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Autore: Artemide12    05/05/2014    7 recensioni
"La prima cosa di lei che li colpì furono gli occhi. Erano di un incantevole azzurro cielo e potevano appartenere ad uno solo di loro.
Poi, in cerca di altri indizi rivelatori, notarono i capelli. Lunghi e fluenti, erano di un nero vivo e brillante e allo stesso tempo di una delicatezza particolare e potevano appartenere ad uno solo di loro.
Ultimo, ma non ultimo, c'era la pelle. Nonostante la villa si trovasse sulla costa e il sole estivo illuminasse l'intera zona, era di un colore latteo e immacolato e, così come quel sorriso beffardo, poteva appartenere ad uno solo di loro."

-§-
Dopo la scomparsa della madre, Luna Momoyma, 17 anni, si trova costretta a dover rintracciare il padre che non ha mai conosciuto.
La madre, però, non le ha lasciato un nome, bensì 3 e starà a lei scoprire chi tra Mark, Ryan e Ghish è l'uomo che cerca e a cui deve dare la lettera che la madre le ha affidato.
Genere: Commedia, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Kisshu Ikisatashi/Ghish, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La figlia

parte decima

 

Pam sentì un tonfo al cuore.

E poi un altro e un altro ancora.

Il dolore al petto era spaventosamente reale.

Le gambe non la sorressero più e lasciò che la sua schiena scivolasse lungo la porta fino a ritrovarsi a terra.

Le mancò la forza di rialzare lo sguardo.

Era maledettamente ingiusto!

Perché? Perché Kyla aveva dovuto scoprirli proprio quella volta? Proprio quando era stata sicura e che tra lei e Ryan non ci sarebbe mai stato nient'altro. Perché?

E perché lei si era lasciata andare in quel modo? Come aveva potuto? Come aveva potuto essere così sciocca e superficiale e …

«Pam...» Kyle si era alzato.

Un singhiozzo la fece sussultare.

«Hai sentito tutto vero?» disse con voce strozzata.

Kyle si fermò a qualche passo da lei.

«Sì.» confermò.

Pam singhiozzò di nuovo mentre assorbiva un'altra fitta al petto.

Perché? Perché doveva finire così? Proprio ora che si stava rendendo conto di quanto amasse Kyle.

Ma tentare di giustificarsi sarebbe stato del tutto inutile, quasi infantile, lo sapeva. Non c'era nulla che potesse dire.

Si impose un minimo di contegno e si asciugò le lacrime con rabbia.

Il senso di colpa la schiacciava.

«E ora mi odi, vero?» singhiozzò ancora alzando finalmente lo sguardo.

Negli occhi di Kyle c'era dolore, ma non rabbia.

Si sentì ancora più in colpa.

Non meritava tutto quello.

Desiderò con tutta se stessa che lui potesse leggerle nel pensiero mentre continuava a fissarlo in silezio, ma ovviamente non era possibile.

No. Non si sarebbe risolto niente. Era riuscita a rovinare tutto.

Non riuscì a sostenere ancora il suo sguardo e distolse il proprio.

Si sentì afferrare per le braccia e sollevare lentamente.

Si ritrovò di nuovo faccia a faccia con Kyle, che la sorreggeva, come se sapesse che se l'avesse lasciata non sarebbe rimasta in piedi.

«No.» disse fissandola negli occhi «Non ti odio.»

Pam provò il forte desiderio di scoppiare di nuovo a piangere. Perché non si arrabbiava? Perché non la ricopriva di insulti come meritava? Perché? Perché era così maledettamente buono e dolce?

«Come?» domandò debolmente «Come fai a non odiarmi?» le labbra le tremavano.

Kyle, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, si prese qualche secondo per rispondere.

Emise una specie di sospiro.

«Pam, davvero credi che non mi sia accorto di come ti guarda da dieci anni a questa parte? E credi che non mi sia accorto di quanto a lungo tu gli abbia resistito. Temevo che questo momento arrivasse da un momento all'altro. E, devo ammettere, che mi aspettavo molto peggio.»

Pam era rimasta senza parole.

«E tu... in tutto questo tempo... non hai mai detto nulla?» non riusciva a crederci «Perché?» le sue parole erano un sussurro appena udibile.

Kyle sospirò di nuovo.

«Ricordi quando ti ho chiesto di sposarmi? Così, all'improvviso, impreparato?»

Pam non rispose, ma sì, ricordava. E ancora non capiva.

«Mi sono detto, diavolo, se non mi sbrigo prima o poi glielo chiederà Ryan. E non sai quanto paura ho avuto davanti alla tua espressione stupita. Temevo che rifiutassi, me ne stavo già convincendo. E tu invece hai detto di sì. Non potevo crederci. Credi davvero che non sappia cosa c'è tra voi?»

A quel punto Pam non seppe resistere. «No.» quasi urlò «Non c'è niente. O forse sì, c'è, no, c'è stato. Ma non ci sarà mai niente. Niente. Kyle io...»

Non concluse la frase. In parte perché non sapeva bene cosa dire senza il rischio di sbagliare. In parte perché si ritrovò stretta nell'abbraccio di Kyle.

Altre lacrime le scesero dagli occhi, ma in silenzio stavolta.

Si lasciò stringere. Sentiva che per Kyle era più difficile di quando le volesse fare credere.

Ma non poteva essere. Non poteva essere la verità. Era troppo bella per essere la verità.

«Tutto questo non è giusto.» cercò di dire.

Kyle la allontanò leggermente, per poterle guardare bene in faccia.

Pam tenne lo sguardo basso.

Con gesti lenti Kyle le asciugò le lacrime, poi le mise un dito sotto il mento per farle alzare il volto.

Pam fu scossa da un respiro convulso.

Il bacio fu così dolce da far dimenticare ad entrambi, per un momento, tutto il resto.

La lucidità tornò prima che le loro labbra si fossero separate.

Pam non lo sopportò.

Nonostante le parole di Kyle, ancora non riusciva a crederci. Per quello che ne sapeva, quello poteva essere il loro ultimo bacio.

E lei non voleva.

Erano quelle le braccia tra cui voleva stare.

«Non mi credi vero?» chiese Kyle con lo stesso tono addolorato che aveva usato lei per domandargli se la odiava.

Pam, gli occhi chiusi, scosse lentamente la testa. «Non ci riesco. È troppo bello per essere vero.»

Kyle appoggiò la propria fronte alla sua.

«Vorrei che potessi leggermi nel pensiero.»

A Pam bastò quello.

Richiuse gli occhi e lo baciò di nuovo, cercando di trasmettergli tutto l'amore che provava.

Lui le cinse i fianchi e la strinse a sé il più possibile.

Lei invece risalì il suo petto fino a mettergli le braccia al collo.

Sarebbero rimasti così per sempre, se fosse stato possibile. Con gli ultimi, infuocati, raggi di sole che filtravano dalla finestra e si infrangeva sui loro corpi abbracciati, per poi cederli all'oscurità della notte.

Una notte ancora spaventosamente lunga.

 

Kyle era tornato indietro subito dopo aver incontrato Mark e Rose.

Aveva lasciato Alexia e Axel con loro.

Loro due avevano portato un po' di allegria in quel trio così fastidiosamente silenzioso.

Luc sapeva fare amicizia con tutti i pochissimo tempo, quindi non ci misero molto ad andare d'accordo.

Quando incrociarono Ghish e Glix che tornavano verso casa, Alexia e Axel si accodarono a loro.

Mark e Luc fecero lo stesso, mentre Rose continuò per la sua strada.

Non aveva voglia di tornare indietro.

Era ora di cena, ma non aveva fame.

Continuava a pensare a Pam e a quello che le aveva detto. L'aveva paragonata ad Elena di troia, migliore metafora non si poteva trovare.

Ma lei chi era? Qual'era il suo posto in quella storia.

Persino Mark aveva in ruolo in tutto quello che stava accadendo, ma lei chi era?

Andromaca? O Clitemnestra?

Sospirò.

Forse lei non faceva parte di nessuna storia.

Non ancora almeno.

Ma qual'era il suo posto?

Dopo aver lasciato Mark si era ripromessa di riprendere in mano la sua vita.

Ancora non sentiva di esserci riuscita. Non pienamente almeno.

Alzò lo sguardo.

L'ultimo quarto di luna calante brillava argenteo nel cielo.

Quella loro avventura stava volgendo al termine.

Sciolse la coda di cavallo e liberò i ricci rossastri.

L'hennè avrebbe dovuto farle acquisire dei riflessi dorati, ma aveva solo ottenuto un omogeneo colore castano che non era il suo.

Per fortuna l'acqua salata lo stava lavando via.

Sospirò.

Fece scorrere lo sguardo lungo la spiaggia deserta.

Aggrottò le sopracciglia.

Che ci faceva lì?

Si tolse le scarpe e affondò i piedi nella sabbia finissima.

Con passo felpato si diresse verso la riva del mare.

Fece finta di non averlo visto.

Lasciò che l'acqua ancora calda le bagnasse i piedi.

Si voltò.

Non si era accorto di niente.

«Qualcosa non va Ryan?»

Il biondo, seduto sulla sabbia con le braccia appoggiate alle ginocchia, non si era minimamente accorto di Rose.

Imprecò sottovoce.

Possibile che non ci fosse modo di rimanere soli?

La donna aspettava una risposta.

«Non vedo come ti possa importare.»

Lei alzò gli occhi al cielo e si voltò.

Quell'uomo era decisamente impossibile da trattare.

Tornò a guardare il mare.

Si sedette sulla sabbia. Le onde ogni tanto avanzavano abbastanza da bagnarle i piedi.

Rimase lì in silenzio.

Sì, ecco di cosa aveva bisogno: di silenzio. Lei, abituata a usare le parole come armi nel suo mestiere di avvocato, aveva bisogno della loro assenza.

Ma non della solitudine.

La consapevolezza che ci fosse qualcuno, dietro di lei. In qualche modo la tranquillizzava.

Forse fu per questo che trasalì quando vide Ryan venire a sedersi accanto a lei. Non lo aveva sentito muoversi. Era silenzioso come un gatto.

Le piacevano i gatti. A differenza dei cani erano abbastanza autonomi – non che avesse qualcosa contro i cani, semplicemente non facevano per lei.

Chissà, magari si sarebbe presa un bel gatto. Le avrebbe fatto compagnia. La sua casa era così vuota quando non c'era Luc.

Uno tutto nero.

O forse no, portava male.

Uno tutto grigio. Grigio come la polvere, come le ombre.

Voltò il viso.

Ryan la stava guardando.

La stava studiando. Per la prima volta.

Aveva gli occhi verdi. Gli occhi di Lory.

E i capelli rossi. I capelli di Strawberry.

Di Pam non aveva nulla.

O forse sì?

Aveva la sua forza e la sua determinazione. Non era un caso che quelle due andassero d'accordo.

Gli sorrise.

Aveva il sorriso di Pam.

Ma poco importava.

Lei non era nessuna delle tre.

Lei era solo Rose.

Distolse lo sguardo.

«Io lo so qual'è il tuo problema, sai?»

Ryan alzò gli occhi al cielo. «A sì? E quale sarebbe?»

 

«Mamma! Mamma! Vieni anche tu!» chiamò Joy dal ramo su cui si era arrampicata.

«Dai mamma!» le fece eco Flo.

«E va bene.» acconsentì la madre spiccando un salto e aggrappandosi ad un ramo per poi issarsi su. «Scommessa che sono la prima che arriva in cima?»

«No! Vinco io!»

Paddy arrivò per prima, era ancora troppo vivace per poter adottare la filosofia “far vincere i bambini”. Tra le tre, era un'impresa decidere chi fosse la più piccola.

«Io sono sempre convinto che potrebbero cadere da un momento all'altro,» commentò Tart «ma ogni volta rimangono aggrappate ai rami. Secondo me hanno le ventose.»

«Potrebbe essere un'altra mutazione genetica.» scherzò Lory.

«Come no.» fece Pai.

Una musica vivace li interruppe.

Lory aggrottò le sopracciglia, poi frugò nella borsa in cerca del telefono.

Sobbalzò appena lo ebbe in mano.

«Pronto?» fece dubbiosa, come se credesse che fosse uno scherzo.

Rimase in ascolto e Pai e Tart la guardarono in silenzio.

«Ma ti è andato di volta il cervello?» Lory sembrava fuori di sé. «Cosa ti passa per la testa, vuoi mandare tutto a monte?» evidentemente l'interlocutore dall'altra parte del telefono non la stava ascoltando.

«Ma con chi sta parlando?» chiese Tart.

«Non ne ho idea.» rispose il fratello.

«Dove sei?» continuò Lory. «Il laboratorio a quest'ora è chiuso... No, non lo sapevo, non mi ha detto niente, pensavo... aspetta... pronto? Ci sei?» rimase in ascolto e Pai e Tart sentirono per la prima volta una voce provenire dal telefono. Lory si voltò dando loro le spalle. «Jack? Puoi ascoltarmi un momento?»

 

Axel e Alexia avevano convinto Glix a giocare con loro. Quella delle carte francesi erano una passione che avevano preso da Kyle.

«Sapete dov'è Mina?» chiese Ghish.

«Credo sia in cucina.» rispose Mark togliendo il telecomando dalle mani di Luc e accendendo la televisione.

Ghish si affacciò nella cucina.

«Quando si mangia?»

Mina gli lanciò un'occhiataccia.

«Se vuoi puoi darmi una mano.» rispose più o meno candidamente «Di sicuro sarà pronto molto prima.»

Ghish si chiuse la porta alle spalle.

«Devo parlarti di una cosa.»

Mina alzò un sopracciglio.

«Con me? Sei sicuro?»

Lui annuì.

«Contento tu.» si allontanò dai fornelli.

«Si tratta di Glix.»

Mina era chiaramente confusa e stupita.

Le stava chiedendo un parere sulla ragazza? Sul serio?

«C'è un favore che dovrei chiederti.» Ghish era nervoso.

Mina non lo aveva mai visto così.

Era curiosa.

«Beh, avanti.» lo incitò «Se aspetti ancora me ne dovrai parlare durante la cena.» gli fece notare poi.

Ghish puntò i suoi magnetici occhi dorati nei suoi, neri come la pece.

«Vorrei che le insegnassi a ballare.» parlò così velocemente che Mina a mala pena distinse la parole.

Lo fissò allibita.

«Mi prendi in giro? Ghish se è uno scherzo sappi che è di pessimo gusto.»

«Tu non sai...»

«Per tua informazione, so tutto su di voi. Lo so come lo sapeva Strawberry.»

Ghish si trattene dallo scoppiare a ridere. Voleva dire che non ne sapeva niente o che Strawberry sapeva tutto? No, non lo sapeva.

Non...

Pai. Già, Pai lo aveva detto a Strawberry poco prima che morisse. Forse Mina aveva sentito. Sì, doveva essere andata proprio così.

«Proprio perché sai tutto, per favore, stammi a sentire.»

 

Luna girava per le vie della città senza una meta precisa.

Aveva evitato il falò sulla spiaggia. Non conosceva quasi nessuno e poi a breve il mare si sarebbe agitato. E lei, ad essere del tutto sincera, non amava l'acqua.

Adorava fare i bagno e le nuotate la rilassavano, ma non sopportava avere i vestiti bagnati o essere schizzata. E questo era inevitabile durante le feste in spiaggia.

E poi non era dell'umore giusto.

Troppi pensieri le ronzavano nella testa.

Uno solo in realtà. Ma valeva per mille.

Si strinse le giacchetto neri di Alexia.

Il vento era già cambiato.

La sua meteoropatia era un'altra dote innata.

Sapeva quando avrebbe piovuto. Quando il mare si sarebbe agitato. Quando ci sarebbe stato bel tempo. Sapeva sempre che ore erano.

Agli altri diceva che lo capiva dalla direzione del vento o dagli odori che esso portava con sé.

Era vero, ovviamente. Ma a lei lo diceva l'istinto. Era per gli altri che cercava delle spiegazioni, non per se stessa. Lei sapeva fidarsi ciecamente del suo istinto.

Alzò gli occhi al cielo.

La luna calante si nascondeva dietro un velo di nuvole che si sarebbe sicuramente inspessito.

Luna odiava la pioggia. Le piacevano i tuoni, “i tamburi che scandivano il ritmo delle stagioni”, come aveva letto una volta su un libro. E le piacevano anche i fulmini. La loro luce, nel bel mezzo dei temporali, la affascinava, anche se sapeva di doversene tenere alla larga.

Era la pioggia in sé che non sopportava. L'acqua che cadeva dal cielo.

Però le piaceva l'atmosfera che si creava appena cessava.

I colori erano più nitidi e più accesi, gli odori più forti e distinti.

L'umidità era sopportabile.

Sospirò.

Il buio era un'altra cosa che le piaceva.

Ci vedeva perfettamente al buio e questo le dava un vantaggio sugli altri. Le faceva acquisire sicurezza. La luce argentea della luna, era un benaccetto tocco di classe.

La luna.

Per lei aveva sempre avuto un ché di affascinante e misterioso.

Sua madre le aveva dato il suo nome. E, ne era sicura, non lo aveva fatto a caso.

Era convinta che, se quell'onirico satellite argentato avesse potuto parlare, le avrebbe saputo dire la verità.

O forse la sapeva benissimo la verità? Si stava solo rifiutando di ammetterla?

Infondo, era maledettamente semplice.

Riabbassò lo sguardo.

Non riconosceva quella parte della città. Probabilmente non ci era mai stata.

Poco male. Per tornare a casa le sarebbe bastato ritrovare la spiaggia e seguirla. Era una certezza tranquillizzante.

Si addentrò per i vicoli senza emettere suoni.

Le piaceva il suo passo felpato e aggraziato, non la distraeva.

E allora perché lo sentiva? Perché sentiva i suoi piedi trascinarsi leggermente?

Aggrottò le sopracciglia e si fermò.

Il rumore dei passi, invece, continuò e si intensificò.

Tese le orecchie. L'udito umano, sempre così debole, la snervava.

Si voltò.

C'erano due ragazzi, o forse due uomini, infondo alla strada.

Forse avevano bevuto.

Uno la fissò dritta negli occhi.

«Ti sei persa?»

L'altro scoppiò a ridere sguaiatamente.

«Sto bene, grazie.» rispose freddamente.

«Oh, avanti,» brontolò il ragazzo «è festa, divertiti!»

L'altro si piegò in due dalle risate.

Luna si voltò e riprese a camminare.

Aveva fatto solo qualche passo quando si sentì afferrare per un gomito e voltare.

«Ehi, scusa! Non volevo offenderti! Non serve che te ne vai!»

Il ragazzo aveva le pupille innaturalmente dilatate e dal tono non sembrava molto presente.

«Lasciami.» sibilò in tono neutro.

«E, dai, ci divertiamo!»

«Ti ho detto lasciami!» ringhiò.

L'altro uomo, che si stava sorreggendo al muro di una casa, riuscì finalmente a smettere di ridere. «Dai, con mio fratello si divertono tutte!» altre risate. «falle vedere»

Luna tentò di spingere via il ragazzo, ma, per quanto drogato e ubriaco, era molto più forte di lei.

Il battito cardiaco accelerò all'istante.

«No!» urlò.

Mentre la afferrava per le braccia gli diede una ginocchiata nello stomaco il più forte possibile.

Lui barcollò, ma non mollò la presa.

Dannazione! Imprecò. Era ubriaco, avrebbe potuto usare i suoi poteri. Poi ricordò che aveva detto a Mina di disfarsi del ciondolo da MewMew della madre. Senza di quello non aveva alcun tipo di potere.

Tentò di urlare di nuovo, ma quello gli mise una mano davanti alla bocca mentre con l'altra le teneva fermi entrambi i polsi.

Sentiva il suo fiato puzzolente d'alcool sul collo.

Non aveva scelta.

Con la lingua si stuzzicò i canini finché non li sentì affilarsi.

Gli morse la mano con forza.

Lui urlò e ritirò la mano.

«Bastarda!» abbaiò e Luna non fu abbastanza pronta da evitare lo schiaffo.

Si ritrovò a terra, poco male.

Era libera.

Cominciò a correre prima ancora di essersi rialzata.

Si scontrò con qualcosa di duro.

L'altro uomo.

«Ehi, dove credi di andare.»

Luna stese indietro le orecchie ora appuntite e ringhiò.

Un ringhio vero, non un verso simile.

«Ma che...»

Usò le sue spalle come leva e saltò verso l'alto.

Atterrò con grazia e tranquillità. Si ritrovò sulle quattro zampe.

Non si voltò.

Riprese a correre, molto più velocemente di quanto avrebbe potuto fare un normale umano.

Continuò a correre anche quando fu sicura di non avere più quei due uomini alle calcagna.

Ormai era dai suoi ricordi che scappava.

Ricordi che, però, non avevano nessuna intenzione di farsi seminare.

Rivide la scena.

Per un attimo si ritrovò in quel quartiere di New York.

Risentì quelle voci.

Rivide le luci della macchina.

E dell'altra macchina.

L'incidente.

Urlò.

Ma nessuno poteva sentirla.

Si fermò di botto.

Dov'era?

Da che parte era il mare?

Da che parte era venuta?

Urlò di nuovo, in preda al panico.

Era tutto maledettamente buio.

Senza volerlo finì contro una signora.

«Tutto bene?» chiese la donna.

Non rispose. Le lacrime le rigavano gli occhi.

Se le asciugò con la manica del giacchetto.

Indietreggiando inciampò nei suoi stessi passi.

La donna, allarmata, si chinò.

«Stai bene?» chiese ancora, ansiosa.

Luna scosse la testa tentando di soffocare i singhiozzi.

In cerca di un fazzoletto frugò nelle tasche del giubbotto.

Poi ricordò che non era il suo.

Le dita si imbatterono in un pezzo di carta.

Lo tirò fuori.

C'erano scritti tre numeri di telefono.

Mamma.

Papà.

Ryan.

Alzò lo sguardo sulla donna, ancora china su di lei.

«Po-posso fare una... telefonata?» la donna non sembrò molto d'accordo «Per favore. Solo una chiamata breve, poi mi può lasciare qui.»

La donna indugiò, poi frugò nella borsa e le porse un telefono piuttosto vecchio.

Non importava.

Compose velocemente il numero.

Le dita le tremavano.

Dovette riscriverlo due volte.

Per un po' squillò a vuoto.

Luna si sentì prendere dal panico.

Le era venuto il singhiozzo.

«Pronto?»

«Ryan!» quasi urlò.

«Luna?»

«Sì, sono io.»

«Stai bene?» chiese allarmato.

«Io... Ryan, ti prego, puoi venire a prendermi? Per favore?»

«Io...» era sorpreso «Dove sei?»

«In via...» guardò la donna che le disse un indirizzo, Luna lo ripeté «Non so di preciso dove.» aggiunse «Ti prego, Ryan, fa' presto.»

«Ci provo, stai bene?» ripeté.

«Non... non lo so!»

«Accidenti! Sono già in strada, se vuoi ti richiamo...»

«No, il telefono non è mio.»

«Ok, aspettami.»

Luna rimase con il telefono in mano per qualche secondo, poi lo ridiede alla donna.

«Grazie.» sussurrò.

Quella annuì, poi si allontanò.

Luna rimase sul ciglio della strada, incapace di muoversi.

Si prese le ginocchia tra le braccia, lo sguardo vigile, le orecchie tese – nel vero senso della parola.

Fu il quarto d'ora più lungo della sua vita.

Ogni singolo rumore la faceva sussultare. Il fatto che sentisse anche i più flebili non era di aiuto.

Così come quello che non passasse assolutamente nessuno. Invece di tranquillizzarla la spaventava ancora di più.

Si aspettava di veder saltare fuori dei mostri da un momento all'altro.

Aveva paura. Tremava.

Quando sentì dei passi in lontananza urlò a pieni polmoni senza riuscire ad impedirselo.

I passi accelerarono.

«Luna!» si sentì afferrare per le spalle. «Luna? Stai bene?»

Un braccio forte le cinse le spalle e l'altro le passò sotto le ginocchia.

Si sentì sollevare da terra.

«Che cos'ha?» chiese un'altra voce che all'inizio Luna non riconobbe.

«Non lo so, Rose!»

«Guardale le orecchie!»

«Stai zitta un attimo, per favore?»

Ryan trovò una panchina lì vicino e ci si sedette, senza lasciare Luna.

La cullò istintivamente.

Luna tentò di tornare a respirare tranquillamente.

Per molto tempo rimase in silenzio.

Anche Rose era seduta sulla panchina, ma ad una certa distanza.

Era completamente bagnata e in certi punti il suo vestito era persino trasparente.

«Ho interrotto qualcosa di importante?» sussurrò.

Ryan aggrottò le sopracciglia, poi capì.

«No.» rispose semplicemente. Continuò a fissarla. «Stai bene?»

Luna prese un respiro profondo.

Annuì.

«Sicura?»

Annuì di nuovo.

Era chiaro che non le credeva.

«Era solo un brutto tipo, sono corsa via, ho solo avuto paura, ho solo...» un singulto la scosse e affondò il viso nel petto di Ryan.

«È colpa mia!» urlò all'improvviso, con più forza di quanto Ryan o Rose si aspettassero. «È colpa mia! È colpa mia se è morta!»

«Luna!» il biondo la strinse ancora di più «Che stai dicendo?»

«Non sarei mai dovuta andare a quella maledetta festa! Lei non voleva che ci andassi.» riprese fiato, ma non poté più fermarsi, il desiderio di sfogarsi era troppo forte. «Ma io ho insistito così tanto! che stupida E invece aveva ragione lei. Era un brutto quartiere. Ho avuto paura. Le ho chiesto di venirmi a prendere.» il petto di Ryan attutì un altro grido «Se non ci fossi andata... se non avessi avuto paura... non ci sarebbe mai stato nessun incidente! È colpa mia!»

Ryan le sollevò il viso fissando i propri occhi nei suoi.

«Non dirlo neanche per scherzo, hai capito? Non è colpa tua. Sono cose che succedono. Mi ascolti?»

Luna si limitò a fissarlo. I suoi occhi azzurri erano spalancati e sembravano enormi. Erano così umidi di lacrime che sembravano due sconfinate pozze d'acqua.

In quel momento Rose si chiese come potessero essere quelli di Ryan, erano così diversi, oceani e ghiaccio.

Ma, in fondo, non aveva mia visto Ryan piangere.

«Va meglio?» chiese il biondo dopo un po' di tempo passato e cullarla.

Luna si limitò ad annuire, ancora non si fidava della sua voce.

«Torniamo a casa?»

Annuì di nuovo e si raddrizzò per permettere a Ryan di alzarsi.

Non lo lasciò però.

Gli rimase abbracciata.

Lui le strinse un braccio intorno alle spalle.

Non si dissero nulla.

Come se le parole fossero un ostacolo alla comunicazione invece che un'agevolazione.

Forse era proprio così, si disse Rose.

Ryan era un tipo pragmatico, per lui le parole erano solo strumenti. I sentimenti erano un caso a parte. Anche se li riteneva frutto del lavoro del cervello ed era convinto di saperli gestire, i fatti dimostravano il contrario.

Il buon senso non gli aveva impedito di mettere gli occhi su Pam e un istinto innato lo rendeva dolce nei confronti di Luna.

La verità era che i sentimenti sono qualcosa che esce dagli schemi, sempre e comunque, non c'era modo di dominarli, né tanto mento di capirli. Si poteva solo imparare a conviverci.

Rose emise un muto sospiro.

Furono di ritorno prima di quanto si aspettassero.

Era tardi, ma non così tardi perché fossero tutti andati a dormire.

Tart e Paddy avevano messo a letto le bambine, anche se con ogni probabilità erano ancora sveglie, e li si poteva sentire chiacchierare fin dal piano di sotto.

Mark, Luc e Mina non si vedevano.

Pai era seduto sul divano e faceva il giro dei canali in cerca di qualcosa che reputasse interessante. Lory si aggirava inquieta per la stanza.

Pam, Kyle e i figli erano seduti intorno al tavolo e per l'ennesima volta stavano giocando con le carte francesi.

Questa volta, però, la partita sembrava più animata del solito e Axel e Alexia si erano coalizzati contro i genitori che però formavano una squadra perfetta.

Pam era... radiosa.

Sollevò lo sguardo quando li sentì entrare e sorrise di riflesso, ma poi tornò a concentrarsi sulla partita.

Kyle non lo guardò. Non parve neanche registrare la sua presenza.

Alexia aggrottò le sopracciglia notando gli occhi rossi di Luna, ma un'occhiata di Rose bastò a zittirla.

Luna si staccò finalmente da Ryan e si diresse in camera sua, ma lui la seguì.

Si guardò intorno per alcuni minuti mentre lei si sciacquava la faccia.

La stanza era arredata con gusto e, per quanto ordinata, era piena di rifermenti alla sua proprietaria.

Sul letto era adagiato un peluche a forma di gatto nero con gli occhi dorati dall'aria tenerissima, anche se era molto sproporzionato.

Sull'armadio era disseminato di adesivi di astronavi e personaggi del film “mostri e alieni”.

L'azzurro era il colore predominante, in tutte le sue sfumature.

La scrivania era l'unica cosa disordinata nella stanza. Sembrava fuori posto.

Era così ingombra da dare l'impressione di voler esplodere.

Ryan si chiese se non fosse fatto a posta. Per sotterrare qualcosa tra tutti quei fogli.

«Mi sono sempre sforzata di tenerla in ordine.» disse la voce di Luna alle sue spalle «Ma da quando è morta la mamma non ci sono più. Credo che rispecchi la confusione che ho dentro la testa. A volte credo di impazzire.»

Si sedette sul bordo del letto, lo sguardo fisso nel vuoto.

A quel punto Ryan si ricordò di qualcos'altro e ispezionò la camera in cerca di qualcos'altro.

Ed eccola.

La foto di cui parlava Pam. La foto che l'aveva resa tanto sicura che il padre di Luna fosse Ghish.

Luna doveva avere circa quattordici anni e Strawberry, all'epoca più alta di lei, la abbracciava da dietro. Aveva le sue orecchie da gatto nero che spuntavano dalla massa di capelli rossi non più tanto lunghi come Ryan ricordava. E quegli occhioni da bambina ingenua che invece non comparivano in nessuna delle altre foto.

Luna stava chiaramente ridendo a crepapelle.

La somiglianza tra madre e figlia era spiccata.

Ryan prese la foto tra le mani.

Le orecchie di Luna non erano umane, questo era lampante.

Erano piccole, ma appuntite. In effetti erano similissime a quelle di Joy e Flo, ma c'era qualcosa che non lo convinceva.

«Non è come sembra.» disse Luna alle sue spalle.

Quasi si spaventò, per un attimo si era dimenticato della presenza della ragazza.

«A no?» chiese.

Lei scosse lentamente la testa, tenendo gli occhi bassi e non rispose.

Ryan sospirò, o sbuffò, entrambe le cose probabilmente e rimise la foto al suo posto.

Si diresse verso la porta.

«Posso trasformarmi in un gatto.» la voce della ragazza lo trattenne e lo fece voltare.

Luna alzò lentamente gli occhi e li fissò in quelli di Ryan.

«Pensavo fosse normale visto cos'era mia madre. Mina e Lory non hanno figli, non ancora almeno. Ma poi Axel e Alexia hanno detto di non saperlo fare.»

Ryan si voltò completamente.

Continuando a fissarla, apparentemente inespressivo.

«Non funziona come per la mamma. A lei spuntavano coda e orecchie solo quando era emozionata, o divertita. In realtà, ho notato, le succedeva quando il battito cardiaco aumentava, un po' come Hulk. Continuava a poter parlare con i gatti, ma era felice di non trasformarsi più in uno di essi quando qualcuno la baciava. Per me è diverso. Posso farmele spuntare quando voglio. E posso diventare un gatto in tutto e per tutto, se voglio. Senza limiti di tempo.»

Ryan sentì il suo battito accelerare.

Non disse nulla. Come solo raramente gli succedeva, era senza parole.

Luna fece una pausa, poi continuò.

«Romeo è un gatto. Il gatto dei vicini per essere precisi. E anche Sofia. Quando mi metto con Romeo sopra l'entrata della scuola di ballo di Mina lo faccio da gatta. E non è tutto. Posso diventare qualsiasi tipo di gatto. Persiano, siamese, abissino. In quella foto ho le orecchie di un sphynx. Sai, quelli senza pelo. A dire il vero non mi piacciono molto, ma in quel periodo mi piaceva fare esperimenti. Se nella foto si potesse vedere, l'altro orecchio è quello di un certosino. Due orecchi diverse, l'ho insegnato anche a Joy e Flo.» sorrise.

Alzò lo sguardo su Ryan, ancora immobile mentre dava le spalle alla porta chiusa.

«Sai che vuol dire, vero?»

Ryan non si fidava ancora della propria voce.

Si limitò ad annuire.






Ehi, gente!
Che ne dite di questa ultima parte de "la figlia"? La monotonia dei nomi dei capitoli è finita!
Vi annuncio, con certezza, che mancano altri tre capitoli.
E, per essere così tanti, protrete capire che la storia non è ancora finita.
Che ne dite di un ultimo colpo di scena?
*questo non dovevo dirlo, non dovevo proprio dirlo*
xD
Aspetto le vostre recensioni <3
Un biacione e tutte,
Artemide

  
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