Questa
storia è nata mentre guardavo la quarta stagione di White Collar,
mancano
quindi riferimenti agli ultimi episodi della quarta e alla quinta
stagione. La
storia è completa e composta di 13 capitoli. Ho scelto il rating
arancio per
via degli argomenti trattati e di alcuni momenti un po’ hot, ma si
tratta di
accenni. Buona lettura.
I
personaggi riconoscibili non mi appartengono, sono proprietà di chi ne
detiene
i diritti; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Una
sera come le altre
La
giornata era stata intensa, non pericolosa o particolarmente frenetica,
solo
piena di documenti da leggere e moduli da compilare. Neal Caffrey era
tronato a
casa da qualche ora, nell’attico a Manhattan in cui grazie a June
abitava, si
era fatto una doccia e una cena veloce. Ora si trovava seduto in
terrazzo, un
bicchiere di vino rosso in mano e lo sguardo fisso davanti a lui. Neal
non
prestava nessuna attenzione al buffo animale decorativo di pietra, la
sua mente
era concentrata sul caso proposto da Peter quella mattina. Stavano
indagando su
di un furto di alcune opere presso un ricco collezionista privato
dell’Upper
East Side: due quadri, un cofanetto, alcuni gioielli e tre statue, due
di
autori contemporanei molto quotati e una proveniente dall’antica Roma,
un busto
di donna. Era proprio quest’ultimo pezzo a preoccuparlo. Peter, senza
darci
troppo peso, gli aveva chiesto: “Ti viene in mente nessuno che potrebbe
essere
interessato ad un’opera del genere?”
Neal
aveva finto di pensarci su qualche secondo e poi aveva buttato li due
nomi a
caso, due ladri ben noti all’FBI. Uno solo era però il nome che gli era
venuto
in mente: Alex.
Finito
il lavoro Peter Burke era tornato a casa, ben felice di trovare sua
moglie e la
cena ad aspettarlo. Lui ed Elizabeth avevano chiacchierato del più e
del meno.
Dopo aver portato Satchmo a fare un giretto, Peter si era deciso ad
andare a
letto. Per tutto il tempo un pensiero lo aveva tormentato, poco prima
di uscire
dall’ufficio Diana gli aveva riferito che una vecchia conoscenza era
tornata in
città: Alexandra Hunter. La ragazza era una truffatrice ed un ladra,
appassionata di manufatti antichi, il furto dai Conard non poteva
essere una
coincidenza. L’indomani avrebbe parlato con Neal, voleva sapere se
l’aveva
rivista o se aveva tentato di mettersi in contatto con lui. Peter
sapeva di
dover stare molto attento con Neal, il legame tra il suo consulente e
la Hunter
era poco chiaro, ma resistente. Con questo pensiero Peter Burke si
addormentò.
Alex
sapeva di non poter andare in albergo, li FBI l’avrebbe rintracciata
subito,
per fortuna aveva ancora molti amici, uno di questi era stato così
gentile da
offrirle le chiavi del suo appartamento per qualche giorno. Aveva solo
una
piccola borsa e non aveva nemmeno intenzione di disfarla, mangiò
velocemente
qualcosa ed uscì. Era stupido essere tornata a New York, ma doveva
assolutamente vedere Neal.
Il
suono insistente del cellulare svegliò Neal dalla scomoda posizione in
cui si
era addormentato sulla sedia in terrazzo. Guardò l’orologio e vide che
erano le
2.00 a. m. Lesse il messaggio che lampeggiava sul cellulare: Sono di
sotto,
puoi farmi salire. A.
Neal
si alzò e scese ad aprire alla sua ospite. Alex sulla porta era vestita
di
nero, pantaloni molto aderenti ed un maglioncino leggermente più scuro,
una
catenina spariva nello scollo a V.
“Che
ci fai qui?” chiese Neal abbracciandola. Vedersela sulla porta aveva
risvegliato
i suo timori, sperava non fosse coinvolta nel furto su cui stava
indagando, non
voleva dover scegliere tra lei ed il suo lavoro all’FBI.
“Volevo
vederti” fu la risposta sussurrata della ragazza. Neal la guardò
sorpreso, non
era da Alex essere così diretta, le allusioni tra loro non erano certo
mancate
in passato e neanche le avance reciproche e i doppi sensi, presentarsi
a casa
sua nel cuore della notte, sapendo di essere ricercata dall’FBI, era un
po’
oltre l’idea di gioco, anche per Alex.
Neal
accompagnò di sopra la ragazza e la fece accomodare offrendole un
bicchiere di
vino rosso, calice che lei accetto e bevve tutto di un sorso riponendo
il
bicchiere sul tavolo.
Neal
era sempre più confuso. La guardava per capire cosa l’avesse spinta da
lui, ma
Alex non parlava, si limitava a spostare lo sguardo qua e là per la
stanza,
come se non sapesse bene da dove cominciare.
“Sono
felice di vederti, ma non credi che sia un po’ rischioso?” chiese Neal
cercando
di catturare il suo sguardo. La ragazza si limitò a fissare il bordo
del
bicchiere per qualche secondo, poi alzò piano la testa e quando
incrociò gli
occhi azzurri di Neal disse: “Ti ho mentito”
“E
io ho mentito a te, ti ricordi, Neal e Alex è quello che siamo, l’hai
detto tu”
disse il ragazzo citando un frase che lei gli aveva detto qualche tempo
prima,
tentando di sdrammatizzare, non riusciva a capire questa Alex,
taciturna e
senza parole.
“No
questo è diverso…” iniziò lei e quando lui fece per interromperla lo
zittì con
un lieve tocco sulle labbra “…ricordi Milano dodici anni fa” sussurrò
Alex.
Neal
fece di si con la testa, come poteva dimenticare.
“Ti
ho mentito” ripeté lei prendendogli una mano e fissandolo negli occhi,
quasi mormorando
aggiunse “Non sono mai andata all’ospedale…”
Neal
non credeva alle sue orecchie “Stai dicendo che…” non finì la frase,
non ce
n’era bisogno, leggeva negli occhi marroni velati di lacrime, che Alex
non
stava tentando di prenderlo in giro, forse per la prima volta era
davvero
sincera.
“Come
si chiama?” chiese Neal con un tono più aspro di quanto lui stesso
avrebbe
voluto.
Alex
guardò un attimo nel vuoto fuori dalla finestra, ma Neal le prese il
viso tra
le mani costringendola a guardarlo negli occhi “Come si chiama?” ripeté
il
truffatore cercando di mettere un po’ di dolcezza nella voce.
“Chiamano…”
sussurrò Alex ancora bloccata dalla mano di Neal “ si chiamano… Ariel e
Nicholas, erano due, gemelli”
Neal
faticava a riordinare le idee “Due” sussurrò più a se stesso che ad
Alex.