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Autore: Ruta    19/05/2014    4 recensioni
La gente rumoreggiava. Il 221B di Baker Street aveva trovato un nuovo inquilino. Si trattava di una giovane donna minuta, graziosa e dai modi accomodanti.
Sherlock taceva. Molly era a tutti gli effetti una giovane donna dalle indubbie attrattive e dai modi che, tuttavia, lui avrebbe definito elastici più che arrendevoli.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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level

if you are afraid, give more.
if you are alive, give more now.
everybody here has seams and scars.
so what. level up.

 

 

 

 

La gente rumoreggiava. Il 221B di Baker Street aveva trovato un nuovo inquilino. Si trattava di una giovane donna minuta, graziosa e dai modi accomodanti.
Sherlock taceva. Molly era a tutti gli effetti una giovane donna dalle indubbie attrattive e dai modi che, tuttavia, lui avrebbe definito elastici più che arrendevoli. (Non avrebbe offeso l’intelligenza di lei, esponendoli in modo diverso. Molly aveva sempre avuto l’intelligenza di capire ciò che andava fatto per il meglio. Non si era mai tirata indietro, anche quando significava sporcarsi le mani.)
Ma questo era stato prima.
Nel dopo che era ora, Molly era una giovane donna spezzata e inquieta, i cui occhi vagavano nello spazio senza realmente osservarlo, disattenti alla realtà che la circondava, vuoti specchi deformanti di ciò che riflettevano.
Aveva avuto un sorriso e uno sguardo, Molly, che non aveva più. Non era rimasta che l’ossatura sporgente e aguzza degli zigomi; nulla della morbidezza. 
Molly non parlava. Non ingeriva cibi solidi. Prima di cedere al sonno per sfinimento, fissava per ore il soffitto senza battere ciglio. Si rifiutava di dormire senza una fonte di luce di complemento – doveva essere blu. Non azzurra, non gialla, non bianca. Cominciava a urlare altrimenti.
(“Le cose non possono continuare così. Ti rifiuti di guardare in faccia la realtà.”

Erano tutti lì, stretti nello spazio esiguo della cucina del 221A.
Mrs. Hudson – scavata e con qualche capello bianco. Appuntamento dal parrucchiere saltato.
Lestrade – aveva preso l’abitudine di bere un bicchiere di scotch ogni sera, prima di andare a letto. Il vizio gli aveva già appesantito la linea della mascella.
Mary – Annie disturbava il riposo notturno per le poppate.
John - ingrigito, stanco, con cerchi viola sotto le palpebre. Conservava il cipiglio, il timbro di voce e il portamento marziale.
“Molly ha bisogno di assistenza e delle cure mediche adeguate. Ha subito un trauma e così tu, anche se ti rifiuti di ammetterlo. Non che serva. Basta guardarti. Hai un aspetto orribile.”
Era lui il portavoce.

Molly ha bisogno di me. Le parole gli rimasero intrappolate in gola. Un pensiero banale, così come lo fu il seguente. Glielo devo.
Mary stringeva Annie tra le braccia, la testa fragile e minuscola poggiata contro la sua spalla, una mano a carezzarle la schiena e a sorreggere la nuca. Non aveva fatto commenti. Non era da lei sprecare il fiato e le parole. Sollevò il viso e lo guardò. Soltanto uno sguardo, ma fu abbastanza.
Mary Watson, la donna che accettava a priori.
John Watson, l’uomo che capiva e passava oltre, ma che aveva bisogno del tempo e degli spazi adeguati per riuscire a farlo. Che perdonava, ma non dimenticava.
“No”, disse Sherlock.
Fu l’inizio della fine.
)

 

*

 

Molly Hooper scomparve il 20 marzo 2014 alle 16 e 57.
La telecamera a circuito chiuso dell’obitorio si oscurò per tre minuti. Bastarono.
Lui l’avrebbe ritrovata una settimana più tardi, dopo aver risolto la caccia agli indizi che Moriarty aveva disseminato per Londra.
Il primo giorno, Sherlock si spostò velocemente in un auto in borghese della polizia, impartendo ordini scritti a John tramite sms, un auricolare all’orecchio.
All’altro capo, con voce suadente, Moriarty raccontava una storia che Sherlock non ascoltava. (“Nella mitologia persiana, Jamshid, il re della Persia, ascese al trono in questo giorno, lo sapevi? Non ti sembra degno di me?”)
Era impegnato a cogliere i rumori in sottofondo, la voce di donna che gridava, il rumore della frusta.
Contò le frustate.  

 

 
“L’equinozio. Hai solo questo giorno, Sherlock. Poi per Molly-Mouse comincerà una lunga notte da incubo, di quelle polari che durano mesi e mesi e mesi. E tu non vuoi questo per il piccolo topolino, vero? Certo che no. Perché lei conta più di chiunque altro.”
 

 
Sherlock trovò Molly Hooper nel bunker sotterraneo di una magione abbandonata nella campagna, a sette miglia da Lancaster. 
Aveva lividi e piaghe medicate con cura. (“Non sono un tipo abitudinario, ma quando trovo un nuovo giocattolo cerco di non romperlo subito, di far durare il divertimento più che posso.”)
La verità era che non sapeva cosa Moriarty le avesse fatto. Ogni indizio della scena del crimine era stato portato via o lavato. Per lasciarlo crogiolare nell’incertezza, nell’indeterminato, con lo scopo di farlo impazzire.
Ogni oggetto poteva essere stato usato - era stato usato – e poi ripulito.
Sherlock aveva il compito di ricostruire i peggiori scenari. Peggio: di immaginarli, anche se avrebbero potuto non essere reali.
Era stata torturata.
Era stata legata con corde e manette e catene, nei modi più fantasiosi che una mente squilibrata potesse concepire. Su un letto di spine, su una tavola inchiodata, sul muro di pietra di una cella attrezzata in modo da essere riproduzione fedele di una medievale.
Era stata chiusa in un sarcofago insieme ai topi, una Vergine di Ferro senza spuntoni.
Era stata marchiata a fuoco. Era stata, poteva essere stata. 
Solo una cosa era certa: non era stata drogata. Era stata lucida tutto il tempo. Sette giorni. 
Quando infine la trovò, (troppo tardi. No, non era mai troppo tardi.) John gli era alle calcagna, espresse con un verso di orrore tutto quello che nel suo caso gli restò imprigionato in gola. Era un verso animalesco e rabbioso, quasi grottesco, ma esprimeva bene l’irrealtà del contesto.
Molly, nuda, era riversa in un lago di sangue rosso rubino. Sangue non suo, (il rapporto ematocrito degli elementi corpuscolati del sangue rispettava valori indicativi per un maschio adulto sano) ma John non osservava, vedeva soltanto e subito la esaminò alla ricerca di ferite che spiegassero l’emorragia, le tastò la pelle martoriata da una costellazione variopinta di lesioni ed ecchimosi.
(Tre dita fratturate, un polso slogato, una spalla lussata, quattro – no, cinque costole ammaccate. Capelli tagliati alla paggio per sfregio e per puro, meschino autocompiacimento.)
Molly, bianca e con gli occhi velati come quelli di una bambola di porcellana, immobile morta vivente.
John mormorava parole rassicuranti (bugie. Non sarebbe andato bene. Tutto era stato guastato ormai, marcio, perduto. Nulla sarebbe mai potuto realisticamente andare bene d’ora in avanti. Non dopo questo.).  C’era una ferocia nel suo sguardo, qualcosa che fece riavere Molly dal suo stato catatonico, che le fece arricciare le labbra come se fosse sul punto di piangere, le fece artigliare le dita nel vuoto in cerca di appigli, qualcuno a cui aggrapparsi. 
E fu il particolare che spinse Sherlock a spostarsi, che lo fece scattare. Scansò malamente John. “Ferite superficiali. Chiama Mary e dille di andare a Baker Street, che noi stiamo arrivando.” Si tolse il cappotto e coprì Molly.
Ci sarebbe stato sangue sui suoi vestiti dopo, ma non era ciò a cui pensò in quel momento. Pensava a quanto il corpo che trasportava fosse disgregato e freddo. A quanto tremasse tra le sue braccia, nella cosa più simile a un abbraccio che avesse mai scambiato con lei da quando la conosceva.      
“Molly.”
Molly batté le palpebre, si rimpiccolì contro il suo petto, esalò un sospiro che sembrava di sollievo e pena insieme.
Sherlock dovette contrarre i muscoli delle braccia per non serrargliele attorno con troppa forza. L’aveva trovata.
Spezzata. Ferita. Ma viva. Viva.

Molly Hooper era viva.
E lui poteva tornare a respirare.

 

*

 

È colpa tua. Tutta colpa tua, lo sai, vero?
Era quello che si diceva, guardandola dormire. Le palpebre di lei fremevano secondo i guizzi di sogno – ricordi delle torture? - che disturbavano il suo riposo. La osservò: smagrita e addolorata, in qualche modo disperata.
Non sapeva – non poteva saperlo - che loro due fossero specchi gemelli.

 

*

 

“Hai un aspetto terrificante, fratellino. Sembri un fantasma orrido e pallido.”
Sherlock non si diede pena di rivolgergli lo sguardo, neppure l’ombra tagliente del sorriso urticante, il migliore, che riservava alle occasioni in cui Mycroft decideva di omaggiarlo della sua presenza ingombrante, del suo teatrino di rimostranze e pretese. “È la descrizione a cui il termine fantasma corrisponde”, si limitò a far presente, indolente. Piegò la mano in modo che le nocche, curvate contro la tempia, gli nascondessero la vista sgradevole del fratello maggiore e dell’analisi accurata con cui lui stava già perlustrando l’appartamento. “Se mai dovessi incontrare un fantasma abbronzato e in salute, ritieniti libero di informarmi.”
Il silenzio di Mycroft era di un tipo insopportabile. Era un silenzio che giudicava e calcolava l’esatta portata di notti che lo avevano visto insonne, a sfidare i mostri che popolavano gli incubi della donna distrutta che si spegneva sotto il suo stesso tetto; soppesava l’inappetenza e la frenesia brulicante che lo facevano smaniare dal desiderio di avere qualcosa da fare. Qualcosa che gli occupasse la mente, qualcosa di diverso dal colorito di Molly, la voce di Molly, il sorriso-spettro di Molly, gli occhi vacui e opachi di Molly, Molly, Molly, Molly.   
“Perché sei qui?” domandò. Non era andato per offrirgli l’escamotage di un caso. Lo aveva saputo sin da quando aveva messo piede nell’appartamento.
“Fare da balia a Miss Hooper ti ha privato di ogni capacità cognitiva?” ribatté Mycroft, gelido e pungente. Passò con ostentata lentezza un dito sul ripiano del tavolino da tè. Lo strato di polvere (un millimetro e mezzo. Accumulato in due settimane. Era da allora che non permetteva a Mrs. Hudson di salire.) rimase attaccato al polpastrello. Effetto da contatto. Energia elettrostatica. Mycroft strofinò pollice e indice tra loro con una smorfia di repulsione. “Oltre a quelle motorie, s’intende. Dubito che nelle condizioni in cui sei, riusciresti a mettermi alla porta con la tua usuale eleganza.”
“Sai che odio ripetermi. Perché. Sei. Qui.” Sherlock scandì ogni parola, tamburellando l’altra mano sul bracciolo della poltrona, intanto serrando la bocca.
Mycroft non batté ciglio. “La prendo con me.”
Sherlock sussultò con uno scatto fulmineo che quasi gli costò un gemito. “Non oseresti.”
“Oso, posso e lo farò”, replicò Mycroft. “Ne ho piena facoltà.”
“Non provare a-”    
“Guardati, Sherlock e guarda a lei come al più grande fallimento della tua miserabile esistenza. Ricorda come lei era e ciò che per causa tua le è stato fatto. Dannati l’anima, ma non costringere quella di lei a seguirti nell’inferno che ti sei scelto come dimora.” Mycroft aveva uno sguardo implacabile. “Ora”, sospirò con enfasi, “se tu fossi così gentile da indicarmi dove sono i suoi effetti personali, conto di lasciarti a te stesso entro i prossimi dieci minuti.”
Sherlock tacque. La testa di suo fratello per una sigaretta.
Bill Il Teschio, sulla mensola, sogghignava del suo disappunto, si faceva gioco della sua disfatta.
“Sarà al sicuro”, affermò Mycroft. “Non esiste posto più protetto in tutta l’Inghilterra. Rimanere con te a Baker Street è infattibile. Alimenta il pericolo, fa di lei un bersaglio. Avrà tutto ciò che le occorre e ho predisposto le migliori stanze, quelle a ponente che si affacciano –”
“Sul giardino delle rose”, concluse Sherlock per lui, incrociandone lo sguardo per la prima volta, deliberatamente.
“Ciò che occorre a entrambi è rimettervi in sesto in modo autonomo. Ognuno sulle proprie gambe.”
Sherlock lo sapeva, lo aveva sempre saputo in verità.
Ciò che serviva a Molly era che lui si tenesse alla larga da lei, in confini sicuri ed estremi, ai margini della sua vita.
  


*

 

Molly riemerse dalle personali ombre che la affliggevano nelle sembianze di un superstite. Nel periodo in cui Sherlock l’aveva avuta sotto la sua custodia, non aveva riacquistato le forze. Era debilitata per i troppi pasti rifiutati e se già prima de I Sette Giorni Di Buio il suo fisico era stato filiforme, ora aveva troppe rientranze e infossamenti. 
“Tutto ciò che viene a contatto con te è destinato a guastarsi, soffrire le pene dell’inferno e bruciare. Voleva che te lo dicessi.”
Erano le prime parole che Molly Hooper gli rivolgeva dopo settimane di silenzio, dove le uniche occasioni in cui aveva sentito la sua voce erano state ascoltandola gridare fino a diventare rauca e consumarsi.
Sherlock si limitò a trovare la forza di non voltare la testa dall’altro lato, di lasciarsi scivolare dentro quelle parole, farsi scrutare dagli occhi incavati di lei che avevano subito tanto orrore, che lo portavano inciso in ogni ciglio e pigmento d’iride. (Gli occhi di Molly in passato erano stati spesso malinconici, consapevoli, piacevolmente briosi e spensierati. Il contrasto era penoso in modi che non si potevano descrivere. Solo sentire, per una sorta di contrappasso, acutamente.)

Guarda dove ti ha portato il tuo amore per me, Molly. Guarda cosa ti ho fatto.
Molly era sempre stata imperscrutabile, ma adesso era addirittura impenetrabile. Soltanto la sofferenza era palpabile, ma la rabbia, lo sconforto, l’odio, se li provava (e doveva provarli. Chiunque altro li avrebbe provati. Ma lei era Molly, non chiunque altro.), erano custoditi con gelosa cautela dietro un paravento di vuoto desolante.   
“Andiamo, Miss Hooper. Non c’è niente che lei possa fare qui.” Mycroft, a poca distanza, assomigliava a un mastino. Sembrava voler ricordare a entrambi che le porte dell’inferno andavano richiuse, se non desideravano essere inghiottiti nelle sue profondità. Decidete da che parte stare.
Molly si riscosse, il volto rimase inespressivo e snervato. Accennò passi lenti, affaticati verso la soglia dell’appartamento.
Mycroft le porse il cappotto, ma quando lei non si mosse per prenderlo (non aveva la forza di sollevare il braccio), si fece avanti per poggiarlo lui stesso sulle sue spalle.
Molly tremò, si morse le labbra, sfuggì il suo sguardo quando ogni parte di lei – era talmente evidente – sussultava per il raccapriccio del contatto fisico indesiderato.
Sherlock sapeva che avrebbe voluto urlare, rintanarsi nell’abbraccio sicuro del suo letto, nell’ombra confortevole e azzurra della sua camera che era stata il suo nido nel corso dell’ultimo mese e mezzo.
Molly avanzò nella sua discesa alla luce senza favorirlo di un secondo sguardo o di una parola di saluto, di gentilezza.

Non che lui li meritasse.  
Il suo ritorno ai vivi abbandonò Sherlock al suo destino di rimorso e al tormento delle sue numerose colpe da espiare. 

 

 
*

 
 

Sherlock procedeva su un prato che dava l’impressione fasulla di essere incustodito. Contò sei, no, sette telecamere di sorveglianza tra le fronde degli alberi, sui rami contorti degli olmi. Non lo considerò uno spreco o un eccesso.
Nessuna misura di sicurezza sarebbe mai stata abbastanza se messa a tutela di Molly.
L’ambiente era tutto ciò che ci si sarebbe potuto aspettare da Mycroft.
Esteticamente era ineccepibile. Aveva pannelli chiari alle pareti, sedili morbidi su cui sedersi, un’ampia finestra a tre battenti a cui affacciarsi. Suppellettili varie, libri, quadri – una riproduzione del ‘Wild Roses’ di Van Gogh -, cuscini, coperte e un abat-jour completavano l’aspetto confortevole dell’appartamento.
E lei era esattamente dove aveva pensato di trovarla, non inattiva o seduta accanto alla finestra con il libro lasciato a spaginare sulle sue gambe, ma di ritorno dal giardino, con una bracciata di rose che spandevano un profumo invitante e vaporoso. L’aveva aspettata seduto sulla poltroncina di fianco alla piana d'appoggio della finestra, su cui figuravano altri libri e un bicchiere con una talea di edera. Non si era tolto il Belstaff.    
Molly indugiò un attimo, i suoi passi si interruppero sulla porta prima che lei entrasse, si sciogliesse con una mano il cappello di paglia e lo poggiasse insieme ai fiori sul letto.
La sua espressione non subì mutamenti, ma qualcosa nel profondo dei suoi occhi lo fece. Qualcosa si spense, qualcosa si accese. Sherlock non seppe decidere se ritenerlo un buon o un cattivo segno.
Molly prese un vaso che era sulla scrivania e andò a riempirlo d’acqua, nel bagno attiguo. Quando tornò, cominciò a disporvi dentro i fiori, senza dargli le spalle, ma senza neanche mostrare segni che indulgessero in piacere o dispiacere per la sua presenza lì.
“Stai… bene.”
Sherlock avrebbe voluto riposte, ma per averle era necessario porre domande e non ne era in grado.
Molly annuì, ancora rifiutava di incrociare lo sguardo penetrante con cui Sherlock non la abbandonava. “Mi sento meglio. Grazie.”
Non si dissero altro. Nessuna aggiunta fuorviante. Nessuna parola incomoda. Nessuna fascinazione o manipolazione.
Così com’era venuto, Sherlock fu rapido ad andarsene, non prima di aver preso nota del radicale cambiamento che quelle poche settimane avevano operato su di lei. Appuntò mentalmente che aveva recuperato parte del peso perduto, che il suo colorito non era più quello di uno dei suoi cadaveri. Non sorrideva, pareva inavvicinabile e quando le passò accanto, registrò con sentimento il sussulto delle spalle, come un brivido interno. Profumava delle rose che aveva colto.

Troppo presto, fu quel che si disse, che già aveva saputo prima di vederla. Era troppo presto per ricominciare una nuova storia.
Non quando la vecchia doveva ancora finire. 
La lasciò senza voltarsi indietro.

 

*

 

Un pomeriggio, dopo un caso particolarmente difficile nell’Isola di Wight che lo aveva trattenuto e invischiato nel suo raggiro per quasi un mese, Sherlock si ritrovò a ricalcare passi inquieti nel giardino delle rose. Non sapeva perché fosse lì. Non lo sapeva davvero.
Con un senso di dejà vu impellente, che risaliva a una sera di quasi quindici anni prima, Sherlock si accese una sigaretta. Ne fumò una dopo l’altra ed era all’ultima del pacchetto quando sentì dei passi leggeri. Li riconobbe subito.
Si voltò per incrociare per la prima volta dopo mesi e mesi gli occhi di Molly. Ed erano occhi vivi, non spenti, non bruciati. Erano gli occhi di Molly Hooper. Gli occhi che aveva cercato per mesi nella folla che lo attorniava, senza trovarli. 
Indossava un vestito di cotone ed era rosa, tra i fiori rosa e rossi e bianchi e gialli della serra, nitida e quieta. I suoi occhi erano amorevoli e rassicuranti e altre mille cose che lui non meritava.
Lasciò cadere la sigaretta e la pestò con insolita energia.
Molly si avvicinò, silenziosa e calma sotto la trapunta del crepuscolo che accendeva il cielo come un fuoco, aldilà del soffitto di vetro sopra le loro teste.
Aveva i capelli sciolti, ai lati del collo. Erano cresciuti. Le sfioravano la curva della gola, la linea affusolata delle spalle.
Molly non sorrideva con la bocca, ma i suoi occhi, oh, i suoi occhi avevano un sorriso che era solo per lui. Gli poggiò la mano sul petto. Entrambi fremettero al contatto. L’aria sfrigolò.
Sherlock non la sfiorò in alcun modo. I suoi occhi lo fecero per lui, la accarezzarono in modi che non era possibile fraintendere. Tutto era intenso e profumato e lui –
“Sai di mare”, disse Molly e arricciò il naso, lo annusò senza ritegno. “E aglio e… polvere da sparo.”
“Ti infastidisce?”
Molly fece cenno di no. “Spero che sia stato un bel caso.”
Sherlock era decisamente tentato. In passato non aveva mai trascurato il racconto dei suoi casi. Molly li aveva sempre ascoltati di prima mano da lui, ben prima che John li facesse diventare di pubblico dominio sul suo blog. La pratica era rimasta immutata anche in seguito, onorata da entrambi, nelle lunghe giornate lavorative in cui Molly aveva il turno di notte, nel silenzio immobile dell’obitorio.
Sherlock fece per iniziare quello che intendeva rendere un racconto entusiasmante e avvincente, che la coinvolgesse, quando Molly fece una delle cose più straordinarie a cui gli fosse mai capitato di assistere e con intraprendente presa d’animo si alzò sulle punte e lo baciò.
Lui era troppo stupito per reagire con la dovuta prontezza, ma quando la sentì ritrarsi, riprese il controllo e con un verso inconfondibile di furia e smania la afferrò per le spalle e se la tirò contro.
La baciò fino a quando entrambi ebbero fiato e quando lei si apprestò a cedere, esausta, sotto le sue dita, ammorbidirsi, aprirsi con fiducia alla maniera dei fiori che li assediavano, Sherlock si tirò indietro di scatto e la lasciò andare come se fosse un comburente e lui il combustibile. Si allontanò e lei rimase ferma, stropicciata e con le labbra gonfie per i baci che si erano scambiati, le guance arrossate.
Dapprima la luce negli occhi di Molly rimase soffusa, ma poi, repentinamente, quel chiarore si smorzò, estinguendosi in un lampo ferito.

Non guardarmi così, Molly. Ogni cosa che tocco brucia e incenerisce. Quanto dovrai bruciare prima di capirlo?
Qualcosa di quei pensieri doveva essere trapelato perché Molly smise quell’aria tradita. Era ancora confusa, ma si avvicinò di nuovo, con maggiore sicurezza.
Gli posò ancora una volta la mano sul petto e senza averne l'intenzione, Sherlock la coprì con la propria. Occorse un attimo perché si accorgesse che era lui e non lei, che si trattava di lui. Il tremore era soltanto suo.    
Molly era morbida, tenera e sarebbe stato assolutamente delizioso, in modo terrificante e spaventoso, perdersi nella sua dolcezza. Lo avrebbe cambiato per sempre. Non sapeva se era quello che voleva. Non sapeva se poteva permetterselo. Diventare un uomo sociale, affezionarsi, diventare preda di impulsi e dell’istinto, non era quello la causa di tutti i mali? La maledizione che per anni, più di un decennio, si era assicurato di scansare?   
“Lasciati amare, Sherlock”, disse Molly. Non sorrideva. Non sorrideva, ma - dannazione - la luce nei suoi occhi era talmente luminosa da accecarlo e stordirlo.  

Molly. Molly prometteva mille sorprendenti novità, mutamenti.
Molly non era l’origine del male, ma la sua cura, la sua assoluzione.
“Non è qualcosa che io meriti.” Ed era vero, suonava del tutto vero, giusto.
Molly non ribatté e per un istante Sherlock temette e sperò che lei gli desse ragione. Dopo tutto quel male, come poteva essere altrimenti? Come avrebbe potuto amarlo?
Molly gli prese con decisione i lati del volto, lo afferrò con urgenza. “Questo lascia che sia a deciderlo”, dichiarò con un cipiglio fiero. “Credo di essermene guadagnata ogni diritto.”
A quello Sherlock non poté che assentire e baciarla con trasporto. E sì, anche gratitudine.  

 

*

 

 
Occorsero molti mesi per venire a patti con il demone di se stesso. L’ennesimo drago che sterminò era una creatura mastodontica, un colosso che pareva indistruttibile. Lo sradicò dalla propria mente e dal proprio cuore, con la convinzione che i sorrisi di Molly, quando fossero tornati, lo avrebbero ripagato della battaglia.
Esattamente una settimana dopo la  fine della battaglia, sgusciò nella sua camera come un’ombra della notte. Si infilò sotto le coperte, nel suo letto, e lasciò che l’incoscienza del sonno le impedisse di vedere l’espressione con cui la guardava. Il sonno di lei gli permetteva di stringerla come aveva voluto, di respirare il profumo di vaniglia e rosa dalla sua pelle.
Molly non si agitò nel suo abbraccio. Il suo respiro era pacifico, rilassato.
Sherlock studiò ogni particolare di lei. Gli zigomi, il tratto del naso, l’arco delle sopracciglia sottili, la linea capillare e seducente delle labbra che in passato aveva denigrato, la curva della mandibola.
Le sfiorò l’attaccatura dei capelli fini con un bacio gentile. 
Quando la sentì muoversi, dopo un periodo di tempo incalcolabile, si spostò per concederle il tempo di abituarsi alla sua presenza.
Lei reagì con sorpresa nel trovarlo. Sbatté le palpebre. “Sei reale?” chiese a bassa voce, trepidante.
Sherlock sollevò un angolo di bocca. “Abbastanza reale. Controlla tu stessa se non mi credi.”
Molly non si fece attendere e come lui voleva, si era aspettato, gli si appressò, gli passò una mano tra i capelli. Lui le accarezzò un fianco. 
“Ti ho sognato. Ogni notte.”
“Bei sogni, spero.”
Lei lo guardò intensamente. Il riflesso della luce notturna balenò nei suoi occhi, tremula. Perché domandi quando conosci già la risposta?
Già, la conosceva bene. I sogni erano andati a trovare anche lui. Incubi neri, insanguinati e cupi, grondanti disperazione. 

Ti aspettavo, dicevano gli occhi scuri di lei, luminosi di luce riflessa. Perché non sei venuto prima? E più di tutto: Mi sei mancato.
“Prendi la vestaglia, Molly.” Sentiva di non poter resistere accanto a lei un secondo di più senza stringerla a sé. “Scommetto che non hai ancora avuto modo di osservare il giardino, di notte.”

 

 
“È uno spettacolo!” esclamò lei in tono sognante, sollevando il viso pallido e malinconico al cielo notturno. “La luna è così bella stanotte.”
“È sempre la stessa,” replicò Sherlock, distante.
Molly si girò ad osservarlo, inclinò la testa su un lato, con le braccia piegate dietro la schiena. “Percezioni”, disse con un sorriso impertinente. Ma era Molly e si trattava del sorriso di Molly e che fosse pure insolente se voleva, bastava che ci fosse, che fosse tornato. “È tutta una questione di percezioni, giusto? Puramente soggettiva.”
Sherlock si fermò, costringendo lei a fare lo stesso. “Molly.”
Molly scosse la testa con foga, lo guardò con fermezza. Il sorriso era già appassito. L’illusione di una fioritura precoce. “So cosa stai per dire e te lo dico: non azzardarti. Non ti escluderò dalla mia vita. Non sono pronta a rinunciare a te. Non voglio.”
Non si era aspettato niente di diverso. Aveva rischiato di perderla e cosa sarebbe servito per farle capire che non poteva perderla? Non sapendo che era successo per causa sua?
“Molly”, disse di nuovo e c’era un tono di angoscia, inquietudine, difetto nella sua voce che lei colse, ma che non intaccò la convinzione che risplendeva, meravigliosa, nel suo viso.
“È sano, Sherlock. È giusto. Quello che provo per te è la cosa più reale e vera che mi sia capitata. Nessuno potrà mai convincermi del contrario”, dichiarò, indurendo gli occhi che richiamavano la brillante compattezza dei germinati a rosa di ferro. “Non importa se non provi lo stesso”, continuò Molly, testarda. “Non si ama per essere riamati. Non è così che funziona. Amarti mi ha quasi distrutto, ma non amarti mi è impossibile. Non posso neanche spegnere i miei sentimenti. Ho sperato che si affievolissero.” Le tremò la voce. “Ho tentato, Dio solo sa se ho tentato, di andare avanti, dimenticare, ma non ci sono riuscita. Lasciarti, tenerti al di fuori del mio cuore, non è mai stata realisticamente una possibilità. Amarti, il desiderio di rivederti e tornare da te, è questo che mi ha spinto a rialzarmi. Ti amo e non esiste nulla che potrebbe convincermi o costringermi a non amarti. Te incluso. Perciò te lo dico un’ultima volta, Sherlock Holmes. Non osare dirmi cosa devo provare o cosa dovrei fare o -”
Sherlock non la lasciò finire. Quando vide le lacrime, la prese tra le braccia e tutte le migliori intenzioni scomparirono, tramortite dalla forza dirompente dei suoi sentimenti per questa donna dall’aspetto fragile e delicato. Ma in Molly non c’era nulla di debole. I sentimenti non erano una falla nel sistema, nel caso di lei, ma le componenti dell’armatura che si era costruita.
“Shh, Molly. Shh.”
Molly piangeva, per la prima volta piangeva di fronte a lui. “Ti amo.”
“Lo so.” Sherlock non poté evitare che un sorriso gli affiorasse alle labbra, premute contro la tempia di lei. “Lo so da molto tempo ormai.”
“Ho creduto di impazzire. Lui voleva indurmi a credere cose… a dare a te la colpa di tutto.” Molly parlava a scatti, febbrile. “Ho mentito e ho detto frasi a cui non credevo, solo perché il dolore smettesse, ma non erano reali. Non ho mai creduto a nessuna delle cose che ho detto.”
Sherlock le massaggiò la schiena con ampi movimenti circolari, rassicuranti. “Chiunque altro avrebbe ceduto ben prima. Sei stata coraggiosa e forte.”
“Ha cercato di convincermi che non ti importasse nulla di me, che non contassi e che fossi una mera comparsa nella tua vita, ma mentiva. Tu mi hai trovata. Mi hai salvata.”
“Ti sei salvata da sola, Molly. Non sei il tipo di persona che abbia bisogno di eroi. Sei l’eroe di te stessa.” Sherlock la scostò quel che tanto che bastava per rivolgerle un’occhiata di rimprovero. “Inoltre credevo che avessimo da tempo chiarito questo punto, Molly. Mi sei indispensabile.”
Molly si alzò sulle punte e gli poggiò un bacio rapido sulla guancia. “Mi sei mancato.”
“Non sono potuto venire prima.”
“Non te lo hanno permesso?” domandò Molly, aggrottando le sopracciglia e strofinando la fronte contro la sua spalla.
“Da quando in qua mi curo di ottenere permessi? Non sono venuto prima perché non riuscivo.” Sherlock ripercorse il contorno delle sue labbra con il pollice.
“Perché?” chiese Molly a bassa voce, voltò il viso in modo che potesse poggiarlo contro il palmo della sua mano, aperta per accoglierlo.
“Paura.”
Molly sgranò gli occhi in un’espressione che era impressionata. “Avevi paura di me?”
“Non di te, Molly. Mai di te. Temevo quello che avrei trovato nel tuo sguardo, che tu avessi perso la tua fiducia in me.”
“Sono stata arrabbiata, Sherlock,” ammise lei, “ma mai, neppure una volta, ho dato la colpa a te. Quello che mi è successo non è giusto, ma sarebbe potuto capitare a chiunque altro.”
“Mi dispiace, Molly.”
“Dispiace anche a me. Mi ci vorrà del tempo per superare questo del tutto, ma andrà bene. Già va meglio.”
La notte concedeva a entrambi l’anonimato nel parco della tenuta.
Molly gli allacciò le braccia dietro il collo, sospirò con un sollievo sentito contro il suo petto. “Portami a casa, Sherlock.”
“Sempre”, promise lui con trasporto, baciandole le ciglia umide, un angolo di bocca. “Sempre.”

    

 

 

 

 


 

N/A:

http://viennateng.bandcamp.com/track/level-up
Un tentativo mandato in porto, finalmente, dopo infiniti attraccaggi senza risultato.
Spero che sia comprensibile, che la lettura sia stata tutto sommato piacevole, di non aver deformato i personaggi e che tutto suoni almeno verosimile.
(Dopo che Molly accetta di seguire Mycroft, Sherlock rifiuta di incontrarla. Teme che lei lo reputi responsabile per quanto ha subito. Pensiero abbastanza sciocco trattandosi di Molly e Molly stessa non manca di farglielo notare tra le righe, nel suo discorso.)
Un abbraccio fortissimo a tutti! Che dire, mi è mancato scrivere di loro e temo di essermi alquanto arrugginita, sembrano trascorsi eoni xD

  

  
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