PT. I
Alla
fine lo realizzi: è una forza misteriosa che ti spinge
a continuare a mietere vittime. Inerzia pura, perché nel
mentre il tuo cervello
si stacca completamente e tu continui a muoverti solo perché
il tuo corpo sa
come fare.
Hai paura? Il tuo
corpo si muove.
Qualcuno ti attacca?
Il tuo corpo reagisce per proteggerti.
Sei sotto shock?
Poco importa, saranno i tuoi movimenti a impedirti di morire.
Era
lì, Alec.
Pochi
metri e sarebbe arrivato.
Pochi,
così pochi: in condizioni normali, neanche due
secondi. In condizioni normali, sarebbe arrivato da lui camminando, con
un
sorriso sulle labbra, spensierato e tranquillo.
In condizioni normali,
già.
Ma
in quel momento, dove un’orda di ibridi e demoni
scuotevano e dilaniavano cielo e terra, cosa c’era di
normale? Dov’erano le
condizioni standard, quando Nascosti e Nephilim combattevano, ancora,
schiena
contro schiena per salvare il loro mondo, cadendo uno dopo
l’altro,
sopraffatti?
Dov’era la forza
quando, per una volta, gli serviva?
Era
quello che chiedeva il corpo di Alec: non aveva mai
bramato niente, nessuna gloria o riconoscimento. Solo la
possibilità di porte
proteggere i suoi fratelli e le persone che amava: per quello serviva
la
volontà, la freddezza, più che la forza bruta. Ma
ora, al calare del sole,
Magnus aveva bisogno di lui: l’aveva visto solo un attimo
prima, colto alla
sprovvista da demoni e figli di Nephilim corrotti dal sangue nero.
Aveva
incrociato il suo sguardo, prima che sparisse in quell’orda
viscida e violenta.
Aveva
visto le scintille che scoppiettavano nelle sue mani
spegnersi, inghiottite dal nero e dal bianco, dagli occhi e dalle zanne
dei
suoi assalitori. E, ora, circondato anche lui da quelle creature, Alec
tremava:
supplicava, chiedeva, patteggiava qualsiasi cosa per un po’
di forza.
Solo
ora, per salvarlo.
Voglio salvarlo.
Non
ci sono dei o angeli da supplicare, e al patteggiamento
si sovrappose qualcosa di diverso: il cervello si riaccese,
l’inerzia data
dalla paura morì e, improvvisamente, Alec prese ad abbattere
chiunque si
frapponesse sulla sua strada con una tale abilità da
lasciare allibito anche se
stesso. Non si muoveva rapidamente, no.
I
colpi erano secchi, decisi, dati in punti che ferivano
l’avversario ma non lo uccidevano: scoccavano senza troppe
cerimonie, determinati
dal pensiero di raggiungerlo senza perdere tempo. Abbatterli, levarseli di torno: ci avrebbero pensato
gli altri ad eliminarli del tutto.
Un passo.
Due passi.
Tre. Quattro. Cinque….
Alec
lo raggiuse, quasi correndo, iniziando ad infilzare i
demoni che avvolgevano Magnus come una cupola strisciante e viva,
pulsante di
morte. Il fiato corto impediva al ragazzo d’ispirare
l’aria, riducendolo quasi
a soffocarsi: l’urgenza era tale che non prestò
attenzione dietro di se. Lui
guardava davanti, solo lì, ed eliminava creature tanto
rapidamente da sentir i
crampi alle mani per il dolore d’impugnare da tanto tempo le
spade: ma non
importava.
Non
importava niente.
Lui era lì, doveva
salvarlo.
Questa
era la forza, per Alec. Quella era l’aria, il sangue
e l’energia: era ciò che aveva dentro, e che non
era mai riuscito a tirare
fuori, sino a quel momento. E quando tutte le creature furono mutilate
e
smantellate, poté finalmente vederlo: respirava, un flebile
alzarsi e
abbassarsi del petto, ricoperto di sangue. I capelli spettinati, il
cappotto
scuro strappato, gli occhi socchiusi come le labbra: i denti bianchi
erano
scuriti per via del sangue, le iridi s’intravedevano a
malapena tra le ciglia.
-Magnus….-
Un
nome. Il suo
nome.
Alec
si avvicinò a lui, tremando, gli occhi azzurri
increduli: lo scosse leggermente, temendo che il movimento del petto
fosse, in
realtà, una sua fantasia.
Pronunciò
ancora una volta il suo nome, constatando la
gravità delle ferite: il sangue non aveva un punto
d’uscita, sembrava essere
una seconda pelle dello Stregone. Con le mani viscide di fluido rosso,
il
ragazzo prese le dita dell’uomo, stringendole così
forte da far sbiancare le
nocche.
-Magnus…Magnus….-
-Alexan…- l’uomo
sputò una manciata di sangue. -Cosa…cosa…?-
-Prendila.-
intrecciò le sue dita con quelle del Nascosto, anche se
quelle di quest’ultimo
erano immobili e fredde. –Prendila,
prendila tutta se serve. Ma non morire, ti prego.-
-Alexander, io…-
-Hai detto che avevi
sempre bisogno della mia forza. Lo stesso vale per me: è tua
di diritto e lo
sarà per sempre. Prendila, non lasciarmi.-
Scintille
blu, come piccoli fuochi d’artificio, nacquero dai
palmi uniti, gli occhi del Nephilim fissi sull’uomo che
teneva tra le braccia.
A nessuno dei due importava che avevano rotto, se si erano separati e
che, fino
a quel momento, non si erano rivolti la parola: poco importava delle
chiamate
senza risposta di Alec, delle lacrime di entrambi, del dolore, della
prigionia
o del fatto che, per lungo tempo, erano stati l’ombra di se
stessi.
Si
completavano, ora, si erano completati per tempo, erano
uno parte dell’altro, e non c’era modo di
separarsi: il destino era stato
infido e crudele, la rottura dolorosa, ma ora non importava nulla.
Sei vivo.
Ecco
cosa echeggiava nelle loro menti, cosa sentiva la
pelle, cosa si leggeva nelle iridi di entrambi: gli occhi blu di Alec
non si
staccarono un solo attimo da lui, così come le iridi di
Magnus non smisero di
osservare il suo ragazzo. Perché mai aveva smesso di
esserlo, anche se l’aveva
detto. Lui era e sarebbe per sempre stato l’uomo della sua
via, che aveva
scelto e a cui apparteneva.
Un colpo.
Bastò
un colpo per mandare in pezzi il loro contatto:
artigli di demoni che apparvero dal nulla, conficcandosi nel costato di
Alec e
trascinandolo via, allontanandolo con un netto schiocco dalle mani di
Magnus.
-Alec!-
Inutile,
in quella baraonda di morte e sangue, di clangore
di lame e fumi tossici nessuno sentì il richiamo dello
Stregone a terra. Cercò
di rialzarsi, di trascinarsi, di andare da Alec, distante diversi metri
da lui,
riverso a terra come una bambola priva di fili.
Un colpo.
Era
bastato un colpo per riportarli alla realtà, per mandare
in pezzi la sicurezza che si era creato con quell’intreccio
di dita, con uno
sguardo ricco di amore mai spento e di preoccupazione. E mentre Magnus
cercava
di raggiungerlo, trattenendo gemiti di dolore ad ogni movimento,
tamponando
come poteva la ferita al fianco, Alec cercava di capire
cos’era successo.
Uno
sciocco, scintille bianche e poi un dolore atroce alle
costole.
Sputò
del sangue, il respiro roco e ridotto gli lasciarono
intuire che doveva avergli perforato un polmone, con quegli artigli.
Non
l’aveva visto arrivare, tanto era concentrato
sull’uomo che aveva davanti.
E ora? Dov’era Magnus?
Eccolo,
i suoi occhi lo individuarono subito: dietro di lui,
alcuni nemici si erano resi conto di quanto lo Stregone fosse
vulnerabile. Con
uno scatto innaturale e improvviso, Alec si alzò: i dardi
già incoccati
nell’arco, lo sguardo velato di concentrazione.
Per
un attimo, solo per un attimo, non esisteva il dolore.
Non
esistevano ferite o sangue, o battaglie.
Esistevano
solo i due avversari che si avvicinavano all’uomo
che amava, che gli aveva cambiato la vita, che l’aveva
accettato, senza
trasformarlo. Per Magnus, lui era Alec. Non era il Cacciatore,
così come il
fratello o il Parabatai, o l’amico e il figlio.
Alexander Gideon
Lightwood.
Le
frecce volarono e si conficcarono sui due mostri,
rendendoli inoffensivi: così, almeno, Magnus sarebbe stato
momentaneamente al
sicuro…..
No,
eccoli, ancora.
Erano
fissi su di lui, forse perché lo vedevano indifeso e
succulento: anche se si stava trascinando nella sua direzione, Alec
continuò a
scoccare dardi, uno dopo l’altro, una pioggia diretta a
chiunque osasse
toccarlo.
Devo proteggerlo.
Non
cercava espiazione per ciò che aveva fatto, non voleva
dimostrare a Magnus che di lui poteva fidarsi: non voleva essere
perdonato,
perché per quello ci sarebbe stato tempo. Non gli importava
se nuovamente
l’avesse scacciato, una volta finita quella battaglia: il
ragazzo, in quel
momento, non aveva altro in mente se non proteggerlo.
Perché dopo avrebbero parlato, quando sarebbero stati al
sicuro.
Insieme.
Sentì
un brivido, un rumore sordo e agghiacciante: la vista
si fece sfocata e, improvvisamente, Alec si trovò in
ginocchio, l’arco tra le
dita che ondeggiava. Mirò ancora, anche se non riusciva
più a vedere altro che
ombre indistinte davanti a se: l’unica cosa chiara, era
Magnus, oramai ad un
soffio da lui.
Cadde
a terra, l’arco che scivolò di mano. Il respiro si
fece corto, il sangue gorgogliava in fondo alla gola, lacrime salate
presero a
scivolare lungo le guance: le labbra si mossero in una muta sentenza.
Allungò
la mano, i muscoli distesi, le dita allo stremo
della tensione: voleva raggiungerlo e avvolgerlo, fargli da scudo. Non
sarebbe
morto così, non senza difenderlo.
Perché
l’amava, lo amava così tanto che faceva male il
solo
pensiero di andarsene senza avergli detto tutto ciò che
voleva ascoltasse.
Ah,
ecco, era proprio lì. Doveva solo afferrarlo, stringerlo
a se e sentire il suo profumo, la sua voce e il suo calore. Ancora una
volta, ancora mille volte.
Anche
Magnus allungò la mano verso di lui, le dita a pochi
centimetri da quelle del ragazzo: anche lui desiderava quel contatto,
disperato
e bruciante, come se il tempo passato senza Alec fosse stato un arido
deserto
e, ora, potesse finalmente dissetarsi. Gli 800 anni di solitudine erano
niente,
in confronto.
Le
dita tese insanguinate, la terra che tremava, l’aria
tossica e le lacrime: la consapevolezza che non ci fosse un futuro per
loro,
alla fine. La certezza che quello sarebbe stato l’ultimo
contatto.
Ti prego.
Poco,
ancora così poco. Attimo dopo attimo, qualche
millimetro si guadagnava: la vicinanza ad un soffio. Gli occhi di
entrambi si
rispecchiarono nelle iridi che avevano amato dal primo istante, da un
primo
sguardo. Bastava questo, niente parole. Superflue e inutili, ecco
cos’erano.
Si
sfiorarono, finalmente. Un tocco che formò piccole
scintille, ma che ai due non bastava ancora: Alec si spinse in avanti,
toccando
con le falangi quelle di Magnus.
Ancora, ancora.
Con
le ultime forze, cercarono di avvicinarsi ancora,
insieme: arrivano ad un soffio tra le loro labbra, gli occhi oramai
persi in un
turbine di colori e sensazioni. La battaglia non esisteva. Non
c’era nulla
attorno, il mondo era composto solo da loro due.
Poi
Alec venne trascinato via, le labbra piene di sangue non
urlarono nemmeno: gli occhi di Magnus, il suo viso, la sua figura si
allontanarono. Lo vide, mentre un ibrido lo assaliva.
E
lui sentì la schiena bruciare, mentre un demone lo
trasformava nel suo nuovo pasto.
No, aspetta, aspetta.
Io….io devo….
Io….
Io……
Io ti amo, perdonami
ti prego.
Nessuno
dei due ebbe il tempo di dirlo.
Lo Stregatto
parla.
Beh,
che dire, spero sia piaciuto. La cosa curiosa è che ho
scritto prima la seconda parte, poi mi sono detta: “Accidenti,
se non c’è una prima parte non si capisce un
cavolo.”
Così eccomi qui. Questa è la prima FF su Efp, ma
non la prima in quanto, con i Gdr
sempre sotto mano, di Fanfiction ne ho scritte un paio. Spero sia
piaciuto, non
odiatemi, la Clare sta uccidendo anche me, con le sue maledette
decisioni: era
tanto bello il finale del terzo libro…ma no, bisogna
distruggere tutto con
altri tre volumi. *sbuffa* In conclusione, passo a ringraziare (lo
faccio
subito, altrimenti me lo scordo): in primo loco,
l’ispirazione. Salta fuori nei
momenti meno opportuni, e devo stimolarla con la musica per dirle che,
finalmente, può farsi viva, ora che sono davanti ad un pc o
a della carta. Poi,
beh, il mio fratellino: è lui che mi ha fatto appassionare
alle FF su Malec, ed
è lui che, quando si fa vivo, si sorbisce i miei sfoghi.
Questo racconto è
anche per te.
In
ultimo, ma non meno importante, grazio Ombro-chan, la mia
“Sorella di Nutella”: lei mi ha mostrato il sito,
lei mi aiuta con i codici,
lei subisce le mie angherie, i miei dubbi e i miei post.
Bene, ci si vede al secondo e
ultimo capitolo.