Questa capitolo davvero non voleva uscire!
Ci ho messo un sacco a scriverlo, forse perché una piccola
parte di me è affezionata a questa storia e sa che è l’ultimo capitolo. Ci sarà
anche un epilogo che conto di postare questo weekend che però sarà piuttosto
breve, rispetto ai precedenti.
Uno spartiacque, diciamo.
Beatrice è cambiata, non è più la spensierata principessina
di Firenze; ora è una donna ormai, con tutte le responsabilità del caso.
Questo capitolo è un chiaro esempio di ciò.
E della bastardaggine di Sisto.
E dell’irreprensibile quanto stupida fedeltà del nostro
Girolamo.
Ringrazio tutte le 25 persone che mi hanno inserita nelle
seguite e le otto che hanno messo la storia tra le preferite.
Grazie a chi ha sempre recensito e a chi magari lo farà per
la prima volta.
Grazie alla mia beta, Lechatvert che come sempre sopporta
i miei smatti su questa storia e sul seguito che sarà
mille volte più interessante.
E sì, grazie anche a Beatrice.
Abbiamo appena iniziato,
bellezza.
Buona lettura,
Jessy
No Good Deed
Goes Unpunished.
Parte XXIV: La
Penitenza.
“Quindi, se ho ben capito,
abbiamo rischiato la vita per trafugare un libro colmo di eresie per conto di
un uomo turco, senza nemmeno conoscerne i segreti?”
Olivieri spostò lo sguardo
dal profilo di Camilla, che dormiva appoggiata alla spalla della contessa,
prima di voltarsi verso Lenzini. “Pressoché si, la
storia è questa.”
L’altro forlivese
sospirò “Ci bruceranno sul rogo.”
“Può darsi.”
Quelle parole non gli
furono affatto di conforto, così come l’evidente rassegnazione di Edoardo.
“Dobbiamo aspettare Sua
Grazia.” Le parole di Zita arrivarono lontane, tanto che Beatrice trasalì
nell’udirle. Aveva dimenticato che a dividere la cella con lei e la sua
prediletta, c’era anche l’abissina.
Aspettare il conte.
Quella frase suscitò
sentimenti molto contrastanti. Mentre la giovane de’Medici credeva fermamente
che quella sarebbe stata la loro unica possibilità, sia Olivieri che Lenzini dimostravano un certo scetticismo.
“Per veder salva la vita
di sua moglie? Senza offesa, mia Signora, ma ciò è ridicolo.” Lenzini si alzò in piedi, stizzito, tirando un calcio ad un
piccolo cumulo di paglia che si rivelò essere il riparo di una famiglia di
topi. “Vi ho servito senza fare domande, come ho giurato quando vi ho donato la
mia spada, ma qualcuno dovrà pagare per questo trambusto e non sarete di certo
voi.”
“Sono più che certa che
Sisto troverà il modo di accomodarmi come si deve.” Replicò acidamente la fiorentina,
svegliando l’amica. Non l’avrebbe fatta franca, il Papa si sarebbe guardato dal
lasciarla andare così.
Lenzini, però, pareva di tutt’altro avviso.
Olivieri non ci pensò due
volte, a impedire che potesse uscirsene con qualche
altra parola infelice “Dio provvederà di noi. Mancare di rispetto alla vostra
Signora non risolverà alcunché.”
Un ultimo sguardo
rancoroso e il clima si raffreddò.
Come se poi la contessa
non si stesse già sentendo parecchio in colpa per le sorti del povero
forlivese. Laddove Camilla ed Edoardo avevano sempre aiutato nelle sue gesta
all’insegna della trasgressione di ogni regola, il povero Lenzini
era del tutto inconsapevole.
Sentendo le gambe e la
schiena dolerle per il troppo tempo passato a sedere, Beatrice si alzò, appoggiandosi
alle sbarre per spiare il corridoio che conduceva ai piani superiori. Tutto era
buio in quelle celle; notte e giorno, il sole non filtrava dentro di esse in
quanto erano costruite nei sotterranei di Castel Sant’Angelo, nel cuore della
terra.
Così in profondità da
conquistarsi una nomea piuttosto inquietante. Nessuno, si diceva, era mai
evaso. La ragazza non stentava a crederlo.
Rassegnata a quell’attesa
che ormai durava da giorni – era difficile dire quanto di preciso, visto che
non avendo riferimenti se non il cambio delle guardie, non aveva idea di che
parte della giornata fosse quella-
Beatrice si staccò dalle sbarre.
Fu allora che lo sentì.
Un ordine impartito con
determinazione e una pesante porta, quella che conduceva alle scale ripide, che
veniva aperta con un cigolio di cardini.
Passi rapidi che correvano
lungo i gradini saltano gli ultimi tre e poi una sagoma scura, vestita di nero.
Per un istante, il cuore
di Beatrice si bloccò. Tornò ad aggrapparsi alle sbarre con speranza, notando
il simbolo dei della Rovere cucito in argento sul petto del panciotto nero.
“Girolamo….” sussurrò
piano, attendendo che il volto dell’uomo uscisse dalla penombra del corridoio.
Quando accadde, la ragazza
si ritrovò delusa, ma ugualmente felice.
“Giacomo!” allungò la mano
sottile e sporca di polvere verso il cugino del marito, che subito la prese fra
le sue, sentendola fredda. “Non credevo che avrei visto nessuno, eccetto
Girolamo.”
“Per l’amore del cielo,
tutto questo è folle.” Il giovane uomo guardò attraverso le sbarre, prima Zita
e poi Camilla, ignorando però i due forlivesi nell’altra cella “Ho provato a
parlare con mio zio, ma è irremovibile. Posso sapere cosa avete combinato di
così grave da farvi arrestare, cugina mia?”
L’indecisione della
contessa sul parlare era evidente. Quando snocciolò una scusa, chiunque avrebbe
compreso che non stava dicendo tutta la verità “Ho rubato un libro che volevo
tradurre dagli archivi vaticani, ma sono stata sorpresa dal curatore.”
Giacomo la guardò senza
capire.
“Un libro che intendevate
tradurre? Tutto qui?”
“Avranno pensato che fossi
lì per fare altro.” Aggiunse quindi Beatrice, stringendo la mano del giovane
davanti a lei “Sono pronta a pagare per essermi intrufolata negli archivi, ma
non voglio che sia fatto del male alle mie guardie, alla serva di Girolamo e a
Madonna Colonna. Loro sono innocenti, non sapevano delle mie intenzioni.”
Il giovane della Rovere
scosse piano il capo.
”Sono impotente, Beatrice.
Non posso portare fuori nessuno per ordine diretto di Sua Santità. Deve però
esserci qualcosa che posso fare per aiutarvi.”
Qualcosa, in vero, c’era.
Mordendosi le labbra,
spaventata ma allo stesso tempo ansiosa che tutto finisse, Beatrice espresse
una sola richiesta.
“Scrivete a vostro cugino.
Che torni subito da Napoli.”
Le porte si spalancarono,
quando il Conte Girolamo Riario vi si appoggiò con entrambe le braccia,
fruttando tutto il peso del suo corpo per aprirle.
Aveva l’aria ansante e un
poco storta di chi ha cavalcato per ore ed ore, senza sosta.
In effetti, era così.
Da quando aveva ricevuto
la missiva di suo cugino, non aveva avuto scelta alcuna se non tornare di
volata a Roma, in parte preoccupato e in parte furibondo nei confronti di sua
moglie.
Stava già pensando a cosa
inventarsi per convincere il Santo Padre a prendere in mano la situazione lui
stesso, quando qualcuno lo afferrò per la spalla, facendolo voltare.
Era già pronto ad
aggredire chiunque si fosse permesso tanta confidenza, ma ritrovandosi davanti
il volto di suo cugino Giacomo si sentì quasi sollevato.
“Spero tu sia qui per
spiegarmi per bene cosa è accaduto.” Disse secco, guardando di sottecchi il
ragazzo poco più che ventenne alla sua destra, mentre questi lo invitava a
seguirlo nei suoi alloggi “Nella missiva hai detto poco o niente.”
“Non potevo rischiare che
qualcun altro la leggesse.” Un po’ riluttante, il giovane della Rovere permise
anche al capitano Grunwald, che aveva accompagnato il
conte insieme ad un piccolo drappello di guardie svizzere, di entrare nella
stanza “Confido nella vostra discrezione, capitano.”
A quelle parole. Grunwald rispose con uno sbuffo irritato, ma non si permise
di dire nulla contro il prefetto. Rimase in silenzio, con una mano appoggiata
all’elsa della spada e l’altra a penzoloni.
Girolamo richiamò
l’attenzione del cugino schiarendosi la voce, prima di tirare un sorrisetto
ironico “Mia moglie è in prigione, posso almeno sapere cosa ha combinato,
stavolta?”
“Non è partita per una
guerra senza avvisarti” rispose ironico Giacomo, versando tre coppe di vino e
porgendogli la prima, invitandolo poi a sedersi.
Oh, doveva essere davvero
grave.
Accondiscendente, Riario
lo fece.
“Divertente.” Con un sorso
di vino sentì la gola arsa riprendersi “Ebbene?”
“Si è introdotta negli
archivi.”
“…No”
“…E
ha rubato un libro.” Aggiunse infime Giacomo, passando il calice anche a Grunwald.
Il capitano abbozzò una
piccola risata, prima di farsi serio “Sicuramente deve essere un libro molto
interessante, se vale la pena perdere entrambe le mani e forse la testa.”
Girolamo portò una mano
alla fronte, massaggiandola con veemenza, mentre un’emicrania incipiente
iniziava a martellarlo proprio in quel punto “Che libro, si sa?”
“No, né Mercuri né nostro
zio vogliono dirmelo. Sono tutti troppo vaghi e la scusa di Beatrice è molto
debole.” Rispose il più giovane nella stanza, prendendo un sorso prima di
continuare “Mi ha detto che lo voleva per tradurlo…”
A quelle parole, al conte
venne da ridere.
Non si stava nemmeno
impegnando per farsi scagionare, quindi? Più lavoro per lui.
Convincere il Santo Padre
a lasciarla andare gli sarebbe senza dubbio costato qualcosa.
Mi alzò dalla sedia,
buttando giù in un sol sorso tutto il calice di vino, prima di passarlo a
Giacomo “Ho un piano.” Disse lentamente, facendolo sorridere.
“Certo che ce l’hai.”
Replicò infatti soddisfatto, con un sorriso così tanto simile a quello di
Raffaele che per un istante Girolamo si aspetto una risatina rumorosa.
“Vado a parlare a Sua
Santità. Tu porta Beatrice nella sala delle udienze.”
“Il resto della sua
allegra brigata? Non è stata arrestata da sola.”
Le speranze di Girolamo si
accesero. Se avesse giocato bene le sue carte, forse, avrebbe potuto ripiegare
facendo punire uno degli altri al posto di sua moglie.
“Porta tutti. Grunwald, andate con lui.”
Girolamo attese di sentire
la porta richiudersi nuovamente alle sue spalle, prima di prendere la brocca
con dentro vino.
Aveva bisogno di tutto l’aiuto divino e il coraggio possibile, perché sapeva di
partenza che se il Papa non aveva ancora espresso una brutta sentenza, era solo
perché se la aspettava da lui.
Ormai era più di un’ora
che Beatrice e gli altri aspettavano che la porta dietro al trono di Pietro si
aprisse.
Seduti lungo la doppia
fila di sedie che di norma erano occupate dai cardinali durante il concistoro,
la contessa non poteva far altro che attendere.
Giacomo era parecchio
nervoso, lo aveva intuito nell’esatto momento in cui era arrivato insieme a Grunwald e altre quattro guardie svizzere per scortarla
insieme a Camilla, Zita e i due soldati forlivesi in quella stanza.
Camminava avanti e
indietro senza sosta, il prefetto della Rovere, iniziando a mettere ansia anche
a lei.
Aveva scambiato sguardi
con il capitano Grunwald tutto il tempo, sperando in
una sua parola, ma niente. Tutto quel silenzio la stava portando alla pazzia.
Abbassò gli occhi sulla
punta degli stivali per l’ennesima volta, tirando un gran sospiro, proprio
quando un cigolio sinistro arrivò alle sue orecchie.
Quattro uomini entrarono
trafelati, con in testa il cardinale Borgia. Secondo vi era Mercuri, che
guardava alternativamente avanti a sé e poi alle sue spalle.
Gli ultimi due entrarono
nella stanza poco dopo, parlando a bassa voce, come se ancora non fosse stato
raggiungo un accordo.
Il Papa prese posto sul
trono, mentre Riario si metteva alla sua destra, impettito e con le braccia
dietro alla schiena.
Beatrice trovò il coraggio
di cercare i suoi occhi grandi e ciò che vi lesse dentro non le piacque
affatto. Erano scuri, seri e sembrava parecchio incollerito.
Sicuramente con lei.
Nessuno osò aprire bocca
fino a che il Santo Padre non si fu messo comodo, sfilandosi addirittura la
papalina e allungando le gambe su un panchetto che Giacomo aveva provveduto ad
appoggiargli davanti.
Solo a quel punto,
afferrando un acino d’uva dalla ciotola dorata che aveva alla sua sinistra,
fece un cenno al capitano che aveva portato Beatrice il galera il primo giorno
“Reek, portatela qui.”
Lui non se lo fece
ripetere.
Afferrò Beatrice per un
braccio con forza, quasi trascinandola, prima di farla cadere con poco garbo a
terra, a qualche metro dal Papa.
Ciò scatenò qualcosa di
strano ed inspiegabile; Grunwald scattò in avanti,
dicendo qualcosa in tedesco a Reek e spingendolo via.
Questi rispose con tono cattivo, ma non
si azzardò a sfidare Grunwald, che intanto si era
chinato a aveva aiutato Beatrice a mettersi in ginocchio più composta.
Il tutto senza che
Girolamo battesse ciglio.
“Grazie.” Disse la
fiorentina al capitano, mentre questi annuiva secco e si sistemava dietro di
me, con le mani sulla cinta e la solita espressione truce.
Dubitava che fosse dalla
sua parte, ma per lui l’onore contava molto e preservare quello della sua
moglie di colui per cui lavorava, doveva valere molto.
Il Papa non prestò alcuna
attenzione a quello screzio.
Continuò a mangiare l’uva,
in attesa che tornasse a calare il silenzio, prima di pulirsi le mani
sfregandole fra loro. Si schiarì la voce, appoggiandosi più comodamente contro
allo schienale e attendendo.
I suoi occhi si
calamitarono a quelli della fiorentina, come se si aspettasse di vederla
implorare per la sua vita.
Cosa che non accadde.
Lei rimase impassibile,
sfidandolo a dire o fare ciò che desiderava.
Non avrebbe pregato, non
avrebbe gridato.
Ormai l’odio per
quell’uomo senza Dio era così tanto che nemmeno se avesse minacciato di
strozzarla davanti a tutti in quell’istante si sarebbe mossa.
Fu infatti lui a parlare
“Siete stata accusata di cose molto gravi, madonna de’Medici, ma è anche vero
che fate parte della mia famiglia. Per i della Rovere, la famiglia è molto
importante.”
Beatrice si aspettava di
tutto, ma non una dichiarazione del genere.
Alzò il capo, guardando
prima il conte e poi Giacomo. Quest’ultimo sembrava impressionato quando lei,
mentre suo marito non batté ciglio.
“Non mi state dicendo che
tenete a me, Vostra Santità.” Quella della contessa non era una domanda, ma una
solida affermazione. “Quindi, se posso chiederlo, cosa vi ha portato a questa
conclusione?”
“Voi non avete pregato per
avere salva la vita, ma vostro marito sì. In quanto membro della mia famiglia,
ho deciso di accogliere questa supplica.” Quelle parole le scaldarono il cuore,
ma non era finita.“Avevo proposto a Girolamo di bruciarvi, in quanto eretica,
ma lui è davvero convinto di potervi condurre su un sentiero illuminato dalla
luce del nostro Signore. Mi ha detto di avere pazienza…”
con la coda dell’occhio, Sisto cercò il volto del nipote, che fissava avanti a
sé, teso come la corta di un arcolaio “Ho deciso di dargli ascolto e di
risparmiare la vostra giovane vita; la vostra stupidità è di certo dettata
dalla poca esperienza. Tutta via, abbiamo concordato che dobbiate venir punita.
Dieci frustate saranno sufficienti, a mio parere, nonostante ne avessi proposte
almeno il doppio.”
“Dovete ringraziare che
vostro marito sia stato bravo a mercanteggiare.” Disse Mercuri, intromettendosi
“O non sareste qui.”
“Se io fossi stata brava,
non solo io non sarei stata qui, ma nemmeno voi prefetto.” Sussurrò a denti
stretti la contessa, ben lontana dall’arrendersi.
“Il sangue non vi
spaventa?” domandò deliziato Sua Santità, alzandosi in piedi per raggiungere il
punto in cui era stata fatta inginocchiare la contessa. Le prese il volto fra
le mani, guardandolo attentamente. Tolse un po’ di polvere dalla guancia, prima
di proseguire “Dopotutto voi figlie di Eva ne vedete parecchio ogni mese, o
sbaglio?” ridacchiò, come compiaciuto da quella grande ironia, prima di
lasciarla andare come se d’improvviso avesse perso ogni valore “Peccato. La
vostra bellezza non può compensare la vostra sfrontataggine. Il capitano Reek imprimerà sulla vostra pelle la punizione che
meritate. Dieci frustate che siano ben date, o diventeranno molte di più.”
Beatrice non aveva dubbi
riguardo la bravura del capitano nell’infliggere dolore. Glielo si leggeva
in faccia quanto ci godesse nel farlo.
Grunwald la prese sotto ad un braccio mettendola in
piedi, mentre Reek si faceva avanti per potarla via.
“Non ancora.” Li fermò
Sisto, riprendendo posto e notando quando visibilmente sembrasse più rilassato
Girolamo. Aveva ben pensato di tenerlo in bilico su un dirupo di incertezza
sino al verdetto, così che capisse a sua volta che doveva domare quella
giovane.
O guardarla morire.
Fece un cenno alle guardie
e Camilla e Zita furono portate avanti per prime.
Ciò che la fiorentina
temeva, stava per avverarsi. Senza alcun controllo scivolò via dalla presa di Grunwald, muovendo un solo passo avanti verso il Papa prima
di trovare la spada di Reek a fermarla.
Solo a quel punto, anche
Riario aprì bocca “Abbassate l’arma, capitano. Una donna disarmata e dai polsi
legati vi spaventa?” domandò acidamente, ottenendo però il risultato sperato.
Per quanto Reek fosse senza scrupoli, non avrebbe mai disobbedito ad
un ordine diretto del nipote di Sisto IV.
Rinfoderò la spada, ben
attendo però ai movimenti di Beatrice, la quale si rivolse direttamente a Sua
Santità “Io ho fatto ciò che ho fatto per Al-Rahim.”
Ammise, nel pieno della colpevolezza, facendo impallidire il marito e
confondendo il cugino “Loro non c’entrano nulla. Ho agito da sola.”
“Il punto non è chi vi ha
aiutata, madonna” disse sottile Sisto, facendo cenno ad uno dei paggi di
avvicinarsi. “Ma come potervi punire per davvero.” Mentre un ventaglio iniziava
a venir agitato davanti al suo viso accaldato a causa delle vesti e dell’estate
che ancora non demordeva nonostante fosse metà settembre, il Papa guardò il
volto delle due donne “La schiava abissina è proprietà di Girolamo. Quindi
lascerò tutto nelle sue mani. Per quel che riguarda Camilla Colonna….
Suo padre Fabrizio è un grande amico del
papato, quindi rimarrà viva.” Sia la giovane romana che Beatrice tirarono un
sospiro di sollievo, ma durò ben poco “Portatela nelle mie stanze e legatela al
letto, penserò dopo a lei.”
“Cosa?No!” la contessa
tentò di divincolarsi, ma Grunwald non sembrava
intenzionato a vederla allontanarsi un’altra volta.
Quando le porte si
richiusero alle spalle della guardia svizzera e di Camilla, Beatrice si voltò
verso il Papa. Sul suo viso era impressa un’espressione orripilata
“Bastardo senz’anima. Che Dio può mai parlare tramite la tua voce?”
Il conte si fece avanti
prima di chiunque altro, afferrando Beatrice per le spalle e scuotendola “Devi
tenere la bocca chiusa, o nemmeno Dio stesso potrà salvarti.” Le sussurrò in
pieno viso, con i denti stretti e la collera mal celata nella voce.
Le rimase accanto,
tenendole il braccio. La parte peggiore stava per arrivare.
Quando la contessa rialzò
lo sguardo, davanti a lei c’erano Olivieri e Lenzini.
Vennero fatti
inginocchiare con il capo rivolto verso il Papa.
Lui li guardò
attentamente, prima di inumidirsi le labbra con la punta della lingua “Due così
bei giovani costretti a sacrificare la loro vita per una meretrice fiorentina.
Voglio mostrarvi pietà e misericordia, Beatrice; vi permetterò di salvare uno
solo di loro due.”
Per un istante, la giovane
de’Medici sperò che stesse scherzando.
Quale sadica mente poteva
rimettere a lei quella decisione, se non quella di Sisto in persona?
La ragazza deglutì,
passando gli occhi dalla nuca di Lenzini a quella di
Olivieri.
“I-io….
Io non posso.”
“Fatelo, o verranno uccisi
entrambi per mano mia.” Reek era già pronto, con la
mano sulla spada e lo sguardo cattivo di chi è pronto a dimostrare qualcosa.
“Scegliete con giudizio,
madonna.” La consigliò Sisto, mentre gli occhi della ragazza correvano sul
volto di Mercuri, che non ebbe il coraggio di ricambiare lo sguardo.
Se lo avesse ucciso dentro
agli archivi, tutto ciò non sarebbe successo.
“Io…. Io…”
Olivieri stupì tutti,
parlando con voce chiara e priva di qualsivoglia cenno di paura “Io sono
onorato di morire per aver servito la mia signora.”
“Io invece muoio senza
conoscerne nemmeno il motivo.” Lenzini parlò con il
tono amaro di chi avrebbe serbato rancore in ogni caso.
Sapeva che la sua contessa
era affezionata ad Edoardo da mesi, quindi si limitò a chinare il capo, pronto
a ricevere il colpo.
Sollecitata da molte
occhiate, Beatrice alzò una mano e prima ancora di avere il tempo di dispiegare
bene il dito con cui lo indicava, la
testa di Lenzini rotolò sino al trono papale.
Mordendosi le labbra fino
a farle sanguinare, Beatrice riportò i polsi legati al petto, stringendo gli
occhi e voltandosi istintivamente verso Girolamo.
Il conte le appoggiò una
mano sulla schiena, prima di fare cenno a Reek di
portarla fuori. Venne scortato oltre la porta anche Olivieri, che fissava
ancora con occhi sbarrati il corpo decapitato dell’amico.
Mercuri fu il successivo ad
andarsene, con un piccolo inchino a Sua Santità, lasciando soli i due cugini
con lo zio.
“Siete stato molto severo…” Gli fece notare con tatto Giacomo, mentre un paio
di servi si affaccendavano per rimuovere il cadavere del forlivese e ripulirne
il sangue.
Lo stesso Girolamo
sembrava della stessa opinione del giovane cugino, ma non disse nulla,
limitandosi ad attendere di rimanere solo con il Santo Padre.
Quando Giacomo lo intuì, a
causa del mutismo di entrambi, fece un veloce quanto scocciato inchino,
andandosene a sua volta e chiudendo dietro di sé la porta.
La pozza di sangue rosso
brillava, mentre Girolamo si specchiava in essa. “Cosa volete che faccia,
padre?”
“Trova quel libro. Se il
Turco nominerà un nuovo paladino e insieme ad esso ne scopriranno
i segreti, ti reputerò diretto responsabile e brucerò quella troia fiorentina
su una pira.”
Non aveva urlato nemmeno
una volta.
Si era morsa così tanto
l’interno delle guance da sentire il sapore del sangue sulla lingua per tutto
il tempo ma, frustata dopo frustata, lei non aveva urlato.
Era persino riuscita ad uscire
sulle sue gambe, con la camicia strappata e tenuta sollevata sul petto con le
braccia, mentre la schiena grondava sangue e bruciava in modo insopportabile.
Scortata in carrozza sino
a villa Orsini, si era lasciata medicare la schiena da un cerusico. L’intero
lavoro di ripulitura delle ferite era stato quasi più doloroso delle frustate.
Sicuramente più lento.
Ogni minimo brandello di carne scoperto, ogni parte scorticata, le doleva in
modo incredibile, una volta nascosto sotto a candide bende di lino.
Venne fatta accomodare nella sua stanza, ma lei preferì tornare in quella in
cui aveva soggiornato le prime notti, lontana dagli alloggi del marito.
Seppure il dolore fosse
insopportabile, non pianse ne si lamentò.
Si limitò a mandare
Edoardo a recuperare la chiave e il libro, che nascose sotto al materasso,
certa che nessuno l’avrebbe mai cercato in un posto tanto ovvio.
Poi si era messa a letto,
con lo sguardo fisso al muro, impossibilitata a dormire a causa di quel
tormento.
Così’ presa da esso,spossata
dalla prigionia ma allo stesso tempo nauseata, non poté far altro che sentirsi
in colpa.
Sapeva che era solo colpa
sua. Camilla, Lenzini…
Vittime di un disegno così
grande che non poteva nemmeno venir compreso da lei che vi era nata all’interno,
figurarsi da loro.
Strinse con forza la
chiave nella mano, fino a sentire dolore quando l’argento premette un po’
troppo contro al suo palmo morbido.
Di una cosa era certa.
Se il Papa sperava di aver
spento in lei l’ardore, si sbagliava di grosso.
La sua tenacia sarebbe
ricresciuta ogni giorno più corte, così come la pelle sulle sue ferite che
senza dubbio avrebbero lasciato un segno, a costante ricordo di cosa
significasse essere una de’Medici.
Cosa significasse essere
Beatrice de’Medici.
Avrebbe finito di tradurre
il libro di Bologna, avrebbe letto scrupolosamente ogni pagina del diario di
suo nonno.
Avrebbe trovato il
prescelto.
E, infine, avrebbe ficcato
una spada nel cranio di Sisto IV, a costo di sacrificare la sua stessa
esistenza nel tentativo di riuscirvi.
Continua…