsi in dovere di doverla difendere da ogni male, ogni dolore. Sinceramente non pensava che John potesse tenere a lui tanto da non poter sopportare che qualcuno dicesse qualcosa di lui che potesse anche solo lontanamente assomigliare ad una offesa. E, a dirla tutta, neppure John se ne era reso davvero conto fino a quando quella domanda non riecheggiò nella sua mente adesso confusa. Perché? Perché gli importava tanto? Perché gli voleva bene. Perché era suo amico. Perché lui aveva imparato a conoscere Sherlock Holmes e sapeva quanto fosse una persona buona sebbene facesse fatica a dimostrarlo. Ma non poteva dirglielo, lui non sapeva farlo. Non sapeva davvero dire qualcosa di così dolce ad alta voce, faceva una fatica inesprimibile a rivelare i suoi sentimenti al prossimo. A meno che non si trattasse di una donna, ma dire ad una ragazza che tieni a lei non è imbarazzante quanto ammettere di voler bene ad una persona dello stesso sesso, no? I grandi problemi del genere maschile. John si umettò le labbra prima di distogliere lo sguardo puntandolo fuori dalla finestra, un braccio poggiato contro il muro, l’altro morto lungo il fianco.
 
« Perché siamo amici. E so chi sei e non sopporto l’idea che vengano messe in giro voci false sul tuo conto. »
 
Lo aveva detto osservando lontano, rifuggendo il suo sguardo sorpreso, quasi perplesso. Ma li sentiva. Li sentiva fissi su di lui, sentiva i suoi occhi analizzare i suoi gesti, i suoi movimenti, cercando di capire se fosse sincero, se stesse mentendo, perché pensasse una cosa simile. Lui poteva capire e analizzare tutti i suoi pensieri solo vedendo com’era vestito, talvolta. Sentiva i suoi occhi studiarlo, scandagliare la sua mente, mentre chiudendo lo schermo del portatile andava a congiungere le mani unendo i polpastrelli gli uni contro gli altri, davanti la sua bocca.
 
« Io non ho amici, John. »
« Questa l’ho già sentita. »
« No, davvero. Dico sul serio. »
 
Si voltò a osservarlo, dritto negli occhi. Abbandonò ogni vergogna, ogni timore, ogni imbarazzo. Si avvicinò a passi decisi sedendosi sulla sedia accanto alla sua inclinando appena il capo. In silenzio. Si osservarono così per un po’, senza dir nulla, senza che alcun suono infrangesse quel momento. Solo una lontana sirena della polizia risuonava leggera in quella loro bolla mentre John cercava di capire perché, perché Sherlock continuasse a ribadire quel concetto ad ogni occasione possibile.
 
« Perché? Perché lo pensi? »
« Non lo penso. E’ così. I sociopatici hanno difficoltà a relazionarsi col prossimo perché non sanno come comportarsi, quali parole dire, non capiscono cosa siano i sentimenti né come rispettarli. Parlando per me non ho idea di cosa la gente provi, cosa pensi, perché fate tutti pensieri così banali da risultarmi davvero incomprensibili. Non so quando faccio qualcosa di gradito o di spiacevole e la maggior parte delle volte non so perché la gente non mi sopporti. In verità non lo capisco ancora. Di contro, il mio essere anche così notevolmente intelligente rende difficile per voi il riuscire a capire me e se due persone non si capiscono né da un senso né dall’altro allora è davvero impossibile che possano essere amici. »
 
Aveva parlato a macchinetta come faceva sempre durante una delle sue deduzioni. Era stato veloce, implacabile, quasi gelido nel suo sputare fuori quella verità che in qualche modo avrebbe imbarazzato chiunque altro. Chiunque tranne lui. Per lui si trattava di un mero dato di fatto quindi niente di cui vergognarsi. La verità era che lui era un sociopatico ad alta funzionalità, quindi perché provare vergogna o imbarazzo? Non poteva mica farci qualcosa.  John dal canto suo si limitò a sorridere divertito da quel suo modo di spiegare la realtà dei fatti e intrecciando le dita fra loro si limitò a osservare l’espressione mite e tranquilla di Sherlock.
 
« Non è così. L’amicizia non è qualcosa di logico o di razionale e capisco quindi che per te risulti essere… inconcepibile » iniziò a dire udendo lo sbuffo quasi infastidito dell’amico. « Puoi trovare una persona la più irritante, cafona, maleducata, scortese e fastidiosa creatura del pianeta, ma volerle comunque bene. Tu dici che non possiamo capirti perché sei più intelligente di noi e Dio, forse è così, ma anche se non ti capisco io ti conosco. Ti conosco e tanto mi basta a sapere che tipo di persona tu sia, perché ti comporti in un certo modo e che lo accetto. Anzi, se all’improvviso smettessi di comportarti come sempre forse non mi piaceresti come invece mi… okay, hai capito, non completerò questa frase. » aggiunse prima di interrompersi per schiarirsi la voce. Mentre parlava era andato a finire a parlare dei suoi sentimenti per lui, il suo trovarlo così speciale, e la cosa si era fatta imbarazzante. Sospirò prima di prendere un profondo respiro pizzicandosi il naso con due dita. « Non si decide razionalmente di essere amici oppure no, Sherlock. E’ qualcosa che senti dentro. Io non ho molti amici, proprio come te. Non mi piace parlare di me con la gente, né riuscirei a convivere con chiunque. Eppure tu sai praticamente tutto di me –anche se la maggior parte delle cose non te le ho dette io ma le hai scoperte da solo, quindi forse non vale ai fini del discorso – e la cosa non mi dà fastidio perché so di potermi fidare di te. So che non potresti mai vendermi a qualcuno, che non diresti una parola di un mio segreto. O sbaglio? »
« In linea teorica no, ma devi tenere conto della situazione. Se una informazione sul tuo passato può portarmi a scoprire qualcosa o a salvarci la pelle non esiterei un attimo a sfruttarla quindi, forse, come vedi, non sono un amico come credi. »
 
John roteò gli occhi con un ennesimo sospiro. Spiegare qualcosa a Sherlock Holmes era sempre così dannatamente difficile. Specie quando si trattava di qualcosa di così evanescente e delicato come i sentimenti. Qualcosa che non puoi vedere, toccare con mano, che puoi sentire e spesso confondere. Confondere con qualcosa di più forte, più debole. Più intenso. John non sapeva davvero come spiegargli quel che provava per lui. Odiava quando rimarcava il suo ‘non avere amici’, si sentiva ferito. Significava così poco per lui? Era una persona come tanti? Uno che poteva dargli una mano a divertirsi nel risolvere casi? Se fosse sparito all’improvviso non avrebbe fatto differenza per lui? Dio, quanto faceva male quel solo pensiero! In qualche modo John non poteva sopportare l’idea di Sherlock che lavorava con qualcun altro, che viveva con qualcun altro. Qualcuno che non sapeva che quando era steso sul divano con le mani semi giunte dinnanzi alle labbra con lo sguardo fisso doveva lasciarlo stare perché stava riflettendo. Qualcuno che non sapeva cosa volesse dire quando lui diceva che sarebbe andato a farsi un giro nel suo ‘palazzo*’. Qualcuno che non sapeva quali casi potevano risvegliare il suo interesse e quali no. Era insopportabile, era come una ferita in mezzo alle scapole che gli toglieva il respiro. Nessuno poteva conoscere Sherlock quanto lui, nessuno poteva capire come si doveva sentire in un determinato momento. Nessuno poteva capirlo come lui. Ed era un pensiero violento, aggressivo, opprimente. Una gelosia viscerale e innata che aveva messo radici da tempo e che solo ora veniva scoperta. Sherlock era una specie di tesoro, per Watson. Era qualcosa che non avrebbe mai potuto perdere. In qualche modo, chissà come, era diventato la sua vita. Era lui che riempiva le sue giornate, era lui che gli dava speranza. Lui poteva togliergliela in un soffio. Solo ora si accorgeva di come aveva bisogno di quell’uomo. Come necessitava di rimanergli vicino e non potesse sopportare di non averlo più con sé. Quella realizzazione era semplicemente terrificante perché per un attimo il suo sguardo si illuminò di viva paura. Cosa voleva dire tutto ciò? Cosa poteva significare questa insana ossessione verso di lui? Sgranò gli occhi osservando quel viso regolare, dai tratti definiti e taglienti, e per la prima volta in vita sua, da quando lo conosceva, sentì l’impulso di voler perdersi nei suoi occhi. Solo fissarlo negli occhi, in silenzio, per un po’. Ma lui capiva ciò che pensava solo guardandolo in viso, non era un lusso che poteva permettersi.
 
« Non volevo metterti in crisi, John. Mi dispiace. Io davvero non capisco queste cose. Non sono utili, non mi serve capirle. »
 
La voce calda di Sherlock era sincera, il suo sguardo leggermente cupo. Era seriamente dispiaciuto di averlo confuso ma non aveva idea di quello che quella sua semplice domanda lo aveva portato a capire.
 
Perché ti importa tanto di ciò che la gente pensa di me, John?
 
Il medico si riscosse osservandolo e, alzandosi dalla sedia con un sorriso leggero, si avviò verso la propria stanza, grato per la prima volta, che il proprio amico non potesse capire cosa significasse tenere tanto ad una persona da sentirsene quasi ossessionati. Dipendenti.
 
 
« Forse è meglio così, Sherlock. »
 
 
 
 * : fa riferimento al “palazzo mentale” di Sherlock.
  
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