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Autore: Soqquadro04    15/05/2014    2 recensioni
[Immensa What if!5x22 | Death!character | Angst | Possibilissimo OOC | Implied!Delena]
[...] Scalci le lenzuola e ti alzi, esausta e ansimante e persa – dalla finestra vedi le stelle (e non sono opache come quella notte ma per quel che ti riguarda potrebbero esserlo – dovrebbero esserlo) e non c'è più speranza (non c'è più da tempo) e non c'è più rabbia, non c'è più niente.
Sotto le stelle gli hai detto che lo amavi, una volta – e ti era sembrato di doverle ringraziare (ma ora sai che le stelle mentono, Elena – le stelle mentono sempre).
E neppure loro hanno una risposta. [...]

I cinque stadi del lutto, le stelle che mentono, l'odore del fuoco - e la cenere.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Soqquadro04
Fandom: The Vampire Diaries
Disclaimer: non mi appartengono, nooooo.
Generi: Introspettivo, Sentimentale, Angst
Avvertimenti: possibilissimo OOC, What if?, Death!character, Implied!Delena
Rating: Verde
N/A - Note dell'Autrice:

Lo so che non dovrei scrivere 'ste cose prima della diretta. Lo so - non odiatemi troppo.
Non è che voglio portare sfiga - prendetela come una What if?, che è quello che è.

Il titolo è preso, in – buona – parte, da “Total eclipse of the heart”, di Bonnie Tyler (Delena, Delena EVERYWHERE). E, a proposito di canzoni, “Bonfire heart” di James Blunt è fatta apposta per loro – oddio, un buon numero delle canzoni di Blunt sono scritte per loro - e la voglio nella scena dell'esplosione che pare ci sarà seriamente.

Le definizioni sono prese da questo sito.

A presto,
la vostra agitata Soqquadro

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Turn around, I need you now tonight - (without you) I'm only falling apart

Ad Arturo, che è stato la mia stella

Perché è così che ti frega, la vita. Ti piglia quando hai ancora l'anima addormentata e ti semina dentro un'immagine, o un odore, o un suono che poi non te lo togli più. E quella lì era la felicità.
Alessandro Baricco – Castelli di rabbia

Io ti ho amato, André, e non saprei immaginare come si possa amare di più. Avevo una vita, che mi rendeva felice, e ho lasciato che andasse in pezzi pur di stare con te. Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità. E lo sapevo che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce ad immaginarsi il desiderio. Ma non ho cercato di fermarmi, né di fermarti. Sapevo che lo avrebbe fatto lei. E lo ha fatto. È scoppiata tutto d'un colpo. C'erano cocci ovunque, e tagliavano come lame.
Alessandro Baricco – Oceano mare

Capiva solo che nulla è più forte di quell'istinto a tornare dove ci hanno spezzato, e a replicare quell'istante per anni.
Alessandro Baricco – Senza sangue

 

 

  1. Negazione

In principio si nega il lutto come naturale meccanismo di difesa.

 

È stato un istante – un secondo e il mondo è esploso in uno scoppio di scintille mentre battevi la testa e il respiro si spezzava (le urla il sangue il dolore – la paura e il principio di panico nella gola).

Hai chiuso gli occhi – i vampiri non possono perdere i sensi, non è possibile – e forse è stato solo un riflesso, forse il tuo stesso corpo ha cercato di proteggerti (non lo sai – non sai più niente).
Ma hai chiuso gli occhi, e quando li hai riaperti lui era lì – e ti parlava senza che sentissi una parola, il viso macchiato di rosso e il terrore nei tratti (vattene – scappa, Elena. Vai via di qui) e non eri neppure riuscita a reagire.

La cantilena dei Viaggiatori era solo un sottofondo fastidioso – la cripta sapeva d'umido e cose antiche rimaste sotto terra (lui ti aveva sollevata in piedi, sostenendoti quando ti avevano ceduto le ginocchia – la testa pesante e i suoi occhi quando ti aveva gridato di correre, ti prego, ti prego, Elena, e la disperazione nella sua voce mentre rimaneva dentro e tu non eri riuscita neppure a spiegare, neppure a dirgli quello che dovevi, solo per l'ultima volta, e forse ti sei è solo illusa di averlo udito sussurrare).

E allora avevi corso – senza sapere dove andare, inciampando, la notte che ti si chiudeva intorno come una minaccia.

Poi avevi incontrato Stefan – e ti eri chiesta cosa ci facessero tutti lì, sul limitare del bosco (appena fuori da Mystic Falls, salvi, vivi – le stelle parevano non brillare più ma voi eravate vivi, tutti incredibilmente vivi – e Bonnie non c'era e non c'era neanche Damon e tu non riuscivi a capire), mentre il fuoco divorava quella che era diventata la tua casa e nelle orecchie risuonava ancora il rombo assordante dell'esplosione (le ombre che le fiamme gli dipingevano sul viso e il terrore cieco che ti aveva presa quando non l'avevi più visto e fa così male – sembra ancora che tu debba soffocare, la pietra gelida sotto le unghie e le lacrime che scorrono nelle vene insieme al sangue).

Quella notte avevi pregato – avevi alzato lo sguardo al cielo e stretto i pugni e mormorato ogni pensiero a quelle stelle opache, e avevi offerto tutto e non ti era stato dato niente.

Era arrivato il mattino e l'alba aveva portato l'odore del fumo – una luce rosata che ti aveva illuminato le iridi e spento il cuore (avevi camminato nella polvere e il vento ti aveva ingrigito i capelli – è impossibile eppure sembravi invecchiata, mentre sfioravi con la punta delle dita un muro della pensione, osso annerito di uno scheletro gigantesco, qualche foglio di carta rimasto integro, in qualche modo, ridotto a brandelli dalla brezza, e la bocca accusatrice del camino crollato che pareva gridarti addosso il suo dolore) e non avevi avuto quasi il coraggio di tornare nel bosco (avevi provato a convincerti che saresti sopravvissuta – ma da sola non ce l'avresti mai fatta e lo sapevi, lo sentivi, perché come si può sopravvivere alla persona che teneva insieme i frammenti di te? Come si resta in piedi con l'anima ridotta in pezzi e il cuore nella cenere?).

E avevi respirato, Elena – avevi tentato, almeno, ma l'aria ti era uscita dai polmoni ed era stato quasi un grido, era stato come morire.

«No.» la voce era stata un verso strozzato, un gemito straziante, e avevi faticato persino a credere che fosse davvero la tua – il timbro umido, la gola tremante (due lettere – la fine).

Le gambe non avevano retto e ti eri lasciata cadere – l'odore di sangue coagulato ti aveva invaso le narici e avevi dovuto chiudere gli occhi perché non potevi vedere ancora il suo viso così (qualcuno aveva provato ad abbracciarti e non ti eri nemmeno resa conto di stare urlando).

«No.» Dio, ti prego, no (no no no no), ti prego – ti prego (qualcuno che ti aveva trascinata via e qualcuno che si era avvicinato – qualcuno che aveva distolto gli occhi dalla scena pietosa di una donna distrutta, piegata in due dalla sofferenza, china sul corpo dell'uomo che l'aveva amata), no, ti prego.

 

Sei rintanata in un angolo buio di quella stessa cripta, ora, e hai finito le lacrime, Elena – non sai neppure più da quanto non ti nutri (la sete è diventata un bisogno secondario, surclassata da quello strazio che ti dilania dentro) e non credi di riuscire nemmeno ad alzarti (nessuno ti sta cercando, dopo che hai provato ad attaccare persino Matt, quando aveva tentato di portarti a casa, e si sono man mano rassegnati ad aspettare – aspettare cosa, poi. Forse che tu ti riprenda, lentamente, faticosamente – forse che tu impazzisca, alla fine. L'unico che torna, ancora, e ancora, è Stefan – Stefan che condivide il tuo dolore e Stefan che a volte parla e a volte no, Stefan che prova a essere forte per due e che finisce seduto con te, schiena al muro, a stringerti e lasciarti piangere e gridare e maledire il mondo, fino a che non ritrovi svuotata a mormorare una nenia senza senso che è per metà il suo nome e per metà il rifiuto).

 

  1. Rabbia

Quando si realizza la perdita, subentra un enorme carico di dolore che provoca una grande rabbia alle volte rivolta verso se stessi o persone vicine o, in molti casi, verso la stessa persona defunta.

 

Non c'è più niente da rompere, nulla che possa sgretolarsi fra le tue dita quando la prima ondata di rabbia ti annebbia la mente e il bisogno di farla uscire in qualche modo rischia di farti impazzire – la pensione è bruciata e la casa di Caroline sembra così angusta da darti l'impressione di stare per soffocare (è un pomeriggio di giugno che sarebbe uguale a tanti altri, ma l'anno scorso a quell'ora lo stavi baciando e ora non potrai farlo mai più e oh, Elena, quanto ti fa male e tu sei così stanca di soffrire ed è colpa sua, solo colpa sua – se soltanto fosse ancora con te, se soltanto potessi toccarlo, cercheresti di fargli del male, ora. Lo prenderesti a schiaffi, gli graffieresti il volto – perché tutta questa collera da qualche parte deve andare e lui non c'è quando dovrebbe esserci, lui ti ha lasciata sola a stringere i denti e morderti le labbra fino a farle sanguinare, a scagliarti contro gli alberi di un pezzo di foresta perché non puoi avere nemmeno la soddisfazione di distruggere camera sua).

 

Ti trovano inginocchiata a terra, la pelle incrostata di rosso – ti sei quasi strappata le unghie e c'è stato solo il vento a sentirti urlare, povera piccola Elena – e hai gli abiti sporchi di terriccio e i capelli sono un nido di foglie secche (sembri una pazza e fai persino paura, lo sguardo lucido e vuoto – uno sguardo che mostra quanto sei rotta dentro).

Non hai più la forza nemmeno di gridare, nemmeno di piangere – e la rabbia non se n'è andata, non ha fatto nient'altro che crescere e crescere e crescere e divorarti il cuore (o almeno l'avrebbe fatto se tu avessi ancora un cuore che possa essere definito così).

Ed è ancora Stefan che ti si avvicina e ti parla e ti aiuta ad arrivare a casa – e non la senti casa, anche se è il luogo in cui hai passato il più delle notti dei tuoi quattordici anni e in cui hai dato il tuo primo bacio e in cui hai condiviso (quasi) tutto, quella non è casa tua perché tutte quelle che lo sono state non sono altro che cenere, ora (è cenere tutto quello che è stato tuo e la collera ti aggroviglia le viscere tanto da rischiare di farti piegare a metà, e vorresti ridere e vorresti piangere e vorresti solo non sentire più).

Poi Stefan ti abbraccia e tu sai che anche se di te resta solo un involucro in frantumi non puoi permettere che rimanga solo.
«Non sarà per sempre – non sarà così per sempre.»

E non gli credi.

 

3. Patteggiamento

Si tenta di reagire all’impotenza cercando delle risposte o trovando soluzioni per spiegare o analizzare l’accaduto.

 

La notte non dormi, Elena – non solo perché ogni volta che chiudi gli occhi l'unica cosa che vedi è il suo volto (e l'unica cosa che senti la sua voce e il suo odore di cui non rimane più nemmeno un'illusione e ci sono i suoi occhi, sempre, sempre i suoi occhi).
La notte non dormi perché nel buio cerchi domande a cui dare risposte che non hai – non dormi perché il respiro di Caroline nella stanza a fianco è troppo rumoroso (le notti con lui erano silenzi d'estate – come un gatto, non ti accorgevi neanche di averlo accanto fino a che non stringeva il tuo fianco o mormorava qualcosa o si svegliava e ti osservava per un momento interminabile prima di dirti che ti amava) e non dormi perché non puoi dormire sapendo che nessuno ha ancora ascoltato (e non sai nemmeno cosa – non sai come, non sai perché).

E non importa chi dovrebbe ascoltare – Dio, il Diavolo, quell'universo che si beffa di te (quell'uomo che hai ucciso con le tue mani), ogni essere che ancora respira, che ancora vive, che ancora può dormire la notte e amare qualcuno senza dover rivedere ogni notte la maschera immobile di quel che restava di lui.

È luglio inoltrato e le cicale ancora cantano e il mondo ancora va avanti – eppure tu sei bloccata a una notte e al calore soffocante di un'esplosione e all'odore del sangue e senti che non riuscirai mai a capire perché (senti che un giorno morirai – un giorno diverrai polvere e quella polvere ancora odorerà di fuoco).

Scalci le lenzuola e ti alzi, esausta e ansimante e persa – dalla finestra vedi le stelle (e non sono opache come quella notte ma per quel che ti riguarda potrebbero esserlo – dovrebbero esserlo) e non c'è più speranza (non c'è più da tempo) e non c'è più rabbia, non c'è più niente.

Sotto le stelle gli hai detto che lo amavi, una volta – e ti era sembrato di doverle ringraziare (ma ora sai che le stelle mentono, Elena – le stelle mentono sempre).

E neppure loro hanno una risposta.

 

  1. Depressione

Ci si arrende alla situazione razionalmente ed emotivamente.

 

Se fossi ancora umana, qualcuno direbbe che ti stai lasciando morire – e avrebbe ragione (lo sai che i vampiri non possono morire di fame, eppure non ti nutri da due settimane almeno e l'arsura che ti inaridisce le vene, che le rende simili a fili di ferro che ti scavano nella carne, è sempre, sempre in secondo piano – sempre sottofondo delle giornate; giornate tutte identiche, tutte dolorose immersioni nei ricordi, giornate tutte inutili).

Qualcun altro direbbe che è solo la depressione, che sei quasi arrivata alla fine, che passerà – e qualcun altro ancora direbbe che sei morta quella notte e che non c'è più nulla da tenere in vita.
Eppure in qualche modo tu sei viva – ma lui è morto.

Ti rendi conto solo ora che hai sempre pensato – anche mentre urlavi al cielo e piangevi e ringhiavi come una bestia impazzita – che in qualche modo l'avreste riportato indietro – che un giorno sarebbe tornato da voi, da te, e poi tutto sarebbe andato bene, il tempo avrebbe ripreso a scorrere e il mondo avrebbe smesso di sembrare una sistemazione temporanea.

Ma non c'è più niente da portare indietro – l'Altro Lato è crollato su se stesso trascinandosi dietro tutto, tutti. Lui è morto e non è più.

E tu sei viva – forse solo in teoria, in pratica non lo sei da molto tempo – e pensi e soffri, ma è come se non fossi – come se anche tu fossi caduta nel nulla e sei tentata di rimanere così, sdraiata in una stanza, al buio, fino a che davvero finirai in un limbo eterno, immobile, nero.

Sarebbe una soluzione come un'altra – sei così stanca, Elena, così stanca di lottare e di cadere a pezzi e di sentire ogni giorno (ogni giorno vuoto) l'anima staccarsi e lacerarsi e avvizzire come un fiore chiuso in un libro, così stanca.

Forse quel nulla sarebbe un inferno – eppure non c'è inferno peggiore di quello in cui stai morendo.

 

  1. Accettazione

Si accetta l’accaduto, riappacificandosi con esso, spesso sperimentando fasi di depressione e rabbia di natura moderata, volte a riconciliarsi definitivamente con la realtà.

 

Dicono che esiste una soglia del dolore oltre la quale una persona non può più sopportare – dicono che, oltrepassato quel limite, la mente debba iniziare a guarire, il lutto debba essere portato avanti perché l'essere umano è sì fatto per resistere a molto ma a certi dolori semplicemente soccombe.

Tu quel limite l'hai superato nell'istante in cui l'hai visto – in cui hai visto il suo corpo –, eppure non sei un essere umano e forse è questa la punizione della natura verso di voi, forse è proprio il non riuscire a fermare il dolore, il fatto che invece di scemare aumenti giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto secondo istante.

Ti rigiri l'anello fra le dita, giocherellando con i lapislazzuli – le prime luci dell'alba li fanno sembrare rosa, ma sai che sono azzurri (eppure mai quanto i suoi occhi).

Avresti voluto scegliere un luogo coreografico, qualcosa di teatrale – come a volte era stato lui.
Ma il Wickery Bridge, così pregno di ricordi (belli, brutti, orrendi, semplici ricordi) è distrutto e anche casa tua è solo uno scheletro annerito.

Hai deciso che il cimitero è abbastanza, quella notte – fra le lapidi e i mausolei ancora sporchi di polvere, altra cenere non si noterà.

L'alba tinge l'erba e compare dalla sommità dalla collina con lampi dorati, e investe il tuo viso, per primo, quando lasci cadere l'anello – si perde fra margherite e mazzi di fiori.

Non senti nemmeno il fuoco.

Sto arrivando.

   
 
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