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Autore: Daerea    11/05/2014    9 recensioni
[Storia Interattiva]
"Sembrava che i tuoni si piegassero sotto il suo respiro e l'aria si formasse dalla sua pelle, carica di elettricità.
Mr. Andrews si fece coraggio e sussurrò, tremante: - L-lei chi è?-
La sagoma, che aveva poi identificato come un uomo sulla quarantina, con la barba brizzolata lasciata crescere un pò troppo, sghignazzò, per poi tornare alla sua posizione autoritaria. Come se ce ne fosse bisogno davanti ad un biologo di periferia più che trentenne.
Richiamò a sè un fulmine, o almeno era quello a cui somigliava di più data la parvenza uguale ad una lancia completamente avvolta in elettricità pura.
-Io sono Zeus, Re degli Dei e del Cielo e sono qui per reclamare la figlia proibita-
Quello che successe dopo rimase un mistero."
*
Cinque semidei dovranno rispondere alla chiamata, per salvare la figlia nata da una relazione proibita.
Il dio dei morti sarà contro di loro. Riusciranno a liberarla?
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Altro personaggio, Nuova generazione di Semidei, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo
Stava arrivando la tempesta



CLICK
Il presentatore del programma iniziò a parlare delle notizie quotidiane. Crimini, qualche furto, cause civili tra persone non tali, celebrità che cambiavano il taglio di capelli e altre cavolate simili. Erano sempre le stesse maledettissime notizie.
Mr. Andrews si sistemò sulla poltrona.
Non si poteva dire una serata eccitante, quella. La solita pizza al cartone, il solito telegiornale, le solite soap dopo il telegionale. Per quanto la sua vita era monotona, quasi pensava di morirci, su quella poltrona.


Mr. Andrews si definiva una persona ordinaria, per così dire.
Aveva un lavoro onesto, non che ci ricavasse chissà quali ricchezze, ma si riteneva modestamente agiato. Sempre una persona calma, pacifica, che si faceva gli affari suoi a condizione che gli altri si facessero i loro. Non andava contro a nessuno, ma almeno pretendeva quel minimo di rispetto per il quieto vivere. Risiedeva in un piccolo quartiere nella periferia di New York, che non si poteva definire il posto più sicuro, ma neanche ai margini della società. Lì le persone sapevano cosa voleva dire starsene per conto proprio. Forse era proprio questo che l'aveva spinto ad abbandonare il sogno della Grande Mela.
Per tutti gli abitanti, bambini o adulti, della sua vecchia città, l'obiettivo della vita era andarsene da quel buco. Sì, perchè quella piccola cittadina del Kentucky si definiva e si faceva definire un buco. Un gruppo di edifici adibiti alle attività lavorative, una scuola che a dir bene si chiamava così, un ammasso di abitazioni rudimentali. Un bel posto in cui crescere, insomma.
Di certo non era rimasto a piangersi addosso, non James Richard Andrews. Tutti dicevano che era il ragazzo più promettente di quella comunità dimenticata da Dio. Si ricordava ancora, a distanza di almeno vent'anni, le loro facce sollevate quando lo avevano visto partire.
Lui non si considerava tutto questo genio come lo identificava la maggior parte della gente che conosceva. Era stato un bambino studioso, quello sì, per poi diventare un ragazzo diligente e meticoloso. Mai un richiamo, un'insufficenza. Di certo, poteva dire di non aver mai deluso i genitori, ma non aveva mai avuto una gran autostima.
Il solito secchione, come l'avrebbero chiamato ai quei tempi. Un piccolo essere che girovagava per la scuola, collezionando riconoscimenti uno dopo l'altro, ma neanche capace di instaurare uno straccio di rapporto umano. Il piccolo essere che passava più tempo con le piante che con il resto del mondo. Sembrerà strano, sembrava strano anche a lui, ma non riusciva a spiegarsi come potesse sentirsi cosi bene vicino a qualsiasi presenza vegetale, in particolare i fiori. Oh, per i fiori andava giù di testa.
Li piantava dappertutto, in camera sua, sui davanzali delle finestre, perfino qualcuno nel giardino dei vicini perchè il suo era talmente piccolo che non ci sarebbe stato nemmeno spazio per camminarci. Ovviamente doveva prendersene cura lui tutti i giorni, qualche ora prima che i vecchi Helman tornassero dalla loro visita pomeridiana al centro di ricovero anziani. Dicevano di non volere un moccioso che si aggirava nel loro giardino armato di annaffiatoio e concime mentre loro leggevano, facevano i cruciverba e quasi ogni tipo di intrattenimento per pensionati. Intanto lui si guadagnava qualcosina per poter regalarsi un minimo di lusso, giusto l'indispensabile per un ragazzino del buco.
Poteva biasimarli? No, certo che no.
Arrivare alla loro veneranda età in quella città era considerato utopiaco. Significava che avevi avuto abbastanza fegato per farti una vita fra la miseria più assoluta e continuare a navigarci fino alla morte. Persone come quelle avevano il suo più pieno rispetto. Considerato anche il fatto che si trovava strano da solo, perciò li capiva ancora di più.
Non solo si sentiva meglio con i fiori, letteralmente meglio, ma dopo un pò che se ne prendeva cura iniziava a parlarci. Gli raccontava le sue giornate, i suoi pensieri, i suoi desideri e loro sembravano capire. Almeno questo era quello di cui si convinceva Mr. Andrews. Magari un giorno si piegavano verso un lato del vaso quasi ad acconsentire, oppure sembravano rinvigorirsi o deprimersi a seconda del suo umore.
Non si spiegava l'inizio di questa ossessione. Da bambino non aveva dato nessun segno dal quale si potesse dedurre tutto ciò e neanche da adolescente. La maggior parte, compresi i suoi genitori, la consideravano una cosa passeggiera, momentanea. Lui sapeva che non era così.

Per questo, alla prima occasione non ci pensò due volte prima di andarsene. Un imprenditore aveva sentito parlare di questo misterioso "ragazzo dei fiori" e si era interessato al suo rendimento scolastico, tanto da offrirgli una di quelle famigerate borse di studio a quei fantomatici college di cui il nome è troppo ampolloso da pronunciare. Inutile dire che aveva accettato l'attimo in cui i suoi insegnanti gli avevano riferito che sarebbe dovuto partire.Nulla contro i cittadini della sua città, per carità. Erano, per la maggior parte, persone per bene, tradizionaliste e confortevoli. Magari qualche eccezione, ma niente di così importante da tenerne conto. Era solo stanco di essere il ragazzino prodigio che parlava alle piante. Stanco di essere giudicato solo per una stupida ossessione. Spesso si chiedeva a cosa servisse quel dannatissimo proverbio "Mai giudicare un libro dalla copertina", quando la gente non si preoccupava neanche di andare nell'ipotetica libreria. Probabilmente lo avrebbero ricordato come un adolescente problematico. E questo lo faceva soffrire.Anni dopo non aveva ancora trovato la risposta.


Aveva lasciato quel college dopo solo un anno. Se in una cittadina nel niente più assoluto si sentiva giudicato, lì si sentiva sotto processo ogni secondo che passava. Gli studenti lo deridevano, lo schernivano e lo facevano incontrare con i luoghi più disgustosi dell'intero edificio, i quali più frequenti erano il gabinetto e il bidone dei rifiuti.
Ci si dovrebbe aspettare un comportamento civile da dei ragazzoni di diciotto anni ormai cresciuti, no? Soprattutto in una scuola come quella, che di ampolloso aveva solo il nome. Invece i suoi persecutori erano i soliti ragazzoni che frequentavano quel college solo perchè erano bravi a tirarsi qualche pugno o colpire una stupida pallina con una mazza, manco fossero cavernicoli. Lui era il solito piccolo essere, non poteva nulla contro di loro.
Così, la sua ambita laurea in biologia andò giù per il gabinetto, perfino più velocemente della sua testa. Aveva poi trovato un lavoro come ricercatore, probabilmente di fortuna, a New York.
Era davvero un momento di intensa crisi se avevano accettato uno sconosciuto accompagnato da uno straccio di diploma superiore e un tentativo fallito di laurea. L'avranno considerato un fallito, ma sta di fatto che il lavoro l'aveva ottenuto, perciò non si poteva lamentare. I suoi colleghi lo avevano sempre guardato con aria di superiorità, nemmeno fosse un idiota, ma lui aveva semplicemente lasciato correre. Forse un giorno ci avrebbe riprovato, ma il quel momento proprio non era nelle sue priorità.

Ripensandoci, stava iniziando ad apprezzare la sua monotonia.
La sua poltrona sembrava stranamente più comoda e la pizza stranamente più apprezzabile. Apprezzabile, non effettivamente buona, quello mai. Eppure i soldi per permettersi qualcosa di meglio li aveva, semplicemente non vedeva perchè doveva scomodarsi. Il fattorino era così gentile.
Non era mai stata una persona molto attiva, ma neanche pigra. Faceva il giusto necessario, non si aspettava più di tanto e viveva nella quiete più totale. Forse, l'unico periodo in cui poteva veramente affermare di avere effettivamente vissuto era quando aveva conosciuto lei.
Ancora se la ricordava come se fosse ieri.
Il suo sorriso era la cosa più bella che avesse mai visto. Era così raggiante che sembrava che la natura si risvegliasse ogni mattino solo per essere rallegrata da quel sorriso. Si erano conosciuti a Central Park la primavera scorsa.
Aveva pensato che quella fosse la giornata giusta per uscire a prendere una boccata d'aria, nonostante fosse carico di lavoro da svolgere. Stava analizzando qualche campione di laboratorio sul computer, tranquillo sulla sua panchina, quando ad un tratto questa magnifica ragazza gli si avvicinò e gli chiese se il posto era occupato.A distanza di vari anni e nonostante l'avesse conosciuta bene, ancora considerava da "cretino" la sua reazione.
Iniziò a balbettare qualcosa come un "siediti pure" e si spostò qualche centrimetro verso la fine della panchina. Peccato che quella era letteralmente la fine della panchina. Cadde sulla schiena e si attutì il colpo con il portatile. Inutile dire che si ruppe.
Sembrerà strana una reazione del genere davanti ad una ragazza, la sua vita ormai girava con un cartello con su scritto "stranezze" sopra, pensò. Ma era di una bellezza da mozzare il fiato. I lunghi capelli castani erano raccolti che sembravano, almeno così pareva a lui, probabilmente per colpa della botta, intrecciarsi da soli in piccoli fiorellini lungo le ciocche. Gli occhi erano del colore del prato alle prime ore del mattino, quando sia i raggi della luna sia del sole sorgente si incontrano nelle gocce di rugiada. Indossava una tuta da jogging ed era evidentemente affannata dalla corsa, cosa che la rendeva ancora più bella di quanto non fosse già. Colpa delle guance che si coloravano di rosso, sia le sue sia quelle di Mr. Andrews.
Lo aiutò a rialzarsi e a rimettere insieme i pezzi del computer sparsi nel terreno. Il biologo, come gli piaceva considerarsi, pensava di aver trovato un angelo. Il suo angelo.
Scoprì che anche lei era un'appassionata di piante e insieme finirono di analizzare i campioni su un modesto tacquino che si era portato dietro. Non si era sentito così in pace neanche con i fiori. Quella ragazza era il suo piccolo angolo di serenità, anche se si erano conosciuti da poco tempo. Se ne innamorò dal primo momento in cui la vide e così fece anche lei, qualche mese dopo.
Erano la coppia perfetta, si diceva.
Lui andava a lavoro e lei rimaneva a casa a badare alle piante, il loro simbolo di insieme. Comprarono l'abitazione in cui ora viveva lui e che non aveva mai avuto intenzione di lasciare, neanche quando lei se ne era andata.
Sembrava la vita perfetta, in un mondo perfetto. Era la quiete prima della tempesta.

Decise di proporle il matrimonio qualche tempo dopo.
Era folle sposarsi dopo essersi conosciuti solo per pochi mesi, ma lui sapeva di aver trovato quella giusta. Il suo cuore glielo faceva sentire, lo gridava in tutti i modi. Oppure stava solamente cercando di nascondergli la verità.
Aveva iniziato ad essere sempre più distante in quel periodo, con l'avvicinarsi dell'autunno. Aveva sempre più spesso un'espressione nostalgica e cercava sempre di più la solitudine. Non poteva biasimarla, anche lui cercava a volte di rimanere solo, perciò aveva dato la colpa di tutto questo all'ansia. Pensava che si stesse rattristando perchè non riceveva nessuna proposta.
Nel periodo precedente a quello, poi, si erano avvicinati ancora di più. Era più passionale, più desiderosa. Aveva iniziato anche a parlargli della possibilità di avere figli e lui aveva cercato di accontentarla. Lui sapeva che era quella giusta e avrebbe fatto di tutto per renderla felice.
Tra i suoi precedenti desideri e il suo recente distacco, si era deciso che quello era il momento giusto.

L'aveva portata nel ristorante più bello della città, che si affacciava in uno splendido gazebo, e aveva riservato la vista migliore, esattamente davanti al tramonto che dava sulla terrazza dell'edificio. Aveva organizzato tutto per rendere quella serata perfetta, renderla la loro serata.Si ricordava di aver sudato costantemente durante la cena, tanto da preoccuparsi principalmente di non far scivolare la scatola quando il momento sarebbe arrivato. Provava e riprovava il discorso da fare, mille e altre mille volte. Non gli importava di avere un'espressione da pesce lesso o peggio, l'importante era quello che sarebbe arrivato dopo. Dio, quanto se ne pentiva ora.
La portò dentro il gazebo, davanti al cespuglio di fiori più belli. Lo sapeva perchè glielo aveva raccomandato il proprietario della tenuta. Lei era meravigliosa come sempre, ma aveva un'aria più "spenta"; i capelli si erano scuriti e gli occhi pure, diventanto quasi del colore dell'erba che appassisce. Rimaneva il suo angelo, ma sembrava quasi come se fosse caduto.
Quello che successe dopo era ancora confuso per Mr. Andrews. Si ricordava solo di essersi inginocchiato proprio quando il sole stava tramontando e la sua luce illuminava tutto quello intorno a loro. Ricordava di averle detto le parole più belle e più vere che avesse mai pronunciato in vita sua. Il suo angelo si meritava tutto quello che lui aveva da darle. Era convinto di essere riuscito a farla innamorare, o meglio, che lei fosse riuscita ad innamorarsi di lui. Di quel piccolo essere che parlava con i fiori e doveva nascondersi. Di quel piccolo essere che curava i fiori di due pensionati per guadagnare qualcosa e per non sembrare completamente assente.
Assente. Assente. Ecco come si era sentito dopo averle chiesto di sposarlo.
Come se il mondo continuasse a girare e lui fosse rimasto lì nel mezzo, inutile e scomodo come un sasso in una scarpa. Lei distose lo sguardo e continuò a fissare il tramonto, il sole che pian piano scendeva lungo l'orizzonte. Ad un certo punto sussurrò un "Non posso". Mr. Andrews crollò. Il mondo aveva smesso di girare e lui era rimasto lì fermo, stavolta per patirne le conseguenze.
Dal quel momento in poi aveva ricordi vaghi. Tutto si fece buio e lui perse i sensi, non prima di riuscire a sentire una voce, la sua voce che si allontanava, si affievoliva, ma che nonostante tutto sembrava sussurrargli all'orecchio "Prenditene cura, è il nostro piccolo essere".
Era l'equinozio di autunno e il suo angelo l'aveva lasciato.

Ricordava di essersi svegliato in camera sua dopo l'ultima serata con lei e si era sentito più confuso che mai. Non solo la testa gli doleva come se si volesse spaccare in due, ma neanche il suo corpo collaborava più di tanto. Si sentiva come se la morte gli avesse stretto la mano, per poi averlo mandato a quel paese. Non ebbe il tempo di rendersi conto della situazione, quando sentì bussare alla porta e vi si precipitò come se non ci fosse un domani. Pensava, sperava fosse lei.
Invece era un piccolo fagottino avvolto in un drappo d'oro e posto sopra una cesta altrettanto lussuosa. Accostò il lenzuolo e vi trovò una bambina. La loro bambina.
Quando aprì gli occhi, Mr. Andrews rimase senza fiato; aveva gli stessi occhi della madre, di un verde profondo e allo stesso tempo risanante, con qualche accenno all'azzurro degli occhi del padre, e il suo sorriso. La prese il braccio e la coccolò, la tenne come se fosse il tesoro più prezioso. E lo era.Un biglietto l'accompagnava e diceva "Il nostro piccolo essere, il nostro piccolo angelo".
Dal quel momento, non si sentì più solo o sperduto.

E ora il suo piccolo essere lo stava richiamando al presente, a quanto pare. Si alzò dalla poltrona e raggiunse l' ultima stanza lungo il corridoio, che era stata adebitamente trasformata da uno studio ad una nursery all'immediato bisogno. La prese in braccio e cercò di farla smettere di piangere, ma senza risultato.
Sembrava un piccolo allarme anti-incendio certe volte, altro che angelo. Lo faceva penare, quando voleva, il che capitava almeno ogni sera e primo mattino della sua esistenza ormai rovinata, ma non gli pesava più di tanto. L'importante è che avesse qualcosa di lei insieme a lui.
La portò il cucina e le riscaldò un biberon che, grazie al cielo, la tenne a bada almeno fino alla fine del quiz televisivo, fino a quando un tuono rombò fuori dalla finestra. Iniziò a piovere copiosamente.
Era qualche giorno che il tempo era impazzito, ma ci aveva tenuto poco conto. Non era di certo la prima volta che capitavano eventi atmosferici bizzarri in quella zona e di certo, finchè la preoccupazione non avesse coinvolto più gente, non se ne sarebbe crucciato.
L'unica persona che se ne preoccupò fu invece la bambina.
Ricominciò a piangere e a Mr. Andrews sembrò come se le sue lacrime seguissero il flusso del temporale. Singhiozzava ad ogni tuono o lampo che fosse e riprendeva quando la pioggia si intensificava. Non ebbe nemmeno il tempo di insospettirsi quando, con un enorme boato, il muro del soggiorno venne sfondato da una forza sconosciuta.
Il vento esterno cominciò a provocargli dei tremolii di freddo e iniziò a tremare. Cercò di tenersi la bambina più vicino possibile, come se fossero uno l'ancora di salvezza dell'altro. Come se, se non fossero rimasti così vicini, la figura avrebbe potuto potarli via. E su questo aveva ragione.
La sagoma si avvicinò oltre le polveri e arrivò faccia a faccia con il biologo. Era di certo molto più imponente di lui. Somigliava a uno di quei ragazzoni del college che erano pronti a ficcargli la faccia nel gabinetto. Solo che la sua presenza era almeno mille volte più potente di uno stupido branco di idioti. Sembrava che i tuoni si piegassero sotto il suo respiro e l'aria si formasse dalla sua pelle, carica di elettricità.
Mr. Andrews si fece coraggio e sussurrò, tremante: - L-lei chi è?-
La sagoma, che aveva poi identificato come un uomo sulla quarantina, con la barba brizzolata lasciata crescere un pò troppo, sghignazzò, per poi tornare alla sua posizione autoritaria. Come se ce ne fosse bisogno davanti ad un biologo di periferia più che trentenne.
Richiamò a sè un fulmine, o almeno era quello a cui somigliava di più data la parvenza uguale ad una lancia completamente avvolta in elettricità pura.
-Io sono Zeus, Re degli Dei e del Cielo e sono qui per reclamare la figlia proibita-
Quello che successe dopo rimase un mistero.


 



Angolo Autrice:
Ciao :3
Sono nuova a scrivere in questo fandom e non vedevo l'ora da non so quanto tempo.
Questa vi anticipo già che è una storia senza troppe pretese. Non pensate che la stia screditando, dico solo che sto cercando semplicemente di sviluppare un'idea che mi è scappata (?) in testa recentemente. Non aspiro alla vetta. Spero solo che vi piaccia.
Iniziamo. Questo è il prequel della storia principale, che inizierò a scrivere appena finito questa.
I personaggi che sono presenti qui verranno menzionati anche nella storia principale. Dopotutto, la vita della protagonista dipende da loro.
Alcuni potrebbero morire, si formeranno delle coppie. Vedrò dove mi condurrà l'ispirazione. Nel frattempo, se volete creare il vostro personaggio basta che me lo scriviate o per recensione, o per messaggio privato. Accetto tutti, divinità maggiori e minori, basta che non siano tutti maschi o tutte femmine :)
Ecco la scheda del personaggio:
Nome:
Età (tra 14 e 18 anni):
Caratteristiche fisiche e comportamentali:
Genitore divino e mortale (raccontatemi un pò la loro storia, così potrò inserirla):
Arma:
Orientamento sessuale (per le ship, capitemi) e se siete disposti ad un eventuale storia romantica:
Punto debole (morale o fisico):
Qualsiasi particolarità che renda unico il vostro personaggio:
Ecco. Capitemi che non potrò aggiornare subito perchè dovrò prendere confidenza con i personaggi, provare vari tipi di approccio verso di loro. Devo creare la magia (?). Comunque se la storia vi incuriosisce non credo sarà un enorme problema :)
Ultima cosa. I prossimi capitoli li preferite più introduttivi o già strutturati verso l'impresa? Preferite che presenti prima i personaggi? Fatemi sapere :3

See you soon
  
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