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Autore: mamie    17/05/2014    8 recensioni
Quattro "quadri" per parlare di Harlock e di Mayu. Già fare il padre in una famiglia normale non è facile. Figuriamoci fare il tutore di una bambina restando nello stesso tempo il capitano di un'astronave pirata in guerra contro un esercito alieno.
Tratti da quattro episodi della prima serie, con qualche piccola variazione personale.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Harlock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È DIFFICILE…
 
1. L’ultimo legame
 
Silenzio, penombra e stelle. Il vino versato nel bicchiere sembrò quasi fare un rumore troppo forte.
Meeme glielo porse senza dire niente. Lui la ringraziò, ma il suo viso era tirato e stanco. Erano giorni che non faceva altro che guardare fuori da quella vetrata, senza dire nulla.
‒ La troveremo, lo sento – disse l’aliena a bassa voce.
Lui non rispose.
‒ Raflesia non può farle del male. È troppo intelligente per non capire che in questo modo non avrebbe più alcun potere su di te.
Harlock si passò una mano sulla faccia, come a voler cacciare via un pensiero molesto.
‒ Meeme, se dovesse accaderle qualcosa… Mi è rimasta solo lei, non ho più nessun altro…
C’era, nella sua voce, una disperazione che lei non aveva mai sentito, che lui non si sarebbe mai permesso di condividere con nessun altro in quella nave.
Meeme capiva. Capiva che, nonostante l’affetto e la devozione che tutti coloro che vivevano sull’Arcadia gli avevano sempre dimostrato, Mayu era l’unico, l’ultimo legame con le persone che aveva amato e che non c’erano più. L’unico futuro per cui valeva veramente la pena di combattere. Senza di lei, tutte le sue battaglie non avrebbero più avuto senso.
Si avvicinò posandogli una mano sulla spalla, sentendo quanto era rigido e teso.
‒ La troveremo – si limitò a dire di nuovo.
Lui si voltò a guardarla nei grandi occhi dorati. Meeme non si era mai sbagliata. Ma gli oracoli siedono sulle ginocchia del Caos e a volte confondono con la sua la loro voce.
L’Arcadia silenziosa continuava a navigare fra le stelle.
 
 
2. Ninna nanna
 
Nessuno dormiva più in tutta la nave. Il suo ossessivo dell’ocarina, quello stesso che li aveva guidati fino a lei, sembrava riempire ogni corridoio, ogni cabina, ogni angolo dell’Arcadia. Il Capitano vagava per la nave, esausto, divorato dallo spettro dell’inquietudine. Nemmeno il dottore aveva potuto farci niente: la bambina non dormiva. Continuava, invece, a suonare quello strumento che pareva ora diventato stridulo e insopportabile. Al sollievo, alla gioia per averla ritrovata si era aggrappato un malessere subdolo, il sospetto che qualcosa di lei fosse andato perduto per sempre.
Non l’avrebbe sopportato. Non avrebbe mai perdonato chi le aveva fatto del male, e soprattutto non si sarebbe mai perdonato per quello che non aveva potuto fare.
C’era solo un’unica, un’ultima cosa possibile. Quella che faceva sempre nei momenti di più grande disperazione.
La sala del computer centrale era immersa in una penombra vigile, piccole luci, ogni tanto, si accendevano intermittenti, brillavano per un attimo e poi si spegnevano. La bambina alzò gli occhi per un momento a guardare l’intrico di tubi e di cavi che si perdeva nell’oscurità della grande volta: pareva un grande albero di metallo, i cui rami sostenevano il cielo.
Amico mio. Ti prego, fa qualcosa perché possa addormentarsi, altrimenti la tua povera bambina morirà.
La grande macchina ebbe un fremito che si riverberò sulle paratie e lungo le fiancate.
Dal profondo della nave venne un canto, una nenia infantile e monotona, sembrava emergere da una lontananza immensa, da un tempo remoto, quasi dalla perduta infanzia delle stelle.
La bambina restò un po’ in ascolto, incantata, poi chiuse gli occhi e si rannicchiò come un cucciolo fra le braccia dell’uomo.
Harlock la portò dolcemente nella sua cabina e la mise a dormire nel suo letto, con un grande, immenso sollievo. Accostò lo sgabello e rimase lì a guardarla dormire e finalmente sorrise, un sorriso prezioso, che aveva solo per lei.
Diverse ore dopo Meeme li trovò tutti e due che dormivano, la bambina nel grande letto e il Capitano sullo sgabello, con la testa appoggiata al materasso. Allora prese il mantello che era abbandonato sul bracciolo della poltrona, glielo mise sulle spalle e uscì, senza fare rumore.
 
 
3. Cattivo!
 
‒ Sei cattivo. Cattivo! – urlò la bambina con tutta la sua convinzione, scappando via senza voltarsi.
‒ Mayu – gridò Harlock correndole dietro.
Niente. Non ci riusciva.
Le aveva spiegato, con tutta la calma e la ragionevolezza di cui era capace, che quella era una nave da guerra e lì una bambina non ci poteva stare. Che sarebbe stata più al sicuro sulla terra, dove c’erano  gli altri bambini a farle compagnia e qualcuno che si sarebbe comunque preso cura di lei. Inutilmente.
Mayu, come tutti i bambini, lo sentiva. Sentiva che lì, in quella nave, c’era tutto l’amore che cercava, del resto non le importava nulla delle Mazoniane, del governo terrestre, dei giochi di potere e delle astuzie di entrambe le parti.
Lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederla felice, avrebbe voluto cedere a qualunque suo desiderio, ma non poteva. Quello che più lo angosciava era il fatto che, lasciandola sulla terra, non sarebbe stato lì a proteggerla. Per lei questo era un altro abbandono e non sapeva rassegnarsi.
Com’era tutto difficile!
Avrebbero voluto, tutti, vivere in un pianeta in pace, dove crescere serenamente i bambini. Non avevano trovato un pianeta del genere. Forse non c’era mai stato. Forse, dovunque fosse, gli uomini vi avrebbero portato comunque la guerra.
Sapeva che alla fine la bambina gli avrebbe ubbidito, ma si sarebbe portato a lungo il ricordo del suo faccino triste. Sperava solo che, se non avesse dovuto fare più ritorno, lei un giorno avrebbe capito.
 
 
4. Il suo posto
 
Era stato un altro addio. Questa volta però era un addio gioioso. Niente lacrime, niente paure. Lei aveva trovato il suo posto, i suoi amici, il suo mondo da ricostruire. Lui non sarebbe stato altro che un’ombra che passava di tanto in tanto alla finestra, il ricordo di una persona lontana, anche se amata.
Non si illudeva. Non sarebbe stato facile, per nessuno. Ma lei sarebbe cresciuta, lì, sulla Terra, dove aveva voluto suo padre e dove avrebbe potuto vivere la sua storia. Una storia che non parlasse solo di distruzione e di solitudine.
Quanto a lui, si era accorto dolorosamente che la Terra, per quanto amata, non era più il suo posto. Forse non lo era mai stato. Ma non aveva rimpianti. Solo, a volte, un po’ di nostalgia. Mentre l’Arcadia si allontanava, lasciando un mondo di rovine e speranze, era andato a prendere la sua bottiglia migliore e se l’era portata fino alla sala del computer centrale.
Amico mio…
Il domani avrebbe portato altre cose e lui sarebbe stato pronto, come sempre, ad affrontarle. Ma adesso era tempo di prendersi quella sbornia promessa e non pensare a niente, per un po’.
Il primo sorso gli sembrò particolarmente dolce.
  
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