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Autore: Water_wolf    16/05/2014    6 recensioni
ATTENZIONE: seguito della storia "Sangue del Nord".
Il martello di Thor è stato ritrovato, Alex e Astrid sono più uniti ed Einar non è stato ucciso da Sarah. Va tutto a gonfie vele, giusto? Sbagliato.
Alex ha giurato che sarebbe tornato ad aiutare Percy contro Crono, anche a costo di disobbedire agli ordini di suo padre. Quanto stanno rischiando lui e gli altri semidei?
I venti non sono a loro favore, ma loro sono già salpati alla rotta di New York.
«Hai fatto una grande cazzata, ragazzo» sussurrò, scuotendo la testa. || «Allora, capo, che si fa?» chiesi, dando una pacca sulla spalla al mio amico. «Se devi andare all’Hellheim, meglio andarci con stile»
// «Sai cosa?» dissi. «Non ti libererai facilmente di me, figlio di Odino. Ricordatelo bene.» || «Allora ce l’avete fatta!» esultai. Gli mollai un pugno affettuoso contro la spalla. «Da quando tutti questi misteri, Testa d’Alghe?» lo stuzzicai. «Pensavo ti piacesse risolvere enigmi, Sapientona» replicò, scoccandomi un’occhiata di sfida.
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Il gioco dei troni
(cogliete la fandom reference!)
♦Astrid♦
 
Nell’ultimo anno, in Europa e non solo, si era diffusa la voce di una serie televisiva americana tratta da romanzi, che avevano venduto in tutto il mondo, intitolata Game of Thrones. L’avevano tradotta anche in norvegese, ed era diventata piuttosto popolare, facendo guadagnare anche alle librerie, visto che tutti i nuovi fan comparavano i libri.
Avevo visto qualche puntata, giusto per provare. C’era parecchio sangue, morti dolorose e teste mozzate – una tizia capelli platino e abiti discutibili si era persino mangiata il cuore di un cavallo crudo; fatto che mi riportava alla mente Loki, il quale creò la prima strega ingerendo il cuore mezzo cotto di una donna.
Quando io e Talia facemmo irruzione nella Sala del Trono e mi vidi Alex infilzato a quello di Zeus come uno spiedino, il collegamento tra la scena e Game of Thrones fu praticamente immediato. Mi venne quasi da ridere. Quasi. Probabilmente, se l’avessi fatto, mi sarebbe uscito una sorta di lamento di cammello morente isterico.
Possibile che Alex riuscisse a cacciarsi sempre e comunque in situazioni mortali? Evidentemente, sì. Superata la sorpresa, dovetti sopravvivere a un colpo apoplettico. Per tutti gli Dèi, Alex doveva proprio rischiare di rimetterci la pelle e farmi venire un ictus?
Talia sussultò al mio fianco e mi sussurrò: «Guarda», indicando un punto distante da noi.
Era l’immagine di ciò che stava accadendo ai piedi dell’Empire State Building. Si vedevano gli Dèi greci combattere contro Tifone – un essere che, a prima vista, sembrava troppo orribile e terrificante per avere qualcosa a vedere con noi, semplici semidei. Dietro, venivano le mie divinità: Odino, Thor, Tyr…
Erano qui. Per davvero. Avevano riparato il Bifrost. Mi bloccai. Avevo sperato così tanto che venissero a portarci il loro aiuto che, a trovarli lì, visibili ai miei occhi, mi riusciva difficile crederci. Erano stati un sogno, qualcosa di irrealizzabile, invece… invece, non ci avevano dimenticato. Be’, non avevano dimenticato tutti gli altri semidei. Perché Hell si ricordava benissimo di me, dopotutto, aveva mandato la sua figlia prediletta a uccidere l’altra.
Osservai, mentre la bocca mi si apriva, trasformandosi in una O, gli Dèi nordici e greci collaborare, facendo in modo di sconfiggere Tifone. Il Gigante venne risucchiato dalle acque; ormai, era una minaccia debellata.
«No! NO!» gridò Crono.
Mi riscossi. Il Titano era ancora lì; Percy, Alex, Annabeth e Grover non avevano completato la loro missione. Anche se eravamo rimasti inchiodati a guardare l’immagine riflettere l’azione, c’era altro da portare a termine. Alex, più degli altri, era letteralmente inchiodato.
Diedi un colpetto alla spalla di Talia e le dissi: «Vado da lui.»
Nonostante non l’avessi nominato, la figlia di Zeus capì a chi mi riferivo.
«È finita, Crono!» disse Alex, mentre gli esaminavo la ferita. «Anche se ci ucciderai, non potrai vincere contro l’alleanza con gli Dèi Asgardiani! Verrai sconfitto!»
Il Signore dei Titani ringhiò e avanzò verso Annabeth.
«Vi distruggerò tutti! MI VENDICHERÒ!» strepitò, furioso, slanciandosi su di lei.
Percy la trascinò via, mentre Talia entrava in azione e bloccava Crono.
«Ehi» salutai Alex, estraniandomi dalla battaglia.
«Ehi» ricambiò il figlio di Odino.
Mi astenni dal fare domande idiote tipo “fa tanto male?”, a cui, se fossi stata in lui, avrei risposto con un sonoro insulto. Mi limitai, invece, a chiedere: «Preferisci che te la sfili tutta d’un colpo o lentamente?»
«Più veloce è, meglio è» rispose.
«Non essere troppo rigido» mi raccomandai, afferrando l’elsa della spada.
Alex non si mosse. «Ok.»
Assicurai meglio la presa, e tirai. La lama si sfilò completamente, grondando sangue, che iniziò subito a picchiettare rumorosamente contro il pavimento. Chissà se Zeus avrebbe gradito il tocco passionale del rosso sul suo arredamento. Alex gridò, ma si morse la lingua, soffocando il resto e spendendosi in una sequela d’imprecazioni.
«Ricordami di dirti che il tuo futuro da infermiera è meglio che sia troncato di netto» disse.
Gli sorrisi, pronta a ribattere, ma il mio sguardò catturò una delle scene più singolari della mia vita:  Annabeth che abbracciava di slancio Crono.
«Luke, hai promesso!» esclamò.
Ammutolii. Avrei potuto sfoggiare un’ampia varietà di battute intrise di sarcasmo, ma non lo feci. Sapevo di Luke, conoscevo i sentimenti che Annabeth provava per lui, sarebbe stato ignobile ironizzare sulle sue emozioni. Anche se abbracciare il Signore dei Titani era un gesto un tantino estremo. Crono crollò in ginocchio, con le braccia di Annabeth ancora avviluppate attorno al corpo. Sembrò all’improvviso più fragile.
«Io… sì… l’ho promesso» mormorò.
«Percy» chiamò Annabeth, con voce incolore. «Il mio pugnale.»
Percy obbedì, raccolse il coltello, che era caduto al suo fianco, e si avvicinò a Crono. Forzò Annabeth a staccarsi, proteggendola dietro di sé.
«Aiutami…» biascicò il Signore dei Titani.
O Luke. O chi dei due stava avendo la meglio, perché, se Crono fosse stato davvero presente, non avrebbe né chiesto aiuto né si sarebbe ricordato di una promessa fatta ad Annabeth. Mi girò la testa per un attimo. La figlia di Atena gemette, quando Percy porse il pugnale dalla parte del manico a Luke.  Esitò per un attimo, cercando di comprendere appieno la situazione.
«Lui… si opporrà» buttò fuori Luke/Crono, allo stremo delle proprie capacità. «Se ci provi tu… lui si opporrà. Solo io posso… posso tenerlo sotto controllo.»
«Cos…?» mormorò Alex, mentre una serie di espressioni diverse gli passavano sul viso.
Grover intervenne: «Ehm, Percy… sei...»
Luke/Crono afferrò il pugnale che il figlio di Poseidone gli tendeva, impassibile. Guardai Annabeth, che per prima aveva suggerito quella soluzione, ma non riuscii a notare altro che ansia e dolore. Ha detto a una persona che ama di uccidere un’altra persona che ama, realizzai, rendendomi conto di quanto ciò dovesse esserle costato.
Luke si slacciò le cinghie laterali dell’armatura, faticando a mantenere sotto controllo i movimenti delle mani e delle dita, che scivolavano tra vari passanti. Aveva un lembo di pelle scoperta, probabilmente il suo tallone d’Achille. Strinse l’impugnatura del pugnale tra il palmo sudato e si pugnalò.
E mentre il suo ululato straziante rimbombava per la Sala del Trono, capii. Compresi che quello era Luke – il Luke Castellan di Annabeth, il figlio di Ermes che era la sua famiglia – e che stava uccidendo sia se stesso che Crono. Il suo corpo brillò con sempre più intensità, tanto che socchiusi gli occhi. Alex mi abbracciò, impedendomi di vedere altro.
Qualche istante dopo, rialzai le palpebre. Poco lontano da Percy, Luke giaceva esanime. Talia aiutò Annabeth ad alzarsi, anche se, per la figlia di Atena, sembrava un’impresa impossibile. Aveva il viso devastato da scie salate di lacrime.
«È finita» sussurrò Alex al mio orecchio. «È finita.»
Persi un battito. La guerra era finita. La stessa che mi aveva quasi portato via il mio ragazzo, quella dove molti altri non erano stati altrettanto fortunati, era terminata. Il team dei Buoni aveva vinto, sconfiggendo i nemici, come accadeva nei cartoni animati. E qualcosa mi bagnava la maglietta, appiccicandosi al mio collo.
«Alex» dissi. «Mi stai sanguinando addosso.»
«Oh, ehm, scusa» farfugliò, anche se non ero sicura che ci si potesse scusare per una cosa del genere.
In quel momento, si udì un frastuono. Voltammo tutti il capo, scontrandoci con gli Dèi Greci al gran completo. Poseidone osservò la scena, poi puntò gli occhi su suo figlio.
«Percy» esclamò, sgomento. «Che… che significa?»
«Ci serve un drappo» replicò il figlio di Poseidone, non curandosi di rispondere. «Un drappo per il figlio di Ermes.»
 
 
La Sala del Trono era stata devastata dallo scontro, ma gli Dèi la ripararono nel tempo che impiegava la medaglia d’oro delle Olimpiadi a correre i cento metri. Fecero lo stesso anche con il ponte che collegava il monte Olimpo all’ascensore – permettendo ai semidei di raggiungere la vetta –, e molto altro.
Percy chiese a Zeus di illuminare la punta dell’Empire State Building di blu, in modo che sua madre sapesse che era salvo e che la guerra era finita. Tutti gli altri avrebbero pensato a uno scherzo pirotecnico. Ermes baciò suo figlio sulla fronte, mormorando “addio”. Clarisse ricevette una camionata di complimenti da Ares, che la salutò con un rombante “Ecco la mia ragazza!” Nico e suo padre, Ade, vennero accolti come eroi.
Annabeth svenne tra le braccia di Percy, che assunse l’espressione di chi ha appena mangiato un limone, prima di strillare, guadagnando un’ottava nella voce: «Ha bisogno d’aiuto!»
Ridacchiai, scuotendo la testa, mentre Apollo giungeva in loro aiuto.
«Vado a cercare Nico» annunciai ad Alex. «Per favore, non morire nel frattempo.»
Lo dissi con ironia, anche se si insinuò il dubbio che potesse davvero trovare un modo per ammazzarsi o ferirsi di nuovo.
«Non è colpa mia» bofonchiò.
Mi allontanai da lui, mentre le trombe dell’esercito di ciclopi squillavano. Non ci misi molto a trovare il figlio di Ade, dato che indossava ancora l’armatura.
«Nico» salutai.
Il ragazzino sussultò lievemente. «Astrid» esclamò. «Mi stavi cercando?»
«Solo per dirti due parole» risposi.
Nico annuì.
Mi schiarii la voce. «Ti ricordi della nostra chiacchierata vicino allo Stige? Quando Percy è diventato invulnerabile?»
Il figlio di Ade fece un cenno del capo, invitandomi a continuare.
«Ecco, volevo solo farti notare che non hai deluso nessuno.» Bloccai le sue parole con un gesto della mano. «Non hai deluso né gli Dèi né tuo padre né Percy. Anzi, hai dimostrato di avere fegato. Pensa a questo, quando ti senti giù, ok?»
Gli occhi di Nico brillarono, forse per effetto della luce, forse per la commozione. «Ok» mormorò.
Istintivamente, gli sorrisi e gli scompigliai i capelli, nonostante fossi poco più che una conoscente.
«Være stolt av deg selv» dissi.
«Che cosa significa?» domandò, confuso.
«Sii fiero di te stesso» tradussi.
Stava per dire qualcosa, quando sentii una presenza alle mie spalle. Emanava morte e potere.
«Tu non dovresti essere qui, figlia di Hell.» Non era una domanda, quanto più un’accusa.
«Può darsi» squittii, avvertendo lo stesso disagio che si sente quando ci si accorge che la propria maglietta è vistosamente sudata e si è in pubblico.
«Non avresti neanche dovuto fuggire dalle mie prigioni» ringhiò. «E nemmeno quel fusto là, il figlio di Odino.»
«Ehm…»
«Padre…» tentò Nico.
«Fratello!» gridò Ade, e una decina di teste si voltarono a guardarlo.
«Che c’è?» chiese Poseidone, intento a parlare con Percy.
«Due figli dei nostri cari amici norreni sono nella nostra Sala del Trono!»
Gli occhi di Zeus lampeggiarono. Mi sentii sollevare da terra, mentre spire di vento si avvolgevano attorno alle mie gambe, busto e braccia. Non era esattamente il massimo, dopo una battaglia. Sperai ardentemente di riuscire a non vomitare sulla testa di Ade.
«Davvero?» fece Zeus, scoccando un’occhiataccia ad Alex, nella mia stessa situazione. «Allora… FUORI DI QUI!»
E fu così che venimmo congedati con onore dalla Sala del Trono e che le nostre natiche toccarono dolcemente terra.
 

«Questo è imperdonabile!» tuonò Odino. «Trattare mio figlio in questo modo!»
«Lasciarci fuori dal consiglio!» aggiunse Thor.
«Per giunta, dopo che abbiamo fatto il lavoro per loro!» sbottò Tyr.
«Ho riparato il Bifrost in tempo record per riuscire a fermare Tifone, e adesso siamo bloccati qui!» rincarò Vidarr, appoggiato pienamente da Heimdallr.
Alzai gli occhi al cielo, sbuffando. Certo che se gli Dèi si mettevano a discutere tra loro, non avrebbero portato a termine nulla, come al solito. Non che i greci fossero stati carini a lasciarci tutti fuori ad aspettare. Perlomeno, Lars era subito accorso da noi e aveva fermato l’emorragia di Alex.
«Ehm-ehm» tossicchiò Einar.
Gli occhi di tutti gli Dèi si putarono su di lui, chi incenerendolo, chi studiandolo con curiosità.
«Parla, figlio di Loki» lo incalzò Foreseti, incrociando le mani dietro la schiena.
«Volevo solo suggerire» iniziò Einar, cauto, «che questa soluzione può essere risolta facilmente grazie a un proverbio.»
«E quale?» indagò Freyja, che si stava cambiando d’abito in cerca dell’outfit perfetto. «Detesto rimanere sulle spine. Solo io posso farlo, per quanto riguarda una storia d’amore» puntualizzò.
«Si chiude una porta, si apre un portone» citò Einar.
Odino cominciò: «Figlio di Loki, è evidente che non hai ricevuto il dono della saggezza, perché al–»
«Aspetta, padre» lo interruppe Thor. «Credo che abbia ragione.»
Non sapevo quale tipo di intesa ci fosse tra di lui ed Einar, né capivo l’insinuazione di quest’ultimo. Thor fece volteggiare un paio di volte Mijolnir, studiando come usarlo al meglio. Rabbrividii, pensando che sarebbe entrato e avrebbe dato inizio a una battaglia sanguinosa tra divinità. Invece, lo abbatté con potenza contro le porte del Dodeckateon. Una, due, tre volte. Scardinò il portone, creando una via d’accesso alterativo.
«Forza, ragazzi!» incitò, dando l’idea di uno che si stava divertendo un mondo. «Andiamo!»
«Ho paura» mormorai, facendo scoppiare a ridere Nora, che mi stava di fianco.
Le scoccai un’occhiataccia. «Seriamente, gli Dèi greci non saranno contenti di questo.» Indicai il portone abbattuto.
«Avanti, Astrid, non ci uccideranno tutti.» Nora liquidò l’argomento con un gesto della mano, varcando la soglia, al seguito delle nostre divinità.
I nostri passi rimbombarono per le pareti, annunciando da subito la nostra presenza. Gli Dèi, seduti sui loro troni, ci fissarono con astio. Zeus aveva rinunciato a concludere un pomposo discorso su prodezze, eroi eccetera eccetera, e sembrava arrabbiato. Ma Zeus sembrava sempre arrabbiato, o, almeno, ne aveva l’aria.
«Volete spiegarmi» disse, enfatizzando la frase, «perché siete qui? Nella nostra meravigliosa Sala del Trono?»
Si fece avanti Odino. «Perché» rispose, «abbiamo contribuito a garantirvi un’altra epoca di comando, quando avremmo potuto osservarvi morire dalla Norvegia, non senza piacere.»
Atena – la riconobbi per gli occhi, che aveva in comune con la figlia – si sporse in avanti, dopodiché chiese: «E si può sapere perché non avete semplicemente bussato, invece di abbattere le porte?»
La domanda ci spiazzò. Thor spostò il peso da una gamba all’altra, l’aria vagamente colpevole, anche se non sembrava pentito, anzi, era piuttosto orgoglioso.
«Vi porgiamo le nostre scuse» intervenne Foreseti, indossando le sue vesti da diplomatico. «Ma troviamo equo, se non addirittura d’obbligo, che noi tutti partecipassimo a questa seduta. Credo che, analizzando la situazione, vi troverete d’accordo con noi.»
Si diffuse un mormorio generale, un brusio che andava salendo.
«Divino Zeus.» Percy si espose. «Posso parlare a nome di tutti i semidei greci, quando dico che, senza le Orde, non ce l’avremmo fatta. Il Campo Mezzosangue intende intercedere per loro.»
L’approvazione dei mezzosangue non si fece attendere.
«E va bene» brontolò il dio, dissimulando una smorfia. «Accordiamo il permesso per restare.»
«Per quale motivo?» domandò Odino.
Ci fu un intenso scambio di sguardi. «Perché dobbiamo… ehm… ringraziarvi per… l’aiuto che ci avete… offerto» ringhiò Zeus, pronunciando quelle parole come se gli stessero andando a fuoco i pantaloni.
«E…?»
«E sarebbe stato difficile…»
«Difficile?» Odino aveva un’espressione finta dispiaciuta o stupita, ma intuivo chiaramente che stava assaporando quel momento in ogni dettaglio.
«Impossibile» precisò il Signore degli Dèi. «Sarebbe stato impossibile ottenere una vittoria definitiva contro Tifone.»
«Perfetto!» esclamò Odino. «Credo che ora possiamo accomodarci.»
Schioccò le dita, e il suo trono comparve esattamente davanti a quello di Zeus. Il dio ci si sedette, sfilando tra i semidei greci.
«Odino» ringhiò la sua controparte, da dietro.
«Sì?» fece l’altro, fintamente innocente.
«Mi stai oscurando.»
«Oh. È vero» osservò Odino. «Pensavo ti fossi abituato all’idea di rimanere sempre nascosto all’ombra della mia fama.»
Schioccò ancora le dita e, questa volta, il suo trono si posizionò accanto a quello di Zeus, che sembrava sul punto di scoppiare. Heimdallr ripeté il gesto, e una dozzina di sedie di fattura più o meno mediocre comparvero nella Sala del Trono.
«Cosa sono?» domandò Afrodite – riconoscibile per l’aspetto strabiliante –, storcendo il naso.
«Mobilio Ikea» rispose Heimdallr, scrollando le spalle. «Sono facili da reperire.»
«Ma sono brutte» notò la dea.
«L’essenziale è invisibile agli occhi*» replicò Freyja, stizzita, andandosi a sedere vicino a lei.
Mi parve di cogliere il sottointeso “soprattutto se gli occhi sono i tuoi”, ma probabilmente me l’ero immaginato.
«Bene» tirò le somme Zeus. «Credo che adesso si possa incominciare a…»
«Chi è che incomincia senza di me?»
Loki apparve dal nulla, sollevando un coro di “tu” piuttosto minacciosi. Alex si irrigidì al mio fianco.
«Fammi indovinare» sussurrai. «È lui quello con la passione per gli spiedini umani?»
Il figlio di Odino grugnì un “sì” irritato.
«Loki» ruggì Odino, e pronunciò il nome del dio come se si trattasse di una bestemmia.
Loki si fissò le braccia e il torso, come controllando che fossero ancora al loro posto. «Sì, sono io.»
«Hai tradito tutti noi, alleandoti con il nemico e contribuendo con tua figlia a uccidere brutalmente la nostra progenie, danneggiando anche volontariamente il Bifrost» lo accusò Odino. «Cos’hai da dire a tua discolpa?»
Loki fece una risatina, che non spezzò affatto la tensione. «Ma, Odino, non dirmi che ci sei cascato!» esclamò, fingendo sorpresa.
Il padre di Alex sollevò un sopracciglio. L’angolo destro della bocca del dio degli inganni si allungò verso il basso.
«A quanto pare, sì, invece» constatò. «Lasciate che mi spieghi. Io non ho mai avuto intenzione di stare dalla parte di Crono, affatto. Lo stavo raggirando, dandogli la certezza che avrebbe vinto, così da renderlo più spavaldo e meno prudente. Infatti» puntualizzò, «nella battaglia che si è svolta qui, sono stato io a impedire a Crono di recuperare la sua falce, in un momento critico, quando Percy Jackson sarebbe potuto essere sconfitto. E ho ucciso Ethan Nakamura, altro soggetto pericoloso.»
Si guardò attorno in cerca di assensi, ma regnava solo un gran silenzio.
Allora, si rivolse al figlio di Poseidone: «Non è così, Jackson?»
«Hai infilzato Alex al trono di Zeus» ringhiò il mezzosangue.
«Tu… cosa!?» Zeus divenne paonazzo.
«Tranquillo, basta un po’ di candeggina per mandare via la macchia» disse Loki. «Comunque, è stato un danno collaterale. Nulla di che.»
«Stai affermando il vero?» chiese Foreseti, scrutando Loki.
«Ma certo!» ribatté quello, in un tono allegro che non c’entrava nulla con la situazione. «Dubitavi?»
Alex sbuffò sonoramente, la fronte corrugata su cui si poteva leggere la frase: “datemi un’ascia, vi supplico.” Gli strinsi la mano.
«Risolverete questi disguidi più tardi» intervenne Atena. «Questo consiglio non è stato indetto per giudicare le azioni di Loki, ma per premiare il coraggio dei nostri figli.»
«Esatto» confermò Zeus. «Più tardi. Ora, è il momento di ringraziare i nostri più valorosi eroi. Per cui» lasciò la frase in un’attesa studiata «Talia Grace, figlia mia, fatti avanti!»
Zeus le ripromise di aiutarla a infoltire le schiere delle Cacciatrici, mentre ricevette numerosi complimenti da quella che intuii fosse Artemide, che tenne a far presente che tutte le sue seguaci meritavano l’Elisio subito.
Talia si inchinò, poi venne il turno di Tyson, il fratello ciclope di Percy. Fu promosso generale delle armate dell’Olimpo e ricevette anche l’arma che desiderava di più, un temibile bastone. Sperai che nelle mani di un ciclope fosse più di un rametto.
«Grover Underwood dei satiri!» chiamò il Signor D; saltò gran parte dei convenevoli, riassumendoli in un “bla bla bla”, e disse: «Gli Dèi ritengono opportuno nominarti membro del Consiglio dei Satiri Anziani.»
Grover svenne seduta stante.
«Oh, magnifico» sospirò Dionisio. «Portatelo via, prima che incominci a blaterale ringraziamenti.»
Delle naiadi intervennero in aiuto del satiro, che gemette nel sonno: «CIIIIIBO
Almeno, si sarebbe svegliato con una delle cariche più ambite, per i satiri. Sorrisi senza nemmeno accorgermene.
Atena annunciò: «Annabeth Chase, mia figlia.»
Annabeth diede una stretta al braccio di Percy, poi si inginocchiò ai piedi di sua madre, la quale le sorrise.
«Tu, figlia mia, hai superato ogni mia aspettativa. Hai usato il tuo ingegno, la tua forza e il tuo coraggio per difendere questa città, la sede del nostro potere. Ci è stato fatto notare che l’Olimpo è… be’, ridotto male. Crono ha causato molti danni, ai quali bisognerà porre rimedio. Potremmo ricostruirlo per magia, naturalmente, ma pensiamo che la città possa migliorare. Prenderemo questa situazione come un’opportunità. E tu, figlia mia, progetterai questi miglioramenti.»
Annabeth alzò lo sguardo, sbigottita. «Mia… mia signora?» tentennò.
Atena le rivolse un sorriso ironico. «Sei un architetto, non è vero? Hai studiato le tecniche di Dedalo…»
«… visitato lo splendore di Asgard…» tossicchiò Thor, ma la dea procedette spedita, ignorando il commento.
«Chi meglio di te potrà riprogettare l’Olimpo e trasformarlo in un monumento in grado di durare per un altro millennio?»
«Volete dire c-che posso progettare tutto quello che voglio?» domandò, incredula.
«Tutto ciò che il tuo cuore desidera» confermò la dea. «Costruisci una città che rimarrà nella storia.»
«Purché ci siano molte statue del sottoscritto» aggiunse Apollo.
«E mie, ovviamente» concordò Afrodite.
«Ehi, e io chi sono?» intervenne Ares. «Voglio delle statue enorme con delle spade micidiali e…»
«Un cervello visibile» completò Tyr, scoccando un’occhiata in cagnesco al suo storico rivale.
«Va bene!» lo interruppe Atena, salvando la situazione al limite dello scoppio di una lite. «Annabeth ha afferrato il concetto. Alzati, figlia mia, ora architetto ufficiale dell’Olimpo.»
Annabeth si rimise in piedi in stato di semi trance e ritornò al suo posto; sembrava stesse fluttuando. Era completamente rimasta senza parole, fatto abbastanza notevole per lei. Balbettava qualcosa riguardo a progetti, piani, matite.
«PERCY JACKSON!» annunciò Poseidone, facendo riecheggiare il nome per tutta la sala.
Mentre si avvicinava al trono e si inchinava, tutti ammutolirono, puntando gli occhi su di lui.
«Alzati, figlio mio» disse Poseidone.
Sorrideva, accentuando le rughe attorno agli occhi verde mare. Percy obbedì, imbarazzato.
«Un grande eroe dev’essere ricompensato» continuò. «Qualcuno dei presenti può negare i meriti di mio figlio?»
Mi aspettavo che qualcuno si facesse avanti, anche solo per dispetto. Gli Dèi non si trovavano quasi mai d’accordo, figuriamoci due intere schiere di divinità rivali da secoli. Eppure, nessuno fiatò.
«Il Consiglio è concorde» disse Zeus. «Percy Jackson, riceverai un dono dagli dèi.»
Percy esitò. «Un dono qualsiasi?»
Zeus annuì, cupo. «So già cosa chiederai, lo farebbero tutti. Vuoi il dono più grande di ogni altro. Sì, se lo vorrai, sarà tuo. Gli Dèi non elargiscono questo dono a un eroe mortale da molti secoli, ma… Perseus Jackson, se lo desideri, diventerai un dio. Immortale. Giovane per sempre. Servirai come luogotenente di tuo padre per l’eternità.»
Fissai Zeus come se fosse pazzo. Cosa che non era stata confutata.
«Uhm, ehm, ah, be’, ecco … dio?» fece Percy, sfoggiando una grande eloquenza.
Odino ridacchiò, guadagnandosi un’occhiata penetrante da parte di Poseidone. Zeus alzò gli occhi al cielo.
«Un dio un po’ lento, a quanto pare. Ma sì. Con il consenso unanime del Consiglio, possiamo renderti immortale. E poi dovrò sopportarti per sempre.»
Ares commentò: «Mmh. Se questo significa che potrò ridurlo in poltiglia tutte le volte che voglio e lui continuerà a rigenerarsi, ci sto.»
«Anch’io approvo» disse Atena, nonostante stesse guardando Annabeth.
Spostai il mio sguardo sulla ragazza, che era improvvisamente pallida. Mi misi al suo posto, immaginando Alex a cui veniva offerta l’immortalità. Vederlo rimanere sempre giovane e vigoroso, con schiere di sottoposti ai suoi piedi, un dio minore che avrebbe sposato qualcun’altra, mentre io invecchiavo o morivo in battaglia… Sentendomi vagamente colpevole, provai sollievo che non si trattasse di me. Perdere una persona cara così era tremendo.
«No» disse Percy.
Gli Dèi non parlarono, trattenendo il fiato. Si guardarono accigliati, come se non avessero capito bene.
«No?» ripeté Zeus. «Tu sai rifiutando il nostro più che generoso dono?»
C’era una nota di pericolo nella sua voce, come un ammonimento.
«Sono onorato e… sì, insomma, eccetera» tentò di spiegarsi il figlio di Poseidone. «Non fraintendetemi. Solo che… ho ancora molta vita da vivere. Non voglio restare fermo qui.»
Loki scoppiò a ridere. «Molto da vivere?» scimmiottò. «Ragazzo, devi essere parecchio suonato, se non hai ancora afferrato il concetto che i semidei non hanno mai “molto da vivere.”»
Percy lo guardò in cagnesco. Annabeth, invece, aveva gli occhi lucidi e si era coperta la bocca con le mani. Freyja e Afrodite confabulavano, indicando prima una e poi l’altro; l’argomento le trovava d’accordo.
«Però voglio lo stesso un dono» continuò il figlio di Poseidone. «Promettete di esaudire il mio desiderio?»
Zeus ci pensò su. «Se è in nostro potere…»
«Sì» confermò. «Non è nemmeno difficile, ma ho bisogno che lo giuriate sullo Stige.»
«Che cosa?» strepitò il Signor D. «Non ti fidi di noi?»
«Una volta, qualcuno mi ha detto che bisogna sempre pretendere un giuramento solenne» replicò, guardando Ade.
«Quel qualcuno ha assolutamente ragione» intervenne Loki, sorridendo. «Ed è un figo.»
Ade tossicchiò, e il dio degli inganni smise di sorridere.
«Pensavo stessi parlando di me» borbottò.
Alex sorrideva per la situazione, ma sembrava comunque in vena di fare la pelle a Loki. Trattieniti, pensai, non ficcarti in situazioni pericolose proprio ora.
«E va bene!» scattò Zeus. «A nome del Consiglio, giuriamo sullo Stige che esaudiremo la tua ragionevole richiesta a patto che sia in nostro potere.»
«Da ora in poi, voglio che riconosciate adeguatamente tutti i figli di tutti gli dèi» disse Percy.
Le divinità greche si agitarono sui loro scranni.
Poseidone chiese: «Percy, che cosa intendi, esattamente?»
«Crono non sarebbe potuto risorgere se non fosse stato per decine di semidei che si sentivano abbandonati dai loro genitori» spiegò. «Erano arrabbiati e risentiti, non si sentivano amati e non avevano tutti i torti.»
«Osi accusare…» iniziò Zeus, dilatando le narici.
«Basta figli indeterminati» procedette il figlio di Poseidone, acquistando coraggio. «Voglio che promettiate di riconoscere tutti i vostri figli semidivini, entro il tredicesimo anno di età. Non resteranno più abbandonati nel mondo, soli e alla mercé dei mostri. Voglio che siano riconosciuti e portati al Campo, in modo che siano addestrati e possano sopravvivere. In più, gli Dèi minori, come Ecate, Nemesi, Morfeo, Giano, Ebe… tutti loro meritano un’amnistia generale e un posto al Campo Mezzosangue. I loro figli non devono essere ignorati. Anche Calipso e gli altri figli pacifici dei Titani dovranno essere perdonati. E Ade…»
«Mi stai forse dando del dio minore?» abbaiò il dio dei morti.
«Assolutamente no, mio signore» si affrettò a rimediare Percy. «Ma i tuoi figli non devono essere esclusi. Devono aver una casa al Campo, come ha dimostrato Nico. Basta semidei non riconosciuti e stipati nella cabina di Ermes, e a chiedersi chi sono i loro genitori. Avranno le loro case, per tutti gli dèi. E niente più patti fra i Tre Pezzi Grossi, tanto non hanno funzionato. Dovete piantarla di sbarazzarvi dei semidei potenti. Li addestreremo e li accetteremo, invece. Tutti i figli degli dèi saranno accolti e trattati con rispetto. Questo è il mio desiderio.»
Non avevo detto nulla, ma mi sentivo la bocca secca. Ciò che chiedeva Percy era… il Valhalla per i semidei greci in terra. Ma, come sottolineò Poseidone, stava avanzando una richiesta molto complessa. Forse troppo.
«Ho la vostra parola» replicò Percy, però.
Gli Dèi greci non sembravano molto felici al riguardo, mentre quelli nordici stavano ridendo sotto i baffi per come si erano fatti raggirare.
Fu Atena a parlare. «Il ragazzo ha ragione. Siamo stati incauti a ignorare i nostri figli. Si è rivelata una debolezza strategica in questa guerra e ha quasi causato la nostra distruzione. Percy Jackson, avevo dei dubbi sul tuo conto, ma forse…» lanciò uno sguardo ad Annabeth, poi ammise, la voce diventata più cupa, «forse mi sbagliavo. Voto in favore del tuo piano.»
«Uff» protestò Zeus. «Prendere ordini da un moccioso… ma suppongo…»
«Chi è a favore?» chiese Ermes.
Tutti gli dèi alzarono le mani, lasciandoci sbalorditi.
«Ehm, grazie» disse Percy, congedandosi.
Zeus si passò una mano sul viso; aveva l’aria stressata. «Abbiamo finit–»
«Non dirlo nemmeno, Zeus!» lo stroncò Odino. «Ora ci sono i nostri figli.»
Il dio si trattenne dal ruotare gli occhi, acconsentendo passivamente.
«Per primo, mio figlio, Alex Dahl!» annunciò a gran voce.
Gli diedi una spintarella, sussurrandogli: «Avanti, eroe.»
Alex si fece strada, chinando lievemente la testa per l’altro Signore degli Dèi, poi a suo padre, che gli sorrise.
«Hai dimostrato di avere le doti di comandante necessarie per guidare la tua Orda in battaglia, il coraggio di affrontare un nemico più potente di te, la lealtà che ti lega ai tuoi compagni e la… ehm… giusta dose di sfrontatezza e avventatezza che servono per prendere decisioni critiche. Per questo, io ti donerò ciò che hai perso.»
Schioccò le dita, facendo comparire nl suo palmo una pietra dalla forma rotonda, probabilmente si trattava di quarzo.
«Questo non il tuo occhio, ma è meglio: ti permetterà di dissipare le illusioni, di vedere ciò che è nascosto, di guardare al di là di un incantesimo. Inoltre, sarai in grado di osservare di nuovo il mondo con due angolazioni.»
Chiuse il palmo, facendo scomparire il quarzo, che ricomparve al posto della cavità vuota e delle bende.
«Grazie, padre» disse Alex, alzandosi barcollando.
Ritornò al suo posto, ancora senza parole. Lo fissai, cercando di abituarmi a quella vista. Non era esattamente un occhio di vetro, né uno normale, solo una pietra dalla consistenza dura e vagamente traslucida. Mentre anche Nora veniva chiamata, mi concentrai su Alex, tentando di capire se il cambiamento mi piacesse o meno. Per il momento, non ne avevo idea.
«È giunto il momento di lodare mio figlio» intervenne Eir. «Lars Nilsen, fatti avanti.»
La dea aveva gli occhi verdi che brillavano, le spalle ritte da guerriera e i capelli biondi tagliarti corti sotto le orecchie, pratici. Ma sembrava davvero una mamma orgogliosa del proprio bambino, quando posò lo sguardo su Lars, leggermente in imbarazzo. Gli sorrise.
«Sei stato uno dei migliori combattenti. Ti sei battuto con il Drago Nero, una delle specie più pericolose da abbattere, e l’hai fatto in più di un’occasione da solo. Per questo, tutti gli Dèi ti rendono grazie per il tuo fedele servizio.»
«È stato un onore» replicò Lars, chinando ancora di più il capo, prima di andarsene.
«Einar Larsen!» annunciò Loki. «A te, l’esercito greco deve molto, dal momento che hai contribuito a salvare una vita che apparteneva a loro. Per questo ti saranno debitori, e un mio figlio sa sempre come sfruttare ciò a suo vantaggio.»
Njordr chiamò sua figlia, Petra, e Thor fece lo stesso per Marcus; entrambi premiarono e lodarono i loro figli.
Mi aspettavo che i ringraziamenti fossero terminati, invece, con voce quasi svogliata, Odino aggiunse: «Ultima, ma non meno importante, Astrid Jensen.»
Mi sarebbe piaciuto svenire all’istante come Grover. Invece, rimasi in piedi come uno stoccafisso, rigida come un cadavere.
«Astrid Jensen?» ripeté Odino, leggermente irritato che qualcuno non avesse risposto subito alla sua chiamata.
«Vai» mi incitò Alex, pungolandomi col gomito.
«Ma… io… no…» obiettai.
«Forza!»
Camminai verso il trono del Signore degli Dèi nordici, desiderando ardentemente scomparire. Stavo sicuramente avanzando con un’andatura strana, non ero certo attraente o accettabile, in quel momento, né incutevo terrore come una vera combattente. Mi sentivo come il succo d’uva, che nessuno beveva. Mi inchinai, pregando che il pavimento mi risucchiasse. Cosa che non accadde.
«Grazie per dimostrare che la tua fiducia è riposta in noi e che sarai sempre pronta a offrire la tua vita per noi, figlia di Hell, invece che cedere alle tentazioni di tua madre. Tutti noi ci auguriamo che il tuo cammino proceda come ci si aspetta da te.»
Preferii non dire nulla, perché avrei balbettato qualcosa d’insensato e imbarazzante. Oltretutto, le parole di Odino sembravano quasi voler sottintendere: se non farai ciò che piace agli Dèi, scegliendo di preferire tua madre, noi ti inceneriremo. Il che era rassicurante quanto una pistola puntata alla tempia.
Fui estremamente sollevata di rifugiarmi accanto ad Alex.
«E con questo, abbiamo terminato» dichiarò Odino.
«Finalmente» sbottò Zeus. «Non se ne poteva più.»
«Cosa intendi insinuare?» ribatté l’altro, già sul piede di guerra.
Non mi presi la briga di ascoltare la risposta. Sperai soltanto che qualcuno li fermasse prima che fosse troppo tardi. Alex mi agitò la mano davanti agli occhi, riscuotendomi.
«Ehilà, c’è qualcuno?»
«Mh?» feci.
«Ti ho chiesto come ti sentivi» si spiegò il figlio di Odino.
«Ehm, bene, credo» risposi. «Cioè, sono stanca, ma tutto ok.» Mi sforzai di sorridere.
La verità era che non lo sapevo. Erano cambiate così tante cose insieme che, ora, mi sentivo spossata e avrei voluto potermi appisolare nella Sala del Trono. Invece, abbracciai Alex e respirai il suo odore, facendo scomparire i problemi attorno a me. Avrei pensato a tutto più tardi.

* cit Piccolo Principe, Saint-Exupery
koala's corner.
Di nuovo - anche se dopo un po' di tempo  - ritorniamo con i nostri mitici aggiornamenti notturni/diurni/albici.
Io mi scuso - di nuovo - per non aver scritto un capitolo che mi soddisfi, perché sto tipo morendo sotto il peso di materie oscure come Latino e Scienze, che potrebbero decretare il mio futuro D:
Perdono Water_wolf perché sappiamo entrambi che è un periodo di merda. La perdono anche per non aver messo il bacio subacqueo, perché lei è più brava di me in certe cose ^^"
Voi invece non perdonatemi, perché avrei potuto fare meglio çwç Comunque questo capitolo è lunghetto, principalmente perché il discorso di Percy ci è sembrato importante oltre che la fandom reference a game of thrones che era indispensabile e abbiamo deciso di inserirlo tutto.
La Odino Enterprises regala un nuovo occhio ad Alex, che così può guardare Astrid a 360°
...occhio ai prezzi, però!
Tralasciamo queste battute sottili. In questo capitolo ce ne sono già abbastanza -3-
Il prossimo capitolo sarò l'ultimo - e lungo -, narrato dai tutti e tre POV dei maschietti.
Alla prossima, folk, possa la fortuna essere sempre a vostro favore!
  
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