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Autore: disconnected    19/05/2014    4 recensioni
“Io non ti faccio bene”
Si sbagliava.
Questo non mi faceva bene, lo stare da sola aspettando il suo ritorno, la sua continua presenza nei miei sogni e nei miei pensieri, la sua mancanza. Niente di questo mi faceva bene.
Lui mi faceva bene, ma non c’era.
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jace Lightwood
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Where are you? And I’m so sorry.
I cannot sleep, I cannot dream tonight.
I need somebody and always this sick strange darkness
comes creeping on so haunting everytime.”

- Blink 182, I Miss You.




 
Mi alzai a sedere sul letto, il cuore batteva a mille, le guance erano bagnate e i capelli arruffati. Un terribile incubo mi aveva svegliata. Per riaddormentarmi decisi di andare in cucina a bere un bicchier d’acqua.
Sul tavolo c’era sempre lo stesso biglietto, quel biglietto che non buttavo mai via, quel biglietto scritto con una calligrafia così familiare che a fatica riuscivo a pensare che la persona che l’aveva scritto era solo un ricordo lontano.
 
“Sei la persona più importante della mia vita, ma non posso più starti accanto. Io non ti faccio bene. Di solito sono coraggioso, ma se si tratta di te io non so più cosa vuol dire non avere paura. Io ho costantemente paura di perderti, di ferirti, di farti del male, di deluderti, e sono sicuro che ora, in questo momento sto facendo almeno due delle cose di cui ho paura, ma lo faccio per il tuo bene. Perdonami, ti amo.”
 
Il ricordo della mattina in cui trovai quel biglietto si fece strada nella mia mente assonnata come una freccia scoccata verso un bersaglio: il mio cuore.
Ormai erano due mesi che non vedevo il ragazzo che aveva lasciato lì quel biglietto, ma ricordavo con estrema precisione i dettagli che lo rendevano particolare, i dettagli di cui mi ero innamorata. Il suo modo di usare il sarcasmo come difesa, il modo in cui quel ricciolo gli ricadeva sugli occhi, l’ombra sotto gli zigomi, la sfumatura brillante che avevano i suoi occhi dorati appena prima che si mettesse a piovere, il modo in cui piegava la testa di lato appena prima di ridere, il suo sorriso, le sue mani, il modo che aveva di sfiorarmi le guance prima di baciarmi, la morbidezza dei suoi capelli, la delicatezza con cui faceva le cose, l’agilità che aveva nel passare da una stanza all’altra senza farsi nemmeno sentire, la stessa bravura che ha usato la notte in cui se n’è andato.
 
Io non lo volevo perdonare, ma lo avevo già fatto.
Io non lo volevo amare, ma lo stavo facendo.
Io non volevo che il mio cuore mancasse un battito ogni volta che qualcuno bussava alla porta di casa perché speravo che fosse lui, ma succedeva comunque.
 
“Io non ti faccio bene”
Si sbagliava.
Questo non mi faceva bene: lo stare da sola aspettando il suo ritorno, la sua continua presenza nei miei sogni e nei miei pensieri, la sua mancanza. Niente di questo mi faceva bene.
Lui mi faceva bene, ma non c’era.
 
Tornai a letto con una lacrima che stava scivolando tra le labbra. Pensai che, se Jace fosse stato lì, mi avrebbe baciato le lacrime e carezzato la guancia con estrema dolcezza, una dolcezza che mostrava solo a me, una dolcezza di cui nemmeno i Lightwood erano a conoscenza.
Pensando a lui, come le altre notti da due mesi a quella parte, mi addormentai.
 
Un raggio di sole mi illuminava il viso, come ogni mattina, ma non chiudevo mai le tende o le persiane perché io dormivo nel lato del letto di Jace e lui amava svegliarsi con il sole. Feci una smorfia e mi alzai. Erano le otto.
Decisi di vestirmi e andare a fare una passeggiata e una colazione da Starbucks. L’estate era alle porte, non faceva caldo, ma non c’era nemmeno bisogno di ripararsi dal vento freddo invernale, quindi decisi di mettermi dei leggings neri, delle sneakers e una maglietta oversize, presi la borsa e mi diressi verso Starbucks.

Dopo aver fatto colazione andai in un quartiere che sapevo essere malfamato, ma era anche uno dei più belli, e passeggiai per un po’, osservando i palazzi e i giardini pensando che i newyorkesi non erano mattinieri.

Vidi una sagoma alta e nera girare l’angolo, la mia mano andò istintivamente allo stilo. Forse non era la decisione migliore, ma decisi di seguire la figura e girare l’angolo. Alla fine del vicolo, ora lo vedevo meglio, c’era un ragazzo alto e vestito di nero, non riuscivo a distinguerne i lineamenti, anche perché era di spalle e aveva il cappuccio, ma riconobbi la divisa da shadowhunter e la spada angelica. Camminava con passi lunghi e veloci, io ero a una cinquantina di metri di distanza e lo seguivo. Imboccò un vicolo buio e io feci lo stesso.
Non appena girai l’angolo venni presa alle spalle da qualcuno, cercai di divincolarmi ma la stretta era molto forte, troppo forte.

“Non dovresti venire in questi quartieri malfamati, non è sicuro, soprattutto se insegui un ragazzo tanto bello quanto pericoloso e, inoltre, armato.”
Avrei riconosciuto quella voce tra tutte le altre. Smisi di divincolarmi e mi girai. Non era cambiato.
Notai che aveva delle mezzelune scure sotto gli occhi e una cicatrice sul collo.
Avevo voglia di tirargli un pugno in piena faccia e baciarlo, ma la sua stretta su di me era ancora forte, l’aveva solo allentata per permettermi di girarmi e poi le sue braccia si erano richiuse su di me.
Eravamo incredibilmente vicini, troppo vicini per due innamorati che non possono sfiorarsi da mesi.
“Dovrei odiarti?” gli sussurrai.
“Probabilmente si”
“Vorrei darti un pugno in faccia così forte da farti capire quanto male mi ha fatto la tua assenza”
“Fallo”
si avvicinò ancora un po’ a me, ma non feci nulla.
“Vorrei anche baciarti”
“Fallo”
disse e io, questa volta, obbedii.
“Tu mi fai bene, comunque, non avresti mai dovuto credere il contrario.”
  
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