Fanfic su attori > Josh Hutcherson
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Autore: ellyb1611    12/05/2014    2 recensioni
Un incontro fortuito.
Due persone.
Due mondi opposti.
Lui giovane attore di fama internazionale, lei mamma single che cerca di sbarcare il lunario scrivendo articoli per un giornale locale e lavorando come cameriera nel ristorante dei genitori, ma con un sogno nel cassetto…
Tra confessioni, indivie ed incomprensioni riusciranno Josh e Alice a scoprire che si appartengono nonostante le differenze? E che tutto nella “Città degli Angeli” può accadere…
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Avvertenze:Capitolo revisionato

 
Capitolo 1:
Ore 20.15 Los Angeles.
Dopo quattordici ore tra volo e aeroporti, finalmente atterriamo.
Solo una settimana fa, se me lo avessero detto, non avrei creduto che io Alice Rossi, cameriera part-time nella pizzeria dei miei genitori e giornalista nel tempo restante, sarei sbarcata nella città degli angeli per un servizio di questo calibro. Sì, perché il direttore del giornale per cui scrivo mi ha proposto di seguire in diretta la notte più lunga dell’anno.
A dire il vero, più che una proposta la sua è stata una scelta obbligata.
Marco, il collega incaricato del servizio ha avuto un incidente mente stava sciando ed io era l’unica persona disponibile a partire con così poco preavviso. Diciamo pure che ero l’unica disperata che, per racimolare qualche spicciolo in più, ha accettato all’istante.
E ora eccomi qui!
Mi guardo attorno alla ricerca del posto in cui ritirare le valige. Quest’aeroporto è talmente grande che quasi mi perdo appena uscita dal boeing. Fortunatamente conosco piuttosto bene la lingua e chiedendo qualche informazione riesco a trovare il reparto.
In attesa davanti al rullo, la mia mano scivola nella tasca della giacca, dove trovo un biglietto.
Ti voglio bene mamma. P.S. Se trovi qualcuno di famoso fatti fare l’autografo … sai come schiatteranno d’invidia i miei amici a scuola!”.
Sorrido scuotendo la testa, mentre una sensazione di tristezza m’invade.
Pietro, mio figlio, ha nove anni ed è l’unica ragione della mia vita. È anche e soprattutto per lui che ho accettato senza fiatare questo lavoro. Non perché sia una cineasta o perché brami dalla voglia di conoscere qualche celebrità, tutt’altro, io di cinema non conosco assolutamente nulla e, ancor  meno sono informata gli attori. A parte alcuni divi del passato, le nuove star potrebbero passarmi accanto senza che me ne renda minimamente  conto.
Questo non perché sia anticonformista o che altro, ma essendo una mamma single di venticinque anni non ha proprio tempo per il cinema.
In ogni caso Silvano, il mio capo, ha offerto bene per questo lavoro ed io non me lo sono lasciato scappare. Mi sono precipitata in libreria a prendere l’ultimo vademecum aggiornato sul mondo del cinema, ho fatto le valige e salutato il mio piccolo uomo.
Guardo l’orologio. Saranno ormai quindici minuti buoni che sto aspettando i bagagli. Mi guardo attorno perplessa, ma per fortuna vedo che ci sono ancora alcune persone in attesa.
La coppia di fronte a me, probabilmente in luna di miele da tanto se ne stanno appiccicati, prende ciascuno la propria e si dirigono verso l’uscita.
“Starà arrivando” mi ripeto, ma meno fiduciosa di prima.
Anche la signora anziana che mi sta accanto e che occupava il posto di fianco al mio in aereo, riceve il suo bagaglio.
 Io la guardo, lei mi lancia un sorriso compassionevole e di circostanza e se ne va.
Resto così a guardare quel rullo che gira a vuoto, impietrita, con il mio zainetto stretto forte in una mano quasi per paura che possa arrivare qualcuno e portarmi via anche quello. Non so se mettermi a piangere o a urlare o che altro.
Sono a Los Angeles, tra quattro giorni dovrò essere pronta per la notte più importante che forse darà uno scossone alla mia carriera e vita e … non ho più nulla!
L’espressione del mio viso deve parlare da sé, perché un ragazzo che avrà all’incirca venti anni si avvicina cautamente.
«Tutto bene?», chiede molto gentilmente.
Alzo gli occhi, incrociando i suoi e rispondo a voce così bassa che lo vedo tendere l’orecchio verso di me per cercare di capire quello che gli sto dicendo.
«Penso che si siano persi la mia valigia», dico con aria sconsolata.
 Lui mi sorride.
«Non preoccuparti», dice con lo stesso tono garbato, «Vediamo di scoprire dov’è finita», dice infine continuando a sorridere.
Ci incamminiamo verso l’uscita uno di fianco all’altro.
«Sei davvero molto gentile!’ì», esclamo interrompendo il silenzio che si è venuto a creare.
Lui sorride ancora ed io non riesco a non pensare a quanto, quel ragazzo tanto gentile, sia anche molto carino.
Scuoto la testa.
 Avanti Alice non sono né il luogo né il tempo per pensare ai ragazzi. Penso tra me e me
«Sai è capitato diverse volte anche a me», dice distogliendomi dai pensieri di poco prima, «Posso dire di essere quasi un esperto», conclude strizzandomi l’occhio mentre ci avviciniamo alla zona per il controllo dei passaporti.
Passati i controlli, almeno qui tutto liscio, riprendiamo il cammino verso l’uscita.
«E comunque …», dice fermandosi di colpo e allungando la mano «… io sono Joshua o Josh se preferisci» «Piacere di conoscerti … Joshuaojoshsepreferisci», pronuncio sorridendo e tendendogli la mano, «io sono Alice».
Le nostre mani si sfiorano e, come una ragazzina, qualcosa dentro il mio stomaco si muove. Ritraggo la mia e sorrido imbarazzata, con la speranza che non si sia accorto di nulla.
Usciti finalmente dal gate, m’indica il banco cui posso rivolgermi per la denuncia. 
Josh è appena dietro di me, mentre mi volto per vedere dove è rimasto, noto che si cala ancora di più il cappellino sul viso e s’infila un paio di occhiali da sole.
Lo guardo perplessa sollevando un sopracciglio e lui per tutta risposta alza le spalle e allarga le braccia, quasi a volersi giustificare.
Alzo gli occhi al cielo lasciando cadere ogni domanda circa questo suo comportamento e raggiungo il box.
«Mi scusi?», chiedo gentilmente alla ragazza dall’altra parte del bancone.  Lei alza il viso, visibilmente seccata, distraendola da chissà quale attività di vitale importanza e, mi trovo davanti ad una copia autentica di Barbie Malibù. Capelli lunghi biondi platino, occhi azzurri e un trucco notevolmente troppo pesante.
«Come posso aiutarla?», domanda svogliatamente, masticando un chewingum non proprio elegantemente.
«La mia valigia non è stata caricata», dichiaro.
«Ne è certa?», insinua con un tono che mi fa venir voglia di tirarle quei perfetti capelli.
«Sicurissima!», rispondo seccata.
 Senza neppure guardarmi, prende un foglio dalla scrivania e me lo porge, anche se sarebbe più giusto dire che me lo lancia.
«Deve compilare il modulo, poi vedremo che fare», dichiara sgarbatamente.
Sorridendo di circostanza, prendo il foglio e mi allontano di un paio di metri per compilarlo con i dati richiesti.
«Mi scusi, avrebbe una penna da prestarmi?», chiedo gentilmente.
 Barbie Malibù sbuffando, ne lancia una sul bancone a mo di saloon del far west.
«Grazie tante!», esclamo sarcastica. Lei mi fa un cenno con la mano liquidandomi velocemente.
Scuoto la testa e compilo attentamente tutti i campi richiesti, senza tralasciare nulla.
I miei dati anagrafici, il numero di telefono cui mettermi in contatto, tutto il tragitto del mio volo Milano - Londra; Londra - New York; New York - Los Angeles…
«Sei Italiana?», una voce dietro di me mi fa trasalire e, senza volere, lascio un brutto segno nel centro del foglio. «Scusa, non volevo spaventarti!», esclama ancora la voce con tono dispiaciuto.
Alzo gli occhi e nonostante gli occhiali da sole che gli occupano metà viso, riconosco Josh che mi sta sorridendo.
«Sì, sono italiana», rispondo, «Perché me lo chiedi?».
«No niente, è solo che parli talmente  bene la mia lingua che pensavo fossi americana», si giustifica Josh. «Mia nonna era americana», confesso tagliando corto. Non sono in vena di confidenze e Josh deve averlo capito perché lascia subito cadere il discorso.
«Fatto?», chiede indicando il foglio.
Guardo il modulo.
 «Secondo me Barbie lo cestinerà non appena mi allontano. E allora … bye bye valigia!», dico sconsolata.
 Josh si solleva gli occhiali da sole, mi guarda, guarda la ragazza al bancone e strappandomi il foglio dalle mani si avvicina a lei.
Lei appare subito scocciata, ma non appena vede Josh sembra essere in preda ad una crisi compulsiva.
Sono troppo distante perché capisca cosa si dicono, ma sembra convincente. La biondina californiana, prende il modulo, lo esamina attentamente e lo ripone tra le “priorità”.
 Io sono davvero allibita. Sì, è un bel ragazzo ma comportarsi così.
Neppure fosse qualche personaggio iper-famoso…
Nello stesso momento in cui lo penso, uno strano presentimento si fa strada in me.
Oddio e se fosse qualcuno di famoso? No, non può essere. Insomma un VIP ha altro cui pensare che aiutare una turista a ritrovare la sua valigia e poi non ha neppure una scorta e di quello sono certa.  Mai e poi mai una celebrità rinuncerebbe alla scorta.
Mi scrollo di dosso questa balzana idea di testa, convincendomi che Barbie Malibù abbia qualche crisi ormonale in corso.
 La mia teoria è supportata quando vedo Josh firmare un foglio e porgerlo, lei lo prende e si lascia letteralmente cadere sulla sedia stringendo al petto quel pezzo di carta che Josh le ha appena consegnato; Lui mi fa cenno di seguirlo, ma prima di raggiungerlo, mi avvicino alla ragazza e non resisto alla tentazione. «Grazie», sussurro «Comunque, da donna a donna, hai del rossetto sui denti!», dico sogghignando mentre le do le spalle.
 Sento lei alzarsi dalla sedia e correre via borbottando qualcosa d’incomprensibile.
 Josh assiste alla scena senza capire.
«Si può sapere cosa le hai detto?», chiede con aria interrogativa.
 «Oh niente!», rispondo, «Solo le ho fatto presente che aveva del rossetto sui denti. Per lei deve essere stata una vera e propria tragedia, soprattutto dopo aver parlato con te.».
«Ma… ma non è vero», balbetta Josh.
Lo guardo e sorrido.
 «Lo so», dico infine rivolgendo lo sguardo di fronte a me.
Sento Josh ridere dietro di me.
«Piuttosto, tu come hai fatto?» chiedo curiosa.
«Diciamo che sono solo abituato a trattare con le persone», dichiara strizzandomi l’occhio.
Qualche minuto più tardi oltrepassiamo la porta a vetri dell’aeroporto, uscendo definitivamente da quel luogo.
«Dove alloggi?», chiede posando il suo enorme zaino sul marciapiede.
Per un attimo sono presa dal panico, poi mi ricordo di aver messo il biglietto col nome dell’hotel nel portafogli, che per fortuna è al sicuro dentro lo zainetto, ancora stretto tra le mie mani.
«Ho l’indirizzo nello zaino», rispondo, «Il mio capo ha pensato a tutto», aggiungo pavoneggiandomi.  «Se…se vuoi, possiamo condividere il taxi», blatera Josh passandosi una mano tra i capelli.
Sembra quasi imbarazzato mentre me lo chiede, cosa che lo rende ancora più carino.
Ancora con questa storia Alice?”, mi rimprovero.
«Con molto piacere», rispondo sorridendo mentre il suo viso si distende.
Non dobbiamo aspettare molto prima di trovare un taxi disponibile. Saliamo e dal mio zaino, estraggo il foglio con l’indirizzo dell’hotel comunicandolo, infine, all’autista.
Lui e Josh si guardano strabuzzando gli occhi.
«È quello il tuo albergo?» chiede Josh.
«Sì, perché?», domando titubante.
Non risponde, ma vedo che sta cercando di trattenere le risate. Non gli do molta importanza perche sono più che certa che la mia redazione non ha badato a spese. Sarà un Hotel extra-lusso senza dubbio.
Pochi minuti dopo, ma davvero pochi perché non abbiamo neppure avuto il tempo di fare un po’ di conversazione, arriviamo davanti a quello che dovrebbe essere il mio super-hotel-extra-lusso, solo che di super-extra-lusso non ha proprio nulla e, a dire il vero, anche sul fatto che sia un Hotel ho qualche dubbio.
Deglutisco a fatica.
Mi sembra di essere capitata sulla scena di un film dell’horror. Di certo non è un vero e proprio hotel, quando piuttosto uno di quegli spogli motel frequentato perlopiù da prostitute e serial killer.
Mi prende lo sconforto, anzi a dire il vero una vera e propria crisi di panico. E se non dovessi più rivedere mio figlio o mio fratello, la mia casa.
Non ci voglio pensare!
«Tutto bene?», chiede Josh trattenendo a stento le risate.
«Beh, che ti dicevo … non hanno badato a spese!», esclamo nel tono più sarcastico che conosco, «Senti Josh, so che sei stato molto gentile e non voglio abusare della tua pazienza, ma potresti aspettare altri cinque minuti in macchina …», continuo, «… vado a controllare la situazione e vi vengo a salutare».
Josh annuisce.
«Grazie», rispondo rincuorata. Almeno se tentano di uccidermi qualcuno, saprà chi sono.
Scendo dal taxi e, affacciandomi al finestrino abbassato li esorto a scappare se entro qualche minuto non dovessi comparire da quella porta.
Il tassista e Josh cominciano a ridere, ma io non sono mai stata più seria in tutta la mia vita.
Deglutisco e, facendomi coraggio, m’incammino verso l’entrata.
Se fuori era una specie di tugurio, dentro è peggiore. L’odore di alcool e muffa mi fa venire voglia di vomitare, mi copro il naso con la sciarpa e mi avvicino a quella che dovrebbe essere la reception. Suono il campanello posto sul bancone.
Una due, tre volte.
Nessuno.
 Riprovo.
Una due
Dal retro vedo avvicinarsi un uomo, altissimo e assai corpulento.  Indossa una canottiera ormai ingiallita e piena di macchie di unto, la patta dei pantaloni è aperta e, all’altezza del pube, si nota chiaramente che si è bagnato.
Rabbrividisco. In bocca ha uno stuzzicadenti e lo fa roteare tra quelli che una volta forse erano denti sani.
«Dimmi dolcezza!», esclama cercando di avvicinarsi maggiormente a me.
«Sono Alice Rossi», comunico indietreggiando, «la mia redazione, la “Life Style”, deve avere prenotato una stanza per me».
L’uomo si sposta ed estrae dal cassetto un registro le cui pagine sono incollate tra loro da una sorta di sostanza gelatinosa e appiccicaticcia, forse marmellata, macchie di unto e chissà cos’altro.
«Ah sì, dall’Italia», dichiara.
Sorrido annuendo.
«Purtroppo non ti ho vista arrivare e l’ho data a Desy, ma tra un’ora può essere tua…se non fanno doppietta», m’informa ridendo sguaiatamente.
Sento il bisogno di scappare a gambe levate, ci sarà un albero migliore di questo, anche se è la settimana degli Oscar.
«Mi spiace molto …», improvviso, «… ma tra circa mezz’ora ho una riunione e non posso davvero attendere. La ringrazio comunque per la sua gentilezza e disponibilità.», concludo recitando un perfetto copione e restando in attesa di sapere se si è bevuto la mia balla.
Sbuffa.
«Come vuoi dolcezza!», esclama ed emettendo un suono sgradevole dalla bocca rientra nel suo ripostiglio.
 
 
 
  
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