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Autore: writermey    22/05/2014    0 recensioni
[Skyrim] Libera interpretazione sul passato di Veezara, la storia narra di quando è entrato a far parte della Confraternita Oscura. I fatti descritti non sono fedeli al reale passato del personaggio, ho voluto rivisitare la cosa.
Dal testo: "Corse nella neve il più velocemente possibile, usando tutte le sue forze per allontanarsi e mettere in salvo il piccolo. Se fosse stato un umano avrebbe pianto, pianto a più non posso ma anche se non poteva piangere come gli uomini, il suo cuore si era spezzato in ugual modo."
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Blood & Scales




Il mese della Gelata era iniziato da qualche giorno, l'aria era fredda e pungente quando Veezara e la sua famiglia varcarono il confine tra Cyrodill e Skyrim. Vennero accolti da una fitta nevicata che rese il percorso da seguire difficoltoso, tuttavia il carretto sul quale viaggiavano da mesi, resisteva imperturbabile sulla lunga tratta che divideva la loro città natale dalla meta finale del viaggio. Erano partiti dalla città di Gideon a ovest di Black Marsh in cerca di fortuna, per iniziare una nuova vita lontani dalla povertà. Veezara avrebbe preferito partire molto prima, in modo tale da arrivare a Skyrim in estate ma sua moglie Blizza aveva insistito per aspettare che il piccolo Khal-zim avesse compiuto almeno un anno di vita. Con loro c'era anche Jamra, la primogenita di cinque anni che saltò letteralmente in piedi appena il primo fiocco di neve le si posò sulla punta del muso rettiliforme.
- È fredda! - urlò eccitata.
- Jamra siediti, rischi di cadere.
La piccola argoniana obbedì al padre senza protestare, sedendosi accanto a lui nella parte anteriore del mezzo sul quale stavano viaggiando. Era trainato da due grossi muli acquistati con parte degli ultimi risparmi per poter affrontare il viaggio con maggior comfort.
Blizza si coprì con un ampio pastrano di juta, attenta ad avvolgere anche il piccolo che teneva in braccio. Non aveva mai sentito una simile temperatura e, come ogni madre, si preoccupò per la sorte dei suoi figli.
- Jamra copriti, non prendere freddo - disse lei.
- Ma io sto bene, ho caldo!
- Obbedisci alla mamma, tesoro - intervenne il padre.
- Okey - la piccola si rassegnò, tirandosi sul capo la mantella scura.
Proseguirono ancora per qualche ora prima di fermarsi per la notte in una locanda isolata posizionata a ridosso della strada principale. Lasciarono il carro vicino alla stalla e spesero gli ultimi Septim per far riposare i muli e affittare una stanza per la notte. Il posto era carino e accogliente, molto diverso da quello a cui erano abituati gli argoniani. Un grosso fuoco al centro della sala emanava un piacevole tepore e un elfo dei boschi era impegnato ad intrattenere la clientela con una melodia eseguita con l'arpa.
Era la prima volta che la piccola Jamra e sua madre incontrarono abitanti di Tamriel provenienti da diverse zone del paese. Nord per lo più ma anche elfi, bretoni, un paio di ochi e imperiali. Veezara si tranquillizzò quando vide che nessuno era particolarmente interessato a loro, preferiva passare inosservato per l'incolumità di sua moglie e dei suoi figli. Appena terminato il pagamento anticipato, l'argoniano condusse il resto della famiglia nella stanza assegnata. Un piccolo tavolino con due candele accese era posizionato tra le testate dei due letti singoli e in fondo alla stanza, un baule vuoto occupava quasi tutto lo spazio vivibile.
- Non è una reggia ma almeno stanotte dormiremo al caldo - disse Veezara mentre sua moglie gli diede un bacio sulla guancia squamosa e occupò uno dei due letti, appoggiando delicatamente Khal-zim al centro del giaciglio.
Jamra sembrava entusiasta di quell'avventura con i suoi genitori e si mise a saltare sul letto rimasto libero, finchè il padre non la prese in braccio caricandosela in spalla e facendole il solletico. La bambina si mise a ridere agitandosi come una piccola lucertola finchè Veezara la mise giù per andare a prendere qualcosa da mangiare.
Quella fu l'ultima volta che scherzarono tutti insieme.
Durante la notte, il sibilo del vento si intensificò facendo vibrare il legno di cui era composta la locanda. Rumori vaghi di assestamento rendevano il tutto più spaventoso ma nessuno sembrò essere disturbato dalla cosa. Tutti i clienti dormivano tranquilli nelle loro stanze. Il bardo aveva smesso di suonare e si era congedato da tempo. Il fuoco in mezzo alla sala era ancora acceso anche se tutti i lampadari erano stati spenti e il proprietario si era appisolato su una sedia dietro al bancone.
Nessuno li sentì arrivare.

Un numeroso gruppo di vampiri, composto da undici membri strisciò nella locanda dall'entrata principale. Silenziosi e affamati si distribuirono nelle camere, soddisfando la loro sete di sangue. Non facevano distinzione di razza, né di età e quando un vampiro attaccava, lo faceva in modo brutale ma con metodo, senza farsi sentire e senza far emettere nemmeno un gemito alla vittima.

Quella notte di Gelata alla locanda del “Fiore sfiorito” quasi tutti i presenti furono uccisi, tranne due. Veezara dormiva tranquillo con il suo Khal-zim quando una bellissima vampira dai capelli argentei tolse la vita a sua moglie Blizza e alla piccola Jamra. Non aveva udito nessun lamento, nessun grido e il suo sonno fu interrotto solo dal figlioletto che scoppiò in un pianto disperato. Si sa che i bambini più son piccoli più odono e vedono cose che i grandi non possono e quella notte fu proprio Khal-zim a dare l'allarme.
Quando Veezara vide la scena che gli si parava davanti ci mise qualche momento per comprendere l'accaduto. La vampira cercò di attaccarlo ma lui scese dal letto roteando la coda e colpendola abbastanza forte da farla barcollare all'indietro e dare così modo all'argoniano di prendere il figlio e fuggire dalla locanda.
Corse nella neve il più velocemente possibile, usando tutte le sue forze per allontanarsi e mettere in salvo il piccolo. Se fosse stato un umano avrebbe pianto, pianto a più non posso ma anche se non poteva piangere come gli uomini, il suo cuore si era spezzato in ugual modo. La sua dolce moglie e la sua bambina erano state uccise, usate come cibo per sfamare degli esseri immondi, dei mostri. La sofferenza era immane e mai avrebbe pensato di provare un dolore tanto forte che nessuna ferita della carne poteva eguagliare.
Si allontanò dalla strada proseguendo nel bosco. Faticava a muoversi agilmente con la neve fino alle ginocchia ma non cedeva, per il bene del piccolo Khal-zim. L'aveva infilato sotto la maglia per tenerlo a contatto col proprio corpo e scaldarlo il più possibile ma senza nessun mantello ben presto le rigide temperature di quella zona l'avrebbero messo in seria difficoltà. Perse la cognizione del tempo e dell'orientamento, si fermò per qualche minuto per capire se l'avevano inseguito o meno. La piccola nuvola di alito caldo si andava a mescolare con i fiocchi di neve che continuavano a cadere incessanti, il silenzio era assordante ma sapeva che non poteva cedere al panico. Smise di correre, la stanchezza stava sopraggiungendo ma non si fermò. Apparentemente i vampiri non lo stavano inseguendo ed era già un'ottima notizia, inoltre, la notte non era così buia come nel Black Marsh e nel cielo aleggiava una strana luce fluorescente con diverse sfumature di colore. Non sapeva dare una spiegazione a ciò che osservava ma ringraziava gli dei per riuscire a vedere dove stava andando.
Si fermò solo quando trovò un grosso albero solitario, in mezzo ad una radura. Le spesse radici andavano a formare un antro naturale dove l'argoniano poteva ripararsi e riposare per il resto della notte. Si accomodò nell'insenatura e controllò il suo piccolo per assicurarsi che stesse bene. Khal-zim si guardava attorno incuriosito, emetteva lievi lamenti probabilmente per la fame o il freddo ma era abbastanza tranquillo. Veezara rimase sveglio il più possibile ma ben presto, il freddo e la stanchezza presero il sopravvento e si addormentò sfinito.

Un urlo rauco e agghiacciante ruppe il silenzio di quella fredda mattina. Aveva smesso di nevicare e il vento si era placato tuttavia la temperatura rimaneva molto bassa e il quantitativo di neve che si era posata durante la notte era aumentato. L'argoniano si era destato, aveva le estremità intorpidite e anche se, mentre dormiva, non aveva sentito la temperatura pungente abbassarsi ulteriormente, in quei brevi istanti gli sembrò di sentire dolore fisico per il freddo provato. Il disagio però si trasformò presto in terrore, il piccolo non apriva gli occhi, non si muoveva ed era più freddo di una pietra. La sua piccola codina era irrigidita e il colorito verde si era trasformato in un grigio spaventoso. Veezara si fece prendere dal panico e scosse il corpicino inerme sperando di far rinvenire il figlioletto. Fu tutto inutile.
Si alzò barcollando a vuoto, tenendo stretto a sé Khal-zim, la sua morte spense per sempre quel briciolo di affabilità che cingeva il suo cuore. Tutta la bontà, l'altruismo e la gentilezza che i suoi figli avevano costruito nel suo cuore, erano state spazzate via nel momento in cui anche il suo secondogenito morì e quel giorno il Veezara che tutti conoscevano morì con lui, rinascendo come un oscuro essere, un argoninano senza pietà, senza scopo nella vita. Sopravvivere marciando sulle teste altrui, era questo che aleggiava nella sua mente.


Si risvegliò indolenzito e affamato, aveva la gola secca e una forte emicrania. Il forte odore di muffa era particolarmente fastidioso e l'umidità penetrava fin nelle ossa. A giudicare dal rumore di acqua corrente che echeggiava per tutto l'ambiente, doveva trovarsi in un luogo chiuso. Non nevicava più ma il freddo era ancora pungente. Si sollevò con grande fatica fino a mettersi seduto, il giaciglio era morbido e abbastanza caldo da non fargli venire i tremori tuttavia, continuava a non capire come fosse arrivato lì.

La grotta non era molto grande e dava un leggero senso di clautrofobia, uno spiraglio lungo una parete permetteva di intravedere uno stralcio di cielo grigio e dei nuvoloni minacciosi provenienti da est. Vide altri due giacigli poco lontani e una grossa sacca abbandonata in un angolo. Era solo, del suo Khal-zim nessuna traccia. Si fece prendere dallo sconforto ricordando i fatti della notte precedente, arrivarono come un masso, crudeli e terrificanti; suo figlio era morto, come anche sua moglie e la sua primogenita, l'intera famiglia sterminata da quei mostri di cui aveva solo letto nei libri e che non erano mai stati visti nel Marsh.
I suoi pensieri furono interrotti da alcuni rumori e lui si sforzò di alzarsi per essere pronto a qualsiasi evenienza. Nessun oggetto nei paraggi da poter utilizzare come arma per difendersi e il rumore arrivava proprio dall'entrata della grotta. L'attesa fu snervante anche se durò per poco. Vide avvicinarsi due donne, o meglio, due esseri femminei. La più alta era palesemente un Dunmer, un elfo oscuro, con la pelle del caratteristico color grigiastro e i capelli corvini. Uno strano abbigliamento avvolgeva il suo corpo sinuovo, un abito aderente rosso e nero con un ampio cappuccio. L'altra, invece, aveva le sembianze di una bambina umana con la pelle bianca come il latte. C'era però qualcosa che non andava in quell'infante, il suo aspetto da ragazzina veniva tradito dal suo sguardo esperto, adulto e indubbiamente assetato di sangue. Le iridi erano di un rosso particolarmente vivo e quello era uno degli aspetti che rendeva il riconoscimento della sua razza ancora più immediato. Indossava una semplice tunica logora, blu scuro e marrone, con un pezzo di corda legata in vita e i capelli castani le ricadevano sulle spalle in maniera scomposta.

Veezara indietreggiò di qualche passo fino a sentire la fredda parete rocciosa contro la sua schiena, era paralizzato dalla paura ma al tempo stesso furioso di non poter affrontare quella creatura in quelle condizioni.
- Non vogliamo farti del male - disse l'elfa - Ti abbiamo trovato riverso nella neve, non lontano da qui. Stavi per morire congelato.

- Che ne è stato di mio figlio?
La dunmer indicò un punto vicino all'argoniano dove un fagotto giaceva immobile. Si apprestò ad aprire un lembo di tessuto per lasciar emergere il musetto acerbo del piccolo Khal-zim privo di vita. Veezara si accasciò a terra gemendo per il dolore della sua perdita, avrebbe desiderato con tutto se stesso che fosse stato solo un sogno.
Il dolore si trasformò presto in rabbia e l'argoniano si scagliò senza esitazione contro la bambina che però riuscì a schivarlo facilmente. L'elfa intervenne provando a bloccarlo da dietro, afferrandogli le braccia e tenendolo ben saldo mentre lui si agitava.
- Smettila! Qualunque cosa sia successa non è stata Babette!
- Sono stati quei mostri! Hanno massacrato la mia famiglia!
Babette indietreggiò e attese che Veezara si fosse sfogato a dovere. Dopo qualche minuto, cadde in ginocchio privo di forze e ansimante, la dunmer lasciò la presa e si inginocchiò di fronte a lui.
- Sono stati dei vampiri?
Lui annuì.
- Ti posso assicurare che Babette non c'entra, è stata tutto il tempo con me. Siamo arrivate ieri sera dopo una missione nel Reach - fece una pausa - Ci sono diversi gruppi di vampiri, non tutti sono così terribili.

- Hanno mangiato mia moglie e mia figlia - continuò lui senza ascoltare l'elfa.
- Mi vuoi dire come ti chiami? Io sono Gabriella - tentò con un altro approccio.
- Veezara.
- Bene Veezara, perchè non mi racconti cos'è successo?
Babette restava in disparte, in silenzio. Sapeva che se fosse intervenuta avrebbe peggiorato le cose. Con titubanza l'argoniano iniziò a raccontare quanto successo la sera prima e Gabriella lo rassicurò nuovamente riguardo a Babette.
- È comprensibile che tu abbia questi dubbi su di lei.
- Già.
- Ma non ti devi preoccupare al momento. Riposiamoci ora, sei ancora debole, ne riparliamo domani.
Durante la notte, Babette rimase in piedi accanto al giaciglio dell'argoniano per quasi due ore prima che lui si destasse dal riposo notturno. Si rigirò nella branda lasciando che l'estremità della coda squamosa si muovesse pigramente nell'aria. La tonalità di verde della sua pelle era più scura del solito, nella penombra della grotta illuminata solo da qualche candela sparsa. Aprì gli occhi di un verde brillante e si rese conto della presenza di Babette in un millesimo di secondo. Reagì istintivamente appollaiandosi sul giaciglio pronto a difendersi anche senza armi. Rimase allerta, volendo capire la situazione prima di attaccare.
- Cosa vuoi?

- Sento da parte tua un atteggiamento restio nei miei confronti. Ti reco disagio, forse? E' colpa della mia natura?
- Diciamo solo che mi turba il fatto di sapere che una creatura che sappia muoversi così silenziosamente nelle ombre possa vagare libera nel mio stesso ambiente. Hai usato i tuoi maledetti poteri sovrannaturali per leggermi nella mente, dico bene?
- Non ho bisogno di leggerti nella mente per capire cosa provi nei miei confronti. E' ovvio che hai qualche problema con i vampiri. Vorrei rassicurarti sul fatto che non faccio del male al di fuori della Confraternita.
- Senti, non ho nulla contro di te. Ognuno per la sua strada, va bene?
- Volevo solo farti sapere che non ho nessuna intenzione malevola nei tuoi confronti.
- Ricevuto, ora gira a largo..

- Come desideri.
La bambina si allontanò, sedendosi sul suo giaciglio praticamente intatto e nel frattempo Gabriella si svegliò.
- Vorresti vendicarti? - Babette continuò a parlare con tono molto calmo.
Veezara la guardò con una strana scintilla nello sguardo, la scintilla di chi voleva vendetta, di chi voleva assaporare la sofferenza altrui, il piacere di un assassino. L'apparente bambina sorrise, le bastò quell'espressione per azzardarsi a proporgli ciò che aveva in mente.
- Io e Gabriella facciamo parte di una Confraternita che si occupa di lavori molto speciali.
- Babette non è il caso..
- Lasciami fare, Gabriella. So cosa sto facendo - Babette guardò l'amica e lei annuì. La bambina tornò quindi sull'argoniano.
- Diciamo solo che veneriamo Sithis - la fece semplice - La vendetta e l'assassinio sono il nostro pane quotidiano.
Veezara abbozzò quello che doveva essere un sorriso - Dove si riunisce questa Confraternita?
Babette sorrise a sua volta e una volta che l'argoniano ebbe ripreso le forze, il trio si spostò a sud, verso la città di Falkreath. L'argoniano ebbe l'occasione di informarsi meglio su come andavano le cose a Skyrim e capì di cosa trattava la Confraternita Oscura.
Viaggiarono per quasi una settimana prima di arrivare al luogo designato. Si fermarono in una radura e percorsero un leggero pendìo fino a trovarsi accanto ad un piccolo stagno. Una porta incassata nel versante della collinetta raffigurava un teschio inquietante con una mano rossa dipinta in fronte, sotto di esso uno scheletro sdraiato. Quando Gabriella si avvicinò, la porta stessa emise un sibilo agghiacciante “Qual'è la musica della vita”, la dunmer rispose senza timore.
- Il silenzio, confratello.
La porta sibilò ancora “Ti do il benvenuto a casa”.
Gabriella entrò per prima seguita da Babette. Veezara prima di entrare, ripensò alla moglie, alla sua Jamra e al piccolo Khal-zim, il dolore per la loro perdita sfociò in vendetta ed era consapevole che se avesse varcato quella porta, avrebbe chiuso col passato. Forse quello era il suo destino ed era l'unico modo che aveva per dare pace alle loro anime. Si fece coraggio, non sapeva cosa l'avrebbe aspettato.
Varcò la soglia.


Fine.

  
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