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Autore: latour    13/05/2014    5 recensioni
Takanori non vedeva l’ora di poter passare un’intera giornata insieme ad Akira ma, non appena lo vide, ritto in piedi sull’uscio di casa, si rabbuiò improvvisamente e si ammutolì del tutto, imbronciandosi e sbuffando infastidito. Quest’ultimo, poi, non riuscì neppure a spiegarsi il comportamento del piccoletto che, chiudendo la porta dell’appartamento con qualche giro di chiave, sfrecciò giù per le scale senza perder tempo, tenendosi stretta la borsa in spalla; un comportamento alquanto strano da parte sua, visto che rimaneva ad aspettare l’ascensore anche per svariati minuti, finché non si liberava.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Reita, Ruki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Reituki

“Kore de yokattan desu…”

 

 

 

«Perché non parli? Sei forse arrabbiato?»

«Arrabbiato, io? Sono i pollini che mi infastidiscono, smettila di chiedermelo.»

«Non sei credibile… e comunque va bene, la smetto.»

«Grazie.»

Era da ore che andavano avanti così. Si erano incontrati in mattinata, erano andati a pranzare da qualche parte insieme e non si erano quasi scambiati una parola. Takanori non vedeva l’ora di poter passare un’intera giornata insieme ad Akira ma, non appena lo vide, ritto in piedi sull’uscio di casa, si rabbuiò improvvisamente e si ammutolì del tutto, imbronciandosi e sbuffando infastidito. Quest’ultimo, poi, non riuscì neppure a spiegarsi il comportamento del piccoletto che, chiudendo la porta dell’appartamento con qualche giro di chiave, sfrecciò giù per le scale senza perder tempo, tenendosi stretta la borsa in spalla; un comportamento alquanto strano da parte sua, visto che rimaneva ad aspettare l’ascensore anche per svariati minuti, finché non si liberava.

Ora, camminavano per strada, mantenendo una certa distanza l’uno dall’altro. Takanori evitava in tutti i modi lo sguardo del compagno, stringendosi fra le proprie braccia magre e avvolte da una felpa enorme, forse troppo pesante per la mezza stagione in cui erano; l’inverno era già passato, ma la primavera sembrava ancora tardare un po’, nonostante i primi pollini che si mescolavano alla brezza fresca. Di tanto in tanto, abbassando il colletto, si portava una sigaretta alle labbra e fumava nervosamente, poggiando il filtro fra le labbra e mordicchiandolo con i denti. Il suo volto pallido e struccato era nascosto dal solito paio di occhiali da sole dalle lenti grandi e scure, e i capelli chiari, con un principio di ricrescita, raccolti nel berretto di lana leggera, anche quello scuro e anonimo.

«Per quanto continuerai ancora a tenermi il muso? Non sei carino, sai…?» esordì ad un tratto Akira, con voce profonda e tono lievemente grave, non osando voltarsi verso di lui – un po’ per timore, un po’ per non stare al suo gioco. Sapeva che prima o poi si sarebbe stancato e sarebbe esploso, confessandogli tutto, ma quella volta ci stava mettendo più tempo del previsto. Non riusciva davvero a spiegarsi cosa gli fosse successo, così improvvisamente, senza un’apparente ragione valida. Era forse una data importante? No, il suo compleanno era stato un mese e mezzo prima… che ricordasse, non c’era nulla di importante, era un giorno come tanti altri, soleggiato e appena ventilato. Così, sistemandosi gli occhiali da sole sul ponte del naso, andò poi a passarsi una mano fra i capelli piuttosto disordinati, sospirando rumorosamente da dietro la mascherina bianca dietro la quale si celava gran parte del suo volto. In più, come se non bastasse, aveva ben deciso di sistemarsi intorno al collo anche una leggera sciarpa in cotone, cercando in tutti i modi di passare il più inosservato possibile.

«Come sta Koro-chan?» domandò, provando ancora una volta a parlargli insieme, cercando d’attaccar discorso e di non lasciar cadere il tutto in meno di tre secondi. Sapeva di non essere il massimo in quanto a socializzazione, ma se non altro ci provava. Magari insistendo sarebbe riuscito ad ottenere qualche risultato significante; in caso contrario, si sarebbe preso un pugno o una testata in pieno stomaco, data l’altezza del “piccolo” Takanori.

A quest’ultimo, infatti, non servì molto per smontarlo. «Sta bene.» lo liquidò nel giro di poco, tenendo la sigaretta stretta fra le labbra, fumando lentamente e con fare sempre più irritato. Non aveva alcuna voglia di parlare insieme a lui, non quando anche quel giorno aveva infranto una delle promesse che si erano fatti tempo prima. Come se fosse la prima volta, per di più…

Akira, seccato, sbuffò sonoramente e, con fare repentino, gli afferrò il polso e lo strattonò, bloccandogli la mano e, quindi, il braccio. Fu un gesto istintivo, non volle farlo di proposito; il suo corpo si era mosso da solo – non avrebbe mai osato mettere le mani addosso a Takanori, neanche quando era un po’ su di giri. Non gli era mai successo prima d’ora e, vedendo il mozzicone della sigaretta cadere sul marciapiede e il suo pallido labbro tremare, lo lasciò andare, senza dire una parola. Continuò a camminare, sempre più rapidamente, lasciando l’altro indietro di qualche passo. Imprecò fra sé e sé, buttando uno sguardo al cielo e arricciandosi nervosamente una ciocca dei capelli biondicci e disordinati, martoriandosi il labbro inferiore con i denti, da dietro la mascherina. Di tanto in tanto buttava uno sguardo indietro per tenerlo d’occhio, per accertarsi che almeno continuasse a seguirlo. Si pentì amaramente d’averlo trattato in quel modo, era la prima volta in tanto tempo. Si sentì malissimo.

Voltandosi per l’ennesima volta, sentì il proprio cuore perdere di un battito: Takanori non era più lì. Allarmato, si guardò intorno e, quando rivolse ancora il viso davanti a sé, allungando la gamba sottile per fare un passo alquanto lungo. «R-Ruki?» cercò di chiamarlo, prima di imbattersi in qualcosa. Chiuse gli occhi e, cercando di non perdere l’equilibrio, mise a fuoco ciò che lo intralciava, alzando un sopracciglio e sospirando dal sollievo: eccolo lì, proprio di fronte a sé, almeno in senso figurato. «Eccoti qua…» sorrise, dandogli un buffetto in testa. «Non ti credevo così veloce, mh…» continuò, facendo quindi per scostarsi.

«Sei così… così fastidioso.» sibilò Takanori, scandendo sillaba dopo sillaba quell’ultima parola, non riuscendo a trovare qualcosa di più crudele e cattivo. Con mano rapida, gli slegò in fretta e furia la sciarpa leggera che teneva al collo, rischiando di soffocarlo per il nervosismo dei propri gesti maldestri. «Non solo ti ostini a coprirti questo stramaledetto naso anche quando non lavori, ma mi chiami pure con un nome che non è il mio.» strillò, prima che la propria voce tremante e insicura venisse mozzata da un singhiozzo che lo portò a mordersi il labbro inferiore per non aggiungere altro. Gli tolse quindi la sciarpa e gli abbassò la mascherina, strappandogliela poi letteralmente dal volto, lasciandogli impresso sulle guance magre il segno degli elastici che si erano spezzati. Senza troppa gentilezza, gli alzò anche gli occhiali da sole e glieli posò sulla fronte, tirando indietro il ciuffi di capelli che gli coprivano gli occhi piccoli, dal taglio sottile. «Dio santo, come devo dirtelo che detesto, odio, quando ti copri così?» mormorò ancora, per non attirare la gente che, come loro, si riversava nelle strade. Bella seccatura se fossero stati scoperti in quel momento, in mezzo a tutte quelle persone.

«Hey, non c’è bisogno di prendersela tanto…» borbottò Akira tra sé e sé, strizzando gli occhi che ancora non s’erano abituati a tutta quella luce, mettendo a fuoco il biondino solo dopo una bella manciata di secondi. Rimanendo praticamente a volto scoperto, si grattò l’angolo del naso e storse le labbra sottili in una piccola smorfia, per poi tornare con la sua solita espressione, un po’ persa e assorta in pensieri. Osservò il suo viso serio e indecifrabile, chiedendosi cosa gli passasse per la testa. «Adesso non sei contento?» gli domandò inutilmente, senza ottenere risposta. Doveva immaginarselo, dal modo in cui l’aveva trattato e da come s’era bellamente scordato di due piccole ma importanti promesse che si erano scambiati tempo prima. Non sapendo che altro fare, gli alzò anche a lui gli occhiali da sole sulla fronte, mettendo in mostra quegli occhietti piccoli e sicuri, dalle ciglia corte e sottili. Così, gli slacciò anche il colletto rigido della felpa, scoprendogli la bocca piccola e il mento, intravedendo anche quel neo che tanto gli piaceva.

Takanori, rimanendo fermo ed in silenzio per far sbollire la rabbia, aveva ben ragione di prendersela con lui, specialmente ripensando a tutte quelle volte in cui, presi dalla foga e dall’eccitazione, si trovavano a far l’amore subito dopo aver concluso un concerto, rinchiudendosi in una stanzetta lontana da tutto e da tutti. Ovviamente non se la prendeva per quello, assolutamente, ma rimaneva parecchio deluso ed irritato ogni volta che Akira, o meglio, Reita, appena sceso dal palco, trovasse tutto il tempo e la calma di togliersi i pantaloni, di slacciarsi la cintura e quant’altro, ma non trovasse invece il tempo di togliersi quella dannata noseband che gli nascondeva il volto. Gliel’avrebbe volentieri strappata a morsi, se solo ne avesse avuta l’occasione e non venisse immobilizzato da lui ogni volta – i loro corpi inchiodati l’un l’altro che si cercavano. Uscendo da quel vortice di pensieri, abbassò lo sguardo e un’espressione dura gli accartocciò il volto.

«Takanori, vivi? No, perché mi sto preoccupan--» interloquì ancora una volta Akira, poco prima di venir interrotto da qualcosa di tanto inaspettato, quanto gradito e dolce: difatti, le labbra di Takanori incrociarono le proprie in un bacio soffice e fugace, come non se ne scambiavano da tempo. Il piccoletto s’era dovuto alzare sulle punte per poterlo raggiungere e s’era stretto al suo busto come un koala al proprio albero di eucalipto, premendo il corpo contro il suo per bilanciarsi come meglio poteva. Senza pensarci troppo, si trovò a ricambiare quel tenero contatto, schiudendo la bocca contro la sua, prima che egli si staccasse, tornando con i piedi in terra. Gli rimase vicino, carezzandogli affettuosamente la guancia e osservava la sua espressione ora leggermente più raddolcita. «Potevi almeno avvertirmi…» ridacchiò un po’ imbarazzato, appallottolandosi la sciarpa leggera fra le mani, mentre abbandonava la mascherina ormai inutilizzabile in un cestino dell’immondizia lì vicino, tornando almeno a coprirsi il volto con gli occhiali da sole.

Takanori fece lo stesso e, affondando le mani nelle tasche grandi e calde della felpa larga, tornò a camminare con passo spedito, reprimendo a forza quella voglia di tirargli una pacca sulla spalla. Gli era già capitato di doversi rovinare le unghie nel farlo o, peggio, di doversene spezzare una, quindi rinunciò a mettere in atto quella brillante ed innocente idea. Avrebbe avuto modo di vendicarsi, magari anche in serata se Akira non aveva niente di meglio da fare. «Non essere stupido… se vuoi che ti avverta prima di ogni bacio che voglio darti, allora tu dovrai avvertirmi ogni volta che stai per entrare in me. È semplice ed equo, no?» disse con un ghigno, assottigliando lo sguardo e lanciando una frecciatina al diretto interessato che, dal canto suo, sembrava starsene con la testa fra le nuvole. «Mi hai ascoltato o facevi finta?» gli chiese pacatamente, mascherando quella vena di rabbia mista a tenerezza che gli piegava gli angoli delle labbra in un sorrisetto.

«Certo che ti stavo ascoltando… comunque, non credo che sia necessario avvertirti.» gli rispose, prendendolo a braccetto e tenendolo stretto a sé, decidendo che non l’avrebbe mollato neppure davanti ad una protesta apocalittica.

«D’accordo.» sussurrò appena Takanori, sentendosi leggermente stanco. Inizialmente cercò di evitare il braccio di Akira intrecciato al proprio, ma dovette rassegnarsi e si strinse un poco a lui, tenendo il passo e camminando normalmente, senza fretta. «Torniamo a casa? Sono un po’ stanco e non ho molta voglia di stare in giro ancora.» ammise poi, voltando i tacchi e riprendendo il percorso inverso a quello che stavano seguendo, trascinando con sé anche il bassista. Quest’ultimo annuì, acconsentendo a quella sua richiesta. Per quel giorno poteva anche andare a finire così. Non poteva credere che il piccoletto fosse stato zitto per tutto quel tempo. Non sapeva se interpretare quel suo comportamento come un punto di svolta o forse come un punto di regressione, ma per il momento non voleva pensarci. Avevano chiarito tutto ed ora erano in pace l’uno con l’altro. E poi, se non altro, Akira aveva imparato la lezione una volta per tutte: niente più faccia coperta e soprannomi al di fuori del lavoro. Chissà se sarebbe mai riuscito a farsi perdonare del tutto… magari con una bottiglia da un litro e mezzo di Orangina? Anche quella era un’idea da prendere in considerazione…!

 

 

 

 

 

 

Uhm… beh, non credo d’aver molto da dire. So che questa è una fic davvero banale ed inutile, ma era da un po’ di tempo che l’avevo in testa (diciamo da dicembre scorso, ehm) e ho sempre desiderato scriverla anche se, come vedete, non è davvero nulla di speciale. Perdonatemi eventuali errori grammaticali o di battitura, ma purtroppo i più piccoli sfuggono al correttore di Word e alla mia – pessima – vista.
A proposito: il titolo non c’entra nulla con la fic (o forse sì?). L’ho scelto solo per il significato del titolo in sé (“Finora andava tutto bene…”), non per le lyrics della canzone. Altrimenti avrei detto che s trattava di una songfic, no?
Spero almeno vi possa piacere! Recensioni e commenti sono ben accetti – sarò lieta di sapere cosa ne pensate! Conto di tornare a pubblicare qualcosa in questo fandom, magari qualcosa di più “serio” e accattivante. Spero tanto che i mesi estivi portino un po’ d’ispirazione alla sottoscritta…
A presto!

   
 
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