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Autore: ClaudiaMili    08/05/2014    0 recensioni
Il loro sguardi si incrociarono e qualcosa negl'occhi di Viktor incominciò a brillare. Sembrava che quel ragazzo avesse le stelle dentro gl'occhi. Era rimasta sbalordita e non smetteva di fissarglieli. Le piaceva il modo in cui parlava gesticolando, il modo in cui le sue labbra si piegavano formando un sorriso. Viktor aveva qualcosa che gli altri ragazzi non avevano e Kalisha lo notò guardandolo negl'occhi. Occhi Viola. Mai visti prima di allora. Un miscuglio tra odio e passione avvolti dall'amore e la paura. Sarebbe rimasta anche tutta la notte a fissarglieli ma non poteva. Doveva andare. Doveva stare lontana da lui. Era troppo pericoloso. Non voleva innamorarsi, doveva solo scappare ma allo stesso tempo desiderava stare lì, con lui. Stava cercando di ascoltarlo mentre parlava, ma la sua testa era concentrata su ogni minimo dettaglio del suo corpo. Era come se non fosse più sulla Terra ma da un'altra parte. Chissà dove, sperduta tra i suoi pensieri. Subito dopo però, ritornò sulla Terra.
«Tutto bene Kalisha? Mi stai ascoltando?» chiese Viktor.
«Sìsì, dicevi..?» rispose ancora rintronata.
«Non mi stavi ascoltando, non è vero?» chiese facendo fare alle due bellissime labbra un enorme sorriso.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Russia. Settembre 1939.
Sentì il rumore di una bomba spaccare il suolo. Mosca ormai era sotto attacco dai suoi nemici, gli Ebrei. La città era distrutta, i palazzi cadevano a pezzi e gli abitanti non sapevano più dove andarsi a nascondere. Nessun posto era ormai sicuro. Da quando c'era la dittatura, Mosca sembrava non essere più una vera e propria città. Kalisha, una ragazza di appena 18 anni con una bellezza quasi divina, alta e snella con due occhi color prato, capelli lunghi e neri come l'avorio, labbra rosse e sottili, se n'è stava seduta in cucina parlando con sua sorella, Kristine.
Kalisha era la tipica ragazza tranquilla e timida, ma allo stesso tempo coraggiosa e tenace. Amava la musica classica e fin da quando aveva 8 anni adorava andare per i prati con sua madre cercando l'avventura, però, all'età di 9 anni sua madre morì a causa di una malattia. Suo padre fu sconvolto dal dolore. Da quel giorno in casa regnava la tristezza e la solitudine.
«Dovremmo trovarci un posto migliore di questo... Non possiamo vivere nella paura! » disse Kristine.
« E dove potremmo andare Kristine? Sai benissimo che da qua è impossibile scappare!» Azzardò Kalisha.
«Si, lo so... Ma non voglio più stare qua! Pensa anche a papà. Da quando è morta la mamma non chiude occhio. Questo posto le ricorda troppo lei... E anche a noi. Dobbiamo parlare con papà!» decise infine Kristine.
Arrivò la sera e il padre tornò a casa da lavoro. Non era prudente uscire fuori a causa delle bombe ma per sfamare la propria famiglia lo doveva fare. Il padre, Gaston, faceva il falegname fuori città. Lavorava duramente portando a casa poco cibo. Era una famiglia povera, come il resto della popolazione. Ogni giorno, per strada, si vedevano sempre più cadaveri. Certi si suicidavano a causa dello stress e altri morivano a causa della peste. Le ragazze incominciarono a preparare la cena. Si sedettero a tavola e iniziarono a mangiare quel poco che avevano preparato.
«Padre, io e Kristine dovremmo parlarvi!» annunciò Kalisha.
«Certo, ditemi pure » rispose.
Subito dopo incominciò a parlare Kalisha. «Sai padre... Sarebbe davvero bello poter cambiare un po'.. Ricominciare da..» Kristine la interruppe.
«Papà, non possiamo continuare a vivere così. Questa è una tortura! Perché dobbiamo svegliarci con la paura che quel giorno sarà l'ultimo!» Urlò alzandosi bruscamente dal tavolo e facendo cadere il piatto.
«Figlia...Ascolta...» disse Gaston.
«No padre, ascoltami tu. Siamo come in prigione ormai. Davvero vuoi continuare a vivere così?»chiese Kristine esausta.
«Certo che no, ma non abbiamo altra scelta. Dobbiamo stare qui e aspettare che finisca questa guerra!»
«Padre, questa guerra non finirà mai !» si intromise Kalisha anche lei esausta, si alzò dalla tavola se n'è andò via. Prese il giubbotto e aprì la porta con furia. Le era sempre stato proibito uscire, soprattutto la sera ma in quel momento non gliene importava più nulla. Voleva solo stare da sola. Perché suo padre non capiva che quello che stavano vivendo non si chiamava Vita? Lei avrebbe desiderato con tutto il cuore essere lontana km e km da quel posto ma non poteva. Voleva incominciare veramente a Vivere. A comportarsi come una vera diciottenne e non scappando senza un posto dove esser al sicuro. Voleva solo questo, ma forse, voleva l'impossibile.

Gaston e Kristine la rincorsero ma lei sparì tra la nebbia. Incominciarono a urlare il suo nome ma senza nessuna risposta. Non sapevano dove potesse essere andata e in più c'era una nebbia molto fitta. Non si diedero per vinti però. Cercarono in ogni via, in ogni posto conosciuto da solo loro tre. Ma nulla. Lei non c'era più. Sfiniti, tornarono a casa sperando di trovarla là, ma di lei nessun segno. Sembrava che fosse stata risucchiata dalla nebbia.
«Dove può essere andata me lo dici Kristine?» chiese il padre.
«Non lo so padre... Di certo non può essere andata lontana! Deve essere qui da qualche parte, solo che noi, magari, non l'abbiamo vista. Domani mattina la cercheremo di nuovo, non ti preoccupare, ora riposati padre.» disse Kristine una voce calma ma allo stesso tempo preoccupata.
«Io non riesco a dormire sapendo che mia figlia ora si trova fuori, da sola... E noi siamo qui.»
«Lo so padre, ma lei è una donna forte e s'è la caverà, ne sono sicura. Ora riposati.»rispose con voce sicura. Gaston annuì e si lasciò trasportare dal sonno e dal rumore dei suoi pensieri.
Kalisha, intanto, si era persa e incominciò a rimpiangere di essere scappata di casa. Perché lo aveva fatto? Per colpa sua ora suo padre stava male. Lei lo sapeva. Aveva tanto freddo e tanta fame, voleva solamente trovare un posto per passare la notte e iniziare bene il giorno successivo. La cosa che voleva di più  però era ritornare a casa. Dentro di sé sentiva di aver fatto la cosa giusta. Sentiva di poter cambiare le cose. Lei c'è la poteva fare. Doveva farlo. Per suo padre, sua sorella e,infine, sua madre, che le mancava come il respiro. Voleva cambiare il mondo ma aveva troppa paura. Era come se qualcosa la bloccasse. Qualcosa di oscuro voleva che lei rimanesse sola. Sembrava quasi che, quando era uscita dalla porta di casa sua, lei non era più nel suo corpo. Era come se qualcosa si era impadronito della sua mente e le avesse detto di scappare. Doveva solo trovare un posto dove passar la notte e per il resto ci avrebbe pensato il giorno successivo. Trovò un palazzo ormai abbandonato, ci entrò e vide una porta socchiusa, l'aprì e disse « C'è qualcuno?». Nessuna risposta. Si guardò intorno e vide che la maggior parte degli oggetti erano bruciati. C'era stato un incendio in quella casa notò. Cercò subito la camera da letto in quella casa, e vide un morbido letto anche lui, quasi bruciato, ma ancora integro. Ci si sdraiò sopra e si lasciò trasportare dai sogni.
L'indomani Gaston e Kristine si alzarono presto e uscirono per cercare Kalisha, però Mosca era grande quindi decisero di dividersi. Cercarono in ogni angolo, in ogni via ma di lei non c'era l'ombra. Non era possibile che fosse svanita così. Doveva pur essere da qualche parte. Il padre si promise che finché non avrebbe trovato la figlia, non sarebbe ritornato a casa e così fece. La cercò fino allo sfinimento, ma ancora nulla. Non la vedeva da un giorno e già le mancava come l'aria. Quando la madre Laryisa morì, Kalisha si legò ancora di più al padre, ormai lo considerava più un amico al quale poter raccontare tutto, che un padre. Di solito i padri si occupavano più di portare a casa i soldi, era la madre a preoccuparsi dei bambini. Si fece sera e i due ritornarono a casa anche se avrebbero dovuto stare fuori ancora per un po'. Non volevano smettere di sperare. Kalisha, il mattino seguente, non appena aprì gli occhi si ritrovò faccia a faccia con un cagnolino. Era ancora un cucciolo e non appena vide che la ragazza fu sveglia le incominciò a leccare la faccia scodinzolando. Kalisha fu sorpresa e si chiese da dove venisse quel adorabile cagnolino; notò che al collo portava una medaglietta con inciso "Puka". Controllò bene e vide che era un maschietto, nero con due macchie, una sulla coda e una sull'occhio, bianche. Aveva due occhi così innocenti che se n'è innamorò perdutamente. Kalisha, che amava molto gli animali, lo prese in braccio e lui, svincolandogli, le mordicchiò la mano. Capì che il cagnolino aveva fame ma lei non aveva nulla con sé da mangiare. Uscirono all'aperto e notò Mosca era diversa. La gente sorrideva e andava al mercato, i bambini andavano a scuola e i genitori a lavoro. Non aveva mai visto la sua città, dove era nata e cresciuta, così felice. Sembrava che tutti avessero dimenticato che c'era una guerra. La città che lei odiava tanto le stava incominciando a piacere.
« Guarda Puka, quanta gente! Non ne ho mai viste così tante tutte insieme! Magari la guerra sta finendo!» azzardò Kalisha. Il cagnolino abbaiò e iniziò a correre in mezzo la folla, Kalisha fu costretta a inseguirlo, gridò più volte il suo nome ma il cane non l'ascoltava e continuò correre finché non girò l'angolo e si fermò. La ragazza, ormai con il fiatone, non capì perché il cane l'avesse condotta lì.  Si abbassò per accarezzarlo ma subito dopo incominciò a saltare davanti a una porta, graffiandola.
«Puka smettila! Non puoi rovinare le porte degli altri!» disse Kalisha, ma il cane non si fermò e incominciò a saltare ancora più in alto che a un certo punto aprì la porta.
«Noo Puka, vieni fuori! Non puoi entrare in casa degli sconosciuti così!»  lo sgridò Kalisha. Ma ormai il cane era dentro e non ne voleva sentire di uscire fuori. Allora entrò anche Kalisha. In casa non c'era nessuno, sembrava quasi disabitata. Non capiva perché Puka l'avesse condotta lì. Ad un certo punto, il cane fece cadere una cornice con una foto dentro. Kalisha la raccolse e vide delle persone mai viste prima, in basso a destra c'era scritto:14 Aprile 1922. Incominciò a pensare che quella casa appartenesse a quella famiglia ed era così. Notò anche un cagnolino che assomigliava a Puka e da lì capì perché Puka l'avesse condotta lì. Voleva mostrarle la sua famiglia, ormai scomparsa. Le lacrime incominciarono a rigarle le guance, non osava immaginare il dolore che avesse provato il cagnolino per la perdita della sua unica famiglia. Incominciò a guardare le altre foto posti sullo scaffale, ne vide una che la colpì in particolare. C'era una donna con un abito rosso perlato, capelli biondi e di fianco un ragazzo in smoking con in braccio Puka. Il ragazzo era molto giovane e molto bello, capelli mossi neri, un fisico un po' muscoloso, ma la parte che notò e che le piacque furono i suoi occhi. Erano di un colore strano, quasi irreale. Non aveva mai visto prima di allora occhi così. Viola. Occhi viola come la striscia dell'arcobaleno. D'un tratto qualcuno le toccò la spalla e lei si spaventò tanto che urlò.
«Chi sei?» chiese spaventata Kalisha.
«Chi sei tu piuttosto ? Cosa ci fai a casa mia?» chiese il ragazzo.
«Oh, scusami, non pensavo che ci abitasse ancora qualcuno... Meglio che vada ora, ciao.» disse con tanta vergogna Kalisha. Il ragazzo la prese da un braccio e la tirò verso il suo corpo con tutta la sua forza. Le loro labbra si sfiorarono appena. Kalisha sentiva il rumore del suo battito battere più forte del normale e notò che anche il suo lo stava facendo. Il ragazzo fece un sospiro che per Kalisha sembrò non finire mai. Poi incominciò a parlare. « Dimmi come sei entrata qui!» disse il ragazzo con una voce fredda.
«Mi ha condotta il cane...» rispose indicando il cucciolo.
«Ah, quindi vuoi farmi credere che è stato il cane a portarti qui? E vuoi farmi anche credere che il cane ha aperto la porta giusto?» chiese ironico.
«Senti! Se non mi vuoi credere, non farlo. Io so come sono andate lo cose e te lo sto dicendo. Se non mi credi è un problema tuo. Ora, scusami, ma devo andare via, ciao!» disse ormai straziata e se n'è andò. Il ragazzo vide che il cane la stava rincorrendo e capì che quello che aveva detto Kalisha era la verità.
«Aspetta!» urlò rincorrendola. « Ti credo!»
«Ah, ora mi credi? » rispose con tono arrabbiato.
«Sì! Ci sarà un motivo se Puka ti abbia portata qui!»
«Ah, non lo so.. Aspetta... Come sai che il cane si chiama Puka?» chiese confusa e stupita.
«Lo so perché si darebbe il caso è questo cane appartenga a me e di solito non hai mai portato qualcuno qui. Questo posto è solo nostro.» spiegò il ragazzo accarezzando Puka. Dopo ci fu un lungo silenzio che si trasformò in un silenzio imbarazzante.
«Scusami, non mi sono presentato, che stupido. Io sono Viktor. Tu invece... Sei?» chiese imbarazzato porgendole la mano. Kalisha si presentò a sua volta stringendogliela. Ci fu un altro lungo silenzio.
« Allora... Ehm... Cosa ci fai da queste parti Kalisha?»
«Un giro.. » Mentì.
«Sicura ? Hai la faccia di una che non dorme da due giorni!» disse Viktor.
«Bhe, in verità... Mi sono persa. Sono scappata di casa e ora me ne sono pentita. Non conosco bene Mosca anche se sono nata e cresciuta qui.» ammise Kalisha.
«Capisco.. E come mai sei scappata?» chiese Viktor.
«Mio padre... Non vuole capire che quello che stiamo passando non si chiama vita, è una tortura. Lui lavora tutto il giorno e quello che porta a casa non basta nemmeno per pagare l'affitto. Non parliamo del cibo. Ci sono sere che non mangiamo nemmeno perché non ci bastano i soldi per un pezzo di pane.» spiegò Kalisha.
«Ti capisco Kalisha, da quando i miei genitori sono morti, sto passando anche io questo periodo.» rispose.
«Avevo proposto a mio padre di andarcene via. Io, lui e mia sorella Kristine, ma nulla. Non ci vuole dare ascolto!» disse scoraggiata.
«E dove vorresti andare Kalisha? Sai cosa fanno alle persone che tentano di scappare vero?» chiese.
«Si, lo so... Però io non voglio continuare a vivere così. Avendo paura.» ammise Kalisha.
Viktor le fece segno di sedersi e le portò una bella tazza fumante di the.
«Bevi! Ti farà sentire meglio, vedrai.»disse incoraggiandola.
«Grazie Viktor.»
Il loro sguardi si incrociarono e qualcosa negli occhi di Viktor incominciò a brillare. Sembrava che quel ragazzo avesse le stelle dentro gli occhi. Era rimasta sbalordita e non smetteva di fissarglieli. Le piaceva il modo in cui parlava gesticolando, il modo in cui le sue labbra si piegavano formando un sorriso. Viktor aveva qualcosa che gli altri ragazzi non avevano e Kalisha lo notò guardandolo negli occhi. Occhi Viola. Mai visti prima di allora. Un miscuglio tra odio e passione avvolti dall'amore e la paura. Sarebbe rimasta anche tutta la notte a fissarglieli ma non poteva. Doveva andare. Doveva stare lontana da lui. Era troppo pericoloso. Non voleva innamorarsi, doveva solo scappare ma allo stesso tempo desiderava stare lì, con lui. Stava cercando di ascoltarlo mentre parlava, ma la sua testa era concentrata su ogni minimo dettaglio del suo corpo. Era come se non fosse più sulla Terra ma da un'altra parte. Chissà dove sperduta tra i suoi pensieri. Subito dopo però, ritornò sulla Terra.
«Tutto bene Kalisha? Mi stai ascoltando?» chiese Viktor.
«Sìsì, dicevi..?» rispose ancora rintronata.
«Non mi stavi ascoltando, non è vero?» chiese facendo fare alle due bellissime labbra un enorme sorriso, pure quello bellissimo.
«No, scusami. Ero concentrata su...» Kalisha non riuscì a finire la frase che Viktor la interruppe.« I miei occhi?». L'aveva scoperta. Sì, stava guardando i suoi occhi, ma preferiva mentire che dirgli la verità. Doveva difendersi da tutta quella bellezza.
«No, stavo pensando a mio padre e mia sorella...»
«Va bene Kalisha, faccio finta di crederti!» rispose Viktor. Gli bastarono uno sguardo per scoppiare a ridere. Ridevano così forte che smettere era un'impresa impossibile. Era l'ora di pranzo e Viktor incominciò a preparare un ottimo piatto a base di insalata con pomodori e un pezzo di carne alla griglia. Per Kalisha quello fu stato il miglior pranzo di sempre. Se fosse stato per lei non s'è n'è sarebbe mai andata via da lì. Mai via da lui. Decisero di uscire a farsi una passeggiata, all'inizio Kalisha non volle per paura, ma Viktor la convinse che se era con lui sarebbe stata al sicuro e così fu. Lei era al sicuro con lui, si sentiva protetta e completa. Era una sensazione che non aveva mai provato prima. L'ultima cosa che voleva era innamorarsi di un perfetto sconosciuto. Lei, che era sempre stata negata con le relazioni, ora, eccola la, in giro per le strade di Mosca in compagnia di un bel ragazzo. Avrebbe voluto che suo padre ora la vedesse, ma era impossibile. Si trovava dall'altra parte della città e non sapeva nulla su come arrivare a casa sua. Entrarono in una zona privata dove Kalisha ebbe subito paura per le troppe guardie con i fucili in mano pronti a sparare al comando. Viktor si sentiva come se fosse a casa. La ragazza divenne confusa.
«Come fai a conoscere tutte queste persone?» chiese Kalisha.
«Amici... Tranquilla. Sei al sicuro qui con me!» la rassicurò abbracciandola forte. Kalisha diventò tutta rossa. Voleva urlare. Esprimere tutta la sua felicità al mondo, urlando. Strappandosi le corde vocali e urlando ancora più forte, finché un sibilo non gli uscisse dalla bocca. Solo allora avrebbe urlato veramente.
«Cosa ci facciamo qui Viktor?» chiese Kalisha.
«Devo fare una cosa...» le disse. Arrivarono davanti a un cancello alto almeno una trentina di metri. « Aspettami qua, torno subito!» disse baciandola sulla fronte. Fece segno alle guardie di aprire il cancello e loro obbedirono. Arrivò dall'altra parte e bussò, questa volta a una porta, che a sua volta si aprì e Viktor sparì.
  
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