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Autore: MarsKingdom    04/05/2014    2 recensioni
“Contatterò io il suo manager per consegnare le foto alla rivista, d’accordo?”, dissi nervosa e spazientita, rigirandomi tra le dita la mia catenina con la triade, quella che non toglievo mai.
Aspettai inutilmente un cenno, una parola, anche un grugnito da parte del tizio.
Sembrava di parlare con un muro.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi di nuovo qui con un altro capitolo. Come ogni volta, spero vi piaccia. Vorrei innanzitutto scusarmi per la lunga assenza: continuo a scrivere, ma è il tempo di pubblicare che mi manca. Ma vorrei soprattutto ringraziarvi per tutti i commenti bellissimi e positivi che mi lasciate, siete davvero dolci! Se dovete fare qualche appunto negativo, non siate timide. Accetto anche le critiche, assolutamente!
P.S. Senza creare polemiche, ho visto che è stata iniziata una fanfiction con lo stesso titolo di questa, quindi ci terrei a precisare che qui siamo in quella originale, la prima nata, l'unica "Convergence". Ci tengo a dirlo perchè questo titolo non è nato a caso, la scelta di quella canzone in particolare è stata frutto di esperienze anche personali che in parte ritrovate nel testo. Peace & Love, spero davvero vi piaccia. Vi voglio bene, miei cari lettori (pochi ma buoni *-* )


La seconda sveglia fu meno traumatica della prima. Mi ritrovai a rigirarmi sul letto, ad occhi chiusi, con la vaga consapevolezza di non essere a casa mia ma con una strana sensazione di benessere. Mi stiracchiavo tra le lenzuola chiedendomi oziosamente dove fosse Shannon.
Solo dopo qualche buon minuto realizzai che mi fissava, seduto sulla poltrona davanti al letto. Non mi stava solo guardando, ma aveva una vecchia Nikon a rullino in mano. Mi sbrigai a coprirmi ogni centimetro di pelle con ogni angolo di lenzuolo che avevo a disposizione.
Lui rise.
“Dai, si può sapere che stai facendo?”, borbottai nascondendomi dietro ad un cuscino.
“Eri più bella mentre ti stiracchiavi”, disse ridendo.
“Odio le foto!”, dissi.
“Una strana cosa per una fotografa”
“Andiamo, hai capito che intendo. Se faccio la fotografa, se sto dietro la fotocamera, ci sarà un motivo”, mugolai.
“E io l’ho capito benissimo”, rispose. Dalla voce sentivo che era più vicino, così spostai leggermente il cuscino ma lui riuscì ad immortalarmi a tradimento.
“Da quant’è che va avanti questa cosa?”, gli chiesi ormai senza speranze.
“Diciamo che ho già cambiato un paio di rullini”, disse lui divertito.
Mio Dio, questo significava che aveva già fatto almeno una cinquantina di foto. E se tutte avevano me come soggetto, potevo anche iniziare a cercare una buca in cui sotterrarmi.
“Se me li dai, li sviluppo io”, dissi sorridendo.
“No, perché immagino che fine farebbero. Li svilupperò io stesso”
“Sicuro di esserne in grado?”, lo provocai.
“Con chi pensi di avere a che fare? Te lo faccio vedere io adesso”.
E così dicendo, iniziò a farmi il solletico con una mano, mentre con l’altra cercava di fotografarmi mentre ridevo e mi divincolavo.
Alla fine, senza fiato e con un sorriso smagliante, lo guardai. Ero distesa sotto di lui e lo potevo osservare in tutta la sua bellezza. Una bellezza che andava oltre l’aspetto fisico. Era una di quelle persone che, per chi sapeva guardare bene, appariva bella interiormente anche solo al primo sguardo.
Lui posò la Nikon e mi cinse i fianchi con le sue mani grandi e ruvide. Sussultai e gli accarezzai il petto.
“Come ti senti?”, mi chiese.
“Credo bene, perché?”, risposi perplessa.
“Sai a cosa mi riferisco..”, disse.
Sicuramente intendeva all’esperienza appena passata. Cosa potevo dirgli? Come potevo esprimere a parole qualcosa di così meraviglioso e devastante allo stesso tempo? Come potevo spiegargli la tempesta che avevo dentro, tra la bellezza di aver fatto l’amore con lui e la paura di essere toccata che ancora mi attanagliava?
Così gli dissi la verità.
“E’ stato il momento più bello della mia vita, e forse è stato anche così semplice perché inaspettato e non programmato. Hai saputo sorprendermi. Se lo avessimo programmato non sarebbe stato così facile”
“Perché?”, mi chiese, sinceramente preoccupato.
“Perché ho ancora paura del contatto fisico a certi livelli. Perché non sapere le cose a volte è meglio che programmarle nel dettaglio. Non ho avuto il tempo di pensarci ed è stato meglio così”, dissi.
“Lo sai che dovresti lavorarci su questa cosa, vero?”
“Oh Shan, sono andata da molti psicologi. Psichiatri, anche. Ho preso e provato di tutto. La mia paura è ancora lì, anche se con te la sento meno perché riesci a farmi vivere il presente”.
Si chinò a baciarmi.
“Allora sarò io la cura. Ti aiuterò a superarla”
 
Durante il resto della mattinata che trascorremmo a letto, ci ritrovammo a parlare entrambi dei nostri rispettivi tatuaggi. Vennero fuori aneddoti, storie. Era come rivelare qualcosa di noi apertamente ma in un modo meno diretto. E fu evidente come anche i miei disegni fossero così legati al suo mondo e alla sua band.
“Potresti entrare a farne parte come membro onorario”, mi disse ridendo.
“Sicuro. Al massimo suono la batteria di pentole delle televendite. Ma forse non riuscirei nemmeno in quella”
“Però saresti una meravigliosa fotografa ufficiale”.
Con questa frase mi creai delle scene mentali in cui fotografavo ogni minima esibizione in giro per il mondo. Eccitante.
Ma anche ogni meet and greet. Ogni altra Echelon avvinghiata a Shannon come una cozza allo scoglio. Anche se in realtà la cozza sarei stata io. Qualsiasi altra ragazza avrebbe potuto affascinare Shannon, non ci voleva molto ad essere più belle di me. E magari me lo avrebbero portato via. Non che speravo in un rapporto eterno (non sarebbe stato possibile, si sarebbe stancato presto di me), ma almeno non avevo una grande voglia di vederlo cadere in frantumi davanti a me. Non ne volevo documentare la fine. Non l’avrei sopportato.
“Naaa, penso che mi limiterò a darvi una mano con il booklet per il nuovo album”, conclusi sorridendo nervosamente, sperando che non sospettasse le mie ansie.
E infatti non si accorse di niente.
La giornata proseguì tranquilla, eravamo come in una bolla. Il tempo sembrava essersi dilatato a dismisura, una eterna domenica di sole, pace e tranquillità. Mi dovetti però ricredere quando le colline divennero rosse, con il sole alle loro spalle che mostrava alla fine del giorno la sua ultima gloria, prima di lasciare spazio ai crateri di latte della Stella della sera.
La luna fu l’unica a guardarci e a guidarci mentre Shannon mi riportava a casa, questa volta in moto. Il tragitto fu breve e cercai di stringerlo a me il più possibile. Non volevo lasciarlo. Ma sapevo in qualche modo, che adesso iniziava ad essere parte di me e avrei lottato perché questo durasse.

 
  
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