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Autore: AlfiaH    06/05/2014    0 recensioni
Ambientata durante la guerra anglo-americana, l'unica che si sia mai combattuta. La fic si svolge in due momenti, nel 1807 in Francia e nel 1814 in America.
Vi si può vedere della FrUkUs, oppure no.
[Iscritta al contest "Amore in salsa contest" di ImMatura sul forum di EFP]
Genere: Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Note storiche (ho pensato di metterle prima di modo che la storia stessa fosse più chiara): nel 1807 l'America emana un embargo per le navi dirette in Inghilterra ovverosia un ordine che impedisce alle navi di salpare. In poche parole vengono chiusi i commerci tra le due nazioni. Causa di ciò furono le continue perquisizioni delle navi americane da parte delle truppe inglesi (era tempo di guerra anche tra Inghilterra e Francia quindi a maggior ragione vi era bisogno di un controllo in più) e l'obbligo di arruolare nella Royal Navy i cittadini americani di origine britannica.
In seguito gli Stati Uniti dichiararono guerra, dando inizio al primo (e ultimo) conflitto che vide come protagonisti America ed Inghilterra sullo stesso campo di battaglia, l'uno contro l'altro. Inizialmente gli USA subirono delle pesanti sconfitte, Washington fu occupata, la residenza presidenziale venne bruciata (quando fu ricostruita prese il nome di Casa Bianca) e Baltimora venne bombardata.
In questo periodo viene composto l'Inno Americano.
Alla fine, però, nel 1815, le truppe britanniche vennero massacrate e definitamente sconfitte a New Orleans.
Tutto termino con il trattato di Gand, entrato in vigore il 17 Gennaio 1815.
 

Fire

Il liquido rossastro scivolava sul cristallo, diveniva una scia e premeva amaro sulle labbra, le bagnava appena, giusto un poco, affinché non rimanessero mai secche, mai assetate. Si rimescolava sul fondo, poi, e ancora le dita morbide facevano roteare il bicchiere, quasi volessero modellarne la forma, quasi, anzi, maneggiassero uno dei suoi pennelli.
D’altro canto l’artista era più che giustificato.
Aveva dipinto così tante volte quel paesaggio magnifico, Francis, la sua bella Parigi innevata, che la sua mano pareva volerla ritrarre ancora ed ancora, fino ad imprimerne il ricordo nei gesti stessi.
Incantevole. Non vi era altro termine per descriverla.
L’avrebbe ricordata così, come nei suoi quadri, affinché, qualora nei suoi incubi l’avesse vista bruciare ancora, avesse avuto un sogno a cui aggrapparsi.
Credeva nei sogni, Francis, molto più di quanto credesse nella realtà.
Non aveva mai avuto una visione cinica del mondo, lo guardava dall’alto in basso, ma sempre con nuovo stupore benché spesso non lo desse a vedere. Si volgeva con ammirazione al progresso e vi si adeguava, guardava al futuro poiché il passato era già vissuto ed il presente spesso non dava soddisfazioni.
Forse era per questo che, col tempo, si era ritrovato molto più vicino al Nuovo Mondo e a quell’aria di libertà che lo aveva invaso appena qualche anno prima che alla vecchia e stanca Europa. Gli aveva insegnato tanto, l’America, gli aveva insegnato ad ascoltare la voce del popolo. Inghilterra, invece, ne era rimasto incredibilmente sordo.
Il fragoroso spalancarsi delle porte di legno ed un soffio di vento gelido fece scoppiettare il fuoco e risvegliò il francese che di nuovo aveva perso le iridi nella città parigina, il calice ancora tra le dita ed un sapore amaro in bocca.
Piegò le labbra in un sorriso mellifluo ed alzò il bicchiere in segno di saluto in risposta all’espressione rabbiosa dell’inglese che era entrato in camera sua in modo a dir poco teatrale, quasi stupefacente, l’avrebbe definito l’artista, se qualche giorno prima non avesse ricevuto una lettera che inevitabilmente gli aveva annunciato l’arrivo del rivale.
Ed era proprio una lettera che, in verità, Arthur stringeva convulsivamente in una mano.
 
« Che cazzo significa questa? »
 
Gettò i fogli sul pavimento con stizza, gli occhi ridotti a due fessure colme d’odio, il respiro affannoso. Non aveva neppure finito di leggere che si era precipitato in Francia di corsa, furioso, in pieno inverno, e vedere l’espressione tranquilla del francese non faceva altro che renderlo più arrabbiato.
 
« Certo che sei davvero maleducato, Angleterre, entri così in casa mia e non mi saluti neppure. Sai, non ti ho mai visto correre da me in modo così impetuoso. In realtà non ti ho mai visto correre da me ».
 
« Fa poco lo spiritoso, rana », minacciò a denti stretti, « e dillo, dì che è stata una tua idea. È colpa tua, non è vero? »
 
« Embargo*, c’è scritto embargo, giusto? » Il sorriso di Francis si trasformò in una risata beffarda, « Amerique è abbastanza grande da prendere le sue decisioni da solo, non credi? È mai possibile che basti una sua lettera per farti andare in tilt, Iggy?
Oh, guardati, sei bagnato fradicio ».
 
In effetti Inghilterra aveva preso a tremare.
Ancora sull’uscio, lo sguardo perso nel vuoto, privo di energia.
America lo aveva tagliato fuori dalla sua vita, di nuovo.
Faceva ancora male.
 
« Non voglio la tua compassione. Voglio una dannata spiegazione ».
Rapidamente scacciò la mano del francese, che intanto gli aveva poggiato un asciugamano sui capelli gocciolanti, e lo afferrò per il colletto della camicia bianca, una nuova luce negli occhi.
Francia li trovava bellissimi, forse erano l’unica cosa che veramente apprezzava di Inghilterra.
 
« Non è compassione la mia, Angleterre. Sai, noi ci conosciamo da secoli, ormai so come funziona il tuo cervello. Tu mi disprezzi, non è vero? Chiedermi aiuto ti ferisce, il fatto stesso che io ti aiuti ti ferisce », soffiò ad un centimetro dalle sue labbra, staccando gli artigli del britannico dalla sua camicia pregiata.
 
Avevano passato la loro esistenza a litigare, Arthur e Francis, a farsi la guerra, ma erano finiti per trascorrere più tempo insieme che soli con loro stessi, sullo stesso campo di battaglia.
Per Francis, ormai, Arthur era una certezza.
Per quanto lo avesse detestato ed ancora lo detestasse non era mai giunto veramente ad odiarlo, o forse l’aveva odiato per qualche giorno, per qualche anno, e poi aveva smesso come al solito, incapace di serbare rancore troppo a lungo. Per Inghilterra, invece, era diverso.
 
 
« Ti sbagli, frog. È la tua stessa esistenza a straziarmi il cuore. Mi fai perdere fiducia nel Creatore ».
« Però sei qui. Perché non sei andato da Amerique a chiedere spiegazioni? Ti sei precipitato qui come un idiota, disarmato ».
Era un gioco di sguardi, il loro, il francese che tentava di leggergli dentro, di scovare qualcosa in quelle iridi verdi che andasse oltre il profondo risentimento, e l’inglese che rimaneva immobile e non nascondeva nulla perché sapeva che non vi era nulla da cercare, nulla da scoprire.
Era tutto lì ciò che provava.
« Non sporcheresti mai i tuoi preziosi tappeti col mio sangue ».
« Touché ».
Fu l’artista ad alzare per primo le mani in un gesto studiato, come chi ride per non sembrare troppo patetico nella sconfitta.
Gli voltò le spalle, allora, e fece una smorfia amareggiata nel notare che intanto il camino aveva perso il proprio calore, lasciando null’altro che cenere.
« Andare in America avrebbe impiegato troppo tempo e non posso lasciare Londra a lungo. I nemici potrebbero approfittarsene ».
« O forse hai paura dell’accoglienza che potresti ricevere? Se metti anche solo una delle tue zampacce britanniche in America, è guerra, mon petit chenille. È arrabbiato con te. Ma tu lo sai già, no? Ops, forse no ».
Se l’anglosassone aveva acquistato una parvenza di controllo, il tono cantilenante e compiaciuto – per non dire stronzo -  del rivale che gli annunciava ciò che in realtà avrebbe dovuto essere palese lo riportò alla condizione di collera iniziale, il cuore a mille e la voglia matta di spaccare qualcosa.
« Lui è arrabbiato con me? » batté con forza le mani sulla scrivania alla quale ormai l’altro si era comodamente seduto, facendo oscillare pericolosamente la bottiglia di vin du Roi. « Lui! »
« Beh, sai, succede quando spari in faccia ad un commodoro per perquisire navi su cui non hai alcun diritto* », rispose con nonchalance, versando l’alcolico vermiglio in un altro bicchiere.
« Nessun diritto! Quelle sono le mie navi! Loro sono i miei uomini ed America è… »
Non si accorse, Inghilterra, di quanto la sua voce si fosse alzata, di quanto si fosse ridotta ad un sussurro, poco a poco, fino a sparire del tutto, aggrappata disperatamente alle pareti della gola.
« Cosa, Arthur? Cosa, per dio. Una tua colonia? Una tua proprietà? Oh, ma c’è dell’altro, vero? Tu non lo vedi, tu fingi di non vederlo. Perché? Perché è immorale? Se non lo ammetti neppure con te stesso, ti tormenterai in eterno. Oh, Iggy », sospirò, « l’amore inespresso è come il vino tenuto nella bottiglia; non placa la sete ».
Quelle ultime parole gli morirono sulle labbra, adesso spalancate.
Lentamente posò lo sguardo sulla propria mano aperta sul legno, sul pugnale dal manico d’oro e sanguigno conficcato quasi a metà, esattamente tra l’indice ed il medio, a meno di un centimetro dalla pelle; quel gesto davvero non l’aveva previsto.
« Basta così, Francis. Riferisci pure al tuo amico che sono pronto a combattere. Che non si dica che il Grande Impero Britannico è arretrato davanti ad un pezzo di terra senza nome. Se è guerra che cerca, allora brucerà tra le fiamme ».
 
 
Gli occhi di Arthur ora vibravano, tremavano come una fiamma mossa dal vento, fremevano ed erano lucidi, ardevano dal desiderio di riscattarsi, appigliati all’ultimo baluardo di orgoglio e dignità che era rimasto nella sua esigua figura, ed ancora erano irrimediabilmente ancorati al passato, abbracciati a tutto ciò che vi era stato di bello e di felice nella sua lunga e grigia vita.
Se Arthur non poteva fare la scelta giusta, Inghilterra lo avrebbe fatto al posto suo.
 
 


 
Inghilterra vide America correre veloce quel giorno, il fiato mozzato dal sole estivo che appiccicava il fumo denso alla pelle e pareva fondersi con le fiamme che rapidamente avevano inghiottito la città di Washington. Lo sentì urlare e lo osservò cadere mentre l’ennesimo cannone faceva fuoco con l’ordine di radere al suolo la capitale statunitense. L’Executive Mansion ardeva.
Durante una battaglia non vi era spazio per la compassione eppure in quel momento il suo cuore piangeva dietro quell’ostentato autocontrollo, martellava e martellava nel petto, tanto da coprire il rumore degli spari.
C’era qualcosa di sbagliato ed inevitabile in quella guerra che avrebbe spezzato per sempre il sottile filo che ancora li legava e li avrebbe incatenati entrambi allo stesso dolore, per sempre.
Arthur lesse qualcosa di indescrivibile negli occhi di Alfred, quel giorno, qualche parola morente sulle sue labbra.
 
« No refuge could save the hireling and slave
From the terror of flight, or the gloom of the grave:
And the star-spangled banner in triumph doth wave
O'er the land of the free and the home of the brave* »
 
Era quasi ironico, pensò, ora erano pari, ora erano caduti entrambi.
E mentre Arthur poco a poco era affogato nella propria disperazione,
ora Alfred bruciava d’odio.
 

 #Angolo della disperazione

Grazie Wikipedia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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