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Autore: Sad Angel    26/07/2008    5 recensioni
Bill e Tom stanno tornando a casa dopo il tour quando durante la telefonata di Andreas, scoprono l'esistenza di uno strano ragazzo che si aggira per la loro città e che molti hanno scambiato per Bill.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Traum von einem Nachmittag von Hälfte Winter

Hallo, Leute^^!!! Bin ich!!!! Ok,ok. Sono tornata, con una storia, forse ancora più strana delle precedenti…comunque spero che apprezzerete il mio lavoro e di non offendere nessuno. Se dovesse accadere chiedo anticipatamente perdono! Chiunque volesse lasciarmi un commento, danke! Ma anche a chi legge e basta!!!

Infine ci tengo a sottolineare che questa resta sempre la mia visione delle cose… A presto, spero!

 

Traum von einem Nachmittag von Hälfte Winter

 

Un pacchetto di sigarette in una mano ed uno di caramelle nell’altra. Mi riavvicinai al pulmino parcheggiato nell’area di servizio. La portiera era spalancata. Anche da lontano potevo intravedere la figura di mio fratello, svaccato sul sedile posteriore. Lo sguardo rivolto fuori dal finestrino, indossava un’enorme felpa grigia, il cellulare al solito posto, premuto contro l’orecchio.

Mi piegai, entrando nell’abitacolo. Lui spostò un secondo lo sguardo su di me, sorrise. Mi sedetti accanto a lui. Aspettando che terminasse la telefonata, aprii le caramelle, iniziando a mangiarle, poi le allungai verso di lui. Tom non si fece pregare. Sorrise ancora, masticando la caramella, poi disse “A presto, allora…” e allontanò il cellulare dall’orecchio.

“Chi era?” domandai subito io, curioso.

Tom sorrise, prendendo un’altra caramella gommosa dal pacchetto “Andreas” iniziò e, dopo averla mangiata continuò “Ha chiamato in un attimo di tempo libero per sapere se avevamo anticipato il ritorno…”

Sgranai gli occhi per la sorpresa, pensando che fosse strano. Mio fratello, intuendo il mio pensiero, proseguì “…tutto perché improvvisamente a casa è apparsa una persona che ha ricordato a tutti te…”

Di nuovo sgranai gli occhi “Scusa?!?” domandai, senza parole.

Mio fratello mi diede una pacca sulla spalla, con tono noncurante. “Solo le persone che non ti conoscono possono scambiare questa persona per te, tranquillo. Andreas mi ha detto che non l’ha vista personalmente, ma che alcuni suoi amici gliel’hanno riferito e lui ha pensato fossimo tornati prima…”

Mi appoggiai allo schienale “Capisco…” commentai, lasciando cadere l’argomento. Il pulmino ripartì, ritornando sulla strada. Ancora tre ore e saremmo arrivati a casa.

 

“Allora…che novità?!?” domandò Andreas, sedendosi sul divano di casa nostra, una bottiglietta di cola nella mano sinistra.

Io, seduto vicino a lui, sorrisi, gettando un’occhiata all’altro divano, dove stava Tom, anche lui sorridente. “Solita vita, lo sai…” il suo sorriso assunse la sua peculiare aria maliziosa.

“Uhm…immagino…il tuo record va alla grande quindi…” rispose Andreas, dando corda a mio fratello.

Tom sorrise ancora, allungando le braccia seguendo la linea della sponda del divano “Non ho di che lamentarmi, effettivamente…”

Guardandolo, cercai di non ridere, anche se con scarsi risultati. Non potevo farci nulla. Il suo modo di fare, mi era sempre piaciuto un casino.

E tu, Bill?” domandò poi il nostro amico, spostando la sua attenzione su di me.

“Tutto bene.” Iniziai, sorridendogli “la gola sta bene, sono riuscito a scrivere qualcosa di buono e, soprattutto, anche se sono perennemente stanco, sembra che riuscirò a reggere ancora un po’, prima di cadere nel mio meritato letargo!”

Tom e Andreas risero, entrambi consapevoli della mia vocazione da ghiro.

E tu, amico?” chiese Tom, non appena ci fummo calmati.

“Anche io solita vita, eccetto negli ultimi giorni perché tutti, credendoti ritornato, continuavano a chiedermi di te, Bill…” iniziò Andreas, sistemandosi meglio sul divano.

Io lo scrutai attento. Sentivo anche lo sguardo di mio fratello rivolto nella nostra direzione.

E tu…?” lo incitai a continuare.

“Beh, siccome si sembrava una cosa strana, ho iniziato a guardarmi intorno. L’ho visto.”

Incuriosito, mi sistemai anch’io meglio sul divano, avvicinandomi un po’ al mio amico, per ascoltare meglio.

“…quindi…?!?

Questa volta fu Tom ad incoraggiarlo.

Andreas prese un altro sorso, e poi terminò. “Non l’ho visto benissimo, perché aveva il cappuccio, gli occhiali da sole e la sciarpa fin sotto il naso...

“…Immagino che potresti riconoscerlo tra mille allora…” scherzò Tom.

Andreas rimase un secondo in silenzio, poi rispose “…se dovessi basarmi sul suo volto, effettivamente…no. Però dall’abbigliamento, dal modo di fare…direi di sì…”

“…cioè…?” domandai io, sempre più curioso.

Il mio amico spostò immediatamente lo sguardo su di me “Credo che sia stato il suo modo di fare a far venire in mente te… C’è qualcosa di diverso, ma ha anche qualcosa di simile…accidenti, è difficile da spiegare…però, si, a volte ricorda te…”

Io lo fissai un po’ esterrefatto. Non sapendo cosa dire preferii restare in silenzio, finché Tom, ricordandosi di una cosa, non cambiò bruscamente argomento, lasciandomi tutto il tempo necessario per riflettere sulle strane cose che aveva detto Andreas.

 

Bill…”

Sentii la voce di Tom chiamare mentre qualcosa mi scuoteva.

Aprii lentamente gli occhi, sentivo le palpebre pesanti e, per riuscire ad aprirle, dovetti compiere quello che mi parve uno sforzo immane.

Seduto nel posto accanto al conducente sulla Cadillac di Tom, senza rendermene conto, mi ero profondamente addormentato. Mio fratello, sopra di me, doveva aver iniziato a chiamarmi e a scuotermi non appena parcheggiata la macchina.

“…Ja…” bofonchiai, completamente intontito.

Scheiße, Bill!” esclamò lui con voce allegra “Sembri Georg! Ti basta un secondo appoggiato su un veicolo semovente per addormentarti…” iniziò, prendendomi cordialmente in giro, come era solito fare.

“…Uh...uh…” interloquii io, cercando di riacquistare attenzione. Odiavo i discorsi appena sveglio…rischiavo sempre di perdermi qualcosa e questo mi irritava alquanto.

“E pensare che su questa macchina, prima di te, non si era mai addormentato nessuno…” continuò lui, allusivo.

Richiusi gli occhi, voltando il capo nell’altra direzione, domandandomi se mio fratello avesse disturbato il mio sonno solo per chiacchierare, troppo intontito per poter aver una qualsiasi altra reazione.

Bill!!!”

Tom mi scosse ancora “Mi ascolti?!?

Io riaprii gli occhi, ricominciando a fissarlo con sguardo sonnolento, senza parlare.

“Vado a prendere dei cd…tu vuoi qualcosa?!?

Lo fissai un istante e poi conclusi, prima di rigirarmi ancora nella direzione opposta, richiudendo gli occhi “…sai benissimo quali mi mancano…”

“…ok…” terminò lui con voce rilassata, aprendo la portiera. Sentii che si chiudeva con un leggero “Tac” e, dopo essermi sistemato meglio contro il sedile, aspettai immobile di ricadere nel sonno.

Pochi minuti.

Toc toc.

Un leggero bussare al finestrino e, con un altro sforzo immane, mi obbligai a riaprire gli occhi.

Tom, dall’altra parte del vetro, urlò a squarciagola per farsi sentire “Der Geldbeutel!!!

Individuato dove aveva lasciato il portafoglio, aprii la portiera tendendolo verso di lui. Immediatamente la fredda aria invernale mi investì in pieno ed io rabbrividii. Tom me lo strappò dalle mani, richiudendo bruscamente la portiera, per evitare che, senza giacca com’ero, potessi raffreddarmi poi, prima di scattare nuovamente verso il negozio, urlò ancora da oltre il vetro “Danke, Bill!”

Lo osservai allontanarsi, domandandomi se sarebbe tornato ancora a chiedermi qualcos’altro, interrompendo per la terza volta il mio sonno, quando improvvisamente lo vidi.

Camminava con passo spedito per il marciapiede, noncurante dell’occhiate che la gente gli gettava. Un paio di jeans, scarpe bianche a righe nere, la giacca sportiva con il cappuccio calato, nonostante non piovesse. Gli occhiali da sole enormi, nascondevano i suoi occhi, fissi di fronte a sé, mentre camminava.

Lo fissai esterrefatto per un paio di secondi, mentre si allontanava. Improvvisamente, ero completamente sveglio e la curiosità stava prendendo il sopravvento sulla razionalità. Afferrai il giubbotto, il cappello e gli occhiali, che si trovavano sul sedile posteriore e mi lanciai al suo inseguimento.

 

Affrettai il passo per non perderlo di vista. Senza dubbio era un buon camminatore. Le persone intorno a noi ci osservavano incuriosite ma io non ci prestai caso, come il mio “sosia” davanti a me.

Camminò a lungo, permettendomi così di accorciare un po’ il distacco. A due metri da lui, notai che era all’incirca 20 cm più basso di me. Quando poi mosse la mano sinistra per estrarre un mp3 dalla tasca della giacca, vidi che era piccola e le sue unghie, laccate di nero.

Continuai a seguirlo finché non entrò in un parco comunale e si fermò ad osservare un’imponente statua.

Fingendo disinteresse, mi sedetti su una panchina poco distante. Il mio sguardo costantemente sulla sua schiena.

Rimase a fissare la statua a lungo, poi estrasse una macchina digitale e la fotografò da più angolazioni.

Mentre si voltava per effettuare l’ultimo scatto improvvisamente mi vide. Mi fissò, perfettamente immobile. Sentii il suo sguardo addosso, scrutarmi poi, come se niente fosse, ritornò alla statua.

La macchina in mano, salì alcuni gradini per fotografarla meglio. Si avvicinò alla parete di cemento, fotografò il nome del personaggio ritratto e poi, con la mano, ne ricalcò le lettere.

“Che diavolo pensi di fare?!?” urlò una voce maschile all’improvviso.

Entrambi ci voltammo verso sinistra, scorgendo un vigile che si avvicinava a passi veloci. Il mio cuore, senza motivo, iniziò a battere all’impazzata. Spostai lo sguardo sulla mia “copia”. Occhi sgranati, sottolineati da una buona dose di matita nera, fissava esterrefatto nella direzione del vigile. Scattai in piedi.

“Allontanati da lì!” urlò ancora il vigile, sempre più vicino.

Lui obbedì arrendevole, con calma si staccò dalla parete.

Arrivato di fronte a lui, il vigile urlò ancora “Allora…cosa stavi facendo?”

Lui non rispose, limitandosi a fissarlo ad occhi sbarrati in un perfetto silenzio.

“Ti ho chiesto cosa stavi facendo!” ripeté ancora lui.

Il ragazzo spostò lo sguardo su di me, un solo secondo. I nostri occhi si incontrarono. Un brivido mi percorse la schiena.

“Allora?!?” chiese ancora l’uomo, con voce sempre più irritata.

“Niente…” mi ritrovai a rispondere io, senza neanche sapere perché.

Entrambi si voltarono verso di me, esterrefatti. Io deglutii, sperando di non essermi cacciato in un guaio. “Stava solo fotografando la statua per allegare le foto ad una ricerca scolastica…” spiegai, usando la prima scusa che mi era venuta in mente.

“Una ricerca scolastica?!?” domandò il vigile, fissandomi sempre più incredulo prima di spostare lo sguardo sul ragazzo che annuì velocemente e poi riportarlo nuovamente su di me. A più riprese ci studiò entrambi, poi parlò ancora “Scusi, ma lei è…?” mi domandò all’improvviso.

“Il fratello.” Risposi senza neanche pensare un istante. Poi respirai a fondo e aggiunsi “Sono il fratello maggiore.

Il vigile annuì, compiaciuto “In effetti, c’è una certa somiglianza…”

Non sapendo che rispondere, mi limitai ad annuire mentre il ragazzo iniziò a fissarmi con uno sguardo più incuriosito di prima.

Comunque…” disse poco dopo, tornando a rivolgersi a lui “…tu, ragazzino, come ti chiami?”

Il ragazzo lo fissò ancora in volto, perennemente in silenzio.

Tom. Mio fratello si chiama Tom” risposi ancora io, per l’ennesima volta senza riflettere e dandomi, subito dopo, mentalmente del cretino.

Tom?!? Bel nome. Tom…” continuò il vigile che quando parlava con me sembrava mille volte più ragionevole di quando si rivolgeva a “mio fratello” “…Ma Tom non sa parlare?” mi chiese all’improvviso.

Io deglutii, iniziando ad avvicinarmi ai due “Si che sa parlare, ma è molto timido, per cui non ama esprimersi davanti agli estranei…” risposi subito io, benedicendo la mia spiccata fantasia.

“Capisco…” disse ancora il vigile “Comunque, sarebbe meglio se Tom stesse alla larga dai monumenti…a proposito…quanti anni ha Tom?” domandò come se il diretto interessato non fosse presente.

Tom?” chiesi io, per guadagnare tempo, gettando una veloce occhiata al ragazzo. I nostri occhi si incontrarono nuovamente, poi io risposi “15 anni” basandomi sulla sua altezza, più o meno simile alla mia quando avevo quell’età.

“15 anni…un ragazzino di 15 anni…” ripeté il vigile a voce alta, ma come se stesse parlando fra sé. “Un ragazzino di 15 anni dovrebbe andare a scuola, lei non pensa?”

Io sbiancai. “Cosa intende dire?” domandai senza riflettere.

“Beh…che molte persone mi hanno detto di aver visto uno strano ragazzino bazzicare nei dintorni…ed io penso che si tratti proprio di suo fratello Tom…” concluse lui, sorridendo compiaciuto dal suo ingegno.

Tom?!?”dissi io, fingendo stupore “Tom…stai bigiando la scuola?” chiesi con voce stupita.

Il ragazzo, che pensai dovesse essere parecchio sveglio, si fissò le scarpe, immedesimandosi perfettamente nella parte del fratello minore scoperto dal maggiore mentre faceva qualcosa di sbagliato.

Es tut mir leid…” mormorò con voce talmente bassa da essere quasi inudibile.

“Non basta chiedere scusa…sarò costretto a dirlo alla mamma…” continuai con voce severa.

Tom” mi rivolse uno sguardo dispiaciuto che avrebbe intenerito una statua di marmo ed io sentii un tuffo al cuore. Deglutii.

Il vigile intanto sogghignava tra sé, compiaciuto. Gli gettai un’occhiataccia e decisi che era meglio dileguarsi, prima che la sua boria potessi irritarmi, spingendomi a parlare a vanvera.

“Andiamo a casa, ora…” iniziai, facendo cenno a “Tom” di precedermi. Il ragazzo, il capo basso, fece alcuni passi nella mia direzione, superandomi. “Grazie ancora…” conclusi, rivolgendomi al vigile che sorrise

“Di nulla…Dovere…”

Con il suo sguardo sulle nostre schiene, raggiunsi “mio fratello” e continuai a fingere di sgridarlo fino a che, dopo aver girato l’angolo, il severo tutore della legge non ebbe più modo di sentirci.

 

“Cammina lentamente e tieni la testa bassa…” gli dissi pochi secondi dopo “…non penso possa sentirci, ma credo che ci stia ancora osservando…”

Il ragazzo, davanti a me, fece un leggero cenno col capo, annuendo.

“…la prima a destra…svolta…” continuai. Lui, in perfetto silenzio, obbedì.

Svoltato l’angolo si voltò verso di me, abbassò la sciarpa dal viso, scoprendo la bocca e mi sorrise. Fissai interdetto quel sorriso un paio di secondi. Il mio cuore batté più lentamente e non potei fare a meno di notare che era davvero un ragazzino carino.

Vedendo che lo fissavo interdetto, lui scoppiò a ridere. La sua allegra risata, scoppiata all’improvviso, aveva fatto voltare diverse persone nella nostra direzione. Lui, anche se perfettamente consapevole del fatto che tutti lo stessero fissando, continuò a ridere, come se niente fosse. Poi la sua risata si spense e lui tornò a sorridere, prima di darmi le spalle e mettersi ad osservare le vetrine di un negozio poco avanti. Le fissò qualche istante poi con la coda dell’occhio, rispostò il suo sguardo su di me, come per incitarmi a fare qualcosa.

Rimasi immobile, lui mi fissò, per secondi interminabili poi mosse una mano, lentamente. Ebbi l’impressione che stesse per salutarmi e sparire da qualche parte. Troppo incuriosito da lui, senza riflettere esclamai “Ti va di bere qualcosa?” arrossendo immediatamente dopo e ricominciando a darmi del cretino.

Tomrise di nuovo, i suoi occhi luccicavano dietro gli occhiali da sole poi, come risposta, mi si avvicinò di nuovo, afferrò con la sua piccola mano la mia, per un istante, tirandomi dolcemente, facendo un leggero cenno col capo. Un nuovo brivido mi attraversò la schiena.

 

Camminammo uno di fianco all’altro per alcuni minuti, in silenzio. Lui si guardava intorno, osservando la gente che, per tutta risposta, osservava noi. Lo osservai in volto, cercando di leggere la sua espressione. Sembrava perfettamente tranquillo, completamente a suo agio. Dai suoi occhi avrei detto persino che stava sorridendo perché, da quando la folla era aumentata intorno a noi, aveva ritirato su la sciarpa, coprendosi il volto.

Camminammo ancora e ancora, lui guardava le persone, io guardavo lui. Improvvisamente, sentii la sua piccola mano sfiorare la mia e sussultai. Ovviamente “Tom” scoppiò nuovamente a ridere, mentre mi tirava verso un bar con una panchina di legno all’esterno.

Lui, nonostante il freddo ed il fatto che rabbrividisse molto più di me, si sedette fuori, poi mi gettò un’occhiata, invitandomi a fare altrettanto.

Cosa prendi?” domandai, curioso di sentire la sua voce.

Tom” si limitò ad osservarmi senza rispondere, riflettendo fra sé poi, con la mano, indicò la scritta “Cola” sul cartello delle bevande esposto. Io annuii, rassegnato. “Torno subito..aspetta…” Lo vidi sorridermi mentre entravo per ordinare.

 

Andai direttamente alla cassa a pagare. La ragazza dietro al bancone non appena mi vide, arrossì e, presa da un attimo di sbadataggine, fece cadere il pacchetto di sigarette iniziato che aveva in mano. Si scusò, affrettandosi a segnare le due cole, poi mi gettò un’occhiata incuriosita, diversa dalle precedenti, che mi mise un po’ a disagio. Per un istante temetti che mi avesse riconosciuto.

Lei mi porse lo scontrino e si spostò, per versare la cola. Io la seguii. Versò la prima e la mise sul bancone prima di voltarsi di nuovo, per versare la seconda.

“Scusa se te lo chiedo…” iniziò, porgendomi il secondo bicchiere. Io la fissai un po’ preoccupato, temendo chissà quale domanda personale “…conosci quel ragazzino, vero? Sei arrivato con lui…”

Tirando un sospiro di sollievo, la fissai serio in viso “Perché? Mio fratello ha forse fatto qualcosa di male…?” domandai, oramai abituato a quella finzione.

“No, no…” iniziò lei, impallidendo, probabilmente fraintendendo il mio tono. “…non intendevo dire questo…è solo che…”

“…cosa…?” domandai, un po’ scocciato. Stavo iniziando a perdere la pazienza verso tutte queste persone che avevano sempre qualcosa da ridire degli altri. Mi stavo irritando.

“…beh…guarda tu stesso…” concluse lei, indicando l’ingresso, prima di voltarmi le spalle ed interrompere così la conversazione.

Mi voltai. “Tom”, seduto sulla panchina, con una gamba piegata sotto l’altra, ascoltava musica e fumava tranquillo.

Io sbuffai e mi allontanai velocemente.

“Brutta cosa l’incoerenza…” pensai.

 

Die Cola, Tom!” dissi porgendogli il bicchiere.

“Il mio fratellino” sorrise, afferrandolo immediatamente, spegnendo l’mp3. Io mi sedetti di fianco a lui, respirando profondamente, cercando di calmarmi. Lui mi fissò incuriosito in volto ed io gli sorrisi debolmente “La barista mi ha irritato…” spiegai.

Tom” per tutta risposta assunse un’espressione curiosa poi indicò il dito medio della sua mano, come per invitarmi a mandarla a quel paese. Non potei non sorridere alla sua immensa inventiva e al suo modo di fare. Per un momento, più che il mio “sosia” mi parve quello del mio gemello.

Il viso del mio gemello apparve nella mia mente e mi resi conto di averlo mollato, senza una parola. Spaventato, afferrai il cellulare, trovandoci tre chiamate e due messaggi da parte sua. Mentre il ragazzino beveva tranquillo, osservando nuovamente la folla, ne approfittai per mandargli un sms di scuse e di spiegazioni. Il cellulare si illuminò pochi secondi dopo e “Dumme bruder :-P” fu la scherzosa risposta che ottenni da lui.

Più tranquillo, rispostai l’attenzione sul ragazzino che, finita la Cola, si era acceso un’altra sigaretta alla menta. Sentendo il mio sguardo su di sé, lui si voltò a fissarmi, sorrise.

Osservai il suo volto, i suoi occhi scuri circondati dalla matita nera. Il suo volto era davvero femmineo, come dicevano del mio, soprattutto quando avevo all’incirca la sua stessa età. Mi domandai se bigiasse la scuola perché stava avendo gli stessi problemi che avevo avuto io. Lui si accorse del mio sguardo dispiaciuto, allungò la sua piccola mano, stringendo la mia e tornò a sorridermi teneramente. Improvvisamente mi sentii meglio ed il pensiero di prima mi parve impossibile.

Un secondo dopo lui però mi lasciò andare, tuffando la mano in una tasca della giacca, alla ricerca di qualcosa. Estrasse un cellulare che vibrava furiosamente. Gettò un’occhiata allo schermo, sorrise un secondo poi si alzò di scatto, afferrandomi la mano ancora un secondo con dolcezza, prima di staccarsi, sorridere e scappare via, lasciandomi lì da solo, seduto su quella panchina, con i soldi della sua Cola nella mano. Fissai le monete alcuni secondi, capendoci sempre meno di quella situazione. Presi un respiro profondo, poi afferrai il cellulare, per chiamare il vero Tom.

 

Il giorno dopo, di nuovo in macchina, alla volta del centro. Avevo deciso di approfittare della momentanea folla dell’ora di punta per mimetizzarmi e muovermi indisturbato. In realtà erano tutte scuse, più rivolte verso me stesso che verso gli altri. A Tom era inutile mentire. Mio fratello, sapeva sempre tutto di me, come io sapevo sempre tutto di lui.

Mi sentivo uno stupido e a disagio. Per molti anni tutti avevano fatto insinuazioni poco carine a proposito della mia eterosessualità, tanto che per un certo periodo la frase “Nein, ich bin nicht schwul” era diventata quasi una consuetudine ed ora soltanto a pensare agli occhi e al sorriso di quel ragazzino di 15 anni, il mio cuore batteva all’impazzata. Per la prima volta, pensai davvero di non essere “normale”. Scacciai quel pensiero dalla mente e per continuare ad ingannare me stesso decisi di parcheggiare lontano dal parco. Scesi dalla macchina percorrendo le strade poco affollate, per poi svoltare verso il centro. Il fatto di sapere che lui bazzicava sempre in quella zona, ovviamente era solo una mera coincidenza…

Camminando continuavo a darmi dell’idiota poi, improvvisamente lui sbucò da un negozio di cd, sbracciandosi per attirare la mia attenzione, sorridendo. Il mio cuore sobbalzò.

Sembra che anche lui provi interesse per me…, mi dissi, prima di arrossire e ricacciare quello stupido pensiero lontano.

Lui mi si avvicinò, saltellando come un bambino, posizionandosi proprio di fronte a me.

“Hallo!” lo salutai con voce allegra.

Lui socchiuse gli occhi, inclinando lievemente la testa e sorrise poi, improvvisamente il suo cappuccio si mosse, scosso da una folata di vento gelido. Una lunga ciocca dei suoi capelli corvini fu slanciata in alto, spandendo un buon profumo attorno. Arrossii nuovamente, continuando a fissare di fronte a me.

Tom” si sistemò la ciocca di nuovo a posto e tornò a sorridermi.

“Andiamo a farci un giro?” domandai, non sapendo che altro proporre. Il ragazzino tornò a sorridere dolcemente, camminando tranquillo al mio fianco. Io lo osservavo con la coda dell’occhio. Il suo volto femmineo, la sua mano piccola, le unghie laccate di nero.

E se non fosse un ragazzino?

Sgranai gli occhi, all’improvviso, continuando a fissarlo. Quell’improvviso dubbio era sorto in me, osservando il suo volto.

 E se fosse una ragazza?

Un brivido mi percorse la schiena. Fissai ancora il suo volto, senza riuscire a capire, attanagliato dal dubbio che avevano la maggior parte delle persone quando mi vedevano truccato. Maschio o femmina?

Mentre riflettevo fra me, non riuscendo a cavare un ragno da un buco, l’attenzione di “Tomvenne attratta dalla vetrina di un negozio. Scattò in avanti, saltellando ancora felice. Molti passanti fissarono la sua figura saltellante allibiti.

“Quella ragazza non è normale…” sentii il commento di una signora che mi passava accanto. Non potei evitare di gettarle un’occhiataccia ed esclamai con voce perfettamente udibile “Come, scusi?”

Tom” si voltò di scatto a guardarmi. Mentre molte altre persone facevano lo stesso, la signora impallidì e aumentò il passo per allontanarsi. Presi un bel sospiro, cercando di calmarmi. Vidi “Tom” riavvicinarsi, mettersi proprio davanti a me, fissandomi preoccupato in volto. Gli sorrisi, cercando di arrivare ancora a capo dei miei dubbi.

Faresti prima a chiedere, se non ci arrivi da solo..., mi suggerì il mio cervello, al massimo della concentrazione.

Continuai a fissare quel tenero volto, ora preoccupato, incapace di porre una domanda simile. Avevo paura potesse offendersi.

Il fatto che si lasci chiamare con un nome maschile senza protestare, non dovrebbe significare che è un ragazzo?!?, propose la parte razionale del mio cervello ma, subito dopo, quella più irrazionale mi fece coerentemente notare che, dato che non voleva parlare, non poteva dire che un nome maschile non era indicato…

Il mio cervello stava iniziando a fumare per gli strani ragionamenti.

Continuando ad osservare quel volto, mi portai una mano alla tempia. I suoi occhi si spalancarono, palesando preoccupazione.

“Ho solo un po’ di mal di testa…” spiegai.

Fu allora che “Tom” allungò entrambe le mani verso di me e, alzandosi sulla punta dei piedi, spostò la mia, sostituendola con le sue fresche palme. Subito mi parve di sentirmi meglio, mentre percepivo un leggero aroma di bagnoschiuma alla vaniglia, mischiato a quello della sua pelle. Senza accorgermene chiusi gli occhi, sorridendo.

Sentii le sue piccole mani fresche muoversi sul mio volto bollente, portando un po’ di refrigerio. Senza rendermene conto, sospirai, poi mi irrigidii, temendo di essere stato imprudente. Spalancai gli occhi.

Tom” sorrideva, le mani ancora sul mio volto. Specchiandomi in quegli occhi, sentii una strana sensazione all’altezza dello stomaco, smettendo immediatamente di pensare, mi mossi, senza rendermene conto, stringendo il suo corpo contro il mio. Sentii che lasciava cadere le mani dal mio viso e anche se temevo fosse a disagio, per un istante pensai che chiunque fosse, c’era qualcosa che io non potevo, non volevo mi sfuggisse, poi sentii le sue mani sulla mia schiena ed il suo capo contro il mio petto. Il mio cuore batteva all’impazzata, senza controllo. Avrei voluto restare così per sempre. Improvvisamente non importava più nulla. Importava solo il fatto che questa persona mi piacesse perché era spontanea, vera. Era, non appariva.

Si mosse, poco dopo, staccandosi un po’ da me, continuando a fissare la cerniera della mia giaccia, in imbarazzo. Sentii il cuore gonfiarsi ancora, senza più controllo.

Ehy…” chiamai, per attirare la sua attenzione. I suoi occhi si specchiarono nei miei. Mi passai le labbra con la lingua, prima di continuare “…sono un’idiota lo so…ma non mi importa di sapere chi sei, perché non vuoi parlare, da dove vieni…mi piaci…”

Sorrise, un sorriso che mi fece pensare che fossimo in piena estate per via del calore che irradiava. Strinsi ancora il suo corpo contro il mio, ancora una volta, sentii che si abbandonava contro di me, senza proteste, le sue mani sulla mia schiena.

“Mamma, mamma, guarda quei due!”

Entrambi sentendo la voce di una ragazzina, sussultammo, staccandoci un poco poi, imbarazzati, rossi in viso ci allontanammo, tenendoci per mano.

 

Seduti in riva al laghetto, le luci del tramonto illuminavano il suo volto. Deglutii. Gli occhiali da sole sul naso, la sciarpa al collo. Seduti vicini, ci tenevamo per mano. Io osservavo il suo volto, illuminato dal sole, incapace quasi di spostare lo sguardo. Mi sentivo pieno di una strana sensazione che mai avevo provato, così intensa. Una folata di vento ci investì, senza preavviso, gettando il suo cappuccio oltre le spalle, spargendo ovunque i suoi lunghi capelli corvini. Rimase immobile, come se non fosse accaduto nulla.

Attratto, come una falena dalla luce, non seppi trattenere la mano e lasciai scorrere le mie dita fra le ciocche. Solo allora si voltò, sorridendomi. Allungò la mano sinistra, accarezzandomi una guancia, poi ricalcò con il pollice la linea delle mie labbra. Afferrai la sua mano con dolcezza, annullando la distanza tra noi, strinsi di nuovo il suo corpo, tuffando il viso fra i suoi capelli, respirando a pieno il suo profumo. Un profumo che solo lei poteva avere.

Perché non mi hai detto che il nome che ti avevo dato non era adatto…” mormorai, prima di sfiorare la sua guancia con le mie labbra.

Rise.

“Mi piace quel nome…mi hai chiamato col nome di una persona che per te è molto importante…come avrei potuto rifiutarlo?”

La strinsi a me, più che potevo, per lunghi istanti poi lei si staccò leggermente. Appoggiai le mani sulle sue guance, poi scesi piano su di lei. Le nostre labbra si incontrarono, muovendosi dolcemente. Il mio cuore si fermò un’stante, per poi ricominciare a battere veloce il doppio. Quando si staccò lei mi sorrise ancora, prima di appoggiare il capo contro la mia spalla, tornando a fissare il tramonto di quel pomeriggio di metà inverno...

 

 

Toc toc.

Un leggero bussare al finestrino. Con uno sforzo immane, mi obbligai a aprire gli occhi, giusto in tempo per vedere Tom, dall’altra parte del vetro, urlare a squarciagola per farsi sentire “Der Geldbeutel!!!”

Sbuffai, irritato. Aveva distrutto il bellissimo sogno che stavo facendo solo perché era il solito sbadato.

Aprii la portiera tendendogli il portafoglio. Tom me lo strappò dalle mani, prima di scattare nuovamente verso il negozio, urlando “Danke, Bill!”

Lo osservai allontanarsi, stropicciandomi gli occhi, ancora mezzo intontito, con una strana sensazione nel corpo. Riappoggiai il capo, contro il sedile, osservando la strada.

Sul marciapiede, noncurante dell’occhiate che la gente gli gettava, un ragazzino dall’aria familiare camminava con passo deciso, un enorme paio di occhiali da sole ed un cappuccio. Si fermò, all’altezza della portiera della Cadillac. I nostri sguardi si incontrarono un istante, poi si allontanò ed io richiusi gli occhi.

Perché te ne stai lì sdraiato con quel sorriso beato?” domandò poco dopo Tom, risalendo in macchina ed infilando la chiave.

“Così…” risposi io, restando sul vago “Fai l’altra strada, per tornare? Devo controllare una cosa…”

Mio fratello sorrise “Come vuoi…”

Rimise in moto il motore, svoltando all’incrocio. La sagoma del parco si ingrandiva, man mano che ci avvicinavamo. Io lo osservavo, sguardo fisso. Mio fratello scrutava il mio volto. Quando fummo proprio davanti all’ingresso, si fermò. Sorridendo, afferrai la giacca, infilandola. “Ti chiamo dopo,ok?”

Keine Problem.” Rispose subito lui.

Scesi, chiudendo la portiera. Mio fratello ripartì immediatamente, facendo un cenno con la mano. Stringendomi nella giacca, percorsi il viale. Il cuore che batteva velocissimo, l’ansia che attanagliava lo stomaco. Emozionato, all’idea che un sogno di un pomeriggio di metà inverno, potesse diventare realtà…

  
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