Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: stratspirit    07/05/2014    3 recensioni
Immaginatevi di avere uno scienziato come padre, immaginate che abbia costruito una macchina del tempo, e immaginate che sia ossessionato con il Medioevo.
E ora immaginatevi quando il suo piano per mandarmi indietro nel tempo a recuperare una verifica finisce male, e mi ritrovo a badare alle galline in un remoto paesino dell'Inghilterra, nel XIV secolo.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeremy Bieber, Justin Bieber, Pattie Malette, Ryan Butler, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Samantha;



Dovrei prepararmi mentalmente e fisicamente allo scontro che avrò con mio padre quando scoprirà che ho preso un 3 di Scienze dopo avergli promesso che avrei recuperato con questa verifica.
In mia difesa, c'era
Supernatural in TV e quello è praticamente Scienze, no? Insomma, qualcosa di scientifico ci sarà pure tra tutti i demoni e Lucifero e anche Crowley.
Che Crowley poi è tutto strano; prima stai coi buoni e poi sta coi cattivi. E infine non si capisce neanche più chi è dalla parte giusta e chi no.
In ogni caso sono innamorata di Dean e spero che nella prossima stagione stia di più e petto nudo.
Sospiro appena raggiungo il portone di casa e lo apro, entrando nel luminoso soggiorno pieno di vari libri ammucchiati qua e là.
I miei amici dicono che vivere con un padre scienziato è la cosa più figa che potrebbe mai capitare a qualcuno.
Come no, specialmente quando tenti di dormire di notte e lo senti urlare dalla soffitta che l'elettricità del mondo sta andando a puttane.
Ovviamente sta andando a puttane, la consuma tutta lui per fare quegli stupidi esperimenti sul passato e su come coltivavano patate quando c'era la peste.
“Papà, sono a casa!” Urlo prima di chiudere la porta e gettare la mia borsa nell'angolo della sala.
“Vieni in soffitta, voglio mostrarti una cosa!” Strillo tutto contento, così mi avvio su per le scale e oltrepasso il piano con le stanze da letto, finendo dritta nella polverosa soffitta che mio padre chiama “Sistema Operativo Generale Del Tempo”, ovvero
SOGDT.
Non voglio neanche sapere come ha inventato il nome, preferisco ignorare certi aspetti della sua vita.
“Che hai combinato, papà? Questo posto è un porcile.” Borbotto mentre mi faccio strada tra le migliaia di scatolette di cibo e le varie borse frigo sparse dappertutto sul pavimento. Ne manca solo una sul lampadario e questo posto diventerà una specie di conserva in caso di guerra.
“Vieni qui, vieni qui.” Mi fa cenno di avvicinarmi e così faccio; almeno rimando il tragico momento della mostra dei voti, come lo chiama lui. “Guarda.” Indica una specie di orologio attaccato a una macchina e sorride raggiante.
“Okay. Che cos'è?” Aggrotto la fronte e faccio finta di non vedere un ragno che scavalca una delle assi del soffitto per rifugiarsi in uno degli angoli più bui della stanza.
“Come che cos'è? É una macchina del tempo, Samantha! Ogni tanto ho seri dubbi che tu sia mia figlia.” Dice infine.
“Sì, e io ho serie speranze che non lo sia.” Mugugno prima che mi trascini con lui verso il retro della cosiddetta macchina del tempo.
“Guarda come è perfetta. L'ho appena finita. Ti ricordi quel progetto segreto di cui ti parlo da un anno? Beh, eccolo qui. Ora devo solo trovare qualcuno a cui interessi verificarla.” Dice in stato di enfasi, poi caccia un sospiro. “Sono esausto.”
“E ci credo. Passi più tempo qui che a letto. Forza, preparo la cena, tu vai a dormire. O pulisci qui dentro, che ce ne sarebbe bisogno.” Mi guardo intorno e per poco non scivolo su una pozza di sostanza non identificata.
“Un artista non può rimanere in una stanza pulita, tesoro. Si vede che non sai proprio nulla della mia vita. Allora, com'è andata la verifica?” Chiede mentre mi segue al piano di sotto dopo aver coperto la macchina con un telo.
Dannazione, speravo non se ne ricordasse. “Um, bene.”
“Bene? Allora non hai più l'insufficienza?” Mi guarda, sedendosi davanti al bancone della cucina mentre io cerco negli armadietti qualcosa da cucinare.
“Ehm, papà, ecco... Sai che ti dicevo che la-”
Mi interrompe, alzandosi furioso. “Samantha Williams, prova solo a dirmi che hai ancora l'insufficienza e giuro che andrai a letto senza cena.”
“E tu cosa mangi, allora?” Chiedo piano mentre richiudo una delle ante che avevo aperto.
Scuote la testa. “Mi hai davvero deluso questa volta. Perché non provi ad applicarti un po' di più allo studio invece che fissare quei dementi nudi in TV?”
Ma magari fossero nudi.
Ricomincia. “Speravo di averti trasmesso almeno un po' la mia passione per la Scienza ma ovviamente non c'è niente da fare. Voi ragazzini siete sempre lì attaccati ai telefoni. Non mi meraviglia che in terza liceo vi devono insegnare come si impostano le lettere da spedire!”
Oh, ecco, ci risiamo. Ora mi farà di nuovo il discorsetto sulla responsabilità e su come la società del futuro deve appoggiarsi a noi giovani per evolversi e noi non siamo neanche capaci di trovare il riso al supermercato senza perderci due volte tra tutte le file.
Dopo circa mezz'ora mi spedisce in camera e mi ordina di studiare lo stesso capitolo che dovevo studiare ieri, perché dopo ha una sorpresa per me.
Spero solo che non flirti con la professoressa perchè mi alzi il voto; giuro che cambio scuola, città, faccia e nome se lo fa.
E probabilmente anche impronte digitali, cosicchè il governo non possa provare che sono sua figlia in nessun modo.



Samantha!”
Sobbalzo e mi metto a sedere di colpo, sentendo il libro di Scienze che crolla per terra con un tonfo.
Mi stropiccio gli occhi e mi guardo intorno. Cazzo, mi sono addormentata. Non è colpa mia se Scienze mi fa questo effetto.
“Samantha!”
E arrivo, arrivo! Scendo al piano di sotto e mi guardo intorno per individuare l'uomo che chiamo papà, poi mi trasferisco in soffitta e lo trovo impegnato a sistemare qualcosa sulla macchina del tempo.
“Oh, eccoti qui. Hai studiato?”
“Uh, sì.” Mento, grattandomi la guancia che sicuramente ha ancora le impronte del cuscino.
“Bene, perfetto. Adesso ti spiego cosa faremo. Non ti preoccupare, non è niente di pericoloso. Dammi solo la mano un momento.” Allunga la sua mano e io gli do la mia, guardandomi intorno nel porcile.
“Ahia!” Scatto all'indietro appena sento un ago perforarmi il mignolo. “Ma che diavolo fai?”
“Shh.” Mi zittisce velocemente mentre fa cadere delle gocce di sangue su una specie di piattino bianco che si trova in una delle fessure della macchina. “Okay, dovrebbe essere pronto. Penso di aver fatto tutto.”
“Aver fatto tutto cosa?” Chiedo mentre lo guardo andare avanti e indietro per la stanza e racimolare vari oggetti da terra.
“Vieni a sederti qui, tesoro.” Mi indica una sedia e solo ora capisco cosa vuole fare.
Ma non ci penso neanche, razza di pazzo. “Papà, non hai intenzione di provare quella roba con me per la prima volta, vero? Potrei finire nel bel mezzo della prima Guerra Mondiale, sai?”
“Non dire sciocchezze, funziona che è una meraviglia. Ti mando solo qualche giorno indietro, così che tu possa recuperare la verifica.” Fa spallucce e gli lancio un'occhiata stranita.
“Stai scherzando? Metteresti in pericolo la mia vita solo per farmi recuperare una verifica? Non ci penso neanche, papà.”
“Forza, vieni e siediti qui.” Mi spinge a sedere e io incrocio le braccia sbuffando.
Dovevo essere adottata quando avevo un anno e mia madre ha scoperto che mio padre teneva vari pezzi di metallo qua sopra senza un uso specifico.
Spero solo che mio padre ora non cerchi di riportare in vita mia madre usando questa dannata cosa accanto a me.
Lo guardo manovrare qualcosa prima di annuire e parlare tra sè e sè, e circa due minuti dopo ha finito.
“Okay, tesoro, forse. Dammi di nuovo il mignolo.” Non mi fa neanche alzare la mano che mi afferra il dito e ci attacca una specie di pinza con un cavo che è attorcigliato intorno alla macchina. “Bene, che giorno era la verifica?”
“Il 18.” Borbotto, alzando gli occhi al cielo. Tanto non funzionerà. Nessuna delle invenzioni di mio padre si è mai rivelata utile, funzionante o efficiente. O quantomeno non ridicola.
“Okay, il 18.” Sussurra mentre imposta la presunta data nell'orologio e si rialza in piedi. “Adesso dovrebbe iniziare a muoversi.”
Passiamo circa cinque minuti aspettando che questa specie di rottame inizi a scuotersi e a causare vari cortocircuiti per tutta l'Inghilterra, ma non succede niente. Come avevo previsto.
“Okay, posso tornare in camera?” Chiedo infine, cercando di alzarmi quando mio padre boccheggia.
“Ma che stupido! Ho dimenticato di cliccare sull'orologio. Scusa, tesoro.” Dice prima di inginocchiarsi di nuovo.
Oh, e di che? Picchietto la coscia con le dita mentre aspetto pazientemente che tutto questo provi ancora una volta a mio padre che deve tornare a lavorare in ufficio invece di nominarsi il prossimo Einstein o una cosa del genere.
La macchina inizia a fare vari rumori e entrambi la fissiamo perplessi. Ti prego, fai che non scoppi. Fai che non scoppi e giuro che studierò diligentemente per ogni verifica fino alla fine dell'anno.
Facciamo quasi ogni.
“Funziona!” Urla mio padre quando la sedia su cui sono seduta inizia a traballare e la pinza attaccata al mio dito inizia a mandare varie scosse.
“Ma che diavolo-”
“Oddio, oddio, no! No, no, no! Cazzo, ho impostato l'anno sbagliato-”
“Che cosa?!” Urlo prima di vedere tutto nero e scomparire dalla soffitta.



Atterro su un pezzo di terreno pieno di vermi e vari pomodori marci e mi guardo intorno, sgranando gli occhi quando vedo casette fatte di legno con piccoli camini che rilasciano il fumo.
Dove cazzo sono e come faccio a tornare indietro?
Mi alzo a fatica e mi pulisco le mani sporche di fango sui jeans, iniziando a uscire da quella specie di orto non molto coltivato e ritrovandomi in una strada piena di gente vestita troppo male e troppo coperta. Ma che diavolo è questo posto? Non ditemi che sono finita in un campo di Amish.
Tiro fuori il telefono e cerco di sbatterlo un po' per vedere l'ora, che segna sempre l'ora di quando mi sono seduta sulla sedia accanto a mio padre.
“Mi scusi.”
Mi sposto velocemente e faccio passare una donna in un abito beige che porta un cestino di vimini pieno di frutta e varie verdure.
“Mi scusi.”
Mi sposto di nuovo e osservo il tipo con una calzamaglia medievale che mi passa affianco con dietro un cavallo che lo segue piano piano.
“Mi scusi.”
“E smettila, passami accanto senza rompere i coglioni!” Sbotto, facendo girare ogni persona che passava di lì verso di me. Porca anatra. “Ehm, scusate.”
Ricominciano a camminare mentre io guardo in alto, scorgendo solo edifici in pietra e vari campanili con orologi che segnano le 8;35 di sera.
E io ho fame.
Vediamo di capire dove mi trovo prima di andare a cercare del cibo. O forse potrei mangiare prima di capire dove sono.
No, no, no. É fondamentale che io riesca a orientarmi prima di mangiare, così posso tornare a casa e sbattere la macchina del tempo sulla testa di mio padre e sperare che si risvegli con un cervello.
Evito di sbattere addosso alla gente mentre mi faccio largo tra la folla per raggiungere almeno un cartello che mi dica la via o anche solo la città in cui mi trovo, poi mi blocco quando davanti a me si erge una specie di arco fatto di mattoni con sopra un'insegna: “Benvenuti a Scarborough Fair.”
Dove diavolo è Scarborough Fair e come diavolo me ne vado?
“Mi scusi.”
Mi mordo la lingua solo per non urlare contro un bambino e continuo a fissare l'insegna, poi mi guardo intorno e vedo un calendario pieno di croci rosse su ogni giorno del mese, così mi avvicino e leggo attentamente, poi quasi svengo quando scopro cosa dice.
“18 Marzo, 1313.”
Oddio.
Oddio.
Oddio mio.
Sono finita nel Medioevo. Da sola!
“Mi scusi.”
E svengo.



MASSSALVE.
Stavo per addormentarmi quando mi è venuta in mente una storia.
Come succede sempre, tra l'altro.
Ma vabbè.
Per ora non c'è molto da dire sul capitolo, era solo l'introduzione per i prossimi,
perciò che vi va di leggere un secondo capitolo,
fatemelo sapere.
:)

  
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