ORCHIDEA SELVAGGIA
Il Salone
delle Feste
Capitolo 14
Arthur Gatsby si guardò intorno disegnando con minuzia il salone degli affreschi. Le recenti ristrutturazioni che aveva fatto apportare, avevano donato all’ampia sala un’immagine perfetta che ricordava i magnifici soffitti, le cappelle, i murali e le pale propriamente pennellati nelle dimore private e pubbliche dell’Italia artistica.
Lunghe
braccia di cristallo si inarcavano tra i lampadari impreziosite da gocce di
preziosi vetri di svariate forme e grandezze. Luci e colori riverberavano
ovunque e il Conte Gatsby sorrise compiaciuto di quei bagliori dagli effetti
prismatici.
La
scalinata di marmo che conduceva al piano superiore era stata tirata a lustro e
sui corrimani laterali si allungavano veli di organza e dispersi qua e là
petali di rosa profumati.
Gli
orchestrali erano già sistemati sul pianerottolo della scalinata e melodie di
violini echeggiavano ovunque presagendo ad una serata dai toni raffinati.
Entro
poco, la sala si sarebbe riempita di coppie danzanti, di colori sfavillanti che
si sarebbero rincorsi in danze e movimenti artistici.
Il
tintinnio di flutes di cristallo e
l’argento dei vassoi avrebbe lasciato la scia tra gli invitati sorridenti, i
cui volti sarebbero stati celati dalle maschere più classiche o da quelle più
estrose.
Sarebbe
stata una festa perfetta per annunciare il fidanzamento di Patricia e di
Benjamin Priceton.
-
Mi sembri teso, preoccupato!
– esclamò Lady Eleanor giungendo alle spalle del marito.
-
Perdonami cara, non ti ho
sentita giungere. -. Lei sorrise amabilmente e lui seppe che qualsiasi cosa
fosse accaduta, in lei avrebbe trovato rifugio per dubbi e incertezze.
La
rimirò nell’abito azzurro che sembrava esser stato creato per essere indossato
da lei. Nastri di velluto cobalto
ricadevano dal bustier sapientemente
stringato e dai capelli raccolti in un’elaborata acconciatura.
-
Sei bellissima. Nessuna sarà
più pregevole della mia adorata moglie. – sussurrò lievemente imbarazzato per
il complimento volto alla consorte.
-
Arthur, sei sempre molto
delicato nonostante il tuo aspetto possa trarre in inganno. – rispose cercando
di allentare la tensione del momento.
-
E’ tutto pronto. Tra pochi
istanti cominceranno ad alternarsi le carrozze e le porte si apriranno agli
invitati più in vista della corte. –
-
Già. Sembra di essere in uno
dei saloni reali. E’ tutto meraviglioso. – esclamò guardandosi intorno ed
osservando con minuzia le composizioni floreali e le ghirlande a festone tra
gli archi delle navate laterali, le statue marmoree che sembravano intinte
nell’avorio più puro, le luci soffuse alternate a quelle ben più abbaglianti,
le candele profumate sospese in ampolle di cristallo, i tappeti e la musica.
L’atmosfera era magica e degna dei ricevimenti più belli e sofisticati mai
organizzati prima di allora.
-
Mi chiedo, Eleanor, se stiamo
facendo la cosa giusta. –
-
Caro, il Signore soltanto può
giudicare. Tutto ha una ragione per esistere e se stiamo compiendo questo
passo, per il bene di nostra figlia, lo stiamo facendo nella coscienza che sia
per garantirle un futuro dignitoso. Se il destino avrà qualcosa in contrario,
ne avremo segnali certi e potremo porvi rimedio. –
-
La tua saggezza mi
impressiona come sempre. Se non avessi te…- sospirò prendendole una mano e
baciandola lievemente. Lei gli sorrise ancora e a lui parve che le labbra gli
avessero sfiorato il cuore.
-
Andiamo adesso. I nostri
figli hanno bisogno di noi. – gli disse intrecciando le dita a quelle del
marito e salendo su per la scalinata che conduceva al piano superiore.
-
Il giovane Priceton non
smentisce la sua fama. E’ in ritardo anche oggi, in un’occasione che lo
dovrebbe vedere finalmente nel ruolo che gli
è consono e in un comportamento non libertino e scellerato.-
-
Sono giovani e intemperanti.
– rispose Eleanor sorridente.
-
Ho una strana sensazione
Eleanor. Spero sinceramente che la leggerezza di Benjamin non comporti guai
seri. -
-
Qualsiasi cosa accada, vedrai
caro, che si sistemerà. Qualsiasi fiume, anche quello in piena e più selvaggio,
alla fine trova il letto in cui adagiarsi e divenire cheto. –
-
Lo spero vivamente. Forse è
meglio che chieda notizie a Lord Priceton, visto che almeno lui è già
arrivato.- ribatté poi.
Che
Villa Gatsby fosse una delle dimore inglesi più belle, era dato certo. Per gli
aristocratici del Regno, non poteva che essere fonte d’entusiasmo e piacere
prender parte ad un ricevimento organizzato in tale sontuoso edificio. Dai
viali antistanti, si scorgevano le luminarie che rifulgevano sui cristalli
delle imponenti vetrate come stelle incastonate nel cobalto più denso della
volta.
L’effetto
era strabiliante e nel loro lento incedere verso la sala, gli invitati parevano
inebriarsi dai profumi delle candele che disperdevano gli aromi esotici e dalle
fragranze dei fiori. Festoni floreali si alternavano a nastri d’organza e seta
tra i vari archi, richiamando le tinte che risalivano lungo i corrimani.
File di
tavolini dai tovagliati in broccato si allungavano tra le navate con le loro
balze soffici che ricordavano gli abiti delle cortigiane che in pochi istanti
avrebbero danzato tra cotale sfarzo.
Il
mormorio dei primi invitati si udiva dall’ingresso del salone, laddove due
maggiordomi in livrea attendevano i nobili per accoglierli e raccogliere i
mantelli e i cappelli.
Le
imponenti porte del salone erano spalancate e un cerimoniere ingaggiato
appositamente per la ricorrenza, iniziò, poco alla volta, a nominare con tono
altisonante, le coppie di invitati che porgevano l’invito.
Arthur
ed Eleanor erano al centro del salone, in attesa dei loro ospiti, con fremito e
preoccupazione.
Accanto
a loro, il figlio Julian in un abito amaranto che ne risaltava i lineamenti
delicati.
Le
giovani dame in cerca di marito anelavano ad un partito come Julian Gatsby, ma
il cuore di costui era già promesso alla bella Amily Sullivan, la cui madre,
diversamente, ambiva ad un matrimonio con Oliver Huttinton.
Julian
sussultò quando i Sullivan fecero il loro ingresso e intravide la sagoma
delicata di Amily.
Eleanor
guardò il figlio con la coda dell’occhio e vide nuovamente, la stessa
espressione innamorata che aveva scorto in precedenza.
Sorrise
compiaciuta al sentimento che evidentemente legava i due giovani e in cuor suo
sperò che almeno per il figlio, il matrimonio non dovesse essere di pura
convenienza.
Amily
incedette a pochi passi dai genitori, balzando nel suo abito verde dai riflessi
dorati e che metteva straordinariamente in risalto la carnagione serica e il
ramato della chioma.
I
Sullivan salutarono i Conti Gatsby e poco dopo, Julian si inchinò a baciare la
mano a Lady Muriel e della giovane Amily.
Quando
sollevò e sfiorò la sua mano, coperta da un guanto profumato, Julian si sentì
mancare il fiato e il verbo. Alzò lo sguardo leggermente per incrociare quello
timido dell’amata scorgendo in lei, il barlume del sentimento che nutrivano
vicendevolmente.
-
E’ un piacere per me avervi
ospiti nella nostra dimora. Lord Sullivan, permettete che chieda a vostra
figlia di concedermi l’onore del primo ballo? – chiese Julian ergendosi nella
sua figura dai perfetti tratti mascolini.
-
Sarà un onore. – rispose
sorridente e guardando la figlia, il cui bon ton imponeva di non contraddire la
figura paterna.
Julian
sorrise all’accettazione della richiesta e Amily rispose con un lieve cenno del
capo, allontanandosi con i genitori verso il tavolo a loro riservato.
Il
cuore di Julian palpitava così forte che temette potessero sentirlo tutti gli
invitati sebbene l’aulica melodia ad inneggiare nel salone.
Le
delicate e affusolate dita delle arpiste parevano scandire i nomi degli
invitati unitamente alla voce del cerimoniere.
Le
contessine Gatsby furono annunciate e Julian si apprestò a raggiungerle a metà
scalinata per accompagnarle al centro del salone.
Gli
invitati presenti, sollecitati dalla voce del cerimoniere, volsero lo sguardo
verso il fondo della sala laddove i gradini si elevavano fino al piano
superiore.
Lentamente,
in perfetta sintonia, Jennifer e Patricia scendevano a passo cadenzato, i
gradini che le dividevano dalla festa.
Tutti
gli occhi erano puntati su di loro ed entrambe avvertirono un forte imbarazzo.
Con un
sorriso di complicità e di affetto fraterno, Julian le raggiunse e le guardò
estasiate.
-
Siete bellissime, dei fiori
di inestimabile splendore. – disse loro con volto ridente.
-
Ho paura Julian! – esclamò
Jennifer.
-
Jenny, devi esser tranquilla.
Andrà tutto bene, vedrai! – ribatté il fratello prendendola sottobraccio.
-
Il mio promesso sposo non è
arrivato? – chiese Patricia sarcastica e con tono tediato. Julian avvertì lo
stato d’animo convulso e piccato della sorella minore e le tese il braccio come
aveva fatto pochi istanti prima per Jennifer.
-
Non ancora Patricia. Non
averne a male con i nostri genitori. Anche se non condividiamo le loro scelte,
sono certo che lo stanno facendo unicamente per il bene della famiglia e di
ciascuno di noi. –
-
Meno che per il mio. Sposare
un prodigo arrogante, vanitoso e tracotante, non lo definirei proprio un bene
per la mia persona. – rispose fingendo un sorriso di convenienza da mostrare
agli ospiti.
-
Ne riparliamo in un altro
momento. Non adesso. – la ammonì Julian cercando di non incalzare lo stato
disanimato della sorella.
Arthur
ed Eleanor osservarono le figlie che come due gemme preziose, avrebbero
brillato di luce intensa tra tutti.
Il
color malva dell’abito di Jennifer parve quasi impalpabile tra gli sfavillii
della sala e le impunture, i bordi e i nastri bordeaux parevano adagiati
sofficemente quasi come su una nuvola. Un’ametista dal perfetto taglio
quadrato, riluceva preziosissima su un nastro di velluto bordeaux a cingerle l’esile
collo. Due pietre gemelle pendevano dai lobi a rilucere tra i capelli scuri
raccolti in una elaborata acconciatura.
Patricia
sembrava altera e intoccabile in un abito di seta color champagne, impreziosito
da merletti amaranti e fili d’oro. Tra i capelli bruni, un’orchidea dai toni
crema screziata di porpora e maculata di oro.
Gli
invitati rimiravano estasiati le giovani contesse, elegantissime nel lento ed
aristocratico incedere, ma sapevano tutti, che Patricia era promessa in moglie
e che per Jennifer era stata avanzata una proposta di matrimonio.
Ma
nonostante gli impegni per ambedue, ciascuno dei giovani scapoli presenti in
sala, non poté non dissentire dalla sorte che non aveva fatto incrociare loro
il cammino con una delle sorelle Gatsby.
Entrambe
indossarono le mascherine di velluto e seta coordinate con gli abiti, idonee a
celare gli sguardi e a volgerne altri chissà dove.
Patricia
voltò i suoi occhi ovunque alla ricerca dell’avvenente Oliver Huttinton e del
baldanzoso cugino.
Il
Conte Gatsby guardò il direttore d’orchestra che comprese di poter dare inizio
alle musiche che avrebbero aperto le danze.
Anche
senza Benjamin Priceton e Oliver Huttinton, il ricevimento avrebbe avuto
inizio. Il salone era gremito e non potevano attendere oltre lasciando i
commensali alla noia e ad un mormorio fatto di pettegolezzi.
Un
fremito la percorse e uno stato d’ansia improvvisamente si impossessò di
lei.
Avvolto
in un completo bianco dagli orli d’argento, un cappello a tesa ampia ed una
larga maschera argentata a celarne il volto, Benjamin Priceton fece il suo
ingresso destando la curiosità dei tanti presenti.
Patricia
lo guardò gelida da dietro la sua maschera, quasi a cercare di contenere il
moto di rabbia che stava nascendo dentro lei.
La sua
insolenza era tale ed evidente, che avrebbe voluto andargli incontro e
schiaffeggiarlo anche solo per rimproverargli il ritardo nel giorno in cui
sarebbe stato annunciato il loro fidanzamento. La sua tracotanza sembrava
sposarsi perfettamente con irriverenza.
Senza
esitare oltre, Benjamin incedette nel corridoio lasciato libero dagli invitati,
proseguendo a passo scandito verso Patricia.
-
Patricia, siete il più bel
fiore nascosto dietro il manto di una cascata fresca, e vorrei potervi porre al
riparo delle brutture di questo mondo, lì, nella caverna che si cela dietro la
caduta d’acqua!. – le disse chinandosi a baciare la mano alla futura moglie.
Patricia
ascoltò quelle parole attonita ringraziando di avere la maschera a celarle il
volto.
Il
cuore le palpitava così forte in petto che temette, per un attimo, che qualcuno
potesse scorgerlo dall’ampia scollatura dell’abito.
Per un
istante avvertì un fremito percorrerla tutta e le gambe quasi venirle meno.
Lei che
aveva da sempre sognato di vivere come un’eroina dei romanzi d’amore, adesso
era oggetto di una frase tanto galante quanto dichiaratamente d’amore.
Il
verbo le mancava.
Cosa
avrebbe potuto rispondere a quella voce così suadente e che le era entrata nel
cuore come un dardo infiammato?
La
voce, così melodica, così dolce, così nota a lei.