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Autore: Chemical Lady    20/05/2014    3 recensioni
Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera mancante di questo gioco pericoloso.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di un orco ma che, dietro ad una maschera di marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un nuovo tassello alla famiglia De Medici.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa capitolo davvero non voleva uscire!

Ci ho messo un sacco a scriverlo, forse perché una piccola parte di me è affezionata a questa storia e sa che è l’ultimo capitolo. Ci sarà anche un epilogo che conto di postare questo weekend che però sarà piuttosto breve, rispetto ai precedenti.

Uno spartiacque, diciamo.

Beatrice è cambiata, non è più la spensierata principessina di Firenze; ora è una donna ormai, con tutte le responsabilità del caso.

Questo capitolo è un chiaro esempio di ciò.

E della bastardaggine di Sisto.

E dell’irreprensibile quanto stupida fedeltà del nostro Girolamo.

Ringrazio tutte le 25 persone che mi hanno inserita nelle seguite e le otto che hanno messo la storia tra le preferite.

Grazie a chi ha sempre recensito e a chi magari lo farà per la prima volta.

Grazie alla mia beta, Lechatvert che come sempre sopporta i miei smatti su questa storia e sul seguito che sarà mille volte più interessante.

 

E sì, grazie anche a Beatrice.

Abbiamo appena iniziato,  bellezza.

 

Buona lettura,

Jessy

 

No Good Deed

Goes Unpunished.

 

 

 

 

 

 

 

Parte XXIV: La Penitenza.   

 

 

 

“Quindi, se ho ben capito, abbiamo rischiato la vita per trafugare un libro colmo di eresie per conto di un uomo turco, senza nemmeno conoscerne i segreti?”

Olivieri spostò lo sguardo dal profilo di Camilla, che dormiva appoggiata alla spalla della contessa, prima di voltarsi verso Lenzini. “Pressoché si, la storia è questa.”

L’altro forlivese sospirò  “Ci bruceranno sul rogo.”

“Può darsi.”

Quelle parole non gli furono affatto di conforto, così come l’evidente rassegnazione di Edoardo.

“Dobbiamo aspettare Sua Grazia.” Le parole di Zita arrivarono lontane, tanto che Beatrice trasalì nell’udirle. Aveva dimenticato che a dividere la cella con lei e la sua prediletta, c’era anche l’abissina.

Aspettare il conte.

Quella frase suscitò sentimenti molto contrastanti. Mentre la giovane de’Medici credeva fermamente che quella sarebbe stata la loro unica possibilità, sia Olivieri che Lenzini dimostravano un certo scetticismo.

“Per veder salva la vita di sua moglie? Senza offesa, mia Signora, ma ciò è ridicolo.” Lenzini si alzò in piedi, stizzito, tirando un calcio ad un piccolo cumulo di paglia che si rivelò essere il riparo di una famiglia di topi. “Vi ho servito senza fare domande, come ho giurato quando vi ho donato la mia spada, ma qualcuno dovrà pagare per questo trambusto e non sarete di certo voi.”

“Sono più che certa che Sisto troverà il modo di accomodarmi come si deve.” Replicò acidamente la fiorentina, svegliando l’amica. Non l’avrebbe fatta franca, il Papa si sarebbe guardato dal lasciarla andare così.

Lenzini, però, pareva di tutt’altro avviso.

Olivieri non ci pensò due volte, a impedire che potesse uscirsene con qualche altra parola infelice “Dio provvederà di noi. Mancare di rispetto alla vostra Signora non risolverà alcunché.”

Un ultimo sguardo rancoroso e il clima si raffreddò.

Come se poi la contessa non si stesse già sentendo parecchio in colpa per le sorti del povero forlivese. Laddove Camilla ed Edoardo avevano sempre aiutato nelle sue gesta all’insegna della trasgressione di ogni regola, il povero Lenzini era del tutto inconsapevole.

Sentendo le gambe e la schiena dolerle per il troppo tempo passato a sedere, Beatrice si alzò, appoggiandosi alle sbarre per spiare il corridoio che conduceva ai piani superiori. Tutto era buio in quelle celle; notte e giorno, il sole non filtrava dentro di esse in quanto erano costruite nei sotterranei di Castel Sant’Angelo, nel cuore della terra.

Così in profondità da conquistarsi una nomea piuttosto inquietante. Nessuno, si diceva, era mai evaso. La ragazza non stentava a crederlo.

Rassegnata a quell’attesa che ormai durava da giorni – era difficile dire quanto di preciso, visto che non avendo riferimenti se non il cambio delle guardie, non aveva idea di che parte della giornata fosse quella-  Beatrice si staccò dalle sbarre.

Fu allora che lo sentì.

Un ordine impartito con determinazione e una pesante porta, quella che conduceva alle scale ripide, che veniva aperta con un cigolio di cardini.

Passi rapidi che correvano lungo i gradini saltano gli ultimi tre e poi una sagoma scura, vestita di nero.

Per un istante, il cuore di Beatrice si bloccò. Tornò ad aggrapparsi alle sbarre con speranza, notando il simbolo dei della Rovere cucito in argento sul petto del panciotto nero.

“Girolamo….” sussurrò piano, attendendo che il volto dell’uomo uscisse dalla penombra del corridoio.

Quando accadde, la ragazza si ritrovò delusa, ma ugualmente felice.

“Giacomo!” allungò la mano sottile e sporca di polvere verso il cugino del marito, che subito la prese fra le sue, sentendola fredda. “Non credevo che avrei visto nessuno, eccetto Girolamo.”

“Per l’amore del cielo, tutto questo è folle.” Il giovane uomo guardò attraverso le sbarre, prima Zita e poi Camilla, ignorando però i due forlivesi nell’altra cella “Ho provato a parlare con mio zio, ma è irremovibile. Posso sapere cosa avete combinato di così grave da farvi arrestare, cugina mia?”

L’indecisione della contessa sul parlare era evidente. Quando snocciolò una scusa, chiunque avrebbe compreso che non stava dicendo tutta la verità “Ho rubato un libro che volevo tradurre dagli archivi vaticani, ma sono stata sorpresa dal curatore.”

Giacomo la guardò senza capire.

“Un libro che intendevate tradurre? Tutto qui?”

“Avranno pensato che fossi lì per fare altro.” Aggiunse quindi Beatrice, stringendo la mano del giovane davanti a lei “Sono pronta a pagare per essermi intrufolata negli archivi, ma non voglio che sia fatto del male alle mie guardie, alla serva di Girolamo e a Madonna Colonna. Loro sono innocenti, non sapevano delle mie intenzioni.”

Il giovane della Rovere scosse piano il capo.

”Sono impotente, Beatrice. Non posso portare fuori nessuno per ordine diretto di Sua Santità. Deve però esserci qualcosa che posso fare per aiutarvi.”

Qualcosa, in vero, c’era.

Mordendosi le labbra, spaventata ma allo stesso tempo ansiosa che tutto finisse, Beatrice espresse una sola richiesta.

“Scrivete a vostro cugino. Che torni subito da Napoli.”

 

 

Le porte si spalancarono, quando il Conte Girolamo Riario vi si appoggiò con entrambe le braccia, fruttando tutto il peso del suo corpo per aprirle.

Aveva l’aria ansante e un poco storta di chi ha cavalcato per ore ed ore, senza sosta.

In effetti, era così.

Da quando aveva ricevuto la missiva di suo cugino, non aveva avuto scelta alcuna se non tornare di volata a Roma, in parte preoccupato e in parte furibondo nei confronti di sua moglie.

Stava già pensando a cosa inventarsi per convincere il Santo Padre a prendere in mano la situazione lui stesso, quando qualcuno lo afferrò per la spalla, facendolo voltare.

Era già pronto ad aggredire chiunque si fosse permesso tanta confidenza, ma ritrovandosi davanti il volto di suo cugino Giacomo si sentì quasi sollevato.

“Spero tu sia qui per spiegarmi per bene cosa è accaduto.” Disse secco, guardando di sottecchi il ragazzo poco più che ventenne alla sua destra, mentre questi lo invitava a seguirlo nei suoi alloggi “Nella missiva hai detto poco o niente.”

“Non potevo rischiare che qualcun altro la leggesse.” Un po’ riluttante, il giovane della Rovere permise anche al capitano Grunwald, che aveva accompagnato il conte insieme ad un piccolo drappello di guardie svizzere, di entrare nella stanza “Confido nella vostra discrezione, capitano.”

A quelle parole. Grunwald rispose con uno sbuffo irritato, ma non si permise di dire nulla contro il prefetto. Rimase in silenzio, con una mano appoggiata all’elsa della spada e l’altra a penzoloni.

Girolamo richiamò l’attenzione del cugino schiarendosi la voce, prima di tirare un sorrisetto ironico “Mia moglie è in prigione, posso almeno sapere cosa ha combinato, stavolta?”

“Non è partita per una guerra senza avvisarti” rispose ironico Giacomo, versando tre coppe di vino e porgendogli la prima, invitandolo poi a sedersi.

Oh, doveva essere davvero grave.

Accondiscendente, Riario lo fece.

“Divertente.” Con un sorso di vino sentì la gola arsa riprendersi “Ebbene?”

“Si è introdotta negli archivi.”

…No

…E ha rubato un libro.” Aggiunse infime Giacomo, passando il calice anche a Grunwald.

Il capitano abbozzò una piccola risata, prima di farsi serio “Sicuramente deve essere un libro molto interessante, se vale la pena perdere entrambe le mani e forse la testa.”

Girolamo portò una mano alla fronte, massaggiandola con veemenza, mentre un’emicrania incipiente iniziava a martellarlo proprio in quel punto “Che libro, si sa?”

“No, né Mercuri né nostro zio vogliono dirmelo. Sono tutti troppo vaghi e la scusa di Beatrice è molto debole.” Rispose il più giovane nella stanza, prendendo un sorso prima di continuare “Mi ha detto che lo voleva per tradurlo…

A quelle parole, al conte venne da ridere.

Non si stava nemmeno impegnando per farsi scagionare, quindi? Più lavoro per lui.

Convincere il Santo Padre a lasciarla andare gli sarebbe senza dubbio costato qualcosa.

Mi alzò dalla sedia, buttando giù in un sol sorso tutto il calice di vino, prima di passarlo a Giacomo “Ho un piano.” Disse lentamente, facendolo sorridere.

“Certo che ce l’hai.” Replicò infatti soddisfatto, con un sorriso così tanto simile a quello di Raffaele che per un istante Girolamo si aspetto una risatina rumorosa.

“Vado a parlare a Sua Santità. Tu porta Beatrice nella sala delle udienze.”

“Il resto della sua allegra brigata? Non è stata arrestata da sola.”

Le speranze di Girolamo si accesero. Se avesse giocato bene le sue carte, forse, avrebbe potuto ripiegare facendo punire uno degli altri al posto di sua moglie.

“Porta tutti. Grunwald, andate con lui.”

Girolamo attese di sentire la porta richiudersi nuovamente alle sue spalle, prima di prendere la brocca con dentro vino.
Aveva bisogno di tutto l’aiuto divino e il coraggio possibile, perché sapeva di partenza che se il Papa non aveva ancora espresso una brutta sentenza, era solo perché se la aspettava da lui.

 

Ormai era più di un’ora che Beatrice e gli altri aspettavano che la porta dietro al trono di Pietro si aprisse.

Seduti lungo la doppia fila di sedie che di norma erano occupate dai cardinali durante il concistoro, la contessa non poteva far altro che attendere.

Giacomo era parecchio nervoso, lo aveva intuito nell’esatto momento in cui era arrivato insieme a Grunwald e altre quattro guardie svizzere per scortarla insieme a Camilla, Zita e i due soldati forlivesi in quella stanza.

Camminava avanti e indietro senza sosta, il prefetto della Rovere, iniziando a mettere ansia anche a lei.

Aveva scambiato sguardi con il capitano Grunwald tutto il tempo, sperando in una sua parola, ma niente. Tutto quel silenzio la stava portando alla pazzia.

Abbassò gli occhi sulla punta degli stivali per l’ennesima volta, tirando un gran sospiro, proprio quando un cigolio sinistro arrivò alle sue orecchie.

Quattro uomini entrarono trafelati, con in testa il cardinale Borgia. Secondo vi era Mercuri, che guardava alternativamente avanti a sé e poi alle sue spalle.

Gli ultimi due entrarono nella stanza poco dopo, parlando a bassa voce, come se ancora non fosse stato raggiungo un accordo.

Il Papa prese posto sul trono, mentre Riario si metteva alla sua destra, impettito e con le braccia dietro alla schiena.

Beatrice trovò il coraggio di cercare i suoi occhi grandi e ciò che vi lesse dentro non le piacque affatto. Erano scuri, seri e sembrava parecchio incollerito.

Sicuramente con lei.

Nessuno osò aprire bocca fino a che il Santo Padre non si fu messo comodo, sfilandosi addirittura la papalina e allungando le gambe su un panchetto che Giacomo aveva provveduto ad appoggiargli davanti.

Solo a quel punto, afferrando un acino d’uva dalla ciotola dorata che aveva alla sua sinistra, fece un cenno al capitano che aveva portato Beatrice il galera il primo giorno “Reek, portatela qui.”

Lui non se lo fece ripetere.

Afferrò Beatrice per un braccio con forza, quasi trascinandola, prima di farla cadere con poco garbo a terra, a qualche metro dal Papa.

Ciò scatenò qualcosa di strano ed inspiegabile; Grunwald scattò in avanti, dicendo qualcosa in tedesco a Reek e spingendolo via. Questi rispose con tono cattivo, ma  non si azzardò a sfidare Grunwald, che intanto si era chinato a aveva aiutato Beatrice a mettersi in ginocchio più composta.

Il tutto senza che Girolamo battesse ciglio.

“Grazie.” Disse la fiorentina al capitano, mentre questi annuiva secco e si sistemava dietro di me, con le mani sulla cinta e la solita espressione truce.

Dubitava che fosse dalla sua parte, ma per lui l’onore contava molto e preservare quello della sua moglie di colui per cui lavorava, doveva valere molto.

Il Papa non prestò alcuna attenzione a quello screzio.

Continuò a mangiare l’uva, in attesa che tornasse a calare il silenzio, prima di pulirsi le mani sfregandole fra loro. Si schiarì la voce, appoggiandosi più comodamente contro allo schienale e attendendo.

I suoi occhi si calamitarono a quelli della fiorentina, come se si aspettasse di vederla implorare per la sua vita.

Cosa che non accadde.

Lei rimase impassibile, sfidandolo a dire o fare ciò che desiderava.

Non avrebbe pregato, non avrebbe gridato.

Ormai l’odio per quell’uomo senza Dio era così tanto che nemmeno se avesse minacciato di strozzarla davanti a tutti in quell’istante si sarebbe mossa.

Fu infatti lui a parlare “Siete stata accusata di cose molto gravi, madonna de’Medici, ma è anche vero che fate parte della mia famiglia. Per i della Rovere, la famiglia è molto importante.”

Beatrice si aspettava di tutto, ma non una dichiarazione del genere.

Alzò il capo, guardando prima il conte e poi Giacomo. Quest’ultimo sembrava impressionato quando lei, mentre suo marito non batté ciglio.

“Non mi state dicendo che tenete a me, Vostra Santità.” Quella della contessa non era una domanda, ma una solida affermazione. “Quindi, se posso chiederlo, cosa vi ha portato a questa conclusione?”

“Voi non avete pregato per avere salva la vita, ma vostro marito sì. In quanto membro della mia famiglia, ho deciso di accogliere questa supplica.” Quelle parole le scaldarono il cuore, ma non era finita.“Avevo proposto a Girolamo di bruciarvi, in quanto eretica, ma lui è davvero convinto di potervi condurre su un sentiero illuminato dalla luce del nostro Signore. Mi ha detto di avere pazienza…” con la coda dell’occhio, Sisto cercò il volto del nipote, che fissava avanti a sé, teso come la corta di un arcolaio “Ho deciso di dargli ascolto e di risparmiare la vostra giovane vita; la vostra stupidità è di certo dettata dalla poca esperienza. Tutta via, abbiamo concordato che dobbiate venir punita. Dieci frustate saranno sufficienti, a mio parere, nonostante ne avessi proposte almeno il doppio.”

“Dovete ringraziare che vostro marito sia stato bravo a mercanteggiare.” Disse Mercuri, intromettendosi “O non sareste qui.”

“Se io fossi stata brava, non solo io non sarei stata qui, ma nemmeno voi prefetto.” Sussurrò a denti stretti la contessa, ben lontana dall’arrendersi.

“Il sangue non vi spaventa?” domandò deliziato Sua Santità, alzandosi in piedi per raggiungere il punto in cui era stata fatta inginocchiare la contessa. Le prese il volto fra le mani, guardandolo attentamente. Tolse un po’ di polvere dalla guancia, prima di proseguire “Dopotutto voi figlie di Eva ne vedete parecchio ogni mese, o sbaglio?” ridacchiò, come compiaciuto da quella grande ironia, prima di lasciarla andare come se d’improvviso avesse perso ogni valore “Peccato. La vostra bellezza non può compensare la vostra sfrontataggine. Il capitano Reek imprimerà sulla vostra pelle la punizione che meritate. Dieci frustate che siano ben date, o diventeranno molte di più.”

Beatrice non aveva dubbi riguardo la bravura del capitano nell’infliggere dolore. Glielo si leggeva in  faccia quanto ci godesse nel farlo.

Grunwald la prese sotto ad un braccio mettendola in piedi, mentre Reek si faceva avanti per potarla via.

“Non ancora.” Li fermò Sisto, riprendendo posto e notando quando visibilmente sembrasse più rilassato Girolamo. Aveva ben pensato di tenerlo in bilico su un dirupo di incertezza sino al verdetto, così che capisse a sua volta che doveva domare quella giovane.

O guardarla morire.

Fece un cenno alle guardie e Camilla e Zita furono portate avanti per prime.

Ciò che la fiorentina temeva, stava per avverarsi. Senza alcun controllo scivolò via dalla presa di Grunwald, muovendo un solo passo avanti verso il Papa prima di trovare la spada di Reek a fermarla.

Solo a quel punto, anche Riario aprì bocca “Abbassate l’arma, capitano. Una donna disarmata e dai polsi legati vi spaventa?” domandò acidamente, ottenendo però il risultato sperato.

Per quanto Reek fosse senza scrupoli, non avrebbe mai disobbedito ad un ordine diretto del nipote di Sisto IV.

Rinfoderò la spada, ben attendo però ai movimenti di Beatrice, la quale si rivolse direttamente a Sua Santità “Io ho fatto ciò che ho fatto per Al-Rahim.” Ammise, nel pieno della colpevolezza, facendo impallidire il marito e confondendo il cugino “Loro non c’entrano nulla. Ho agito da sola.”

“Il punto non è chi vi ha aiutata, madonna” disse sottile Sisto, facendo cenno ad uno dei paggi di avvicinarsi. “Ma come potervi punire per davvero.” Mentre un ventaglio iniziava a venir agitato davanti al suo viso accaldato a causa delle vesti e dell’estate che ancora non demordeva nonostante fosse metà settembre, il Papa guardò il volto delle due donne “La schiava abissina è proprietà di Girolamo. Quindi lascerò tutto nelle sue mani. Per quel che riguarda Camilla Colonna…. Suo padre Fabrizio è un  grande amico del papato, quindi rimarrà viva.” Sia la giovane romana che Beatrice tirarono un sospiro di sollievo, ma durò ben poco “Portatela nelle mie stanze e legatela al letto, penserò dopo a lei.”

“Cosa?No!” la contessa tentò di divincolarsi, ma Grunwald non sembrava intenzionato a vederla allontanarsi un’altra volta.

Quando le porte si richiusero alle spalle della guardia svizzera e di Camilla, Beatrice si voltò verso il Papa. Sul suo viso era impressa un’espressione orripilata “Bastardo senz’anima. Che Dio può mai parlare tramite la tua voce?”

Il conte si fece avanti prima di chiunque altro, afferrando Beatrice per le spalle e scuotendola “Devi tenere la bocca chiusa, o nemmeno Dio stesso potrà salvarti.” Le sussurrò in pieno viso, con i denti stretti e la collera mal celata nella voce.

Le rimase accanto, tenendole il braccio. La parte peggiore stava per arrivare.

Quando la contessa rialzò lo sguardo, davanti a lei c’erano Olivieri e Lenzini.

Vennero fatti inginocchiare con il capo rivolto verso il Papa.

Lui li guardò attentamente, prima di inumidirsi le labbra con la punta della lingua “Due così bei giovani costretti a sacrificare la loro vita per una meretrice fiorentina. Voglio mostrarvi pietà e misericordia, Beatrice; vi permetterò di salvare uno solo di loro due.”

Per un istante, la giovane de’Medici sperò che stesse scherzando.

Quale sadica mente poteva rimettere a lei quella decisione, se non quella di Sisto in persona?

La ragazza deglutì, passando gli occhi dalla nuca di Lenzini a quella di Olivieri.

I-io…. Io non posso.”

“Fatelo, o verranno uccisi entrambi per mano mia.” Reek era già pronto, con la mano sulla spada e lo sguardo cattivo di chi è pronto a dimostrare qualcosa.

“Scegliete con giudizio, madonna.” La consigliò Sisto, mentre gli occhi della ragazza correvano sul volto di Mercuri, che non ebbe il coraggio di ricambiare lo sguardo.

Se lo avesse ucciso dentro agli archivi, tutto ciò non sarebbe successo.

“Io…. Io…”

Olivieri stupì tutti, parlando con voce chiara e priva di qualsivoglia cenno di paura “Io sono onorato di morire per aver servito la mia signora.”

“Io invece muoio senza conoscerne nemmeno il motivo.” Lenzini parlò con il tono amaro di chi avrebbe serbato rancore in ogni caso.

Sapeva che la sua contessa era affezionata ad Edoardo da mesi, quindi si limitò a chinare il capo, pronto a ricevere il colpo.

Sollecitata da molte occhiate, Beatrice alzò una mano e prima ancora di avere il tempo di dispiegare bene il dito con cui lo indicava,  la testa di Lenzini rotolò sino al trono papale.

Mordendosi le labbra fino a farle sanguinare, Beatrice riportò i polsi legati al petto, stringendo gli occhi e voltandosi istintivamente verso Girolamo.

Il conte le appoggiò una mano sulla schiena, prima di fare cenno a Reek di portarla fuori. Venne scortato oltre la porta anche Olivieri, che fissava ancora con occhi sbarrati il corpo decapitato dell’amico.

Mercuri fu il successivo ad andarsene, con un piccolo inchino a Sua Santità, lasciando soli i due cugini con lo zio.

“Siete stato molto severo…” Gli fece notare con tatto Giacomo, mentre un paio di servi si affaccendavano per rimuovere il cadavere del forlivese e ripulirne il sangue.

Lo stesso Girolamo sembrava della stessa opinione del giovane cugino, ma non disse nulla, limitandosi ad attendere di rimanere solo con il Santo Padre.

Quando Giacomo lo intuì, a causa del mutismo di entrambi, fece un veloce quanto scocciato inchino, andandosene a sua volta e chiudendo dietro di sé la porta.

La pozza di sangue rosso brillava, mentre Girolamo si specchiava in essa. “Cosa volete che faccia, padre?”

“Trova quel libro. Se il Turco nominerà un nuovo paladino e insieme ad esso ne scopriranno i segreti, ti reputerò diretto responsabile e brucerò quella troia fiorentina su una pira.”

 

Non aveva urlato nemmeno una volta.

Si era morsa così tanto l’interno delle guance da sentire il sapore del sangue sulla lingua per tutto il tempo ma, frustata dopo frustata, lei non aveva urlato.

Era persino riuscita ad uscire sulle sue gambe, con la camicia strappata e tenuta sollevata sul petto con le braccia, mentre la schiena grondava sangue e bruciava in modo insopportabile.

Scortata in carrozza sino a villa Orsini, si era lasciata medicare la schiena da un cerusico. L’intero lavoro di ripulitura delle ferite era stato quasi più doloroso delle frustate.
Sicuramente più lento.
Ogni minimo brandello di carne scoperto, ogni parte scorticata, le doleva in modo incredibile, una volta nascosto sotto a candide bende di lino.
Venne fatta accomodare nella sua stanza, ma lei preferì tornare in quella in cui aveva soggiornato le prime notti, lontana dagli alloggi del marito.

Seppure il dolore fosse insopportabile, non pianse ne si lamentò.

Si limitò a mandare Edoardo a recuperare la chiave e il libro, che nascose sotto al materasso, certa che nessuno l’avrebbe mai cercato in un posto tanto ovvio.

Poi si era messa a letto, con lo sguardo fisso al muro, impossibilitata a dormire a causa di quel tormento.

Così’ presa da esso,spossata dalla prigionia ma allo stesso tempo nauseata, non poté far altro che sentirsi in colpa.

Sapeva che era solo colpa sua. Camilla, Lenzini…

Vittime di un disegno così grande che non poteva nemmeno venir compreso da lei che vi era nata all’interno, figurarsi da loro.

Strinse con forza la chiave nella mano, fino a sentire dolore quando l’argento premette un po’ troppo contro al suo palmo morbido.

Di una cosa era certa.

Se il Papa sperava di aver spento in lei l’ardore, si sbagliava di grosso.

La sua tenacia sarebbe ricresciuta ogni giorno più corte, così come la pelle sulle sue ferite che senza dubbio avrebbero lasciato un segno, a costante ricordo di cosa significasse essere una de’Medici.

Cosa significasse essere Beatrice de’Medici.

Avrebbe finito di tradurre il libro di Bologna, avrebbe letto scrupolosamente ogni pagina del diario di suo nonno.

Avrebbe trovato il prescelto.

E, infine, avrebbe ficcato una spada nel cranio di Sisto IV, a costo di sacrificare la sua stessa esistenza nel tentativo di riuscirvi.

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

  
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