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Autore: S t r a n g e G i r l    16/05/2014    5 recensioni
Niente magie, niente maledizioni in queste storia.
I nostri amati personaggi tutti calati in vesti mai viste. Una Au dai contorni scuri e gotici.
Lui, vittima sacrificale. Lei, la sua carnefice.
Esiste anche in un universo di assassini il lieto fine?
Questa storia era stata postata tempo addietro sotto il nome di ''Fighting for a chance''.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Ryoga Hibiki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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You see all my light and you love my dark.

Twenty-fifth. The flowered kimono.


Lei viene dal lato opposto della strada -rossetto rosso sulle labbra-, afferra tutta l'attenzione. La gente sa che è speciale. [...]
Un giorno si è svegliata, non le importava di come appariva. E' andata fuori, le persone la cercavano.
Ragazza in kimono.
E' diversa, sì!
Ragazza in kimono.
L'amate, adesso?
[Christina Aguilera]

 
C'erano ricordi che si erano persi nell'oblio della crescita e ce ne erano altri, invece, che parevano marchiati a fuoco nella memoria.
Anche desiderando fortemente dimenticare, non avrei potuto; per quanto mi sforzassi di non richiamare alla mente certe immagini, prepotenti le vedevo dietro le palpebre chiuse degli occhi ogni qualvolta cercavo di addormentarmi.
E facevano male.
Lui era parte di me, della mia vita da che riuscivo a ricordare.
Era al mio fianco -vestiti di fattura cinese, che suo padre rimediava chissà dove, faccia annoiata e due sole penne fra le dita- il primo giorno di scuola; era sdraiato con la testa sul mio grembo a leggere un fumetto mentre io facevo i compiti il pomeriggio in cui mi annunciarono la prematura scomparsa di mia madre; era seduto al mio tavolo, a fregarmi il riso dalla ciotola pensando di non essere visto, la mattina in cui mio padre mi disse che mi sarei sposata entro un anno.
C'era un ricordo, però, in particolare che ultimamente mi tornava di frequente in mente e che non potevo scacciare via, perchè la sua dolcezza era l'unico conforto che avevo da quando lui se n'era andato.
Da quando era scomparso. Scappato. Fuggito.
Via da me.
Avevo circa otto anni, lui qualcosa di più.
Era una tarda mattinata assolata e silenziosa, tanto che si sentiva anche il gorgoglio del fiume dietro casa.
Facendo giravolte su me stessa in punta di piedi, ero intenta a mettere in mostra con fierezza un kimono troppo grande sul cui tessuto setoso sbocciavano boccioli rossi e fiori schiusi di un intenso color pesca sfumato di cremisi.
Mio padre diceva sempre che quando piroettavo in quella maniera i capelli mi volteggiavano intorno al viso come i petali di una girandola e la mia risata era un inno alla vita.
Ranma, gambe incrociate e solita espressione distratta, mi guardava sbuffando dal tatami, probabilmente chiedendosi per quanto ancora avrebbe dovuto assistere a quella strampalata sfilata.
Sapevo che odiava perdere tempo in quel modo futile e da "femminucce"; lui doveva allenarsi: voleva diventare il miglior artista marziale del Giappone intero e di certo non avrebbe raggiunto quello scopo stando seduto ad osservare me sfilare in maniera impacciata.
< Ti piace, Ranma? > chiesi io, con la voce affaticata, cadendogli di schianto davanti. 
Ranma storse appena la bocca < E' un kimono, Ucchan. >
< Sì, ma è un kimono speciale. > proferii orgogliosa, cercando di stuzzicare la sua curiosità.
Lui, per tutta risposta, alzò un sopracciglio con fare annoiato, per nulla interessato alla questione.
< Non mi chiedi cos'ha di speciale? >
< Tanto me lo dirai in ogni caso, che te lo chieda oppure no. >
Io sbuffai irritata e misi su un broncio infastidito, che durò cinque secondi cronometrati.
Quando si trattava di lui non sapevo arrabbiarmi mai davvero o offendermi.
< E va bene: se insisti tanto te lo dirò. >
Ranma mi dedicò un sorriso che non gli avevo visto mai rivolgere ad altri; quel suo modo di sorridermi negli anni non era mai cambiato. Mi pizzicò il naso scherzosamente e poi si parò, aspettando forse che io facessi altrettanto.
< Questo kimono appartiene alla mia famiglia da generazioni. La prima proprietaria si chiamava Sashimi Nogusuke ed era una principessa. >
< Wow. > esclamò Ranma senza entusiasmo, rivolgendo poi la sua attenzione al giardino della mia casa.
Conoscendo alla perfezione ogni sua espressione, capii che stava immaginando se stesso intento ad allenarsi: i paletti della recinzione gli avrebbero fornito un'ottima base per gli esercizi di equilibrio e il ciliegio spoglio di fiori sarebbe stato il suo avversario indistruttibile che avrebbe resistito a qualunque attacco.
< Ranma, non mi stai ascoltando. > lo ripresi, le lacrime già nella voce di colpo fattasi stridula.
Odiavo quando non mi prestava attenzione, quando faceva sembrare un peso il tempo che trascorrevamo insieme. Per lui non esistevano che le arti marziali, ma lo capii solo da adulta; all'epoca ogni sua mancanza o disattenzione mi portava sull'orlo del pianto poichè non ero capace di suscitare il suo benchè minimo interesse.
< Sì, invece. >
< Che cosa ho detto, allora? >
< Che la principessa Sushi era bella. >
< Sashimi! La principessa Sashimi, stupido! > m'infervorai io, dandogli un pugno sulla testa con quanta più forza avessi nelle mie braccine magre.
Ranma non finse neppure di aver sentito il colpo: a quel tempo non ero in grado di fargli del male e nemmeno col passare degli anni avrei acquisito quella capacità. A lui, di me, non importava abbastanza perchè potesse sentirsi ferito da un mio gesto.
< E' uguale. Senti, Ucchan, possiamo giocare dopo se vuoi. Devo allenarmi finchè c'è luce. >
Lo fissai in silenzio, le dita aggrappate alla stoffa lucida di quel kimono di cui andavo fierissima, e annuii, ingoiando la delusione.
Era così ogni volta con lui: prima le arti marziali, poi il resto. Ed il resto mi vedeva sempre in fondo alla lista delle cose che avevano una qualche rilevanza per Ranma Saotome.
< Certo, vai. >
Lui scattò in piedi e corse fuori, balzando sul ramo più basso del ciliegio secolare senza sforzo e cominciando a tirare calci e pugni a raffica alla corteccia robusta come se gli avesse fatto chissà quale torto.
Io sospirai, accarezzando i ricami del kimono con riverenza e poi mi allungai a prendere una bambola di pezza da un cestino poco lontano.
Avrei atteso che Ranma terminasse i suoi allenamenti giocando per conto mio; era quello che facevo sempre e che sempre avrei fatto.


Mi ero illusa di aver dimenticato l'esatta sfumatura degli occhi di Ranma, ma così non era stato.
Quegli occhi avevano dato il colore a tutti i miei incubi nelle scorse settimane: sogni terribili che sapevano di disperazione, solitudine ed abbandono; sogni in cui nessuno veniva a salvarmi ed io rimanevo inerme a terra a cercare di strisciare lontano da qualcosa che sapevo mi stava rincorrendo...e guadagnava sempre più terreno.
Affondavo i gomiti e le dita in una pozza d'acqua e m'inzuppavo gli abiti ma non ero mai abbastanza veloce, abbastanza forte o determinata: alla fine quel qualcosa mi aveva raggiunto e si era cibato di me. Anzi, più che qualcosa, qualcuno: Senju Himawashi.
< Cos'è successo di interessante da queste parti mentre non c'ero? Cos'è che mi sono perso? > chiese Ranma in tono leggero, senza accennare a voler districare le nostre dita.
Era così rassicurante la sua stretta che avrei voluto non lasciarlo andare più. 
Per quanto fossi delusa e amareggiata dalla sua fuga, la sua presenza adesso era l'unica cosa che contava.
Lui era l'acqua in cui sguazzavo, in cui cercavo di salvarmi. 
< Nulla. E' un villaggio piccolo, non succede mai niente; lo sai bene. Raccontami di te. > dissi in un soffio, sondando di nuovo il suo corpo deturpato da innumerevoli ferite -più o meno gravi- ed ematomi, la cui sola vista mi faceva salire in gola conati di nausea. Mi pareva di sentire ogni taglio, sbucciature e livido sulla mia stessa pelle.
Chi era davvero dei due ad esser messo peggio? 
Avevo il diritto di essere arrabbiata nei suoi confronti per essere scappato alla morte, scegliendo se stesso invece di me?
Io, al suo posto, cosa avrei fatto? Sarei rimasta ad accogliere l'ascia del mio boia a braccia aperte per mantener fede ad una sciocca promessa fatta da bambini?
Ranma tossicchiò, poi si grattò la nuca come se fosse imbarazzato e infine distolse gli occhi dai miei; lo conoscevo abbastanza bene da sapere che quel comportamento precedeva una mezza verità. 
< L'assassino ingaggiato da tuo padre ha avuto... come dire... un ripensamento. Ha dato ascolto ad una coscienza che aveva scordato di possedere e mi ha risparmiato; così facendo, però, ha reso entrambi bersagli mobili. Per questo sono dovuto andar via. >
< E dove sei stato? >
< In un villaggio a sud di qui di nome Nerima, in cui sono stato curato. >
< Curato dici? Da chi, un macellaio? Sei in uno stato pietoso. > gli feci notare, con una punta di acredine nel tono che non riuscii a mascherare.
Era sempre stato così fra noi: lui era lo scapestrato che se ne infischiava dei pericoli e del dolore, io quella che si mangiucchiava le unghie per l'ansia e si preoccupava -anche più del necessario- per la sua incolumità.
" Non so come farei senza di te, Ucchan " mi aveva detto un giorno, tornando da un allenamento intensivo con Genma nella foresta durato un mese, mentre scrostavo la terra da un taglio sul suo avambraccio. Quei tempi sembravano così lontani, ora... 
Quanto era rimasto dei vecchi Ukyo e Ranma in quei corpi stanchi e provati che si fissavano l'un l'altro da un letto ed una sedia a rotelle?
Lui accennò una risata secca e rauca.
< Colpa mia, lo ammetto: non sono stato a riposo come mi aveva detto il dottore. Sono andato, piuttosto, a distruggere l'intera setta di assassini a cui tuo padre si era rivolto. Non avrebbero smesso mai di darci la caccia. >
< Darvi? A te e al tuo sicario, intendi? >
Ranma deglutì vistosamente e fece un cenno del capo così rapido che a stento lo vidi.
< E siete riusciti nella vostra missione? > 
< Rimettendoci praticamente la vita, ma sì. >
< E lui dov'è? Il killer che era con te, intendo. >
Le dita di Ranma abbandonarono di colpo le mie ed io rimasi a fissare in silenzio i vuoti che lui aveva lasciato, mentre un'orribile sensazione si faceva largo nel mio petto.
< Dal dottor Shima. Era ferita gravemente. >
L'orribile sensazione divenne certezza; pur sapendo che non avrei dovuto porre quella domanda, la feci ugualmente. E ne attesi la risposta come si aspetta un colpo mortale: con rassegnazione.
< Ferita? >
< Sì, ferita. Akane rischiava di morire. >
 
 
Avevo ancora addosso quel kimono quando la sera Ranma era rientrato dal suo allenamento stanco e sudato.
Io avevo trascorso il tempo a giocare per conto mio o a guardarlo sorseggiando thè verde: mentre colpiva il suo invisibile avversario emanava forza, sicurezza e protezione.
Si era lasciato cadere pesantemente al mio fianco -la fronte contro il pavimento gelido ed il respiro ancora affannoso- e non aveva parlato per un po'. Allora l'avevo fatto io.
Me lo diceva sempre, lui, che non sapevo tenere la bocca chiusa ed era un pregio, quanto spesso un difetto.
< Sembra che ti abbia investito una mandria di buoi. >
< Esatto. Li ho persino contati: centododici buoi sulla mia schiena. >
< Quanto sei esagerato! > lo derisi io, spintonandolo appena.
< Vorrei veder te! > replicò piccato lui, mettendosi seduto con le gambe incrociate.
< Le arti marziali non mi si addicono. Io al massimo potrei picchiare qualcuno con un'enorme spatola da okonomiyaki. >
< Sarebbe un'arma adattissima a te. Oh, a proposito... ho fame, Ucchan. > disse d'un tratto, illuminandosi.
Quando si parlava di cibo, Ranma aveva i fuochi d'artificio negli occhi.
Io sbuffai, incrociando le braccia, e lui mi diede un bacio birichino sulla guancia, come se con quel gesto potesse convincermi.
Gli sorrisi - le guance in fiamme e lo sguardo vispo che negli anni non avrei mai perso ogni qualvolta lui mi dedicava un segno d'affetto- e corsi in cucina a preparargli la cena, arrotolandomi le maniche del kimono fin sulle spalle.
Mentre aprivo gli sportelli bassi della credenza alla ricerca della farina, sentii Ranma urlare qualcosa dal solotto.
< Che hai detto? > gridai a mia volta, cercando di sovrastare il baccano prodotto dalle pentole.
Lui mi comparve al fianco sogghignando e si massaggiò la pancia con fare affamato.
< Ho detto che ci voglio il cavolo ed i gamberetti. >
< Dovrà accontentarsi di quello che trovo, sua maestà. >
Ranma mi fece una pernacchia e mi osservò girare con sicurezza l'okonomiyaki senza più parlare. E di nuovo, allora, ruppi io il silenzio tra noi.
< Mio padre dice che sono una principessa, sai? >
< Solo perchè indossi quel kimono sgargiante? >
< No, perchè sono discendente di una principessa. >
< Ah. Beh, se lo dice lui... >
Spensi il fuoco e saltai giù dalla sedia che usavo per arrivare ai fornelli e misi l'okonomiyaki fumante nel piatto, osservando compiaciuta l'occhiata bramosa che lui dedicò alla pietanza.
< Sei la cuoca migliore di tutti. >
< E sono anche una principessa! > insistetti cocciuta, sedendomi al tavolo senza però accennare a consegnargli il cibo.
Lui tese le mani e mi guardò interrogativo, in attesa.
< Sono una principessa, vero Ranma? > 
Io e lui eravamo sempre stati due testoni e nessuno voleva mai retrocedere o ammettere di aver torto, così le nostre discussioni sciocche di bambini erano infinite. C'era, però, un solo caso in cui riuscivo a spuntarla ed era proprio quello in cui Ranma aveva una fame feroce ed io tenevo in ostaggio la sua okonomiyaki.
< Come no. Se lo dice tuo padre sarà vero... >
Gli lanciai un'occhiata assassina, che lo fece solamente scoppiare a ridere. Mi diceva sempre che ero capace di intimorire qualcuno quanto un pulcino.
< Devo per forza dirlo? > si lagnò, alzando gli occhi azzurri al soffitto con rassegnazione.
Annuii cocciuta.
< Sei una principessa, Ucchan. La più bella di tutte e quel kimono ti sta d'incanto. >
Anche se era un complimento tirato fuori a forza e non v'era traccia di verità alcuna, sorrisi raggiante e gli allungai finalmente il piatto. Quando si è bambini, basta poco per essere felici: ci si accontenta di ogni piccolezza.
Poggiando il mento sulle mani giunte sul tavolo, osservai Ranma ingozzarsi e poi d'improvviso dissi.
< Se io sono una principessa, tu cosa potresti essere? > chiesi sovrappensiero.
Lui scrollò le spalle, per nulla interessato alla questione.
< Trovato! Io, Ukyo Kuonji, principessa dal kimono a fiori, nomino te, Ranma Saotome, cavaliere dall'appetito insaziabile. >
< E che razza di titolo sarebbe? >
< Un titolo azzeccato. >
< Non mi piace. > brontolò, ingoiando l'ultimo pezzo di okonomiyaki.
< Te lo farai piacere. >
< Ma è una cosa inutile. Potevi darmi qualche potere... che so: Ranma Saotome, cavaliere dalla velocità supersonica. Oppure: Ranma Saotome, cavaliere errante dalla guarigione istantanea! >
< Guarda che ciò che conta in un cavaliere è un'altra cosa! >
< E sarebbe? > domandò scettico, pulendosi la bocca sulla manica della sua casacca.
< La fedeltà alla propria signora. > proclamai orgogliosa.
< E saresti tu? >
< Ma certo! >
< Wow. Sono proprio contento di essere un cavaliere, allora. > si alzò sconsolato dal tavolo e portò il piatto nel lavandino della cucina, stiracchiandosi poi mentre tornava indietro.
< Ora devi fare il giuramento solenne, però! > 
Mi misi in piedi e gli porsi una mano, che lui fissò dubbioso.
< Cos'è che dovrei fare, con esattezza? >
< Baciarla e giurare sulla tua vita che sarai per sempre al mio fianco e mi proteggerai ad ogni costo. >
Ranma mi fece l'ennesima linguaccia, poi con uno scatto mi sollevò tra le braccia e mi fece fare delle giravolte, ridendo forte. 
Quella risata, negli anni, sarebbe diventata la mia musica preferita.
< Fermati! Fermati! Non è così che si comporta un cavaliere! Devi fare il giuramento! > 
< Sciocchina! Non hai bisogno che giuri. > si fermò, traballando appena, e mi fissò negli occhi con sicurezza < Starò sempre con te, Ucchan. >
< Sempre sempre? >
< Sempre sempre sempre. >
 
 
< Il sicario ingaggiato da mio padre, però, era un uomo. > obiettai, torturandomi le pellicine intorno alle unghie.
Il modo in cui Ranma aveva pronunciato il nome di quella ragazza mi aveva fatto collassare i polmoni nel petto. Era dolce, protettivo...intimo.
< Era solo uno dei tanti. Credo che dato il lauto compenso, alla fine, abbiano spedito uno degli assassini con maggiore esperienza e ferocia. Uno che non si sarebbe fermato davanti a niente. >
< Se Akane rispondeva ai requisiti perchè ti ha risparmiato? > chiesi allora, conscia che quella 
era un'altra domanda di cui non avrei davvero voluto sentir la risposta.
Ranma gettò un'occhiata fuori la finestra, ingoiando un sospiro.
< Non lo so bene neppure io. Penso sia perchè le ho chiesto di non uccidermi; non subito, almeno. Volevo prima risolvere delle questioni. >
< E questo è bastato per far vacillare un killer spietato? >
< Ho combattuto per la mia vita, Ukyo. Non le era mai capitato di trovarsi di fronte un osso duro come me da uccidere. Nessuno opponeva mai resistenza solitamente. Spesso neppure si accorgevano del braccio della morte che li trascinava via. >
< Quali erano le questioni in sospeso che volevi risolvere? > domandai ancora, incapace di tener chiusa la bocca.
< Quella con tuo padre. Se mi voleva morto, poteva affrontarmi in un duello leale, non mandare un assassino a farmi fuori nel sonno! > sputò con veleno, storcendo poi il naso per una fitta di dolore alla spalla.
< Dopo aver risolto il problema con Senju te ne andrai di nuovo, vero? > strinsi le mani una nell'altra fino a farmi male e m'imposi di non piangere.
Io non ero stata il motivo per cui aveva chiesto di vivere, nè quello per cui era tornato e tanto meno quello per cui sarebbe rimasto.
Ranma non rispose e quello per me era più che sufficiente. 
Lo conoscevo abbastanza da sapere che quando non replicava era solamente perchè cercava di non ferirmi. Non capiva, però, che quell'assenza di parole era persino peggiore della verità che la sua bocca avrebbe potuto rivelarmi: la fantasia sapeva essere spesso più crudele della realtà.
< Beh, ora vado. Ti lascio riposare. >
Strusciai i palmi delle mani sulle ruote della mia sedia e arretrai, senza staccargli gli occhi di dosso. Lui allungò un braccio come per trattenermi, ma non disse niente e lo lasciò ricadere giù.
Annuì in silenzio e mi guardò andar via.
Starò sempre con te, Ucchan.
Sempre sempre?
Sempre sempre sempre.
 
***
Il dottor Shima chiuse delicatamente la porta dietro di sè e mi lasciò sola, davanti al futon su cui era stesa prona Akane.
Il suo torace era avvolto in bende fresche che odoravano di disinfettante, su cui sbocciava però un fiore di sangue purpureo fra le scapole. Per un attimo quella visione mi fece tornare alla mente il kimono della principessa Sashimi.
Era minuta, sembrava quasi acerba: una donna intrappolata nel corpo di un'adolescente.
Aveva le ciglia lunghissime che gettavano ombre di merletti sulle sue guance, un nasino piccolo e all'insù, una bocca generosa scolorita a causa dell'ingente quantità di sangue che aveva perso e lunghi capelli maltagliati color carbone dai riflessi blu inchiostro.
Era bellissima, perfetta, e la odiai d'istinto.
Lei era quella che avrebbe dovuto porre fine alla vita di Ranma e quella che, invece, della vita gli aveva fatto dono. Era quella per cui era tornato e per cui se ne sarebbe riandato. Era tutto ciò che avevo sempre temuto sarebbe arrivato per portarmelo via; tutto ciò che io non ero per lui.
Perchè ero andata al suo capezzale? Cosa avevo pensato di trovare?
Provavo una qualche sorta di piacere nell'infliggermi dolore?
Non era già sufficiente quel poco che sapevo?
Mi conficcai le unghie nei palmi delle mani serrate a pugno e feci per andar via, ma un movimento quasi impercettibile delle palpebre di Akane mi inchiodò al mio posto.
Lentamente, come un fiore che si schiude al sole, lei aprì gli occhi.
Immobile, guardinga, scrutò l'ambiente in cui si trovava in un attimo e poi puntò il suo sguardo nel mio.
Mi sentii in dovere di parlare per prima.
< C-ciao. >
< Chi sei? Dove mi trovo? > chiese diretta, stringendo i pugni vicino al volto.
Provò a muoversi appena ma la fitta lancinante causata alla ferita, la bloccò al suo posto. Si riadagiò sul futon con cautela e sbuffò.
< Ti trovi nel mio villaggio; eri... anzi sei ancora piuttosto malconcia. >
< Questo lo vedo anche da me, grazie tante. > disse tagliente.
Fu istintivo per me, allora, rispondere al fuoco col fuoco. Se era uno scontro verbale quello che cercava Akane era quello che avrebbe ottenuto.
Mi ero imposta di essere non tanto carina, quanto perlomeno gentile ma i miei modi affabili mi erano stati ributtati in faccia con disprezzo perciò che senso aveva tentare di mascherare l'odio che provavo nei confronti di quell'usurpatrice?
Ranma era mio. Lo era sempre stato.
Fino a che non era arrivata lei.
< Ti ha portato qui Ranma. >
A quel nome, gli occhi della ragazza parvero ammorbidirsi, come cioccolato messo a scaldare in pentola sul fuoco. 
< Lui dov'è ora? E, di nuovo, tu chi sei? > 
Ridusse gli occhi a due fessure e mi gettò un'occhiata al vetriolo che mi indispettì. 
Come poteva Ranma essersi innamorato di una persona simile? Cattiva, prevenuta, acida... non ce lo vedevo proprio.
O forse non ce lo vedevo solamente perchè per una vita intera era con me che l'avevo immaginato.
Sollevai il mento, fiera e battagliera, e scagliai la mia bomba, sperando che lei rimanesse ferita almeno un pizzico di quanto la sua sola presenza feriva me.
< Mi chiamo Ukyo Kuonji. Sono la promessa sposa di Ranma. >

 

Sorprese di questo cambio di Point Of View?
Io sì XD
Ammetto che i tempi lunghi di questo capitolo sono dovuti principalmente a ciò (più le varie festività ed abbuffate annesse).
Inizialmente avevo buttato lì i ricordi di Ucchan scrivendoli in terza persona poichè avevo sempre fatto parlare solo i protagonisti, ma poi mi è sembrato doveroso farvela conoscere meglio e mi è parso che questo piccolo stacco non stonasse poi molto.
Leggengo le recensioni ho notato che qualcuna ha azzardato qualche ipotesi sui prossimi capitoli. Che dire? Fuochino.
ci sono diverse opzioni che sto vagliando e mi auguro immensamente di optare per la versione meno banale di tutte.
Nel frattempo vi abbraccio, bacio, stringo, sbaciucchio tutte tutte.
Siete sempre qui, con me, e non mi abbandonate mai anche se vi faccio penare.
Non potrei chiedere di più, giuro!

Strange
   
 
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