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Autore: Psy    22/12/2004    65 recensioni
Fiction ispirata alla storia di Biancaneve (ok adesso non la legge nessuno...). Ho preso in esame la più famosa "invidiosa" della Storia per dimostrare che l'invidia è un fuoco che non si può spegnere, che la "pace interiore" è solo un mito... leggete, e forse cambierete idea su qualche luogo comune...
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cattiva dentro

Cattiva dentro

Avevo solo quattordici anni quando sposai il padre di Biancaneve. Lui era rimasto vedovo da poco. Aveva vent’anni più di me, un felice matrimonio alle spalle e una bambina piccola che era la luce dei suoi occhi. Anch’io volevo bene a quella bambina, anche se non l’amavo quanto avrebbe potuto amarla sua madre… santo cielo, avrebbe potuto essere la mia sorellina!

Io ero solo una ragazzina. E dovevo occuparmi di una neonata. Mio marito non si curava minimamente di me, non mi amava, il nostro matrimonio era stato combinato per interesse. Così, lui passava le sue giornate a ignorarmi e a compiangere la moglie morta, facendomi pesare in tutti i modi di averne preso il posto. Come se l’avessi chiesto io.

Io avevo sognato l’amore, avevo sognato di sposare un bel giovane che amavo e che mi amava, e invece ero stata strappata con violenza alla mia vita e ai miei sogni di ragazzina, per finire a fare da moglie-fantoccio a quel… vecchio.

Ma la bambina… era così dolce, così piccola, come una bambola. Mi chiamava “mamma”. E mi sentivo quasi in colpa, come se la stessi ingannando, perché io non ero sua madre. Non avrei mai potuto essere una madre per lei. Mi portava via tutte le attenzioni che una novella sposa si sarebbe meritata, e mi costava tempo, fatica e pazienza, occuparmi di lei. Le volevo bene, ma non potevo sopportarla più di venti minuti di fila. Sorrideva. Sempre. Sorrideva a tutti.

Perché era così felice? Cosa le dava il diritto di essere felice?

E tutti le volevano bene.

E io ero quella “strana”, perché mi rifugiavo nella solitudine delle mie stanze, a piangere, appena potevo. In quei giorni avevo un aspetto terribile; spettinata, con le occhiaie fino all’ombelico, un colorito cereo e gli occhi sempre rossi e gonfi. E dire che ero sempre andata fiera della mia bellezza.

Era l’unica cosa che mi restava. Il re e sua figlia mi avevano portato via tutto; la mia giovinezza, l’amore di chi mi stava intorno, i miei sogni. Il mio aspetto era l’unica cosa che mi restasse, l’unico ponte con la mia vita precedente, la mia vita spensierata di bambina. Non volevo che anche quel sottile legame si spezzasse. Eppure, ogni volta che mi guardavo allo specchio, vedevo un’estranea.

Con gli anni, cominciai a vederci una vecchia, una ragazza invecchiata precocemente, che copriva con chili di trucco le prime rughe. E dire che non avevo ancora trent’anni.

Biancaneve aveva quindici anni ed era il fiore del regno. Quello che a suo tempo avrei dovuto essere io. Sentivo che la mia vita mi era sfuggita di mano.

Passavo ore a guardarla, dalla mia finestra, a guardare quella ragazza sempre allegra, sempre gentile con tutti. Ricordo di aver avuto anch’io dei sogni, alla sua età. Ricordo che a quell’epoca credevo che la mia vita stesse per cominciare. Invece stava per finire.

A quindici anni, io avevo già un marito e una figliastra.

Biancaneve non ha mai fatto niente per farmi soffrire. Mi ricordo che quando era piccola, se mi vedeva piangere, veniva ad abbracciarmi stretta e mi accarezzava i capelli. E a quei gesti d’affetto, io piangevo ancora di più.

Perché la odiavo.

Perché non volevo odiarla.

Perché non aveva fatto nulla per meritarselo, perché era così dolce e gentile, perché mi voleva bene, perché mi chiamava mamma e io la odiavo lo stesso e mi sentivo malvagia per questo.

Malvagia nell’animo.

Cattiva dentro.

È così che mi hanno definito, molte e molte volte. La regina cattiva che passa il tempo davanti al suo specchio.

Anche dopo che il padre di Biancaneve è morto, non mi sono risposata. Avrei potuto, ma non l’ho fatto. Non avevo più speranze. Non avevo più aspettative dalla vita.

La mia figliastra era ancora giù in cortile, a sorridere a tutti.

Maledetta piccola smorfiosa.

Tirai le tende, ammantandomi del buio della mia stanza. Il grande specchio a figura intera, che mi ero portata dal castello dei miei genitori, era coperto con un pesante drappo di velluto rosso. Da anni.

Qualcuno aprì la porta, timidamente.

- Mi avete fatto chiamare, mia regina? –

L’uomo fece un breve inchino. Non godo di molta considerazione, e ancora meno di rispetto.

Sapevo che stavo per corrompere la mia anima per sempre. Sapevo che stavo per macchiarmi di sangue innocente. Ma non mi importava, non mi importava più ormai, di lasciarmi cadere nel baratro su cui da quindici anni mi affacciavo. Era venuto il momento di sollevare il velo delle menzogne e dell’ipocrisia, una volta per tutte. Avrei strappato il tuo cuore, figlia mia, come tu avevi strappato il mio. Sono senza cuore, già. E non voglio andare all’inferno senza trascinarti con me.

Presi un respiro profondo.

Stavo per diventare un’assassina.

Ma non per crudeltà.

Per vendetta.

- Portami il suo cuore –

  
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