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Autore: Phantom13    11/05/2014    2 recensioni
Partecipante al Contest "Creepypasta Universe" indetto da Shinichi e Ran Amore
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Due cuori spietati. Stesso proposito di sangue.
Due razze diverse. Stessa tipologia.
Uno sorride. L'altro no.
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Mephiles the Dark
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Autore: Phantom13
Titolo: Senza Sorriso
Personaggi e Pairing: Mephiles The Dark, Jeff the Killer; Pairing: nessuno
Genere: horror
Rating: arancione
Avvertimenti: violenza, tematiche delicate. Insomma, qualcuno ne uscirà sanguinante di brutto.
Introduzione: 
Due cuori spietati. Stesso proposito di sangue.
Due razze diverse. Stessa tipologia.
Uno sorride. L'altro no.

Note dell'autrice:
comincio con il ringraziate Shinran per avermi invitata al contest. In tutta sincerità, non sapevo bene cosa scrivere, l'unica cosa che sono riuscita a tirare insieme è stata questa fic. Spero che sia di vostro gradimento e che possa piacere nonostante la sua stranezza. 
Ora, già che non so che altro dire, sto zitta e vi lascio leggere.
Buona lettura! 
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SENZA SORRISO
 
La vedeva correre per i corridoi. La sentiva ansimare con la gola serrata dal panico. La udiva incespicare e gemere, mentre continuava ad avanzare alla massima velocità che quelle sue gambe irrigidite dall’angoscia le permettevano. Di tanto in tanto, la luce tremante della sua torcia tascabile filtrava sui muri, sui pavimenti, segnalando con ridicola certezza dove ella fosse.
Avrebbe sorriso, lui, se avesse potuto. Si muoveva anche lui, sgusciava tra le ombre, silenzioso come il fumo, e altrettanto invisibile. Godeva, ad ogni singolo passo di quel meraviglioso inseguimento a senso unico. Stava così dannatamente bene a respirare la scia di paura che quell’essere in fuga emanava! Si sentiva come dei brividi, dentro, che gli risalivano su per lo stomaco fino al cervello dandogli quella carica, quella sensazione che lui tanto amava. Il pazzo desiderio di aprire la preda e rivoltarla da dentro a fuori!
Lui, tra le tenebre, la seguiva, come un soffio d’aria. Inafferrabile. L’avrebbe inseguita ancora, e ancora, l’avrebbe raggiunta, avrebbe giocato con lei, a lungo, e l’avrebbe guardata morire in tutta calma. Il solo pensiero gli dava alla testa. Quella ragazza!, ancora sperava di poter salvarsi!
Ed era già bello che fosse una ragazza, poi. Di ‘sti tempi gli era capitato di vedere di tutto. Animaletti … pelosi … dai colori assurdi … grandi come bambini … sempre allegri e felici … Tutte le strade erano infestate da coniglietti, gattini e paperelle! Atroce! Impensabile!
Forse, pensò la sua mente annebbiata, era per quello che si sentiva così “assetato”, così voglioso di alto sangue. Doveva sfogarsi, in un qualche modo.
Ovviamente, fare a pezzi quegli animali alieni, che parevano partoriti direttamente dall’incarnazione dell’Arcobaleno, era giusto un pochetto più difficile rispetto che gli umani. Avere le ali, o le branchie, o gli zoccoli, o le squame mimetiche poteva essere un vantaggio vomitevole per riuscire sfuggire a lui. E pure dannatamente efficace! Come poteva tenere il passo con un cavallo al galoppo o con un ghepardo scagliato in piena corsa? Come poteva inseguire un passerotto o un falco in cielo? Una volta pure un cucciolo di talpa, per di più cieco, l’aveva fregato, interrandosi in un’aiuola e sbucando a quasi nove chilometri di distanza, in pieno centro urbano.
Inutile dire quindi il tasso di furia malamente repressa che ora si ritrovava in corpo. La massima frustrazione per uno come lui.
Non ci si può più divertire, a questo mondo!, aveva pensato. E poi s’era ricordato che non c’erano soltanto quegli odiosi esseri pulciosi. Esistevano ancora i cari, poveri, sprovvisti esseri umani. Così, la passione per il loro sangue e per le loro viscere era risorta in tutto il suo eccitante splendore.
Ed ecco lì, ora, ad inseguire quella giovane ragazza per tutto l’edificio (un vecchio ospedale abbandonato).
Arrancava avanti e indietro, lei, correndo disperatamente attraverso quelle stanze diroccate e labirintiche, con l’estremo sforzo di uscire da lì, ottenendo soltanto il risultato di perdersi sempre di più. Come una mosca impigliata nella ragnatela, che, anziché spiccare il volo, finisce ancor più invischiata di prima per via dei frenetici sforzi di liberarsi.
Ed era la massima emozione per un predatore appassionato come lui.
Vide di sfuggita la chioma bionda della preda scartare a destra, infilandosi in una stanza laterale. Lui si avvicinò.
E se la vide tornare incontro, con l’espressione d’orrore di chi ha appena visto un vicolo cieco. Fuggì dalla stanza senza uscita con una tale foga che quasi non s’accorse d’essersi appena gettata tra le braccia del suo assassino.
Lui rise, quel suono di ghiaccio infranto, acutissimo, estraendo il coltello e portandolo semplicemente in avanti, badando bene a non colpire nessun punto vitale. La ragazza gridò, fissando i suoi occhi verdi in quelli cerchiati di nero del suo persecutore, mentre la lama metallica le entrava nella spalla, infilandosi sotto la clavicola e andando ad intaccare la scapola graffiando le ossa.
Vai a dormire!
Per un attimo, tutte le singole cellule del corpo di lei parvero contrarsi per in colpo, in quella frazione di secondo prima che il cervello reagisse e la facesse muovere indietro, sfilandosi dalla lama. Ma, prima di ciò, Jeff, con quel suo sorriso artificiale stampato in faccia, ebbe tutto il tempo di dare un colpo secco all’elsa dell’arma, rigirando il coltello di novanta gradi buoni nella ferita prima che lei si allontanasse.
L’urlo della preda si alzò di diversi gradi. La ragazza si spinse indietro, scivolando via dall’arma conficcata nella spalla. Il dolore l’accecò, perse l’equilibrio e finì a terra, ai piedi di Jeff, stringendosi convulsamente la ferita, straripante di sangue. Ogni singolo muscolo della ragazza era teso all’inverosimile, in una generale paralisi.
Non ho più scampo, starà pensando.
Mi ucciderà, starà pensando.
Morirò, starà pensando.
Jeff ghignò di gusto, stirando la pelle rattrappita dalle cicatrici che, un tempo, gli avevano aperto la bocca da orecchio a orecchio in quell’eterno sorriso che parlava solo e soltanto di agonia.
Mosse un passo in avanti, il pavimento cigolò e l’incantesimo che bloccava la ragazza andò in frantumi. Le gambe scattarono, il busto ruotò, colpo di reni e la preda fu in piedi. Partì a corsa.
Se quella si potesse chiamare “corsa”. Era più che altro uno zoppicante e lento procedere, intercalato da deliziosi gemiti di dolore e da altrettanti dolci gocciolii di liquido vitale che cadeva al suolo.
Jeff si limitò a camminare dietro di lei, seguendola con calma, imponendole la propria presenza, facendola così impazzire, senza fretta, guardandola arrancare in avanti, ora appoggiandosi al muro, ora scivolando a terra, ora rialzandosi a stento. Dannatamente eccitante! Si godeva lo spettacolo e le faceva chiaramente intendere che la partita era finita. Che fuggire non si poteva. Che di possibilità alternative non ce n’erano più. Che il potere di scelta e decisione spettava solo ed unicamente a lui. E che lei era solo carne da macello, un giocattolino organico che avrebbe gridato e gridato e gridato fino alla lenta morte, sotto al sorriso eterno di Jeff!
Il suo ghigno si espanse ancor di più, al sol pensiero. Quando i primi singhiozzi spezzati emersero dalla gola della ragazza, si lasciò scappare pure una mezza risata.
Ecco! Dalle prime lacrime non si usciva più. Era un vortice. La ragazza aveva compreso, in tutta la sua agghiacciante realtà, quale fosse il prossimo futuro che l’attendeva. Aveva realizzato. E la disperazione, intesa come morte di ogni speranza, portava immancabilmente alla desolazione psicologica, sublime agli occhi di Jeff. Era esattamente ciò che stava avvenendo nei neuroni di quel giovane, magnifico cervello. Il supremo grado di nero, torbido terrore aveva completamente accecato mente e occhi di quella ragazza, che andò a sbattere contro quello che pareva un tavolino, accostato accanto alla parete, a metà corridoio.
Jeff continuò ad avanzare alla stessa velocità, con quei brividi eccitati che aumentavano d’intensità, coltello rosso di sangue sempre in mano. Raggiunse la ragazza, i cui respiri erano divenuti tanto strozzati che quasi le era impossibile respirare. Lei lo vide, pupille contratte dal panico, scattò in avanti, stringendo tra i denti il dolore. Prese ancora le distanze da Jeff, continuando ad allontanarsi. Peccato per lei che lo spessore della scia rossa gocciolante, che decorava lo squallido pavimento con quel così bel colore, stava assumendo davvero quantità troppo ingenti. Già l’avanzata era tremolante di suo, se poi si aggiungeva il panico e il principio di dissanguamento … inciampò.
Jeff le fu addosso, ridendo. La ragazza urlò tentando disperatamente di rialzarsi, ma l’assassino psicotico la bloccò a terra, ficcandole un ginocchio sulla schiena e tenendole saldamente i capelli con la mano libera dal coltello, la cui lama luccicò sulla morbida gola della vittima.
Le lacrime che le rigavano le guance e la deliziosa espressione di nero terrore, fecero scalpitare Jeff.
Per un po’ l’unico suono che si udì fu il loro respiro. Quello fremente di Jeff e quello strozzato dal panico della ragazza.
Jeff ghignò, cambiando la presa sull’elsa. Inclinò il pugnale verso l’interno, spingendolo con tutta la calma del mondo verso la gola della vittima. Deliziato, percepì la debole resistenza opposta dall’elasticità della pelle contro il metallo; sentì la cute infossarsi alla pressione; udì quasi la trachea tremare. E poi l’acutezza della lama compì ciò per cui era stata creata. La pelle raggiunse il suo limite, tagliandosi. Una calda goccia rossa emerse, correndo poi lungo la gola della ragazza, scivolandole fino al petto.
La ragazza piangeva, pigolava come un pulcino.
Poi, quando Jeff decise che era il momento di affondare del tutto la lama, accadde.
Fu come un’onda, invisibile e impalpabile, una nera risacca di puro intento omicida si materializzò dal nulla, espandendosi in maniera del tutto simile all’increspatura di uno specchio d’acqua. La ragazza non parve accorgersi di nulla, Jeff invece sì. Alzò la testa, ascoltando il brivido che aveva percorso l’aria, scossa da quel gelido orrore troppo grande da sopportare. Ma se s’era aspettato che quella sensazione passasse, aveva fatto male i conti.
La fonte di quella sinistra energia rimase invariata, sempre presente. Proveniva da dietro l’ospedale.
Jeff corrugò la fronte. Qualcun altro. Qualcun altro con un’aura assassina simile alla sua era sbucato dal niente. A due passi da lì. Uguale a lui. Per la prima volta … qualcuno come lui.
Lentamente, allontanò il coltello dalla ragazza, ancora piangente. Sempre, con tutta calma, flettè le ginocchia, cominciando ad alzarsi. Lo stupore che si dipinse sul volto della sua preziosa vittima  gli fu del tutto irrilevante. Cosa poteva mai rappresentare un misero essere umano se paragonato a quell’altra presenza là fuori? Cos’era un misero mucchietto d’ossa e sangue se messo a confronto con un potenziale giocattolo che prometteva scintille?
Un avversario degno. Qualcuno che non sarebbe scappato, e che non avrebbe pianto. Jeff si incamminò, lasciandosi alle spalle una vittima ancora respirante, forse per la prima volta in tutta la sua carriera.
 
Seguendo quella raccapricciante presenza, Jeff raggiunse il limitare degli alberi del piccolo parco che stava dietro all’ospedale abbandonato.
Non impiegò più di una frazione di secondo nell’individuare la sagoma dell’tizio in questione.
Quando Jeff realizzò che a fare tutto quel trambusto era stato un mobiano gli si rivoltò quasi lo stomaco.
Era piccolo, come tutti quelli della loro razza, la schiena irta di aculei scuri, striati di viola, gli arti avvolti da un vago tepore bianco. La sua pelle pareva liquida, ondulata, come se fosse sul punto di sciogliersi. Ma, se già l’insieme aveva un che di spettrale, c’era anche qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui quel riccio stava in piedi. La sua schiena aveva una curvatura … inadatta.
Jeff fece giusto in tempo a chiedersi il perché, che l’altro si voltò. E lo psicotico killer non potè fare a meno di provare un tremito nel vedere la faccia di quel tizio.
Se già lui stesso non andava famoso per la bellezza del volto, quell’altro piccoletto irsuto era messo dieci volte peggio. Sinceramente, non credeva fosse stato possibile.
Gli occhi in particolare avevano dei seri problemi cromatici. Parevano … scorticati. Un rosso vivo che ricordava la carne nuda stava al posto del classico bianco che avrebbe dovuto invece coronare l’iride, che era di un verde fluorescente, dalla pupilla verticale.
Ma ciò che fece scattare davvero Jeff, ciò che gli fece perdere la calma, fu la bocca.
Quel tizio non aveva bocca. Niente bocca, niente sorriso.
Le cicatrici che aveva sul volto, risalenti a quella volta che si era inciso a forza quel sorriso, aprendosi praticamente in due la faccia, ora pizzicavano, quasi bruciavano.
Senza sorriso. Quel mobiano là era senza sorriso.
Per una qualche strana, recondita ragione tutto ciò stava dannatamente indigesto a Jeff. Secondo la sua distorta filosofia, non si poteva uccidere qualcuno senza sorridergli prima in faccia. Non si poteva. E quel tizio là, che in ferocia pareva quasi superarlo, non solo non sorrideva, ma nemmeno aveva una bocca!
Era inconcepibile.
Quegli occhi verdi da serpe lo fissavano, con un misto di indifferenza e freddezza che avrebbe fatto stritolare le interiora a chiunque dalla paura. Ma non Jeff.
Si rigirò in mano l’elsa del pugnale, migliorandone la presa, e poi scattò. Attaccò frontalmente, la lama luccicò nella notte prima di andare a conficcarsi nel torace del mobiano, che non aveva fatto neanche finta di scostarsi. La luce nei suoi occhi però era cambiata. Da indifferente, era diventata irritata.
-Senza sorriso!- biascicò Jeff, come se fosse un’accusa gravissima. –Va’ a dormire, Senza Sorriso!-
Gli rigirò la lama nella ferita, e il mobiano non battè nemmeno le palpebre. Semplicemente sospirò, annoiato. Un fascio di nere scariche elettriche crepitanti gli avvolse il braccio destro. Jeff schizzò indietro, sorpreso, con il coltello ben saldo in mano.
Aveva sentito dire che alcuni mobiani avevano poteri particolari, quello li aveva di certo. Ringhiò. Non solo creava fulmini, ma i coltelli non lo ferivano.
Il mobiano parlò. Ma non tramite la bocca, no. La sua voce parve generarsi direttamente nell’aria, giungendo semplicemente al cervello di Jeff.
-Chi sei?- chiese il riccio.
Jeff sghignazzò. Non rispose, tornò all’attacco. Mirando questa volta alla testa. Gli dava talmente sui nervi il fatto che quell'essere dall’aura così simile alla sua non avesse il sorriso, requisito che stava in cima alla lista delle cose prioritarie di Jeff.
Il bagliore oscuro attorno alla mano del mobiano venne scagliato contro Jeff che, rapidissimo si scansò lateralmente, evitando il colpo. Raggiunse il mobiano, il cui sguardo era ancora enormemente annoiato, come se stesse soltanto perdendo tempo. La lama del coltello sfiorò la faccia del riccio che si flettè indietro, evitando di rimanere ferito.
Jeff ringhiò di nuovo, tentando un altro assalto. Il riccio si mosse indietro con tutta calma, schivando il colpo.
Erano entrambi predatori. Niente prede. Solo due cacciatori.  Così pensava Jeff.
Ma quando Mephiles contrattaccò, dovette a suo modo ricredersi. Il pugno serrato del mobiano andò ad abbattersi sul suo stomaco, stroncando il respiro del killer. Forse, ragionò, per una volta invece la preda era lui. Ma non si arrese così.
Era ad una distanza praticamente nulla dal suo nemico. Fece guizzare nuovamente la lama. Un segno rossastro dalla curvatura sorridente andò a dipingersi sulla faccia del riccio. Inutile dire come ciò urtò la calma del mobiano.
Un taglio di mano sulla nuca da parte del riccio, spedì a terra Jeff. Mephiles, occhi di fiamma, lo guardò con sdegno, mentre il graffio si rimarginava all’istante.
-L’unico che dovrebbe andare a dormire, qui, mi sembri essere tu.- borbottò al nemico privo di sensi, che aveva dimostrato di possedere una resistenza superiore alla media della sua razza solo per il fatto di non essere morto con quel colpo.
Mephiles The Dark girò sui tacchi, avviandosi con passo oscillante tra gli alberi, per andare a trovare un certo riccio blu e una certa ragazzina. Con un dito si sfiorò il muso dove Jeff gli aveva imposto quel sorriso sghembo. L’irritazione lo scottò di nuovo.
Ma perché mai? Un sorriso era così importante da rischiare di farsi ammazzare?
-Tutti pazzi, ‘sti umani.-
 
 
  
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