Hallo, Leute^^!!! Bin ich!!!!
Ok,ok.
Sono tornata, con una storia, forse ancora più strana delle precedenti…comunque spero che apprezzerete il mio lavoro e di non
offendere nessuno. Se dovesse accadere chiedo
anticipatamente perdono! Chiunque volesse lasciarmi un
commento, danke! Ma anche a chi legge e basta!!!
Infine ci tengo a sottolineare che questa resta sempre la mia visione delle
cose… A presto, spero!
Traum von einem Nachmittag
von Hälfte Winter…
Un pacchetto di sigarette
in una mano ed uno di caramelle nell’altra. Mi riavvicinai al pulmino parcheggiato nell’area di servizio.
La portiera era spalancata. Anche da lontano potevo
intravedere la figura di mio fratello, svaccato sul
sedile posteriore. Lo sguardo rivolto fuori dal
finestrino, indossava un’enorme felpa grigia, il cellulare al solito posto,
premuto contro l’orecchio.
Mi piegai, entrando nell’abitacolo. Lui
spostò un secondo lo sguardo su di me, sorrise. Mi sedetti accanto a lui.
Aspettando che terminasse la telefonata, aprii le
caramelle, iniziando a mangiarle, poi le allungai verso di lui. Tom non si fece pregare. Sorrise ancora, masticando la
caramella, poi disse “A presto, allora…” e allontanò il cellulare
dall’orecchio.
“Chi era?” domandai subito
io, curioso.
Tom sorrise, prendendo un’altra caramella
gommosa dal pacchetto “Andreas” iniziò e, dopo averla
mangiata continuò “Ha chiamato in un attimo di tempo libero per sapere se
avevamo anticipato il ritorno…”
Sgranai gli occhi per la sorpresa, pensando
che fosse strano. Mio fratello, intuendo il mio pensiero, proseguì “…tutto
perché improvvisamente a casa è apparsa una persona
che ha ricordato a tutti te…”
Di nuovo sgranai gli occhi “Scusa?!?” domandai, senza parole.
Mio fratello mi diede una pacca sulla spalla,
con tono noncurante. “Solo le persone che non ti conoscono possono scambiare
questa persona per te, tranquillo. Andreas mi ha
detto che non l’ha vista personalmente, ma che alcuni suoi amici gliel’hanno riferito e lui ha pensato fossimo tornati prima…”
Mi appoggiai allo schienale
“Capisco…” commentai, lasciando cadere l’argomento. Il pulmino ripartì,
ritornando sulla strada. Ancora tre ore e saremmo arrivati a casa.
“Allora…che novità?!?”
domandò Andreas, sedendosi sul divano di casa nostra,
una bottiglietta di cola nella mano sinistra.
Io, seduto vicino a lui,
sorrisi, gettando un’occhiata all’altro divano, dove stava Tom,
anche lui sorridente. “Solita
vita, lo sai…” il suo sorriso assunse la sua peculiare aria maliziosa.
“Uhm…immagino…il tuo record va alla grande
quindi…” rispose Andreas, dando corda a mio fratello.
Tom sorrise ancora, allungando le braccia
seguendo la linea della sponda del divano “Non ho di che lamentarmi,
effettivamente…”
Guardandolo, cercai di non ridere, anche se
con scarsi risultati. Non potevo farci nulla. Il suo modo di fare, mi era
sempre piaciuto un casino.
“E tu, Bill?” domandò poi il nostro amico, spostando la sua
attenzione su di me.
“Tutto bene.” Iniziai, sorridendogli “la gola
sta bene, sono riuscito a scrivere qualcosa di buono e, soprattutto, anche se
sono perennemente stanco, sembra che riuscirò a reggere ancora un po’, prima di cadere nel mio
meritato letargo!”
Tom e Andreas risero, entrambi
consapevoli della mia vocazione da ghiro.
“E tu, amico?”
chiese Tom, non appena ci fummo calmati.
“Anche io solita vita, eccetto
negli ultimi giorni perché tutti, credendoti ritornato, continuavano a
chiedermi di te, Bill…” iniziò Andreas,
sistemandosi meglio sul divano.
Io lo scrutai attento. Sentivo anche lo
sguardo di mio fratello rivolto nella nostra direzione.
“E tu…?” lo incitai
a continuare.
“Beh, siccome si sembrava una cosa strana, ho
iniziato a guardarmi intorno. L’ho visto.”
Incuriosito, mi sistemai anch’io meglio sul
divano, avvicinandomi un po’ al mio amico, per ascoltare meglio.
“…quindi…?!?”
Questa volta fu Tom
ad incoraggiarlo.
Andreas prese un altro sorso, e poi terminò. “Non
l’ho visto benissimo, perché aveva il cappuccio, gli occhiali da sole e la sciarpa
fin sotto il naso...”
“…Immagino che potresti riconoscerlo tra
mille allora…” scherzò Tom.
Andreas rimase un secondo in silenzio, poi rispose
“…se dovessi basarmi sul suo volto, effettivamente…no.
Però dall’abbigliamento, dal modo di fare…direi di
sì…”
“…cioè…?” domandai
io, sempre più curioso.
Il mio amico spostò immediatamente lo sguardo
su di me “Credo che sia stato il suo modo di fare a
far venire in mente te… C’è qualcosa di diverso, ma ha anche qualcosa di
simile…accidenti, è difficile da spiegare…però, si, a volte ricorda te…”
Io lo fissai un po’ esterrefatto. Non sapendo
cosa dire preferii restare in silenzio, finché Tom,
ricordandosi di una cosa, non cambiò bruscamente argomento, lasciandomi tutto
il tempo necessario per riflettere sulle strane cose che aveva
detto Andreas.
“Bill…”
Sentii la voce di Tom
chiamare mentre qualcosa mi scuoteva.
Aprii lentamente gli occhi, sentivo le
palpebre pesanti e, per riuscire ad aprirle, dovetti compiere quello che mi
parve uno sforzo immane.
Seduto nel posto accanto al conducente sulla Cadillac di Tom, senza rendermene
conto, mi ero profondamente addormentato. Mio fratello, sopra di me, doveva
aver iniziato a chiamarmi e a scuotermi non appena parcheggiata la macchina.
“…Ja…” bofonchiai,
completamente intontito.
“Scheiße, Bill!” esclamò lui con voce allegra
“Sembri Georg! Ti basta un secondo appoggiato
su un veicolo semovente per addormentarti…” iniziò, prendendomi cordialmente in
giro, come era solito fare.
“…Uh...uh…” interloquii io, cercando di
riacquistare attenzione. Odiavo i discorsi appena sveglio…rischiavo
sempre di perdermi qualcosa e questo mi irritava alquanto.
“E pensare che su questa macchina, prima di
te, non si era mai addormentato nessuno…” continuò lui, allusivo.
Richiusi gli occhi, voltando il capo
nell’altra direzione, domandandomi se mio fratello avesse disturbato il mio
sonno solo per chiacchierare, troppo intontito per poter aver una qualsiasi
altra reazione.
“Bill!!!”
Tom mi scosse ancora “Mi ascolti?!?”
Io riaprii gli occhi, ricominciando a
fissarlo con sguardo sonnolento, senza parlare.
“Vado a prendere dei cd…tu vuoi qualcosa?!?”
Lo fissai un istante e poi conclusi,
prima di rigirarmi ancora nella direzione opposta, richiudendo gli occhi “…sai
benissimo quali mi mancano…”
“…ok…” terminò lui
con voce rilassata, aprendo la portiera. Sentii che si chiudeva con un leggero
“Tac” e, dopo essermi sistemato meglio contro il sedile, aspettai immobile di
ricadere nel sonno.
Pochi minuti.
Toc toc.
Un leggero bussare al finestrino e, con un
altro sforzo immane, mi obbligai a riaprire gli occhi.
Tom, dall’altra parte del vetro, urlò a squarciagola
per farsi sentire “Der Geldbeutel!!!”
Individuato dove aveva lasciato il
portafoglio, aprii la portiera tendendolo verso di lui. Immediatamente la
fredda aria invernale mi investì in pieno ed io
rabbrividii. Tom me lo strappò dalle mani,
richiudendo bruscamente la portiera, per evitare che, senza giacca com’ero, potessi raffreddarmi poi, prima di scattare nuovamente verso
il negozio, urlò ancora da oltre il vetro “Danke, Bill!”
Lo osservai allontanarsi, domandandomi se
sarebbe tornato ancora a chiedermi qualcos’altro, interrompendo per la terza
volta il mio sonno, quando improvvisamente lo vidi.
Camminava con passo spedito per il
marciapiede, noncurante dell’occhiate che la gente gli
gettava. Un paio di jeans, scarpe bianche a righe nere, la
giacca sportiva con il cappuccio calato, nonostante non piovesse. Gli
occhiali da sole enormi, nascondevano i suoi occhi, fissi di fronte a sé,
mentre camminava.
Lo fissai esterrefatto per un paio di
secondi, mentre si allontanava. Improvvisamente, ero
completamente sveglio e la curiosità stava prendendo il sopravvento sulla
razionalità. Afferrai il giubbotto, il cappello e gli occhiali, che si
trovavano sul sedile posteriore e mi lanciai al suo inseguimento.
Affrettai il passo per non perderlo di vista.
Senza dubbio era un buon camminatore. Le persone intorno a noi ci osservavano incuriosite ma io non ci prestai caso, come
il mio “sosia” davanti a me.
Camminò a lungo, permettendomi così di
accorciare un po’ il distacco. A due metri da lui, notai che era
all’incirca 20 cm più basso di me. Quando poi mosse la mano sinistra per
estrarre un mp3 dalla tasca della giacca, vidi che era piccola e le sue unghie,
laccate di nero.
Continuai a seguirlo finché non entrò in un
parco comunale e si fermò ad osservare un’imponente statua.
Fingendo disinteresse, mi sedetti su una
panchina poco distante. Il mio sguardo costantemente sulla sua schiena.
Rimase a fissare la statua a lungo, poi
estrasse una macchina digitale e la fotografò da più angolazioni.
Mentre si voltava per effettuare
l’ultimo scatto improvvisamente mi vide. Mi fissò, perfettamente immobile. Sentii
il suo sguardo addosso, scrutarmi poi, come se niente fosse, ritornò alla statua.
La macchina in mano, salì
alcuni gradini per fotografarla meglio. Si avvicinò alla parete di cemento,
fotografò il nome del personaggio ritratto e poi, con la mano, ne ricalcò le
lettere.
“Che diavolo pensi di fare?!?”
urlò una voce maschile all’improvviso.
Entrambi ci voltammo verso sinistra,
scorgendo un vigile che si avvicinava a passi veloci. Il mio cuore, senza
motivo, iniziò a battere all’impazzata. Spostai lo sguardo sulla mia “copia”.
Occhi sgranati, sottolineati da una buona dose di
matita nera, fissava esterrefatto nella direzione del vigile. Scattai in piedi.
“Allontanati da lì!” urlò ancora il vigile,
sempre più vicino.
Lui obbedì
arrendevole, con calma si staccò dalla parete.
Arrivato di fronte a lui, il vigile urlò
ancora “Allora…cosa stavi facendo?”
Lui non rispose, limitandosi a fissarlo ad
occhi sbarrati in un perfetto silenzio.
“Ti ho chiesto cosa stavi facendo!” ripeté
ancora lui.
Il ragazzo spostò lo sguardo su di me, un
solo secondo. I nostri occhi si incontrarono. Un
brivido mi percorse la schiena.
“Allora?!?” chiese
ancora l’uomo, con voce sempre più irritata.
“Niente…” mi ritrovai a rispondere io, senza
neanche sapere perché.
Entrambi si voltarono
verso di me, esterrefatti. Io deglutii, sperando di non essermi cacciato in un
guaio. “Stava solo fotografando la statua per allegare le foto ad una ricerca
scolastica…” spiegai, usando la prima scusa che mi era venuta in mente.
“Una ricerca scolastica?!?”
domandò il vigile, fissandomi sempre più incredulo prima di spostare lo sguardo
sul ragazzo che annuì velocemente e poi riportarlo nuovamente su di me. A più
riprese ci studiò entrambi, poi parlò ancora “Scusi, ma lei è…?” mi domandò
all’improvviso.
“Il fratello.” Risposi senza neanche pensare
un istante. Poi respirai a fondo e aggiunsi “Sono il fratello maggiore.”
Il vigile annuì,
compiaciuto “In effetti, c’è una certa somiglianza…”
Non sapendo che rispondere, mi limitai ad
annuire mentre il ragazzo iniziò a fissarmi con uno sguardo più incuriosito di
prima.
“Comunque…” disse
poco dopo, tornando a rivolgersi a lui “…tu, ragazzino, come ti chiami?”
Il ragazzo lo fissò ancora in volto,
perennemente in silenzio.
“Tom. Mio fratello
si chiama Tom” risposi ancora io, per l’ennesima
volta senza riflettere e dandomi, subito dopo, mentalmente del cretino.
“Tom?!? Bel nome. Tom…” continuò il vigile che quando parlava con me sembrava
mille volte più ragionevole di quando si rivolgeva a
“mio fratello” “…Ma Tom non sa parlare?” mi chiese
all’improvviso.
Io deglutii, iniziando ad avvicinarmi ai due
“Si che sa parlare, ma è molto timido, per cui non ama
esprimersi davanti agli estranei…” risposi subito io, benedicendo la mia
spiccata fantasia.
“Capisco…” disse ancora il vigile “Comunque, sarebbe meglio se Tom
stesse alla larga dai monumenti…a proposito…quanti anni ha Tom?”
domandò come se il diretto interessato non fosse presente.
“Tom?” chiesi io,
per guadagnare tempo, gettando una veloce occhiata al ragazzo. I nostri occhi si incontrarono nuovamente, poi io risposi “15 anni”
basandomi sulla sua altezza, più o meno simile alla mia quando avevo quell’età.
“15 anni…un ragazzino di 15 anni…” ripeté il
vigile a voce alta, ma come se stesse parlando fra sé. “Un ragazzino di 15 anni
dovrebbe andare a scuola, lei non pensa?”
Io sbiancai. “Cosa intende
dire?” domandai senza riflettere.
“Beh…che molte persone mi hanno detto di aver
visto uno strano ragazzino bazzicare nei dintorni…ed io penso che si tratti
proprio di suo fratello Tom…” concluse lui,
sorridendo compiaciuto dal suo ingegno.
“Tom?!?”dissi io, fingendo stupore “Tom…stai
bigiando la scuola?” chiesi con voce stupita.
Il ragazzo, che pensai dovesse
essere parecchio sveglio, si fissò le scarpe, immedesimandosi perfettamente
nella parte del fratello minore scoperto dal maggiore mentre faceva qualcosa di
sbagliato.
“Es tut mir leid…”
mormorò con voce talmente bassa da essere quasi inudibile.
“Non basta chiedere scusa…sarò costretto a
dirlo alla mamma…” continuai con voce severa.
“Tom” mi rivolse
uno sguardo dispiaciuto che avrebbe intenerito una statua di marmo ed io sentii
un tuffo al cuore. Deglutii.
Il vigile intanto sogghignava tra sé,
compiaciuto. Gli gettai un’occhiataccia e decisi che era meglio dileguarsi,
prima che la sua boria potessi irritarmi, spingendomi
a parlare a vanvera.
“Andiamo a casa, ora…” iniziai, facendo cenno
a “Tom” di precedermi. Il ragazzo, il capo basso,
fece alcuni passi nella mia direzione, superandomi. “Grazie ancora…” conclusi,
rivolgendomi al vigile che sorrise
“Di nulla…Dovere…”
Con il suo sguardo sulle nostre schiene,
raggiunsi “mio fratello” e continuai a fingere di sgridarlo fino a che, dopo
aver girato l’angolo, il severo tutore della legge non ebbe più modo di
sentirci.
“Cammina lentamente e tieni la testa bassa…”
gli dissi pochi secondi dopo “…non penso possa
sentirci, ma credo che ci stia ancora osservando…”
Il ragazzo, davanti a me, fece un leggero
cenno col capo, annuendo.
“…la prima a destra…svolta…” continuai. Lui,
in perfetto silenzio, obbedì.
Svoltato l’angolo si voltò
verso di me, abbassò la sciarpa dal viso, scoprendo la bocca e mi
sorrise. Fissai interdetto quel sorriso un paio di secondi. Il mio cuore batté
più lentamente e non potei fare a meno di notare che era davvero un ragazzino
carino.
Vedendo che lo fissavo interdetto, lui
scoppiò a ridere. La sua allegra risata, scoppiata all’improvviso, aveva fatto
voltare diverse persone nella nostra direzione. Lui, anche se
perfettamente consapevole del fatto che tutti lo stessero fissando, continuò a
ridere, come se niente fosse. Poi la sua risata si spense e lui tornò a
sorridere, prima di darmi le spalle e mettersi ad osservare le vetrine di un
negozio poco avanti. Le fissò qualche istante poi con la coda dell’occhio, rispostò il suo sguardo su di me, come per incitarmi a fare
qualcosa.
Rimasi immobile, lui mi
fissò, per secondi
interminabili poi mosse una mano, lentamente. Ebbi l’impressione che stesse per salutarmi e sparire da qualche parte. Troppo
incuriosito da lui, senza riflettere esclamai “Ti va di bere qualcosa?”
arrossendo immediatamente dopo e ricominciando a darmi del cretino.
“Tom” rise di nuovo, i suoi occhi luccicavano dietro gli occhiali
da sole poi, come risposta, mi si avvicinò di nuovo, afferrò con la sua piccola
mano la mia, per un istante, tirandomi dolcemente, facendo un leggero cenno col
capo. Un nuovo brivido mi attraversò la schiena.
Camminammo uno di fianco all’altro per alcuni
minuti, in silenzio. Lui si guardava intorno, osservando la
gente che, per tutta risposta, osservava noi. Lo osservai in volto,
cercando di leggere la sua espressione. Sembrava
perfettamente tranquillo, completamente a suo agio. Dai suoi occhi avrei
detto persino che stava sorridendo perché, da quando la folla era aumentata
intorno a noi, aveva ritirato su la sciarpa, coprendosi il volto.
Camminammo ancora e ancora, lui guardava le
persone, io guardavo lui. Improvvisamente, sentii la sua piccola mano sfiorare
la mia e sussultai. Ovviamente “Tom” scoppiò
nuovamente a ridere, mentre mi tirava verso un bar con una panchina di legno
all’esterno.
Lui, nonostante il freddo ed il fatto che
rabbrividisse molto più di me, si sedette fuori, poi mi gettò un’occhiata, invitandomi
a fare altrettanto.
“Cosa prendi?”
domandai, curioso di sentire la sua voce.
“Tom” si limitò ad osservarmi senza rispondere, riflettendo fra sé poi, con
la mano, indicò la scritta “Cola” sul cartello delle bevande esposto. Io
annuii, rassegnato. “Torno subito..aspetta…” Lo vidi sorridermi mentre entravo per ordinare.
Andai direttamente alla cassa a pagare. La
ragazza dietro al bancone non appena mi vide, arrossì e, presa da un attimo di
sbadataggine, fece cadere il pacchetto di sigarette iniziato che aveva in mano.
Si scusò, affrettandosi a segnare le due cole, poi mi gettò un’occhiata
incuriosita, diversa dalle precedenti, che mi mise un
po’ a disagio. Per un istante temetti che mi avesse riconosciuto.
Lei mi porse lo scontrino e si spostò, per versare
la cola. Io la seguii. Versò la prima e la mise sul bancone
prima di voltarsi di nuovo, per versare la seconda.
“Scusa se te lo chiedo…” iniziò, porgendomi
il secondo bicchiere. Io la fissai un po’ preoccupato, temendo chissà quale
domanda personale “…conosci quel ragazzino, vero? Sei
arrivato con lui…”
Tirando un sospiro di
sollievo, la fissai serio in viso “Perché? Mio fratello ha forse fatto qualcosa di male…?” domandai, oramai abituato
a quella finzione.
“No, no…” iniziò lei, impallidendo, probabilmente
fraintendendo il mio tono. “…non intendevo dire questo…è
solo che…”
“…cosa…?” domandai,
un po’ scocciato. Stavo iniziando a perdere la pazienza verso tutte queste
persone che avevano sempre qualcosa da ridire degli altri. Mi stavo irritando.
“…beh…guarda tu stesso…” concluse
lei, indicando l’ingresso, prima di voltarmi le spalle ed interrompere così la
conversazione.
Mi voltai. “Tom”,
seduto sulla panchina, con una gamba piegata sotto l’altra, ascoltava musica e
fumava tranquillo.
Io sbuffai e mi allontanai velocemente.
“Brutta cosa l’incoerenza…” pensai.
“Die Cola, Tom!” dissi porgendogli il bicchiere.
“Il mio fratellino” sorrise, afferrandolo
immediatamente, spegnendo l’mp3. Io mi sedetti di
fianco a lui, respirando profondamente, cercando di calmarmi. Lui mi fissò
incuriosito in volto ed io gli sorrisi debolmente “La barista mi ha irritato…”
spiegai.
“Tom” per tutta
risposta assunse un’espressione curiosa poi indicò il
dito medio della sua mano, come per invitarmi a mandarla a quel paese. Non potei
non sorridere alla sua immensa inventiva e al suo modo di fare. Per un momento,
più che il mio “sosia” mi parve quello del mio gemello.
Il viso del mio gemello apparve nella mia
mente e mi resi conto di averlo mollato, senza una parola. Spaventato, afferrai
il cellulare, trovandoci tre chiamate e due messaggi da parte sua. Mentre il
ragazzino beveva tranquillo, osservando nuovamente la
folla, ne approfittai per mandargli un sms di scuse e di spiegazioni. Il cellulare si illuminò pochi secondi dopo e “Dumme
bruder :-P” fu la scherzosa risposta che ottenni da
lui.
Più tranquillo, rispostai
l’attenzione sul ragazzino che, finita la Cola, si era acceso un’altra
sigaretta alla menta. Sentendo il mio sguardo su di sé, lui si voltò a fissarmi,
sorrise.
Osservai il suo volto, i suoi occhi scuri
circondati dalla matita nera. Il suo volto era davvero femmineo, come dicevano
del mio, soprattutto quando avevo all’incirca la sua stessa età. Mi domandai se
bigiasse la scuola perché stava avendo gli stessi
problemi che avevo avuto io. Lui si accorse del mio sguardo dispiaciuto,
allungò la sua piccola mano, stringendo la mia e tornò a sorridermi
teneramente. Improvvisamente mi sentii meglio ed il pensiero di prima mi parve
impossibile.
Un secondo dopo lui
però mi lasciò andare, tuffando la mano in una tasca della giacca, alla ricerca
di qualcosa. Estrasse un cellulare che vibrava furiosamente. Gettò
un’occhiata allo schermo, sorrise un secondo poi si alzò di scatto,
afferrandomi la mano ancora un secondo con dolcezza, prima di staccarsi,
sorridere e scappare via, lasciandomi lì da solo, seduto su quella panchina,
con i soldi della sua Cola nella mano. Fissai le monete alcuni secondi,
capendoci sempre meno di quella situazione. Presi un respiro
profondo, poi afferrai il cellulare, per chiamare il vero Tom.
Il giorno dopo, di nuovo in macchina, alla
volta del centro. Avevo deciso di approfittare della momentanea folla dell’ora di punta per mimetizzarmi e muovermi indisturbato.
In realtà erano tutte scuse, più rivolte verso me stesso che verso gli altri. A
Tom era inutile mentire. Mio fratello, sapeva sempre
tutto di me, come io sapevo sempre tutto di lui.
Mi sentivo uno stupido e a disagio. Per molti
anni tutti avevano fatto insinuazioni poco carine a proposito della mia eterosessualità,
tanto che per un certo periodo la frase “Nein, ich bin nicht
schwul” era diventata quasi una consuetudine ed ora
soltanto a pensare agli occhi e al sorriso di quel ragazzino di 15 anni, il mio
cuore batteva all’impazzata. Per la prima volta, pensai davvero di non essere “normale”.
Scacciai quel pensiero dalla mente e per continuare ad
ingannare me stesso decisi di parcheggiare lontano dal parco. Scesi
dalla macchina percorrendo le strade poco affollate, per poi svoltare verso il
centro. Il fatto di sapere che lui bazzicava sempre in quella zona, ovviamente
era solo una mera coincidenza…
Camminando continuavo a
darmi dell’idiota poi, improvvisamente lui sbucò da un negozio di cd,
sbracciandosi per attirare la mia attenzione, sorridendo. Il mio cuore
sobbalzò.
Sembra che anche lui provi interesse per me…,
mi dissi, prima di arrossire e ricacciare quello
stupido pensiero lontano.
Lui mi si avvicinò, saltellando come un
bambino, posizionandosi proprio di fronte a me.
“Hallo!” lo salutai con voce allegra.
Lui socchiuse gli occhi, inclinando
lievemente la testa e sorrise poi, improvvisamente il suo cappuccio si mosse,
scosso da una folata di vento gelido. Una lunga ciocca dei suoi capelli corvini
fu slanciata in alto, spandendo un buon profumo attorno. Arrossii nuovamente,
continuando a fissare di fronte a me.
“Tom” si sistemò la
ciocca di nuovo a posto e tornò a sorridermi.
“Andiamo a farci un giro?” domandai, non
sapendo che altro proporre. Il ragazzino tornò a sorridere dolcemente,
camminando tranquillo al mio fianco. Io lo osservavo con la coda dell’occhio. Il suo volto femmineo, la sua mano piccola, le unghie laccate di
nero.
E se non fosse un ragazzino?
Sgranai gli occhi, all’improvviso,
continuando a fissarlo. Quell’improvviso dubbio era
sorto in me, osservando il suo volto.
E se fosse una ragazza?
Un brivido mi percorse la schiena. Fissai
ancora il suo volto, senza riuscire a capire, attanagliato dal dubbio che
avevano la maggior parte delle persone quando mi vedevano truccato. Maschio o
femmina?
Mentre riflettevo fra me, non riuscendo a
cavare un ragno da un buco, l’attenzione di “Tom” venne attratta dalla vetrina di un negozio. Scattò in
avanti, saltellando ancora felice. Molti passanti fissarono la sua figura
saltellante allibiti.
“Quella ragazza non è normale…” sentii il
commento di una signora che mi passava accanto. Non potei evitare di gettarle
un’occhiataccia ed esclamai con voce perfettamente udibile “Come, scusi?”
“Tom” si voltò di
scatto a guardarmi. Mentre molte altre persone facevano
lo stesso, la signora impallidì e aumentò il passo per allontanarsi. Presi un
bel sospiro, cercando di calmarmi. Vidi “Tom”
riavvicinarsi, mettersi proprio davanti a me, fissandomi preoccupato in volto.
Gli sorrisi, cercando di arrivare ancora a capo dei miei dubbi.
Faresti prima a chiedere, se non ci arrivi da
solo..., mi suggerì il mio cervello, al massimo della
concentrazione.
Continuai a fissare quel tenero volto, ora
preoccupato, incapace di porre una domanda simile. Avevo paura potesse offendersi.
Il fatto che si lasci chiamare con un nome
maschile senza protestare, non dovrebbe significare che è un ragazzo?!?, propose la parte razionale del mio cervello ma, subito
dopo, quella più irrazionale mi fece coerentemente notare che, dato che non
voleva parlare, non poteva dire che un nome maschile non era indicato…
Il mio cervello stava iniziando a fumare per
gli strani ragionamenti.
Continuando ad osservare quel volto, mi
portai una mano alla tempia. I suoi occhi si spalancarono, palesando preoccupazione.
“Ho solo un po’ di mal di testa…” spiegai.
Fu allora che “Tom”
allungò entrambe le mani verso di me e, alzandosi sulla punta dei piedi, spostò
la mia, sostituendola con le sue fresche palme. Subito mi parve di sentirmi
meglio, mentre percepivo un leggero aroma di bagnoschiuma alla vaniglia, mischiato
a quello della sua pelle. Senza accorgermene chiusi gli occhi, sorridendo.
Sentii le sue piccole mani fresche muoversi
sul mio volto bollente, portando un po’ di refrigerio. Senza rendermene conto,
sospirai, poi mi irrigidii, temendo di essere stato
imprudente. Spalancai gli occhi.
“Tom” sorrideva, le
mani ancora sul mio volto. Specchiandomi in quegli occhi, sentii
una strana sensazione all’altezza dello stomaco, smettendo immediatamente di
pensare, mi mossi, senza rendermene conto, stringendo il suo corpo
contro il mio. Sentii che lasciava cadere le mani dal mio viso e anche se
temevo fosse a disagio, per un istante pensai che
chiunque fosse, c’era qualcosa che io non potevo, non volevo mi sfuggisse, poi sentii
le sue mani sulla mia schiena ed il suo capo contro il mio petto. Il mio cuore
batteva all’impazzata, senza controllo. Avrei voluto
restare così per sempre. Improvvisamente non importava più nulla. Importava
solo il fatto che questa persona mi piacesse perché era spontanea, vera. Era, non appariva.
Si mosse, poco dopo,
staccandosi un po’ da me, continuando a fissare la cerniera della mia giaccia,
in imbarazzo. Sentii il cuore gonfiarsi ancora, senza più controllo.
“Ehy…” chiamai, per
attirare la sua attenzione. I suoi occhi si specchiarono nei miei. Mi passai le
labbra con la lingua, prima di continuare “…sono un’idiota lo so…ma non mi importa di sapere chi sei, perché non vuoi parlare, da
dove vieni…mi piaci…”
Sorrise, un sorriso che mi
fece pensare che fossimo in piena estate per via del calore che irradiava. Strinsi ancora il suo corpo contro il mio,
ancora una volta, sentii che si abbandonava contro di
me, senza proteste, le sue mani sulla mia schiena.
“Mamma, mamma, guarda quei due!”
Entrambi sentendo la voce di una ragazzina, sussultammo, staccandoci un poco poi, imbarazzati, rossi in viso ci
allontanammo, tenendoci per mano.
Seduti in riva al laghetto, le luci del
tramonto illuminavano il suo volto. Deglutii. Gli occhiali da sole sul naso, la
sciarpa al collo. Seduti vicini, ci tenevamo per mano. Io osservavo il suo
volto, illuminato dal sole, incapace quasi di spostare lo sguardo. Mi sentivo
pieno di una strana sensazione che mai avevo provato, così intensa. Una folata
di vento ci investì, senza preavviso, gettando il suo
cappuccio oltre le spalle, spargendo ovunque i suoi lunghi capelli corvini. Rimase
immobile, come se non fosse accaduto nulla.
Attratto, come una falena dalla luce, non
seppi trattenere la mano e lasciai scorrere le mie
dita fra le ciocche. Solo allora si voltò, sorridendomi. Allungò
la mano sinistra, accarezzandomi una guancia, poi ricalcò con il pollice
la linea delle mie labbra. Afferrai la sua mano con dolcezza,
annullando la distanza tra noi, strinsi di nuovo il suo corpo, tuffando
il viso fra i suoi capelli, respirando a pieno il suo profumo. Un profumo che
solo lei poteva avere.
“Perché non mi hai
detto che il nome che ti avevo dato non era adatto…” mormorai, prima di
sfiorare la sua guancia con le mie labbra.
Rise.
“Mi piace quel nome…mi hai chiamato col nome
di una persona che per te è molto importante…come avrei potuto rifiutarlo?”
La strinsi a me, più che potevo, per lunghi
istanti poi lei si staccò leggermente. Appoggiai le mani sulle sue guance, poi scesi piano su di lei. Le nostre labbra si
incontrarono, muovendosi dolcemente. Il mio cuore si fermò un’stante,
per poi ricominciare a battere veloce il doppio. Quando si
staccò lei mi sorrise ancora, prima di appoggiare il capo contro la mia spalla,
tornando a fissare il tramonto di quel pomeriggio di metà inverno...
Toc toc.
Un leggero bussare al finestrino. Con uno
sforzo immane, mi obbligai a aprire gli occhi, giusto
in tempo per vedere Tom, dall’altra parte del vetro,
urlare a squarciagola per farsi sentire “Der Geldbeutel!!!”
Sbuffai, irritato. Aveva distrutto il
bellissimo sogno che stavo facendo solo perché era il solito sbadato.
Aprii la portiera tendendogli il portafoglio.
Tom me lo strappò dalle mani, prima di scattare
nuovamente verso il negozio, urlando “Danke, Bill!”
Lo osservai allontanarsi, stropicciandomi gli
occhi, ancora mezzo intontito, con una strana sensazione nel corpo. Riappoggiai
il capo, contro il sedile, osservando la strada.
Sul marciapiede, noncurante dell’occhiate che la gente gli gettava, un ragazzino
dall’aria familiare camminava con passo deciso, un enorme paio di occhiali da
sole ed un cappuccio. Si fermò, all’altezza della portiera della Cadillac. I nostri sguardi si incontrarono
un istante, poi si allontanò ed io richiusi gli occhi.
“Perché te ne stai
lì sdraiato con quel sorriso beato?” domandò poco dopo Tom,
risalendo in macchina ed infilando la chiave.
“Così…” risposi io,
restando sul vago “Fai l’altra strada, per tornare? Devo controllare una
cosa…”
Mio fratello sorrise “Come vuoi…”
Rimise in moto il motore, svoltando
all’incrocio. La sagoma del parco si ingrandiva, man
mano che ci avvicinavamo. Io lo osservavo, sguardo fisso. Mio fratello scrutava
il mio volto. Quando fummo proprio davanti
all’ingresso, si fermò. Sorridendo, afferrai la giacca, infilandola. “Ti chiamo
dopo,ok?”
“Keine Problem.” Rispose subito lui.
Scesi, chiudendo la portiera. Mio fratello
ripartì immediatamente, facendo un cenno con la mano. Stringendomi nella
giacca, percorsi il viale. Il cuore che batteva velocissimo,
l’ansia che attanagliava lo stomaco. Emozionato, all’idea che un sogno di
un pomeriggio di metà inverno, potesse diventare
realtà…