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Autore: _TheOnlyException    04/05/2014    6 recensioni
Come si è sentito John, quando Sherlock si è suicidato?
Distrutto, morto, senza un cuore.
Perché per lui Sherlock era molto più che un amico, e ha scoperto che era ricambiato.
Ma ormai, non conta più nulla.
Genere: Angst, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non so nemmeno io perché ho deciso di scrivere questa OS; probabilmente perché ne sentivo la necessità. So che non è un granché, e so anche di non essere brava a scrivere, ma sto cercando di migliorare.
Ma, bando alle ciance, parliamo di ciò che ho scritto. In questa OS è narrata la scena del suicidio  di Sherlock dal punto di vista di John, che era all’oscuro di tutto, con tutte le sue emozioni.
E nulla, spero che vi piaccia e che apprezziate il mio impegno.
 
P.S.: il discorso che Sherlock ha fatto a John non è (ovviamente) uguale a quello che ha fatto realmente nella serie tv, e oltre a quello ci sono altri elementi che sono frutto della mia immaginazione.
 
 
 

You were my love

 
 
 
A doyouknowellie, la mia youtuber preferita,
per avermi fatto conoscere Sherlock
 
 
 
Era difficile, per John Watson, credere a tutto ciò che era successo sette giorni prima; lo sarebbe stato per qualunque essere umano dotato di un cuore funzionante.
Ma ormai, lui, non era sicuro di averlo ancora, un cuore. Probabilmente si era rotto in mille pezzi, come un bicchiere di cristallo caduto in un pavimento, quel pomeriggio, quando era accaduto tutto.
 
***
 
“John, rimani esattamente dove sei, non ti muovere!”
John non capiva, ma sentiva che c’era qualcosa che non andava, era successo qualcosa. Ma avrebbe fatto qualsiasi cosa gli avrebbe detto Sherlock.
“Va bene!”
“Tieni gli occhi su di me!”
Lo guardò, e, anche se era lontanissimo, poteva vedere nella sua faccia paura, e disperazione: Sherlock Holmes non aveva mai provato questi due sentimenti.
“Ti ho voluto bene John, ti ho voluto molto bene. Non ho mai avuto un amico, qualcuno con cui parlare sinceramente, nemmeno Mycroft. Tu sei apparso nella mia vita, e l’hai resa migliore.”
John era confuso, non era normale che il suo amico parlasse così; ma per John non era solo un amico. All’inizio pensava che la signora Hudson fosse matta a pensare che lui e Sherlock fossero una coppia gay. Però, giorno dopo giorno, in lui si era creato questo dubbio;  cominciava a provare un sentimento parecchio forte per il suo coinquilino.
Ma quello non era il momento per pensare ai sentimenti, doveva aiutarlo.
“Sherlock, cosa significa tutto questo?”
Fece qualche passo per avvicinarsi.
“NO, STAI DOVE SEI.”
Si immobilizzò in quel preciso punto.
La voce di Sherlock tremava sempre di più; non lo aveva mai sentito parlare così, con quel tono di voce.
“Ok ok, non mi muovo più. Ma per favore, spiegami cosa sta succedendo.”
“Non ho ancora molto tempo a disposizione. Devi stare tranquillo, Moriarty non sarà più un problema per nessuno; ci sono alcuni suoi uomini pericolosi in giro, ma fra poco saranno sistemati anche quelli. Ti prego, saluta Mycroft, e digli che, dopotutto, è il fratello migliore che mi sia mai potuto capitare, anche se ci sono state molte discussioni tra di noi.”
John aveva un brutto presentimento dentro di sé: Moriarty avrebbe fatto qualsiasi cosa per distruggere Sherlock. E forse era proprio così.
“Dì a Lestrade che mi mancherà, e ringrazia la signora Hudson e Molly per tutto ciò che hanno fatto per me.”
Stava piangendo. Sherlock Holmes stava piangendo.
John voleva solo correre e abbracciarlo; ma qualcosa lo immobilizzava. Forse il fatto che il suo amico gli avesse detto di stare fermo lì, faceva in modo che il suo corpo non si muovesse.
“Sherlock, qualsiasi cosa tu stia per fare, non farlo.”
“Ma la persona che mi mancherà più di tutte sarai tu, John.”
Il cuore di John smise di battere.
“Hai portato la luce nella mia vita buia, sei stato come un faro di speranza; mi hai fatto conoscere l’amicizia… e anche l’amore.”
Le lacrime scivolavano giù lungo le guance di John, come l’acqua in una cascata.
“Sherlock, vuoi dire che…”
“Si, io ti amo. Grazie per esistere John, e mi dispiace che la vita non mi permetta di provare a essere felice.”
Sherlock avanzò di un piccolo passo nel ciglio della cima del palazzo.
“Sherlock, io...”
“Addio John.”
“SHERLOCK.”
E lì non si capì più nulla.
Sherlock si lascio andare nel vuoto, cadendo da quella palazzina come un paracadutista da un monte. Ma senza paracadute.
A John scivolò il telefono dalla mano. Dentro di sé sapeva che non c’era alcuna possibilità di salvare il suo amico, o meglio, il suo amato.
Ma l’istinto lo fece correre.
E ci fu l’impatto di Sherlock col terreno.
John correva correva, sperando che ci fosse ancora un modo per salvarlo. Ma qualcosa lo fermò: si scontrò con un ciclista, e cadde a terra, rimanendo stordito per qualche secondo.
Al suo risveglio non capì più nulla: vide una folla che correva verso un punto vicino ad un altissimo palazzo, e poteva vedere una persona per terra: senza vita.
Allora si ricordò tutto.
Corse, e si fece spazio tra la folla: “sono un suo amico, sono un suo amico!” urlò.
E lo vide, davanti a sé: era cosparso di sangue, con uno sguardo assente.
Non voleva, non poteva crederci; doveva fare qualcosa, doveva esserci un modo per aiutarlo, non poteva finire così, non DOVEVA finire così.
Gli passarono davanti tutti i momenti vissuti con lui: il loro primo incontro, dove Sherlock aveva capito tutto della sua vita solo guardandolo. Il loro trasferimento al 221b di Baker Street, con tutti i suoi post it attaccati alla parete, con su scritti tutti gli indizi riguardo ad un caso. Il suo sparo al tassista assassino, a causa della paura che Sherlock assumesse le pillole. Tutti i casi risolti insieme, le persone conosciute, le risate.
Tutto questo spazzato via, in un attimo.
Arrivò l’ambulanza per portare vi Sherlock, e John continuava a piangere, anche se la gente continuava a fissarlo preoccupata.
Non voleva lasciare la sua mano, e gli rimase accanto per tutto il viaggio in ambulanza.
Ma in ospedale, l’esito fu negativo: non c’era più nulla da fare.
 
Il giorno del funerale c’erano tutti: Lestrade, la signora Hudson, Molly, Sally, ed altri poliziotti che conoscevano Sherlock.
La signora Hudson piangeva  strigendosi al braccio di John, e soffocando i singhiozzi con un fazzoletto di lino.
Lui invece non piangeva, non parlava, quasi non fiatava. Guardava davanti a sé con uno sguardo assente: sembrava quasi che il suo corpo fosse vuoto, senza anima.
E dopotutto, era così.
 
***
 
Aveva continuamente quella scena in testa, e non riusciva più a togliersela; e con quella, tutti gli altri momenti passati con Sherlock.
Sapeva che doveva guardare avanti, ma non ci riusciva: si sentiva morto dentro, e ormai non poteva fare altro che vivere con i ricordi.  Ma in realtà di quelli non sapeva cosa farsene: voleva soltanto tornare indietro, e provare a fare qualcosa per cambiare ciò che era accaduto.
 
Andava in cimitero tutti i giorni, portando sempre dei fiori da mettere nella tomba. Ormai ce n’erano di tutti i tipi: margherite, gigli, orchidee, ma soprattutto rose. Erano i suoi fiori preferiti.
Facendo così, aveva l’illusione di sentirlo ancora vicino a sé.
E in quei momenti parlava parlava, gli raccontava tutte le sue giornate, gli raccontava dei pianti delle persone a lui care, del tè che la signora Hudson continua a portargli, sempre con due tazze, per poi rendersi conto che una non serviva più.
Ma soprattutto gli diceva tutto ciò che provava per lui, le parole mai dette.
Perché era questo il più grande rimpianto di John: non aver potuto dire a Sherlock quanto la amasse.
Pensava che la sua vita non avrebbe avuto più senso, da quel momento in poi. Dopotutto, come avrebbe potuto vivere senza la persona che amava più di tutte?
 
 
Ma John Watson non sapeva che il futuro gli avrebbe dato un’altra possibilità.
 
 
 
 
   
 
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