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Autore: S_EntreLesLines    05/05/2014    5 recensioni
Più rapido della velocità della luce, come un giro sulle montagne russe...come un flash, come una saetta. Tutto cambia gusto, quando evadi dalla routine...quando attorno a te ci sono solo giostre, luci, voci e ti senti vivo dentro...oltre ciò che sei.
«Non sei uno sconosciuto» rispose.
Un tremito di disappunto gli percorse le braccia. «Ah no?».
«No, sei una variazione di qualcosa che conosco».
Se avesse detto che erano simili sarebbe stata una risposta azzardata, che non amava ricevere perché la gente spesso e volentieri crede di conoscerti e usa formule scontate per definirti. Per etichettarti. Per avvicinarti a sé. Lei aveva usato una variazione, in un certo senso. Era una definizione…colorata. E che stava a pennello a lei, perché lei era una variazione. Adesso aveva trovato il modo adatto a definirla.
«E tu, chi sei?» le chiese.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Ciao ragazze!!!
Eccomi con il secondo capitolo, vi ringrazio per la voglia di leggere il primo e 
di lasciare un commento e di aggiungere la storia...so che non è 
di grande impatto, non è una di quelle storie che ti insaccano le ovaie come un salame...
...è un po' diversa. 
Diversa perchè...: l'ambientazione, l'arco spazio temporale, i personaggi...insomma volevo una parentesi
lontana da tutto. E che riflettesse i colori. Perchè Jared è colore, a mio avviso...e volevo coglierne una sfumatura almeno. 
Ecco, apparte ciò...ho iniziato l'epilogo e conto di finirlo in settimana, se la dea dell'ispirazione mi vuole bene. Comunque, conto di aggiornare ogni 5 gg, weekend permettendo (in quel caso anticipo di un giorno o ritardo di uno). Credo che la storia in sè, come ogni storia, abbia un ritmo e penso i 5 giorni siano il suo...poi ditemi voi. Nel senso...se la trovate un buon sostituto dell'activia, posso anche venirvi incontro...ahahahah
ok, vi lascio...un bacione e grazie ancora tesssssore <3

ste

 



      



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Svegliarsi la mattina successiva era stato come riemergere da un viaggio ancestrale, da un qualcosa di cui hai un vago ricordo ma che non riesci a definire. Sai che è accaduto, ma ti sembra faccia parte di una vita parallela. Di una vita precedente. Di un te di un’altra dimensione.

Si leccò distrattamente le labbra, cogliendo una nota fruttata. Non era stato un sogno. Charlotte era reale. Ed era bellissima. Una variazione a qualcosa che anche lui conosceva, forse una variazione di se stesso…quei colori che portava con sé, che irradiava con naturale compostezza, quel senso di ribellione e di creatività che le aleggiava intorno, la dolcezza aspra del suo profumo: ne era attratto, sopraffatto, affascinato. Lei era l’opposto di ogni cosa avesse incontrato: non riusciva a contestualizzarla, perché nemmeno in quell’ambiente aveva un senso. Era una creatura a sé stante, un disegno unico e lontano da ogni sua più fervida fantasia. L’aveva risvegliato da un sonno paradossale e intriso di convinzioni amplificate dal ritmo frenetico della sua vita: era bastata una scia di luce fluo a scuoterlo. Era bastato quel parco a farlo sentire un uomo ordinario, una persona normale, alla ricerca della più autentica felicità. Tutto portava a quello, in fondo: ogni scarpinata per raggiungere la perfezione in ambito artistico e professionale era mossa dalla ricerca della felicità. Una canzone perfetta, armonica, era felicità. Un personaggio interpretato con minuziosa immedesimazione era felicità. E adesso, tutto ciò era completato alla vista di quella ragazza fuori dagli schemi, la dolcezza portata allo stremo e un punto interrogativo di dimensioni epiche: racchiudeva in sé elementi talmente contrastanti tra loro da renderla armoniosa. Equilibrata. Perfetta. Perfetta per lui che non ricercava nulla, se non staccare la spina. Adrenalina. Relax. Lei era una scossa, un’iniezione di adrenalina sintetica che gli aveva aperto una spirale di percezioni cui finora non era riuscito a dare un nome. Si era sentito diverso, e voleva sentirsi diverso…ancora. Aveva bisogno di averla di fronte…ancora.

Seduto al tavolo del ristorante, osservava il riflesso della sala sulle lenti degli occhiali da sole di Shannon che centellinava la sua dose equestre di caffè. Solo l’odore lo stendeva, non sapeva come facesse a non farsi venire un attacco epilettico ad ogni sorso.

«Ho dato un’occhiata alla cartina, oggi ci concentriamo sulla zona fantasy…ci sono dei roller coaster fotonici…ho bisogno di sfogarmi» lo informò, tamburellando le dita sul tavolo. Gli mancava la batteria. O era l’effetto del caffè. Anzi, no…adesso capiva. Adesso che lo vedeva lontano dal proprio elemento riusciva a fare chiarezza. Era il caffè la causa di tutto: Shannon si faceva di caffeina per riuscire a suonare come un folle animale da monta. Questo era. Sì, era un genio…meditava di sovraccaricare il thermos che si scolava prima dei concerti…solo che poi avrebbe finito per inneggiare a una gang bang e a ingravidare l’intero pubblico femminile. Anche se, tutto sommato, avrebbe potuto intavolare un business e utilizzarlo come escort di lusso…suo fratello era una miniera d’oro: doveva solo trovare la formula esatta per smerciarlo. «Perché mi fissi come se stessi facendo fantasie su di me?» borbottò, cogliendolo sul fatto.
Jared non si scompose. «Stavo elaborando strategie di marketing».
«Bah…Hai finito? Possiamo andare?».
«Un attimo, devo finire il mio the». Aveva spostato lo sguardo verso le porte della cucina, cercando di intravedere una figura familiare, e non aveva intenzione di schiodarsi dal tavolo tanto presto. Doveva capire se Charlotte stesse lavorando, visto che a pranzo non avrebbero fatto rientro al resort e a cena non era certo di vederla…perché nel caso in cui avesse lavorato a colazione e a pranzo, sicuramente non l’avrebbe fatto a cena. Aveva fatto i propri calcoli e doveva trovare assolutamente il modo di vederla. Quel giorno. Immediatamente sarebbe stato anche meglio. In caso contrario avrebbe sfoderato il proprio fascino e corrotto qualche sua collega, magari utilizzando Shannon come merce di scambio. Geniale. Se fosse stata figa, lui non si sarebbe tirato indietro.
«Andava tutto bene, signori? Posso portarvi qualcos’altro?». La sua voce. A destra.
«Tutto benissimo, grazie». Questa volta rispose per primo, incatenando i suoi occhi tra i suoi capelli raccolti ordinatamente ed accarezzando le labbra rosa, della stessa tonalità, cercando di assorbirne il sapore.
«Posso portarvi qualcos’altro?» aggiunse, spostando lo sguardo da un fratello all’altro, come se niente fosse. Nessun trapelare di un qualche ricordo, professionalità alle stelle: una cosa che fece ancora più piacere a Jared. Ogni suo gesto era come un colpo di spugna su tutto ciò che aveva lasciato di sé fino a quel momento. Era un circolo vizioso senza senso.
«No, grazie» rispose Shannon, sorridendole.
Charlotte sparì dietro alle porte della cucina, lasciando una scia di luce fuxia che si smaterializzava nell’aria insieme al proprio profumo…cupcakes al ribes.
 
«Devo andare in bagno» lo informò Shannon.
«Ancoraaa? La vecchiaia avanza…e l’ipertrofismo prostatico pure, attento bro…comincerai a fare cilecca tra un po’» lo prese in giro, scoppiando a ridere mentre questo lo mandava senza mezzi termini a fare in culo, ricordandogli che il the verde era un diuretico naturale. E poi dicevano che la Divah era lui, eh?
Si sedette ad aspettarlo seduto su un muretto poco distante, per una volta dispiaciuto di aver recluso il cellulare dentro il cassetto del comodino…era strano non avere l’alibi del telefono mentre si aspettava qualcuno. Eppure era una cosa che avrebbe dovuto fare più spesso. Decise di fissare le scarpe della gente, giusto per non passare per maniaco nell’osservarne le facce. A dire il vero avrebbe preferito guardare i tagli di capelli o i vestiti, giusto per cogliere qualche ispirazione street che non faceva mai male. Scarpe da skate, Converse, mocassini, banalissime scarpe da ginnastica, sandali improponibili, Vans, ancora Converse, Doc Marteens bianchi, Timberland…sollevò lo sguardo da terra, cercando tra la folla…rosa, rosa, rosa…avanti, dove sei? Eccola! Scese al volo dal muretto, accelerando il passo e raggiungendola. Le prese la mano, attirandola verso di sé e dirigendosi verso un vialetto laterale ombreggiato e deserto. Quando furono soli si accorse che  continuava a stringerle la mano, senza che lei opponesse resistenza. La guardò da dietro gli occhiali da sole. I capelli erano raccolti ma spettinati, indossava dei jeans e una maglietta bianca: semplice…eppure perfetta.

«Ciao» le disse, come un bambino imbarazzato.
«Ciao» rispose lei, sorridendogli.
Si diede una scrollata immaginaria, tornando in sé. «Devo farti i miei complimenti: sei molto professionale quando sei al lavoro».
Charlotte rise, tirando indietro la testa e una nuvola di profumo lo avvolse, stordendolo. «È una dote naturale».
«Davvero? E ne hai altre o…».
«Tu sei curioso, o sbaglio?» lo punzecchiò. Intanto le loro dita erano ancora intrecciate.
Jared sollevò un sopracciglio. «Sì, decisamente…e vendicativo».
«Addirittura? Quindi con questa informazione cosa dovrei farmene?».
«Ponderare le tue mosse…». Le cinse la vita, avvicinandola a sé e sfiorandole il naso con il suo. Vide le sue labbra curvarsi in un sorriso, le guance farsi più colorite ed invitanti. Poggiò le labbra sulle sue, rivivendo la sera precedente. Era ancora buona. Addirittura più di prima, sapeva di menta. Le dischiuse le labbra, accarezzandole con la punta della lingua, e fu invaso da una sensazione estenuante nel sentirla rispondere al bacio. Menta. Fresca, pungente. Chi sei, Charlotte? Le accarezzava la schiena, sentendone la pelle tendersi ad ogni contatto con le sue dita, giocherellando con qualche ciocca di capelli che scivolava sulle spalle, assorbendo il suo tocco sui lobi delle orecchie. Gli stava mordicchiando il labbro inferiore, sorrideva. Chissà che effetto facevano due sconosciuti intenti a baciarsi, uno con i capelli color Puffo e l’altra color Big Babol…probabilmente non li avrebbe notati nessuno, lì. Chi sei, Charlotte?
«Jared!». Sobbalzò, udendo la voce di Shannon poco distante. Charlotte colse quel sottile distacco, stampandogli un lieve bacio sulle labbra ed allontanandosi, sorridendo, nella direzione opposta alla voce di Shannon. «Sei qui…avvertimi, stavo per darti per disperso…».
«C’era ombra e meno calca di gente» spiegò, sorridendo. Charlotte era sparita anche questa volta, ma se non altro gli aveva lasciato qualcosa a testimonianza che non era stato un sogno: la sua chewngum. Oltre che inequivocabili rigonfiamenti nei pantaloni.

Da quel momento non aveva fatto altro che guardarsi intorno, cercando di cogliere ogni guizzo di colore che fluttuasse nell’aria e scambiandolo con lei: dall’alto di ogni attrazione aveva aguzzato la vista, cercandola tra la folla e chiedendosi dove fosse e cosa stesse facendo. Chi fosse. Non sapeva nulla di lei: età, cognome, provenienza, gusti, passioni. Niente. Per quanto ne sapeva, poteva addirittura chiamarsi in un altro modo. Ogni nuvola di zucchero filato aveva scosso la sua memoria e i suoi sensi, anche se l’odore stantio che riempiva l’aria non era lo stesso. Perché non sapeva di lei. Aveva cercato addirittura il suo profumo, quando la vista non era stata abbastanza, come un segugio alla disperata ricerca della propria preda…o del proprio premio. Due baci rubati non erano abbastanza, non avevano fatto altro che accrescere la sua sete e la sua fame. La fame di conoscenza, perché adesso doveva sapere e doveva capire chi si celasse dietro a quei colori: chi fosse proprietaria di quell’identità tanto armoniosa ed allettante…un arcobaleno che sembrava muoversi attorno a lui, lontano da lui, che gli correva appresso alla ricerca della fine…dove avrebbe trovato il tesoro: il tempo. Tempo di stare con lei, affinando la propria tecnica di cogliere ogni dettaglio per riuscire a dare forma alla tela bianca e scarna di particolari solo abbozzati.

Rientrato in hotel prima di cena, aveva fatto una doccia: l’acqua tiepida schiariva le idee e scioglieva i muscoli indolenziti dalla tensione e dalla voglia di scattare in avanti rincorrendo le macchie di colore in cui già si stava dissolvendo il riflesso di Charlotte. Sentiva il sangue ribollirgli nelle vene, tanto irrazionale ed urgente era la voglia di trovarla e scavare dentro i suoi occhi. C’era qualcosa di più, oltre alla sua fiabesca bellezza, a richiamarlo a lei. Era la stessa cosa che la portava a lui. Una variazione cui non sapeva dare definizione, sapeva soltanto che avrebbe seguito la sua scia senza porsi domande. Avrebbe avuto le risposte senza cercarle.

 
 
 
 




La sala del ristorante sembrava vuota senza di lei, che quella sera non voleva saperne di sbucare dalla porta della cucina irradiando di colore e luce la grande stanza: a metà cena si era arreso e aveva smesso di guardarsi intorno, concentrandosi pienamente su Shannon che reclamava attenzioni. Voleva andare a vedere a tutti i costi lo spettacolo di pattinaggio sul ghiaccio, allestito nel teatro del parco. Non aveva senso rinchiudersi in camera per tutta la sera, sprecando tempo prezioso nella speranza che Charlotte bussasse alla sua porta…anche perché aveva la netta sensazione che non fosse una mossa degna di lei. Anzi, ne era certo. Così aveva seguito Shannon che, cartina alla mano, l’aveva guidato fino al…tendone da circo.
Jared rimase stupito dalla vastità dell’arena: gelida, liscia e cristallina…come aveva fatto a non accorgersi della sua presenza la sera prima? Probabilmente perché era buio e, perché, forse, Charlotte l’aveva trascinato per qualche cunicolo di servizio. Si sedettero nei primi posti liberi che trovarono, e attesero l’inizio dando un’occhiata al programma: lo spettacolo si svolgeva sulle musiche della Lakmé. La serata si prospettava interessante: arte, spettacolo, musica…in fondo andava bene anche così.
Una decina di minuti più tardi le luci si spensero tranne che sulla pista, lasciando spazio ai pattinatori. E alle pattinatrici che ricevevano numerose occhiate d’apprezzamento, nonché complimenti di estrema finezza, da parte di Shannon, concentrato come non mai: non l’aveva visto tanto assorto nemmeno quando in piena fase creativa si sfogava sulla sua Christine, la cosa era sicuramente interessante e da aggiungere alla lista di informazioni per sfruttare le sue doti animalesche. Nel frattempo non poteva negare di essere partecipe empaticamente allo show, i costumi svolazzanti lasciavano poco spazio all’immaginazione ed era sempre più soddisfatto di aver accettato la proposta del fratello…anche se, ovviamente, la propria compostezza e glacialità non lasciavano trapelare nulla di ciò che stava prendendo forma e vita nella sua mente perversa e sotto alla cintura. E poi dicevano che il freddo fosse controproducente. Evidentemente non avevano ancora conosciuto i fratelli Leto…ebbe la conferma delle proprie teorie osservando Shannon accavallare le gambe e cambiare posizione ogni trenta secondi.
A fine spettacolo, calò il buio sull’intera pista. Il pubblico rimase in silenzio, in attesa…un tintinnio di cristalli, quasi metallico, riempiva l’aria dando l’impressione di essere dentro ad una grotta…fino a quando a questi si aggiunsero dei tamburi, un suono sordo e lontano. Alla musica, gradualmente, si era unito un violino…ma il suono non era soave e isterico come al solito, no…no, era un violino elettrico. Trasparente, quasi fosse di cristallo, si illuminava ad ogni tocco dell’archetto sulle corde. Sollevò un sopracciglio, voltandosi verso Shannon che era piegato in avanti con i gomiti appoggiati alle ginocchia e il mento alle mani. Ricambiò il suo sguardo, sorpreso ed ammaliato da quell’inaspettata sorpresa, e tornarono a rivolgere la propria attenzione alla pista. Con l’incalzante crescendo della musica un cono di luce illuminò il punto della pista in cui prima si scorgeva solo la luce ritmata del violino, nel momento esatto in cui il Duetto dei fiori riempiva soavemente l’intero tendone. Era da brividi. Sbatté più volte le palpebre per mettere a fuoco la figura femminile e sinuosa, artefice di quel suono stridulo e audace, vestita di tulle che proiettava i riflessi del violino sul ghiaccio, mentre la coppia di pattinatori scivolava come un nastro di raso nel passo a due. Più osservava, rapito, la violinista, più la vista si confondeva: troppo buio e troppa luce nello stesso istante, tanto da non riuscire a distinguere alcun dettaglio. Eppure, eppure...i boccoli raccolti disordinatamente, mossi dallo sfrecciare dei pattinatori, erano…erano i suoi. Era lei. Era impossibile, eppure…era lei. Mosse impercettibilmente il busto in avanti, dimenticandosi della presenza di centinaia di persone: da quell’istante esisteva solo lei. Era…perfetta. Perfetta con quell’abito chiaro, stretta in un bustino tempestato di cristalli che faceva risplendere la pelle diafana e luminosa. Era perfetta in quella gonna soffice e vaporosa, che ondeggiava al ritmo dei suoi movimenti. Era perfetta la linea del viso, appoggiata sulla clavicola sinistra. E i capelli di quel colore che adesso era ancora più perfetto, morbidi e delicati le accarezzavano il collo. Era eterea. Adesso capiva…capiva cosa fosse a portarlo da lei ogni volta: la musica. La passione. L’arte. Il colore. La percezione. Era tutto questo insieme a renderli entrambi due variazioni diverse dello stesso tema. Le risposte le aveva davanti agli occhi, nei suoi movimenti: le dita che saltavano rapide da una corda all’altra, l’archetto mosso con sapienza, i muscoli delle braccia tesi, le gambe che si flettevano leggermente accompagnando il busto in movimenti fluidi…sulla scia della musica. Quella era Charlotte. Quel ruolo le si addiceva. Eppure, restava ancora un mistero…come quel violino che scintillava magicamente, un attimo prima l’avevi di fronte e l’attimo dopo era svanita.

Lo scroscio di applausi lo investì come un turbine di foglie spazzate dal vento, rompendo l’incantesimo creato da Charlotte. Era rimasto incantato senza accorgersi che la musica fosse finita.
«Vado a cercare il bagno…tu incamminati, ci vediamo in hotel» annunciò a Shannon, alzandosi di scatto dalla poltroncina e guardandosi attorno in cerca della via più facilmente percorribile per raggiungere il livello dell’arena.
«Ti aspetto, non c’è problema…e poi, tanto per dire, eh…non ce la fai a tenerla fino al resort? E sarei io quello sparato verso l’imminente cilecca?» gli diede una pacca sulla spalla, alzando un sopracciglio con fare eloquente. Jared rispose con una risata.
«Vai, vai…che tanto ti raggiungo, con le gambette corte che ti ritrovi…». Schivò un pugno del fratello, schizzando via verso la scala laterale.
Saettava con lo sguardo cercando un varco tra la gente per raggiungere le quinte del teatro, pronto a sfoderare il suo sorriso migliore per eludere eventuali sbarramenti…nel caso si sarebbe prostituito con qualche foto e un autografo…anche se avrebbe rallentato la sua folle e controllata corsa verso il proprio obiettivo. Complice la confusione dello sciamare del fiume di gente, si infilò dentro ad una porta senza alcun cartello affisso, sapendo per esperienza che l’avrebbe condotto nei meandri dello show: un corridoio stretto, saturo di aria viziata e persone ammassate che andavano avanti e indietro mezze svestite, entusiaste e stravolte. Ad ogni porta aperta scrutava ansioso, in cerca di lei. Ne captò il profumo ben prima di incappare nell’alone di luce che la attorniava. Lei. Bella come un batuffolo di neve, come una nuvola di zucchero filato, in piedi davanti allo specchio, intenta a sciogliere i capelli. La schiena nuda, costretta nell’abito vaporoso ed allo stesso tempo austero: incrociò il suo sguardo nel loro riflesso, mettendo piede nello stanzino e chiudendosi la porta alle spalle. Forse per la prima volta da molto, molto tempo, non sapeva che fare. Istintivamente avrebbe voluto restare così, fermo immobile ad osservarla nei propri movimenti: delicati, spontanei, sciolti, leggeri. Ogni suo gesto lasciava una scia, che si dissolveva a rallentatore quasi fossero filamenti di tungsteno dai colori più disparati.
Charlotte piegò le labbra in un sorriso dolce, liberando definitivamente i capelli dalle forcine. Rimase di spalle, continuando a sorridere.

«Sentivo che nascondessi qualcosa» le disse, appoggiando le spalle alla porta.
Lei accentuò il sorriso, mettendo in mostra i denti bianchi che risalvano le labbra perfettamente accarezzate dal rossetto rosa chiaro. «E tu, Jared…cosa nascondi?» gli chiese lasciando trapelare una lieve inflessione della voce, troppo morbida, nel pronunciare il suo nome.
«Nulla, sono solo una variazione di qualcosa che conosci».
Inaspettatamente, Charlotte abbassò lo sguardo ed allungò le mani verso il violino riposto nel ripiano sotto allo specchio. Lo appoggiò alla spalla, poggiandovi il mento, e strofinò l’archetto sulle corde. Uno stridio gracchiò nella stanza, freddo e modulato fino a diventare velluto. Sorrise di nuovo, scorgendo l’espressione di Jared. Uno sguardo che conosceva, che parlava da sé: erano gli occhi di chi conosceva il calore della musica. Parlavano la stessa lingua.
«Tu sai di musica» asserì, riponendo il violino.
«Dici?».
«Sì, profumi dell’aria che esce dalle casse degli amplificatori».
Jared sentì un brivido percorrergli la schiena in tutta la sua lunghezza, irradiandosi dalla nuca alle spalle: nessuno gli aveva mai parlato così, in modo tanto intenso e incomprensibile ad orecchie profane. «Tu sai di lampone».
Charlotte si girò, guardandolo direttamente negli occhi. «Lampone».
«Sì».
Arricciò il naso, soppesando quella considerazione. «Mi piace».



 
      ∞


 
 
La storia comincia a rivelarsi...piano piano. 
Sfuma in varie tonalità...e in tutto ciò non ho potuto evitare di rendere Charlotte artista...in un modo o nell'altro. 
La volevo affine a Jared, ma anche diversa da tutto ciò cui ci si può aspettare...quindi l'idea del violino elettrico...strumento che mi affascina non poco, associata al ghiaccio e al Duetto dei fiori, di cui vi ho messo il link, nella versione tramite cui l'ho conosciuto anni fa quando mi guardavo The L Word, prima che andasse nel ridicolo. 
Ci vediamo qui venerdì, vi mando un bacione e vi auguro una buona settimana...GRATZIA ragazze <3
ste
 
   
 
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