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Autore: Chartraux    22/05/2014    9 recensioni
Michael è all'ultimo anno delle superiori, vive col padre con cui non ha un bel rapporto da tempo ed ha sempre visto il mondo scolastico come qualcosa che gli appartiene perché è forte il bisogno di essere ricordato come al vertice della piramide scolastica, incutendo timore sugli altri, a tutti i costi. Anche se questo significa indossare una maschera: deridere le matricole, guardare tutti dall'alto al basso e giocare con la gerarchia indelebile delle superiori. Eppure si rende conto che qualcosa non va appena conosce Luke Spencer: un ragazzino alto tanto quanto una bottiglia di Coca-Cola, con lo sguardo sempre rivolto verso il basso e le spalle ricurve. E Michael non sa cosa ci trovi in lui, non sa il perché cerchi sempre la sua attenzione, ma è deciso a riportare la "normalità" nella scuola. E scopre che, per riuscire nel suo intento, gli serve soltanto un computer, una buona connessione Wi-Fi, un amico intuitivo e tanta, tanta voglia di cambiare. E non è che c'entri per forza l'amore.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Tornado

 
 
 
Si può insegnare a un computer a dire "Ti amo",
ma non gli si può insegnare ad amare.
Albert Jacquard, Piccola filosofia ad uso dei non filosofi
 
 
 
La prima volta che Michael Donovan incontrò Luke Spencer fu in una, stranamente calda, giornata autunnale.
La scuola era iniziata già da un mese e quello sarebbe stato l’ultimo anno per Michael alla Westport High School prima di poter diventare davvero libero: libero di andare via da quella cittadina maledettamente stretta per uno come lui e con ricordi che mai avrebbe potuto cancellare.
Sta camminando per i corridoi della scuola, testa alta e mani nelle tasche posteriori dei jeans, un’espressione sicura dipinta sul volto; conta i giorni che lo separano all’inizio della sua nuova vita. È così assorto che non vede un ragazzo venire verso di lui: lo scontro è inevitabile, ma Michael è alto, ben formato fisicamente visto che gioca a basket da anni e dalla sua ha un ottimo equilibrio, quindi ha solo fatto un piccolo passo indietro, per non barcollare come un idiota mentre l’altro finisce col sedere per terra. I quaderni stretti tra le mani si sparpagliano sul pavimento.
Michael lo osserva un istante insicuro su ciò che dovrebbe fare, dopotutto ha un nome da mantenere all’interno dell’istituto e non vuole buttare tutto all’aria, non di certo l’ultimo anno, per aiutare un primino.
Però gli fa tenerezza vedendolo raccogliere i fogli sparsi mentre chiede scusa con voce quasi tremante; si guarda attorno, il corridoio è libero. Sospira allungando una mano verso il ragazzo ancora inginocchiato a terra che, finalmente, recupera l’ultimo pezzo da inserire nel suo quaderno ad anelli, Michael nota che è logoro e tenuto insieme da parecchi pezzi di scotch.
«Non ho tutto il giorno!» brontola con tono fintamente scocciato, ma è abbastanza da far sussultare il ragazzino che, con una stretta leggera, gli afferra la mano.
Quando lo vede in piedi, Michael scoppierebbe a ridere: è basso, molto più basso di quello che pensava, almeno venti centimetri in meno di lui, il cappello con la visiera è spostato da un lato a causa dello scontro. Eppure Michael non ride, rimane sconvolto perché il viso del ragazzino è pulito, dolce ed i suoi occhi lo colpiscono come un pugno in pieno stomaco: quello destro è azzurro, quello sinistro castano.
Wow. Eterocromia, pensa senza riuscire a pronunciare nulla nonostante le cantilene piene di scuse che riempiono il corridoio; ad un certo punto un porta sbatte e Michael si ridesta da una strana visione, mette su un’espressione scocciata e poi dà un piccola spinta al ragazzo «Guarda dove vai!» gli dice appena nota Phil, amico e compagno di squadra, venire verso di lui «E stai più attento»; avrebbe voluto aggiungere “O ti farai del male” visto il corpo esile che si ritrova davanti, ma preferisce tacere.
Il ragazzo fa un cenno col capo, si sistema la visiera e poi si allontana: sguardo basso e spalle ricurve. Michael è certo che sbatterà contro qualcun altro.
«Ehi Mike!» urla Phil «Non ti ho visto a biologia.»
Donovan alza le spalle «Non avevo voglia di frequentare, mi sono chiuso in bagno a fumare.»
Phil gli cinge le spalle con un braccio «Chi era quella pulce con cui stavi parlando.»
«Non lo so. Forse un ragazzo nuovo, non l’ho mai visto.»
«Sicuro? Eppure a me quel nano da giardino pare di averlo già visto in giro. Ha fatto qualcosa che non doveva?»
Michael si morde le labbra, conosce Phil, sa quanto ami attaccar briga senza davvero avere dei motivi, ma non vuole di sicuro vedere quella cosina così piccola e fragile spezzarsi come un giunco sotto le mani violente e le parole taglienti di Phil, quindi scuote la testa «No, mi ha solo chiesto un’informazione.»
Phil alza un sopracciglio «E da quando tu dai indicazioni?»
«Infatti non gliel’ho data.» ribatte prontamente; lui e Phil si conoscono dalle scuole elementari, hanno frequentato gli stessi circoli sportivi e provano ribrezzo per la piccola cittadina fatta di pesca e poco altro. Non c’è nemmeno una squadra di calcio o di nuoto dal gran che è sconosciuta e piccola. Anche per questo sogna di andarsene.
«Vuoi che scopra qualcosa sulla pulce, Mike?»
«No, non mi importa!»
Phil gli dà una pacca sulla schiena «Andiamo a pranzo allora.»
Michael non se lo fa ripetere due volte.
 
È passato quasi un mese dal loro primo incontro e Michael non ha smesso di cercarlo, ogni volta che lo vede lo segue con lo sguardo finché non scompare in un’aula o in un qualche angolo dei corridoi.
Lo segue perché lo trova interessante: non sa che lezioni frequenti, non sa ancora come si chiami, non sa se ha amici, ma sa con una certezza invidiabile di trovarlo fastidioso. Fastidioso perché non alza mai la testa, fastidioso perché vede i suoi genitori accompagnarlo a scuola e riportarlo a casa ogni giorno, fastidioso perché nota quella signora in carne dai capelli biondo spento chiedere informazioni ben precise agli insegnanti ed alla vicepreside sul comportamento che il figlio tiene a scuola – Michael ha origliato un paio di conversazioni con il professor Smith di matematica e la signora Lane di storia contemporanea e da quello ha compreso che è solo un anno indietro rispetto a lui; sono quindi praticamente coetanei anche se gli sembrava più che altro un quattordicenne pieno di paura ed inquietudine. Michael lo detesta, perché lo considera un bamboccio viziato.
«Quindi, vuoi che scopra qualcosa su quella pulce? Come mai proprio adesso?»
Mike alza le spalle «Non ho ancora capito perché diamine è venuto in questa scuola. Sono certo che si sia trasferito da un’altra città, se non Stato, e voglio scoprirne il motivo!»
Phil arriccia il naso a patata «Devo preoccuparmi?»
«No. Chiamala “prevenzione” se vuoi.»
Phil gli passa il brik del succo di mela, lui non lo beve, lo compra sempre per Mike, «Dammi un paio di giorni.»
Michael sorride affondando la cannuccia nel liquido.
 
«Si chiama Luke Spencer.»
Michael aggrotta le sopracciglia «Eh?»
«La pulce che ti interessa tanto» dice Phil sedendosi nel posto accanto a quello dell’amico «si chiama Luke Spencer. Spencer è il cognome.»
«Oh, sei stato veloce.»
Phil sorride «Ho parlato con Sarah»
«La segretaria?»
«Sì. È stato facile.»
Michael non vuole sapere in che modo l’ha convinta a parlare, Sarah è abbastanza giovane e Phil, nonostante il carattere, è un bel ragazzo, quindi… «E cos’altro hai scoperto?»
«Che è sempre stato qui.»
«Cosa?» chiede allibito.
«Non si è trasferito quest’anno Mike, ha iniziato qui le superiori.»
Michael ha la bocca spalancata «Com’è possibile che non ci siamo mai accorti di lui?»
Phil scrolla le spalle «Credo che sia perché tiene un profilo basso. È piccolo di statura e non parla con nessuno; non frequenta nessun club extrascolastico e non ha i nostri stessi turni di pausa. E pare, mi dicono i suoi compagni, che sia particolarmente intelligente e che abbia sempre le cuffie nelle orecchie. È probabilmente un figlio di papà. Ed un mammone.»
Un profilo basso? Alle superiori si cerca sempre di tenere un profilo alto visto che la  maggior parte degli studenti di Westport non andrà al college e quindi sarà ricordato in città come una stella!, pensa Mike scribacchiando il nome del ragazzino sull’angolo alto del quaderno; Phil lo guarda perplesso.
«Perché ti interessa Spencer?»
«Non mi interessa» si mette subito sulla difensiva l’amico tirando una riga sopra al nome «È pura e semplice curiosità. Ero certo che fosse uno straniero, invece…»
«Per una volta hai sbagliato.»
Mike storce il naso «Non ridere di me Phillip.» facendo zittire immediatamente l’altro.
«Se non mi chiami mai più Phillip lo farò.»
«Affare fatto.»
Seguono per un po’ la lezione, fino a quando un foglietto appallottolato non si poggia con mal grazia sul quaderno di Mike, il ragazzo lo prende e lo apre e la scrittura disordinata di Phil scrive: “Ti va di fargli qualche scherzo?”
“Non credo che ci riusciremmo. Frequenta orari completamente diversi e se dovessimo fare del male a qualcuno che tiene un profilo basso, faremo la figura dei fessi!”
finito di scrivere, rilancia la pallina a Phil. Lo vede leggere il tutto ed aggrottare le sopracciglia scure poi gli fa un cenno col capo in segno d’intesa.
Michael prende un sospiro di sollievo, per quanto trovi fastidioso Luke Spencer, non pensa che sia giusto maltrattarlo.
 
Michael ci pensa e ci ripensa. Quel nome continua a rimanergli in testa.
Non sa il motivo, ma vuole cercare un segno della presenza di Luke Spencer perché gli sembra solo un fantasma che circola nei corridoi della scuola.
Prende il portatile poggiato sulla scrivania, lo apre, lo screensaver con l’immagine di New York appare illuminato a giorno, va sul motore di ricerca e scrive il nome di quel ragazzino con gli occhi dai colori diversi.
Fa molta fatica a trovare qualcosa sulla rete, il nome Luke Spencer si collega soprattutto ad un personaggio di General Hospital di cui, le reti USA, daranno la replica di tutte le stagioni a partire dall’anno nuovo, poi c’è un calciatore a lui sconosciuto, un artista che ha il sito in manutenzione e qualche strano indirizzo relativo all’Inghilterra. Dopo pagine e pagine, modi diversi di scrivere il nome di Luke decide di aggiungere Westport High School e, finalmente, riesce a trovare una piccola traccia: è un blog.
Lo sfondo è bianco con degli scarabocchi neri fatti con i pastelli a cera, o col carboncino, Michael non sa dirlo, lui non è bravo in arte; la piccola icon situata in alto a destra porta l’immagine di un cappello con la visiera che riconoscerebbe tra mille, il contatore non supera le mille visite e si stupisce, perché il blog è aperto da più di un anno; vede alcuni habitué lasciare commenti brevi ed un po’ impersonali, ma gli fa comunque piacere notare tutto ciò. Si sorprende quando nota un piccola chat creata ad hoc per il blog monocromatico. Non vi sono tag, ma semplici simboli come le note musicali, un sole, le nuvole, delle figure geometriche e così via. Mike solleva un sopracciglio osservando i post inseriti: sono per lo più piccole frasi, o aforismi e citazioni, in alcuni c’è un’unica parola; poi è pieno di immagini, rigorosamente in bianco e nero e non sa il perché, ma sente una strana tristezza riempirlo: la maggior parte di quelle foto ritraggono solo occhi oppure labbra aperte in sorrisi felici o sereni. Si stupisce, Luke Spencer non gli dava l’idea di un piccolo emo tagliuzzante, eppure guardando il blog, non può pensare ad altro.
Forse, si dice, l’apatia è dovuta alla sua tristezza? Oppure a qualcosa di brutto che gli è capitato? L’ha osservato a lungo e se ne è reso conto che Luke sorride il meno possibile e cerca di non parlare con gli altri se non lo stretto necessario.
L’ultimo post che ha inserito, è stato quella stessa mattina c’è scritto solo “Inizio. Fine.” ma non sa il perché, ha una strana sensazione che gli tormenta le viscere.
Apre la chat con febbrile eccitazione mista a preoccupazione, si iscrive come Micky e poi digita un semplice “Ehi!”.
E aspetta.
Aspetta una qualunque lettera appaia nella piccola casella quadrata. E più attende, più si mangia le unghie, le dita, le mani, preso da un’incontrollabile voglia di capire il perché Luke sia questo Luke e non qualcosa di più magnetico e luminoso come gli occhi bicolori che possiede.
Dopo un tempo che gli sembra infinito, tre piccole lettere in minuscolo fanno capolino nel quadrato bianco e quel “ehi” fa prendere un respiro profondo a Michael che ribatte con un “il tuo blog è interessante.”
Luke gli risponde con una semplice faccina sorridente e con un grazie di nuovo scritto in minuscolo. Michael non può fare a meno di sorridere.
 
***
 
Sono passate ben due settimane da quando Michael ha scovato il blog Nameless di Luke. Due settimane dove, appena finita la scuola, Mike torna a casa e si collega su Nameless ed apre conversazioni in chat con il piccolo Spencer ed iniziano lunghe e sincere chiacchierate su qualunque cosa, partendo da quelle più sciocche – “penso che il ketchup e le patatine fritte siano la cosa più buona del mondo!”, “preferisco vedere i film piuttosto che leggere i libri”, “Batman è meglio di Superman!” – fino a quelle più intense e difficili. E Michael è sorpreso di notare quanta è la paura che riempie quella piccola cosina adorabile di Luke Spencer.
Anche solo iniziando dal titolo del blog, Nameless, Senza Nome, come a voler sottolineare il fatto che non si riconosca, conosca, da nessuna parte, come se uno specchio non stesse mostrando la sua immagine ma una diversa, quella di qualcun altro o, peggio, come se lui fosse cieco e non riuscisse nemmeno a distinguere le ombre. Poi c’è l’uso del bianco e  del nero che fanno da padroni in tutto e per tutto dentro il sito come a voler calcare l’assenza di serenità; per finire ci sono quelle citazioni, o aforismi, che sottolineano quanto il piccolo Spencer si senta solo…
A Michael si stringe il cuore perché Luke non merita l’asocialità, l’alienazione e nemmeno la paura di non riuscire mai a trovare qualcuno.
Eppure tu non fai che sottolineargli questa cosa!, si dice mordendosi il labbro inferiore rendendosi conto che a scuola non fa che ignorarlo e, qualche volta, lo infastidisce con piccole spinte – che tiene misurate proprio per non fargli male – e facendogli cadere il cappello sportivo firmato Obey.
Si copre il viso con entrambe le mani, come per nascondere la vergogna di quei gesti, ma Michael è certo di non poter fare a meno di comportarsi in questo modo subdolo e crudele; è nel suo DNA, nel suo essere Michael Donovan, vicecapitano della squadra di basket della scuola, amico di Phillip Moore. E non sa il perché non riesce ad avvicinarsi a Luke per abbracciarlo, o anche solo per mettergli una mano sulla spalla; è dalla prima volta che ha visto i suoi occhi che vorrebbe essere così nei suoi confronti, invece…
Invece si comporta come uno stronzo, un bullo senza spina dorsale che se la prende solo coi più deboli.
Un piccolo scampanellio proveniente dal netbook lo fa risvegliare da ciò che continua a logorarlo dentro da due settimane; guarda lo schermo e sorride al “ciao” tutto in minuscolo di Luke.
M:Ciao! Tt bn?
L: tutto bene, grazie, tu?

Michael adora il fatto che Luke non usi le abbreviazioni che imperversano nella sua generazione, riesce a comprendere il perché Luke abbia il voto più alto di tutta la scuola in letteratura inglese, americana, straniera e contemporanea. Ha sbirciato sul sito della Westport High School e ha letto un paio di saggi del ragazzino; li ha amati nel profondo. Luke ha un modo di scrivere che rasenta la perfezione e che rispecchia la vita e le ansie  giovanili. Luke è quello che lui non potrà mai essere, forse è per quello che lo odia e lo ama al tempo stesso.
L: scriverai mai usando le parole per intero senza abbreviazioni?
M: N.
L: nemmeno se te lo chiedo in ginocchio?

Michael sorride e risponde: Sl se usi le maiuscole.
L: Affare fatto! :D
Un’altra cosa che Mike adora è l’uso spropositato di emoticon che Spencer inserisce quasi in ogni frase. È come se cercasse di utilizzare le espressioni che non riesce a fare a scuola.
M: Come stai?
L: Tutto ok.
M: Anche a scuola?
L: Certo! Oggi ho parlato con la prof. di storia e ha detto che il mio ultimo compito è stato fantastico!

Mike rotea gli occhi.
M: Beh, è un’ottima cosa!
L: Assolutamente! Sai, se tutto va bene, quest’anno potrei fare gli esami finali e saltare un anno di scuola per andare direttamente al college.

Michael è sorpreso, aveva intuito che fosse intelligente, ma non pensava così tanto.
M: Cosa?
L: Ho preso contatti con la Chicago University. Gli ho fatto vedere dei saggi, mi hanno fatto fare dei test per controllare il mio livello e, beh, hanno accettato! Se continuo così il prossimo anno sarò milioni di chilometri lontano da Westport! :D

La bocca di Mike è spalancata, quasi scioccato dalla rivelazione di Luke. È molto più che intelligente, si dice con una piccola nota aspra. Eppure è contento per la piccola cosina che ha imparato ad apprezzare più di Phil.
M: Wow.
L: Così mi fai arrossire.
M: No, sono serio. Devi essere un mostro d’intelligenza per poter saltare un anno.
L: mostro?
M: Le maiuscole! E lo dicevo in senso buono.
L: Non è …
L: … in senso buono quindi?

Mike alza un sopracciglio e scrive subito: CERTO!
Ma Luke non gli risponde e non riesce a capirne il motivo.
M: Ehi Luke, ci sei?
Di nuovo nulla.
M: Ho detto qualcosa che ti ha infastidito?
Silenzio stampa…, borbotta qualcosa di incomprensibile mentre sta per chiudere la conversazione quando la casella si illumina ed appare una sola parola: mostro?
Michael non capisce.
M: Luke, tutto ok?
L: Anche tu mi consideri un mostro?

Mike si concentra sulle parole: anche tu, consideri e mostro, prima di digitare un semplice No.
Aspetta un secondo, i polpastrelli gli formicolano e quindi continua: Perché mi chiedi questo? Cos’è successo?
L: Non è che sia davvero successo qualcosa. Non importa.
M: Importa invece!
L: Micky…
M: Ascolta, ti hanno detto che sei un mostro?

Michael tenta questa carta, non è intelligente quanto Luke, ma è riuscito a leggere tra le righe.
L: Potresti promettermi, se ti faccio vedere una cosa, di non prendermi in giro?
M: Certamente.
L: Promesso?
M: Promesso.

Mike si morde il labbro, non sa cosa aspettarsi per davvero: una cicatrice? Una voglia strana sul corpo? Ma qualunque cosa sia, ha promesso.
Il riquadro della conversazione si illumina facendogli presente che c’è un’immagine da scaricare; il ragazzo alza un sopracciglio e poi la salva sul desktop, quando la apre, trattiene il fiato.
È una foto di Luke, del viso di Luke, senza cappello della Obey. La guarda e la riguarda con attenzione, non trova niente che non va, è serio, senza un sorriso simpatico sul volto, per la prima volta si accorge che porta due orecchini sul padiglione destro – un bottoncino scuro ed un brillantino – che lo rendono ancora più carino di quello che dovrebbe essere. Mike sorride, la trova una foto splendida, eppure non vede nulla che non va.
Poi si focalizza sulle iridi, una azzurra e una castana ed allora capisce.
L: Ci sei ancora?
M: Sono qui.
L: pensavo che… sai, avendo visto la foto avessi chiuso il computer.
M: Perché avrei dovuto farlo? [le maiuscole! XD]
L: Perche faccio paura?
M: Perché dovresti spaventarmi?
L: Per i miei occhi.

Michael sospira, un sorriso triste gli nasce sul volto.
M: Sono bellissimi.
Non avendo risposta prosegue.
M: Hai gli occhi affetti da eterocromia, non è di sicuro una malattia e niente che possa renderti un mostro. Io penso siano bellissimi, Luke. Su una persona non li avevo mai visti, sempre negli animali, ma sono qualcosa di meraviglioso! Non capisco perché pensi di essere un mostro solo per questo motivo. All’inizio pensavo avessi il volto sfigurato o altro. Invece hai solo gli occhi di colori diversi.
L: Grazie. J
M: Sono sincero.
L: Comunque, grazie davvero, Micky.
M: Non c’è di che.

Sta per chiudere la comunicazione quando gli viene un’idea.
M: Mi dai la tua mail?
L: Perché?
M: La inserisco su GMail.
L: Non ho GMail.
M: Allora scaricalo, possiamo sentirci anche durante il giorno così! È una chat anche questa, come quella del tuo blog.
L: Sei serio?
M: Certo!
L: E le lezioni?
M: Puoi anche rispondere dopo aver finito le lezioni.
L: Vuoi sentirmi anche durante il giorno?
M: Sì.
L: Tu sei tutto strano.

Mike sbuffa una risata divertita, se lui è quello strano, non sa che termine usare per definire Luke.
M: Su, dammi la mail!
 
***
 
Michael si stropiccia gli occhi con le mani chiuse a pugni, fa uno sbadiglio rumoroso e poi prende il cellulare sul comodino; lo accende ed un sorriso radioso si apre sul suo viso: c’è un buongiorno tutto in minuscolo che lo aspetta!
Sono passate altre due settimane da quando lui e Luke si sono scambiati le mail e si sentono quasi ininterrottamente tutto il giorno tutti i giorni.
Mike trova il ragazzino interessante, non solo per l’alto livello culturale – con Phil non può certo parlare di prossemica! – ma anche perché, incredibilmente, si fida di lui più che di chiunque altro e parlano spesso dei loro problemi famigliari.
Ha scoperto che Luke non disprezza i propri genitori, ma non riesce nemmeno ad apprezzarli come dovrebbe: all’età di sette anni un compagno delle elementari lo ha maltrattato talmente tanto a causa degli occhi di colori diversi che i signori Spencer lo hanno lasciato studiare a casa, ma per quel motivo sono stati più duri e pretenziosi del normale. Lo hanno fatto studiare più del dovuto e, contando il fatto che Luke non avesse amici – chi troppo spaventati o infastiditi dalle sue iridi bicromatiche, chi lo considerava uno sfigato ed anche per il fatto che Luke stesso avesse paura delle persone – non riuscivano a controbilanciare il suo essere un bambino. Ed il piccolo Spencer è diventato più maturo di un qualunque ragazzino della sua età, soprattutto contando il fatto che non aveva grandi relazioni coi suoi coetanei.
Luke, d’altra parte, ha scoperto che la mamma di Micky è morta quando lui aveva tredici anni per un incidente d’auto e che suo padre, Robert, si è rifugiato nell’alcol e nella violenza verbale. Mike non lo odia, odia più che altro il fatto che non riesce a ribellarsi a quei soprusi non voluti; Luke gli ha detto di chiedere aiuto agli assistenti sociali e Micky si è arrabbiato talmente tanto da non parlargli per due giorni di seguito.
Un pomeriggio, subito dopo gli allenamenti di basket, Michael trova sulla casella di posta elettronica un video musicale a lui sconosciuto; ha aspettato di essere da solo e con le cuffie nelle orecchie prima di ascoltare “Tornado” di un tale che si chiama Jónsi. Non lo ammetterebbe mai, ma ha pianto per quasi cinque minuti. Dopodiché ha inviato un messaggio a Luke con scritto: Questo è un tiro mancino. Sei perdonato.
Il ragazzino gli ha risposto con una sola faccina felice!
Si scompiglia i capelli biondi e risponde: Buongiorno! [le maiuscoleeeee!].
Poi si veste e scende in cucina, addenta un pezzo di pane col burro e beve del succo d’arancia, suo padre ha lasciato in giro le lattine di birra vuote: decide di prenderle e buttarle nel cestino dei rifiuti. Odia quando deve fare queste cose, ma odia ancora di più che suo padre lo maltratti se non lo fa, quindi…
Che lezioni hai oggi? gli chiede mentre si infila la giacca; l’aria è diventata molto fredda, ed il Natale si sta avvicinando.
Algebra, geometria, letteratura inglese e poi educazione fisica…
Mike alza un sopracciglio, esce di casa chiudendo bene e poi si dirige alla fermata del bus, Phil non è ancora arrivato, quindi continua a scrivere: Non ti piace educazione fisica?
L: No.
M: Perché?
L: Perché sono una schiappa. E perché mi prendono in giro.
M: Perché ti prendono in giro?
L: Perché sono piccolo e la forza di gravità mi chiama perennemente verso terra.

Michael si morde il labbro inferiore ripensando a tre settimane prima, quando avevano avuto un’ora di studio libero perché il loro professore di spagnolo era assente; ovviamente lui non si è chiuso in biblioteca a studiare – come molti altri compagni – ha iniziato a girovagare per i corridoi in direzione della palestra: se non ci fosse stata lezione, avrebbe fatto un paio di tiri a canestro, giusto per non perdere la mano e per distrarsi un po’.
Quando entra nei camerini, vede che è pieno di zainetti, sospira pensando a dove poter trascorrere due ore in tranquillità quando lo vede, il cappellino con visiera della Obey poggiato su una panca. Preso da una strana voglia, si dirige verso il campo e lì lo vede: Luke Spencer con la divisa della scuola, più grande di quanto dovrebbe, che cerca di recuperare con un bager la schiacciata di un avversario; scivola a terra sbattendo un gomito. I compagni ridono e lo beffeggiano, mentre la cosina piccolina si alza con gli occhi lucidi – Michael pensò che non fosse solo dovuto al dolore – e riprende la sua posizione da libero. Nemmeno il professor Carlton, insegnante di educazione fisica, ha avuto una sola parola gentile per Luke: ha soffiato nel fischietto per richiamare all’ordine i ragazzi e poi ha ripreso ad arbitrare la partita. Mike odia Carlton, lo ha avuto come professore i primi due anni per studi sociali e gli è sembrato un ignorante pomposo! Quando molti genitori hanno chiesto che fosse spostato, non avrebbero mai pensato che potesse insegnare educazione fisica per tutte le classi del secondo biennio; questo però ha portato molti studenti a cambiare piano di studio scegliendo qualche corso che, una volta, era molto meno seguito – come economia domestica.
M: Andrà bene.
Gli scrive di getto.
M: Incrocerò le dita per te!
L: Grazie!

Michael adora la gentilezza insita in quel ragazzo, ne trova ben pochi di compagni gentili ed educati che Luke gli sembra una sorta di Santo.
Nota Phil arrivare, saluta in fretta e furia l’amico di sms ed infila lo smartphone nella tasca della giacca, il compagno di squadra lo raggiunge e gli dà una pacca amichevole sulla schiena.
 
Il professor Cortes di spagnolo è assente anche oggi. In realtà Mike scopre che per un’ora, tutti gli insegnanti del quarto anno, hanno lasciato le aule dirigendosi in sala insegnanti per una riunione col preside; e gli “studenti orfani” sono stati dirottati nelle classi terze – perché così qualcuno può controllare che cinquanta studenti non facciano atti vandalici per l’intero istituto; Phil si è lamentato un po’ con Sarah che è venuta a prenderli per potarli in un’altra sezione.
Mike si sorprende di vedere, appena entra nella sezione che era stata sua fino all’anno scorso, Luke Spencer seduto nell’ultima fila vicino alla finestra; era certo che Luke fosse il tipo di alunno che sta sempre davanti, vicino alla cattedra. La professoressa Reed, di letteratura inglese – che ha acconsentito di fare un’ora di supplenza per coprire il professor Carlton –, fa cenno ai ragazzi del quarto anno di accomodarsi accanto ai banchi già occupati prendendo le sedie situate sul fondo della stanza. Mike si muove rapido tra i banchetti e si avvicina a Luke «Mi metto qui.» gli dice risultando un po’ brusco. Luke fa un cenno del capo e poi si alza a recuperare una sedia. Michael digrigna i denti, arrabbiandosi con se stesso perché non era quello il senso della frase; gli prende la sedia dalle mani e poi vi si accomoda come nulla fosse, il ragazzino lo guarda perplesso.
«C’è qualcosa che non va, Spencer?» domanda l’insegnante notando che è in piedi perso in qualche strana congettura.
«No. Mi siedo subito.» risponde, e Mike si bea di quella voce. È bassa, leggera, dolce, melodica…
Riprenditi Donovan, devi concentrarti!, si dice per evitare qualunque danno che possa rovinargli la reputazione.
«Oh, no signor Spencer, rimanga in piedi e legga il sonetto 116 di Shakespeare che sarà da analizzare per compito.»
Un coro di “no!” si sollevano per la stanza, mentre le mani tremanti di Luke cercano la pagina giusta; quando la trova inizia a leggere.
«Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli»
La voce è molto bassa, si rende conto Michael alzando leggermente il capo per vederlo da una nuova prospettiva: il libro è talmente vicino al volto che quasi non riesce a vederne i lineamenti.
«Amore non è Amore se mut»
«Non si sente!» urla qualcuno dalle prime file che viene zittito da un gesto della docente che incita Luke a ricominciare mettendoci più energia.
«Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non…»
«Non si sente!»
«Non si sente niente!»
«Più forte!»
Urlano di nuovo, incitati anche dai compagni di Mike che, non volendo fare lezioni, cercano di movimentare la giornata.
Michael guarda Luke: le mani tremano, la voce si affievolisce, gli occhi si inumidiscono e le voci che lo circondano si fanno più forti e più cattive.
«Non si sente nulla, mostriciattolo!» urla qualcuno ed a quel punto, Mike, perde la concentrazione perché il volto di Luke è impallidito ed un piccolo singhiozzo esce dalle sue labbra sottili.
«Fate silenzio!» urla alzandosi di scatto facendo cadere la sedia, il rumore fa girare tutti i presenti verso di loro ed anche Spencer guarda sorpreso il compagno di banco.

«Passami il libro» gli dice in un sussurro, Luke glielo porge mostrandogli la parte da leggere, Michael dà un paio di colpi di tosse per schiarirsi la gola ed inizia a leggere: «Non sia mai ch'io ponga impedimenti all'unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.»
La classe si è riempita di silenzio, Mike si guada attorno e vede i compagni di squadra osservarlo perplesso, Phil ha un’espressione che sembra dire “io e te dopo ne parliamo!”; sbuffa e poi consegna il libro a Luke.
«Uhm, ottima lettura signor Donovan» dice l’insegnante «ma cerchi di non interrompere più la mia lezione con questi exploit.»
«No, certo che no.»
«Spencer si può sedere anche lei.» poi guarda il registro «Kevin Less, cerchiamo di capire il senso di questo sonetto!»
Mike sbuffa, non gli è mai piaciuto Shakespeare per questo non ha fatto letteratura inglese nel suo piano di studi del terzo e quarto anno; sente un colpetto leggero sul braccio, volta la testa e vede gli occhi bicromatici di Luke guardarlo emozionati.
«Grazie.» gli dice il ragazzino con le gote imporporate dall’imbarazzo.
E Michael vorrebbe abbracciarlo e coccolarlo, perché gli fa troppa tenerezza, ma risponde con un secco «Non accadrà una seconda volta.»
 
Ed invece accade una seconda, una terza ed una quarta volta: un ragazzetto del terzo anno, probabile compagno di classe di Luke, gli toglie il cappello e lo lancia sopra gli armadietti – che non sono alti, ma Spencer non ci arriverebbe forse nemmeno prendendo una scala – e Mike passa proprio in quel momento, recupera senza fatica il berretto firmato Obey, lo infila sulla testa di Luke e poi dà uno scappellotto al ragazzetto. La volta successiva Luke sta camminando per i corridoi, testa bassa e spalle curve, e due ragazzi gli hanno fatto lo sgambetto, sta per cadere con la faccia al pavimento quando qualcuno lo prende per il cappuccio della felpa e lo rimette rapidamente in piedi; quel qualcuno è sempre Michael che ha ringhiato qualcosa di incomprensibile alle due matricole prima di continuare per la sua strada.
La quarta sta accadendo in quell’esatto momento.
Mike cammina per i corridoi in modo scocciato e stanco per raggiungere la segreteria – durante l’ora di geografia la professoressa Lee gli ha chiesto di andare a prendere dei moduli che tutti i ragazzi avrebbero dovuto compilare –, mentre cammina per i corridoi vuoti pieni di armadietti nota qualcosa che lo fa sbiancare: su uno di quegli armadietti c’è un “mostro” scritto in maiuscolo. Il ragazzo si avvicina, le mani fremono per la rabbia. Quando capisce che è stato scritto con del gesso bianco corre verso il distributore automatico più vicino e compra dell’acqua, afferra uno strofinaccio dal vuoto carrello degli inservienti poi torna a quell’armadietto. Inumidisce lo straccio ed inizia a sfregare sullo sportello di metallo.
È arrabbiato Michael, è arrabbiato come mai pensava di poter essere.
Luke è una persona fantastica!, si dice, Solo perché ha gli occhi di colore diversi bisogna trattarlo in questo modo? Teste di cazzo!
«Cosa stai facendo?»
Mike si blocca, come se fosse stato pietrificato da Medusa in un sol secondo! Non si volta, non è certo di riuscire a reggere lo sguardo triste di Luke.
Sente dei passi avvicinarsi ed allora si sposta: la scritta è scomparsa, si nota solo in controluce il significato di tanti segni che formano quella parola.
«Ah.» dice solo Luke e Michael vorrebbe prenderlo a schiaffi.
«“Ah”? Solo “ah” dici? Perché diavolo non tiri fuori le palle e dici chiaro e tondo che queste cose ti danno fastidio? Che ti feriscono?!» sbraita facendo forza con un dito sullo sterno di Spencer che, preso in contro piede, arretra di un paio di passi. Poi lo nota, lo straccio bagnato ed un po’ sporco nella mano di Donovan: non può che regalargli un sorriso radioso «Grazie.» gli dice con una nota di felicità nella voce.
E  Mike sa che potrebbe vivere solo di quel sorriso meraviglioso e null’altro.
Ma sa anche che è a scuola, che mancano sei mesi prima di potersene andare e decide, quindi, di tenere alto il suo profilo «Sei un idiota se continui a farti mettere i piedi in testa! Cerca di farti entrare nel cervello che qui non c’è nessuno per te, che ti copra le spalle, che ti aiuta quando ne hai bisogno perché tu, con la tua faccia da santarellino viziato figlio di papà, sei solo una nullità. Ed è per questo che la gente non ti sopporta.» esclama con foga buttando lo straccio e la bottiglietta d’acqua per terra. Si gira di scatto e si allontana.
Non ne è certo, ma sente un singhiozzo alle sue spalle; non si volta.
 
Si vergogna Michael, si vergogna come non mai.
Non è stato sicuro di quello che ha fatto fino a quando non trova una serie di messaggi sul suo cellulare che dicono: “Ma secondo te, sono odioso?”, “Ho la sensazione di non piacere molto.”, “Cosa dovrei fare per cercare di cancellare il mio profilo basso e crearne uno migliore e più interessante?”.
Eppure, nonostante la richiesta di aiuto, decide di non rispondergli.
Ha bisogno di pensare, di trovare un modo per redimersi e di risollevare il morale a Luke; spegne il telefono e si corica a letto.
 
La mattina successiva, quando accende lo smartphone non si trova il solito buongiorno scritto tutto in minuscolo; ringhia qualcosa di incomprensibile prima di svegliarsi del tutto e di scendere in cucina. Suo padre è già andato via e, per una volta, ha lasciato la cucina in ordine. Ma non ne è felice, gli manca la routine di tutti i giorni. Gli manca il saluto del mattino di Luke e gli manca aver qualcuno con cui parlare. Sa di essersi comportato da egoista come Micky, ma come Michael si è comportato decisamente da coglione! Luke non si meritava quelle parole…, pensa mentre raggiunge la fermata del bus, mentre il sorriso radioso della cosina piccolina fa capolino nella sua testa, E quel sorriso è l’ottava meraviglia del mondo! Come ho potuto trattarlo così?
Non sa darsi una risposta precisa: vigliaccheria? Orgoglio? Paura?
Ma paura di cosa?! Cos’ho da perdere?
L’autobus arriva, sale e prende posto davanti, dove di solito non si siede nessuno. Recupera il cellulare dalla tasca della giacca e poi scrive a Luke:
Buongiorno! Scusa per ieri, ma il cellulare mi è caduto in una pozzanghera e ci ho messo tutto il pomeriggio per asciugarlo! Ed ero certo che si fosse rotto perché non si accendeva! Ma stamattina è partito ed ora sono qui! Cos’è successo?
Lo sa che è una scusa stupida, ma non gli è venuto in mente niente di meglio.
L: e perché non sei entrato sulla chat?
Mike storce il naso perché si rende conto che Luke è davvero arrabbiato, allora decide di tirare fuori la carta jolly che lo salva sempre in extremis: suo padre.
M: Mio padre ha dato di matto. Ho dovuto raccogliere vetri rotti. [Le maiuscole!]
L: Stai bene?

E Mike si odia, perché Luke è sempre gentile e disponibile e si fa carico dei dolori degli altri.
M: Sì, non è accaduto nulla di grave. Ha rotto dei piatti. Ma si è addormentato subito.
È una mezza bugia, perché quello che ha appena descritto è davvero accaduto, ma qualche mese prima.
L: Mi dispiace moltissimo, Micky.
E Michael vorrebbe piangere, perché dovrebbe essere lui a consolare Luke e non viceversa, soprattutto per un avvenimento così vecchio e di cui non ha quasi ricordo.
M: Grazie. Sei un ragazzo meraviglioso Luke, non cambiare per dei coglioni che non ti capiscono! Rimani esattamente come sei.
L: Sono io che devo ringraziarti. Perché non ti ho conosciuto prima? Dove sei stato fino ad ora?

Mike sorride e sogna, per un istante, di tornare indietro nel tempo e di conoscere Luke alle elementari e di aiutarlo da allora. Di poter rimanere con lui e di sostenerlo ogni qual volta ne avesse avuto bisogno.
M: Sembra una dichiarazione d’amore! XD
Non riceve una risposta immediata e comunque non potrebbe scrivere altro visto che è arrivato a scuola; infila il cellulare in tasca e poi scende dal bus. Con un sorriso allegro sulle labbra cerca Phil tra la folla ed appena lo vede lo raggiunge, gli dà una pacca sulla spalla ed inizia a parlare della partita dei Bulls di ieri sera.
Si dirigono verso l’aula e chiacchierano un po’ prima che il professore di spagnolo li intimi di smetterla perché, in caso contrario, ha già pronto un compito a sorpresa; per una volta Mike non si aggiunge al coro dei “no” disperati e prende fuori carta e penna. E il cellulare, per vedere se, durante la noiosa lezione, potrà ridere con Luke.
Ma quando entra nei messaggi non vi trova nessuna battuta, nessuno scherzo e nessuna faccina, ma c’è scritto qualcosa che mai si sarebbe aspettato.
L: Potrebbe esserlo.
 
Mike fa finta di niente, fa finta che quel messaggio non sia mai giunto, perché alla fine, anche se fosse la verità, Luke sarebbe innamorato di Micky e non di Michael, quindi pensa che sia meglio non crearsi false illusioni.
Con la scusa del «Non mi sento tanto bene, prof…» riesce a saltare metà della terza lezione, il fatto che sia pallido a causa di quel “potrebbe esserlo”, lo aiuta nella sua recitazione; va prima in bagno e poi in mensa, magari mettere qualcosa sotto i denti potrebbe aiutarlo a riflette.
Lontano da tutti vede Luke, che mangia dell’insalata e spilucca quella che dovrebbe essere della pasta.
Preso dalla foga di parlargli, gli scrive un messaggio:
M: Cosa stai facendo?
Evita di parlare di quello che si sono detti quella mattina, non potrebbe reggere senza almeno un boccone nello stomaco; vede Luke prendere il cellulare dalla tasca dei jeans e sorridere allo schermo.
Michael si scioglie perché, indirettamente, quel sorriso è per lui.
La risposta arriva rapida, ma quando la legge, aggrotta le sopracciglia.
L: Sto pranzando con degli amici!
Ma di amici, Mike, non ne vede nemmeno uno. Luke è seduto al tavolo, completamente da solo… a quanto pare, i compagni di classe, preferiscono mangiare in piedi o in braccio a qualcun altro piuttosto che accanto a lui. Odia quando la cosina piccolina gli mente.
Stringe i pugni, afferra il vassoio con una macedonia ed un pezzo di pizza e poi va dritto verso il tavolo di Luke; si ferma accanto al ragazzino appena lo raggiunge, nota che non ha toccato la pasta ancora integra nel piatto di plastica, che un paio di foglie di insalate sono finite sul tavolo e che i cereali rendono lo yogurt una poltiglia.
Luke alza lo sguardo quando nota che la presenza accanto a sé non se ne va e sussulta un poco.
«È libero?» domanda Michael con un tono un po’ scocciato.
Luke si guarda attorno, sorpreso ed incapace di capire se quella domanda è stata fatta a lui. Mike rotea gli occhi al cielo «Ti ho chiesto se è libero. Posso sedermi?»
Spencer si morde le labbra e bisbiglia un «Certo…» timoroso.
Mike si accomoda, accavalla le gambe sotto al tavolo e beve un sorso di succo, con la coda dell’occhio nota le spalle del ragazzino incurvarsi, le dita stringono il legno della panca su cui è seduto; le sue nocche sono quasi bianche.
Michael sospira «Senti, volevo scusarmi per quello che ho detto ieri.»
Luke alza la testa e lo guarda con occhi sorpresi.
«Non guardarmi così.» brontola «Sono uno stronzo è vero, ma ti assicuro che so quando supero i limiti.»
«Non… non preoccuparti.» risponde la cosina piccolina inclinando un poco la testa di lato e facendo spuntare un sorriso timido sulle labbra. E Mike sente qualcosa all’altezza dello stomaco sciogliersi e spargere del calore in tutto il corpo.
Prende il suo piatto con la pizza e lo scambia con la pasta ancora intatta di Luke «Capisco che la pasta qui faccia schifo, ma se non mangi carboidrati, è ovvio che rimarrai piccolo a vita!»
«Non sono piccolo» borbotta mettendo un broncio «Sono solo lento a crescere.», ma nonostante tutto afferra lo spicchio di pizza e lo addenta.
«Bravo bambino» ridacchia Mike dandogli un colpetto amichevole sulla spalla.
Luke gli sorride e le gote si tingono di imbarazzo.
La sala mensa si è zittita ed ora li stanno osservando tutti.
Phil si avvicina con passo deciso verso il compagno di squadra, le mani sui fianchi pronto a lamentarsi di qualcosa quando nota Luke Spencer seduto accanto a lui.
«Credevo fossi in infermeria.» gli dice Phil guardando storto l’amico.
«In realtà avevo fame.» risponde facendo spallucce e masticando la pasta.
«Senti» inizia Phil accucciandosi e guardandolo negli occhi «c’è qualcosa che devo sapere?»
«Di che parli?» Mike alza un sopracciglio, perché proprio non capisce.
«Di lui.» fa un cenno con la testa indicando Spencer che, con molta eleganza si sposta di quasi un metro da loro, Michael si rende conto di quanta paura sta provando.
«Ho detto delle cose a Luke Spencer che avrei potuto evitare, mi stavo scusando.»
Phil spalanca la bocca per un secondo «Ti sei scusato? Con lui
Il tono che viene usato per quel “lui” fa irritare Mike, sbatte una mano sul tavolo e poi si alza «Io e te dobbiamo parlare Phil, ora.» esclama afferrandolo per un braccio e trascinandolo fuori dalla mensa fino all’aula di musica che, all’ora di pranzo, è vuota.
Phil strattona il braccio e gli fa lasciare la presa «Che diavolo ti prende Mike?! In questi giorni sei sempre strano! E perché hai questa fissa di Spencer?»
«Senti» sbuffa Mike incrociando le braccia al petto «mi sono stancato.»
«Di che?»
«Di sembrare il cattivo della situazione!»
«Oh andiamo Mike! Siamo quasi a Natale, ci saranno le vacanze invernali, e poi solo altri cinque mesi di scuola e dopo ce ne andremo! Non puoi reggere ancora un po’?»
«Ma perché non capisci che questo non sono io?» sbraita «Sono stanco di maltrattare la gente!»
Phil allarga le braccia infastidito «Non la maltrattiamo Mike, al massimo lanciamo qualche offesa. E per di più nemmeno pesante!»
«Ma non capisci che quelli più piccoli ci prendono da esempio e si comportano allo stesso modo con i più deboli? Se continua così diventerà un cerchio indistruttibile! E gente come Luke Spencer soffrirà fino a stare male! Non lo vedi che ha paura di qualunque cosa lo circondi?!» sbraita Mike dando una piccola spinta a Phil che lo guarda scioccato «Sei serio…» gli dice con voce tremante.
«Certamente.» prende un respiro profondo e poi continua «Phil, che ne pensi se cerchiamo di sistemare le cose? Il mondo sta marcendo e noi con lui. Sono stufo di dover generalizzare i sentimenti ed etichettare le cose, le emozioni…»
Phil lo scruta dall’alto al basso «…sei davvero serio.»
«Sì. Lo sono.»
«Io…» si morde il labbro inferiore Moore «ci devo pensare, ok? Non ti dico di no, hai ragione. Il tuo ragionamento non fa una piega, ma…»
«Ci devi pensare, ho capito.» gli sorride dandogli un buffetto sulla guancia «Spero che prenderai la decisione giusta.»
«Lasciami le vacanze di Natale, ok?»
«Ok. Tanto iniziano dopodomani.»
«Ma noi, possiamo rimanere amici, vero?»
«Certo che sì Phillip.»
«E non chiamarmi Phillip!» lo ammonisce prima di abbracciarlo «Adesso è meglio che vai, o quel nano da giardino si scioglierà sotto al tavolo.»
«Non sia mai!» ride l’altro staccandosi e raggiungendo la porta, ma quando sta per uscire dall’aula sente in un sussurro «Ti piace proprio, eh?»; Mike stringe la mano sulla manopola e poi risponde «È qualcosa di più complicato.»
«Qualunque cosa sia, mi va bene lo stesso.»
Mike sorride «Grazie Phillip.»
«E non chiamarmi Phillip!»
 
L: Ciao! La vita è meravigliosa!
M: Che succede? Mi sembri esageratamente contento!
L: Oggi è stata una giornata meravigliosa!
M: Ma se nevica quasi…
L: (non mi vedi, ma sto roteando gli occhi)
M: I tuoi magnifici occhi.
L: Smettila!

Mike sorride, sa che Luke è imbarazzato. Ha scoperto che le sue guance diventano porpora ogni volta che gli viene fatto un complimento.
M: Allora, cos’è successo?
L: Non prendermi in giro, ok?
M: Promesso.
L: Oggi qualcuno che non mi conosce si è seduto al mio tavolo ed ha deciso di parlare con me!

Mike sente una strana fitta allo stomaco, vorrebbe dirgli “Lo so, ero io” ma preferisce evitare.
M: Davvero?
L: Sì!
M: Stai saltellando per la camera?
L: Qualcosa del genere! :D
M: Quando?
L: A pranzo!
M: Ma non pranzavi con degli amici?

Non sa il perché gli ha scritto quella domanda, lui sa già che non aveva nessuno, ma forse anche la sua falsa identità vuole sapere la verità; e lui come Mike vuole che Luke si renda conto la solitudine non è mai un bene.
L: …
L: Ok, posso dirti la verità?
M: Spara!
L: Io non ho amici.
M: Nemmeno uno?
L: No…
M: Sei un ragazzo simpatico, perché no?
L: Penso perché nessuno abbia davvero voglia di conoscermi.
M: E tu dai la possibilità agli altri di imparare a conoscerti o rimani chiuso in te stesso?
L: … è più complicato di quello che pensi.
M: Non è vero.
L: Sì che lo è.
L: Micky, io sono rimasto a casa per anni. Non ho avuto molti contatti con i miei coetanei, e quando mi sono iscritto alla WHS speravo di riuscire a farmi qualche nuovo amico; ma nessuno vuole stare con me! Si erano formati i gruppi sia alle elementari che alle medie, si conoscevano tutti ed io sono subito stato additato come quello strano! Ci ho provato, davvero, ho messo tutto me stesso in questo, però mi hanno voltato tutti quanti le spalle, quindi…

Michael sospira forte, pensando a quanto dolore avesse dovuto provare Luke da solo; lui, almeno, aveva Phil.
M: Mi spiace.
L: Non farlo.
M: OK.
M: Chi è la persona che ti ha parlato?
L: Non ci crederai mai! Ma è il vicecapitano della squadra di basket!!!

Mike sorride.
M: Come mai tutto questo entusiasmo?
L: Perché è il vicecapitano della squadra di basket. Una specie di celebrità qui a scuola
.
Mike aggrotta le sopracciglia.
M: Celebrità?
L: Sì. All’inizio mi faceva paura, sai?
M: Ah.
L: Sì, perché ha sempre quel cipiglio scontroso in volto e il tono arrabbiato e dice le cose chiare e tonde… non capivo mai se ce l’aveva con me, col mondo, o è solo infastidito dagli eventi.
M: Che eventi?
L: Quelli che ha attorno. Non lo conosco, non so la sua situazione famigliare, quindi, magari, si rifà sui più deboli solo per togliersi di dosso la frustrazione…

Michael rilegge per due volte quell’ultima frase.
Luke ha capito com’è fatto solo guardandolo? O è un genio oppure «…è un sensitivo?» si dice ad alta voce. Avrebbe voluto dire mostro, ma da quando la associa a Luke quella parola è diventata un tabù.
M: Quindi, di che avete parlato?
L: Di nulla.
M: Come?
L: Sì, di niente. Si è seduto al tavolo e mi ha obbligato a mangiare della pizza perché dice che se no non cresco. Ma non ha capito che io sono solo lento a crescere! Ma stai sicuro che riuscirò a diventare più alto di lui!

Mike sorride, lo trova adorabile.
M: Vai così tigre!
 
***
 
È trascorsa una settimana dalla loro ultima chiacchierata su Nameless, in quei sette giorni  Mike è stato molto impegnato a sistemare la casa, a comprare i regali per i parenti ed a tempestare Phil di sms per le news della festa di capodanno – di cui, ancora, non si sa niente – quindi ha, involontariamente, ignorato Luke.
Si salutavano solo la mattina e la sera prima di spegnere il cellulare e coricarsi per dormire, ma da quando Mike ha scoperto il lato intuitivo di Luke, lo cerca molto meno, ed un paio di volte ha inventato delle scuse per non poter parlare con lui. È conscio di star ferendo Luke, ora non ha davvero nessuno con cui parlare o con cui sfogarsi, ma Mike non è sicuro di riuscire a non trattarlo male anche tramite chat, e si odia per questo.
Luke non si merita una persona come me, si dice pensando a quanto possa essere pericolosa l’amicizia che ha con lui, però…
Però non riesce a lasciarlo andare: quello che prova per Luke va ben oltre al solo rispetto o ad una forte amicizia telematica. Gli piace Luke, gli piace il modo in cui sorride, il tono della voce, la simpatia e la dolcezza che possiede.
È la vigilia, prende un bel respiro e poi si connette a Nameless.
M: Ehi Luke!
L: Oh mio Dio! Sei vivo allora?! Giuro, ti stavo dando per disperso.
M: No, sono ancora vivo!
L: Che è successo?
M: Ho dovuto addobbare casa con tutte le decorazioni nascoste in solaio (giuro, ho pensato che le avessero mangiate i topi visto che non le trovavo!), poi ho pulito tutto, comprato i regali per i parenti e sono riuscito a convincere mio padre a bere solo in cucina e non in sala!
L: Wow! Che tour de force!
M: Puoi ben dirlo!
M: E sono qui per augurarti Buon Natale, domani viene mia zia con i cuginetti (di 5 e 12 anni!), mia nonna paterna, mio nonno materno ed altri zii.
L: Sarà un pranzo movimentato!
M: Sicuramente. E tu?
L: Saremo io e mia nonna.

Mike aggrotta le sopracciglia.
M: Cosa? E i tuoi?
L: Sono andati via in vacanza, lo fanno sempre in questo periodo. Quindi è venuta mia nonna e saremo solo io e lei.
M: Ma… non è giusto.
L: Sì, è giusto. Loro sono sempre impegnati con me che non hanno un attimo di pace. E poi sono tranquilli se c’è anche nonna Cindy.
Michael si morde un labbro inferiore, vorrebbe poter dire a Luke di venire a casa sua domani e di portare anche nonna Cindy, perché non è giusto che sia sempre solo.
M: Non potevi andare con loro.
L: Meglio di no. Mi sarei annoiato.
M: Luke.
L: Mike.

M: Parlo seriamente, perché non ti sei aggregato?
L: Per quello che vale, odio andare in vacanza coi miei genitori, siamo sempre insieme, tutti i giorni tutto il giorno! È un modo per stare un po’ per i fatti miei! E poi mi manca mia nonna.
M: Ma tu stai sempre per i fatti tuoi!
L: Cosa?
M: Ti vedo sempre da solo a scuola!

«Cazzo!» urla quasi Mike quando invia l’ultima cosa che ha scritto.
Trattiene il fiato.
L: Chi sei tu?
M: Ho sbagliato a scrivere!

Digita immediatamente cercando si sistemare il danno che ha fatto.
L: CHI SEI TU? Perché mi conosci? Sei della mia scuola!
M: No no! Era riferito al fatto che mi hai detto che non hai amici!
L: Dimmi chi cavolo sei! Mi hai preso in giro? DIO MIO! Mi hai preso in giro fino adesso?
M: Luke, aspetta! Calmati!
L: Dimmi chi sei e se devo aspettarmi una qualche ritorsione quando torneremo dalle vacanze!

Mike vede le proprie mani tremare sui tasti, vorrebbe dirgli la verità, vorrebbe urlare al mondo quanto lui, Michael Donovan, sia onorato di aver conosciuto il vero Luke Spencer. Ed invece fa l’unica cosa di cui è capace: scappare.
Chiude il computer senza dire una sola parola, lo spegne e si allontana dalla scrivania.
Si butta sul letto ancora sfatto e con le mani si copre il volto.
Sa di aver reso vana tutta la fatica per avere un amico come Luke al suo fianco.
 
«Cosa hai fatto?» urla Phil dall’altra parte del telefono scioccato «Ma tu sei tutto scemo?!»
«Lo so. Lo so! Ho toppato miseramente!»
La sola cosa che è riuscito a fare dopo “il disastro di Nameless” – ha deciso di chiamare così la sua figuraccia con Luke Spencer – ha chiamato Phillip e gli ha raccontato ogni cosa, ogni dialogo avuto con Luke ed ogni emozione che lo sta corrodendo dentro.
«Sono tre mesi che parli con la pulce e me lo hai tenuto nascosto, Michael Donovan!»
Mike digrigna i denti, sa che quando Phil usa il suo nome completo sono guai.
«Non è che non volevo dirti nulla, è che ho avuto paura che non volessi essere più mio amico se te lo avessi raccontato.»
Sente il suo compagno di scuola borbottare un «Non siamo mica più all’asilo!».
Sospira «Mi dispiace Phil, ma avevo davvero paura di una tua reazione negativa.»
«Cos’è? Adesso speri che sia felice che me lo hai detto? Sei mio amico da una vita, Michael, com’è possibile che non ti fidi ancora di me?»
«Io mi fido di te, ma sai quanto posso essere vigliacco! Se non ci fossi tu al mio fianco sarei già caduto in un burrone senza fine.»
«Bene. Ora prenditi le tue responsabilità.»
«Cioè?»
«Cioè chiami Spencer e ti scusi. E gli dici tutta la verità!»
«Scherzi?» Mike è scioccato, mai avrebbe pensato che Phil gli consigliasse una cosa del genere.
«No, e finché non avrai chiarito, non cercarmi!» e chiude la telefonata senza alcun saluto.
Michael guarda lo schermo del telefono, mentre una strana ansia lo riempie.
 
***
 
È il secondo giorno di scuola post vacanze invernali e, da ben quindici giorni, lui e Phil non si parlano. Non è riuscito a prendere il coraggio che gli serviva per fare una cosa semplice come chiedere scusa, troppo orgoglioso od impaurito da una qualunque risposta di Luke, quindi ha anche esaudito la richiesta di Phil di non chiamarlo fino a che non avesse chiarito con la cosina piccolina.
Ha passato i giorni di vacanza chiuso in casa a pensare, saltando anche la festa di capodanno perché non sapeva come Phil avrebbe preso la sua vigliaccheria; conoscendolo, avrebbe alzato la voce e forse rovinato la serata a tutti i presenti, quindi ha preferito non accollarsi anche la rabbia dei loro amici e si è rintanato in casa con la scusa dell’influenza.
Ma adesso che è lì, ha bisogno di parlare con Phil.
Lo vede che sta smanettando con il lucchetto del proprio armadietto, è sempre stato rotto, ma da quando lo ha Phil, sembra non volersi aprire mai.
Si avvicina piano, quasi con paura «Ehi, Phil.», dice piano, sorpreso dal suo stesso tono di voce.
«Ehi Michael.»
«Oh, andiamo! Continui a non volermi parlare?»
Phil alza un sopracciglio «Non ti ricordi cosa ho detto prima di chiudere la telefonata?»
«Sì, lo ricordo. Ma senza il tuo aiuto come pensi che io possa trovare il coraggio di parlargli?» borbotta infilando le mani nelle tasche dei jeans.
L’amico prende un respiro profondo «Mike, io non sarò sempre qui ad aiutarti. Prima o poi le nostre scelte ci divideranno e tu dovrai trovare la forza di rialzarti da solo, non ci sarò per sempre.» conclude cingendogli le spalle con un braccio «Forza, andiamo in classe.»
«Ma non avevi detto che non mi avresti più parlato?»
«Penso tu abbia imparato l’antifona. E poi è il caso che pensiamo ad un piano ben studiato per poterti scusare con Spencer; da solo non ci riusciresti mai.»
 
Il piano ben studiato di Phil fa schifo!, pensa Mike appallottolando il foglio su cui avevano scritto cosa avrebbe dovuto fare per avere il perdono di Spencer e buttandolo nella prima pattumiera in vista; è lontano, ma se lo hanno eletto vicecapitano della squadra di basket, un motivo ci sarà. Fa centro, il rumore della carta che struscia sulla plastica è così debole che si avvicina per controllare se non ha sbagliato. Un sorriso compiaciuto gli si apre sul viso notando la pallina bianca sopra a tutti gli altri rifiuti.
«Wow.» dice una voce bassa a lui conosciuta, si volta lentamente, notando la cosina piccolina davanti a lui guardarlo con ammirazione.
«Sì, beh, grazie.»
«Eri davvero lontano. Come ci sei riuscito?» domanda curioso Luke avvicinandosi; Mike è contento di averlo così vicino e si rende conto quanto quel ragazzino gli fosse mancato in quei quindici giorni di silenzio obbligato.
Gli sorride teneramente «Anni di duro allenamento, tappo.»
Spencer aggrotta le sopracciglia e fa una smorfia infastidita «Non sono un tappo.»
«Se lo dici tu…»
Luke gli fa una linguaccia, poi si abbassa la visiera del cappello sportivo, Michael si innervosisce, odia quel gesto, soprattutto nei suoi confronti; con una falcata lo raggiunge e gli sfila il copricapo, Luke alza il volto e lo guarda sconvolto.
«Cosa stai facendo?» chiede con una piccola punta di isteria nella voce.
Mike solleva il braccio e Spencer si allunga sulle punte dei piedi per riprenderlo. Ovviamente non ce la fa.
«Perché fai così?» chiede con disperazione, e Mike vede i suoi occhi bicromatici inumidirsi quindi fa l’unica cosa che gli viene in mente: dire la verità.
«Perché voglio vederti negli occhi quando ti parlo, Luke Spencer.»
«Io invece no…»
«E perché mai?» anche se sa già la risposta vuole sentirglielo dire.
La voce di Luke trema e balbetta una risposta che Mike non avrebbe mai voluto riascoltare: «Perché sono un mostro.»
Michael gli afferra un polso e lo strattona verso l’alto, Luke lo guarda impaurito; decide di addolcire la presa e di sembrare serio «Luke Spencer, dovresti smetterla di dire queste cose. Non sei affatto un mostro.»
Il ragazzino lo guarda con una strana luce negli occhi che Mike intuisce essere la speranza; quindi prosegue «Sei la persona più gentile ed interessante che io conosca.»
«Ma i miei…»
«I tuoi occhi» lo interrompe «sono meravigliosi, Luke.»
Le gote della cosina piccolina si imporporano, rendendo Michael quasi fiero di se stesso.
«Non è vero…» biascica abbassando un poco il capo,cercando di distogliere lo sguardo dagli occhi ghiaccio di Donovan che, a quella vista, sente qualcosa di caldo sciogliersi all’altezza del torace.
Con un gesto rapido lascia andare il polso di Luke, ma la presa era diventata talmente tanto delicata che Luke stesso credeva l’avesse lasciato molto prima, e gli infila il cappello con la visiera all’incontrario «Almeno quando sei con me, guardami negli occhi.»
«Mi piacciono i tuoi occhi.»
«Ed a me piacciono i tuoi, tappo.»
«Non sono un tappo.»
Mike ride «Finché non supererai il metro e settanta non mi farai cambiare idea.»
Luke arriccia le labbra «Come ti ho già detto, cresco lentamente.»
«Chi vivrà, vedrà.» sbadiglia e lo spinge verso la caffetteria «Ti offro da bere.»
«Cosa?»
«Un caffè, Spencer, un caffè.»
«Ma, se ti vedessero con me…»
Mike alza un sopracciglio «Oddio, ma sei serio?!»
«Io… non…» sospira sconfitto «Ok, ma solo uno.» dice alzando il dito indice verso l’alto.
«Come vuoi tu, tappo!»
«Non sono un tappo!»
 
***
 
In realtà i caffè sono diventanti settantanove. Uno ogni giorno.
Se nelle prime due settimane saltavano il weekend, è bastato davvero poco perché iniziassero ad incontrarsi anche il sabato mattina da Matty&Son, un bar situato nel centro della cittadina, praticamente a metà strada tra casa Spencer e casa Donovan, e la domenica pomeriggio all’abitazione della cosina piccolina per un tè caldo o una cioccolata.
La prima volta che Michael ha bussato a casa Spencer, il signor Robert è rimasto a bocca aperta per parecchi minuti, mentre la moglie, July, è quasi svenuta sulla porta; a nulla sono servite le spiegazioni dettagliate di Luke, Mike ha subito un terzo grado degno del miglior telefilm thriller. È stato uno shock per i genitori di Luke vedere, dopo ben tre anni, il primo compagno di scuola a casa loro e senza intenzione di studiare, ma solo per «fare quattro chiacchiere!»; a nulla sono servite le scuse di Mike, la signora July ha sfornato due torte ed una quantità di biscotti da fare invidia a Gordon Ramsey – che il ragazzo non ha proprio potuto rifiutare.
Da allora il rapporto di Luke e Mike si è fatto sempre più stretto ed importante, tanto che la cosina piccolina ha iniziato a camminare con le spalle dritte e la testa alta ed il cappello con la visiera girata indietro, per poter guardare negli occhi il suo “salvatore”.
Nameless è diventato improvvisamente un blog pieno di colori.
Mike, d'altronde, ha intuito quanto il piccolo Spencer sia stato coinvolto dalla sua persona, dal suo carattere e dalla sua amicizia; gli è sembrato che in tre mesi il ragazzino si fosse alzato di almeno cinque centimetri, ma non glielo ha mai rivelato, adora soprannominarlo “tappo”.
È bastato davvero poco per cui i due hanno iniziato a frequentarsi seriamente.
Se prima era «Solo un caffè» dopo è diventato «Ti va una pizza? Un film al cinema?» ed è bastato questo perché delle voci, anche maligne, dicessero che i due ragazzi si frequentavano in modo molto più che amichevole.
All’inizio Mike non ci ha dato peso, ha continuato a ripetere a Luke che non avrebbe dovuto ascoltarli, che prima o poi sarebbero finiti nel dimenticatoio, ma appena la scritta “frocio” è apparsa sullo sportello dell’armadietto di Spencer, Michael è impazzito: scoperto il mittente di quella parola che ha messo in crisi una delle persone più importanti per lui, non solo gli ha fatto pulire l’armadietto, ma gli ha anche dato un pugno dritto sul naso rompendoglielo.
Il preside gli ha ordinato tre giorni di sospensione scolastica e l’allontanamento dal campo per due partite. Tutti i compagni di squadra, Phil escluso, gli hanno dato la colpa di entrambe le sconfitte. Mike ha fatto spallucce, non gli importa, se dovesse tornare indietro non cambierebbe niente di quel giorno, né la caccia all’omofobo, né il pugno; men che meno la sospensione. È stato felice che almeno Phil avesse capito il perché del suo gesto. Luke, invece, gli ha urlato contro.
«Sei impazzito?» domanda con sarcasmo chiudendo la porta della sua camera. Subito dopo la sospensione, il ragazzino ha deciso che avrebbero dovuto parlare di ciò che è accaduto tra le mura scolastiche.
«Non mi pare.»
«Hai preso a pugni una persona!»
«Certo che sì! E lo rifarei! Ti ha chiamato frocio, Luke!» ribatte calcando su quella parola che ha imparato ad odiare più di suo padre.
Luke si morde il labbro inferiore, gira il cappello portando la visiera in avanti, lo fa ogni qual volta non si sente in grado di sostenere uno sguardo, «Hai esagerato.»
«Forse.»
«Ma ti ringrazio.»
«Figurati.»
Luke si dondola sulle punte dei piedi, Mike adora quando lo fa, «Posso abbracciarti?» gli domanda con voce flebile alzando quel poco che basta il capo per incrociare le iridi dell’altro.
«Non devi chiedere, tappo.»
«Non sono tappo!» borbotta con un mezzo sorriso sulle labbra; alza le braccia e si allunga il più possibile, Michael adora gli abbracci con Luke: sono dolci e lo fanno sentire davvero importante per qualcuno, perché lo sente il bisogno di affetto della sua cosina piccolina. E sente il bisogno che ha di lui, Mike; è un bisogno viscerale di poter avere Luke al suo fianco. Anche per sempre.
«Luke?» lo chiama con voce dolce.
«Uhm?»
«È un problema?»
«Cosa?»
«Che gli altri credano che siamo una coppia.»
Il respiro del piccolo Spencer si blocca, scioglie l’abbraccio e lo guarda perplesso «Non capisco…»
«È un problema per te se le persone che ci circondano pensano che noi stiamo assieme?»
Luke si umetta le labbra «A me non interessa di me stesso. Mi preoccupo più di te.»
«Perché?»
«Perché in confronto a me, tu non sei gay.»
Mike prende un respiro profondo e si passa una mano sul volto.
«Scusa, avrei dovuto dirtelo.» sussurra con un poco di paura la cosina piccolina incurvando improvvisamente le spalle.
«Lo avevo intuito, in realtà…»
Luke alza gli occhi incerto.
«Luke Spencer, cerca di capire una cosa: non amo etichettare le cose, i sentimenti e le persone.»
Il ragazzino lo guarda senza capire.
«A me tu piaci Luke, ok?»
«Cosa?»
«Cosa cosa?»
«Non credo di aver capito bene…»
Mike rotea gli occhi al cielo «Oltre che tappo sei pure sordo?»
«Non sono né tappo né sordo, ma, seriamente, nemmeno stupido.»
«E allora cos’è che ti ferma dal comprendere che ti voglio bene?»
Luke si porta una mano alla bocca come se dovesse trattenere un urlo, Michael teme di aver detto troppo, di aver sperato che anche la sua cosina piccolina provi le stesse cose che prova lui; è metà aprile, a breve avranno entrambi gli esami finali e gli viene il dubbio di aver sbagliato momento.
«Non scherzare su queste cose, Mike!» dice Luke con voce tremante.
«Non è mia intenzione.»
«Tu non…» Spencer prende un respiro profondo, come se dovesse inalare del coraggio «Non puoi dirmi una cosa del genere in questo modo, senza prepararmi psicologicamente e con questa semplicità!»
«Perché no?»
«Perché forse, c’è ancora una persona che spero si rifaccia viva e mi dica almeno che non vuole più vedermi!»
Mike aggrotta le sopracciglia «Un ex?»
«Non proprio…» si toglie il cappello e si ravvia i capelli, un gesto che Michael vorrebbe fare al suo posto perché pensa che i capelli di Luke siano davvero morbidi al tatto, ma preferisce non interromperlo, ha delle incognite da risolvere.
«È più un amico di penna.»
«Come?»
«Sì, ecco, l’ho conosciuto sul mio blog e…»
«Sono io.»
Luke sussulta, lo guarda sconvolto, e Mike vorrebbe strapparsi la lingua a morsi.
«Cosa?»
Il vicecapitano della squadra di basket fa un cenno col capo «Micky. Sono io.»
Spencer arretra di un paio di passi, il volto è diventato pallido e gli occhi sono spalancati come piattini da caffè; l’azzurro ed il marrone delle iridi sembrano velarsi di un sentimento a cui Mike non riesce a dare un nome.
«Oh mio Dio. Tu mi hai… mi hai preso in giro fino ad ora?» la voce gli trema.
«No! Assolutamente no, Luke!» esclama facendo un paio di passi in avanti per raggiungerlo, ma il ragazzino ne fa altrettanti indietro e Michael comprende di non poter avvicinarsi ulteriormente o lo farà fuggire.
«Mi hai mentito…»
Mike apre la bocca per dire qualcosa, ma la richiude subito, lo sa che ha ragione eppure vuole spiegarsi «Ascolta» gli dice piano, con tono calmo «non ti ho mentito su nulla di quello che ti ho detto come Micky o come Mike.»
«Hai… hai avuto tanto tempo per dirmi la verità, perché non lo hai fatto?»
«Perché sono un vigliacco.»
Luke lo guarda, i suoi occhi sono liquidi «Mi stai facendo male, lo sai?»
«Perdonami.» bisbiglia con un tono funereo.
«Non lo so…»
«Sono stato un idiota, lo so. Non ho niente per discolparmi.» sospira con infinita tristezza «Ma posso dire solo che è stato l’unico modo che ho avuto per scoprire qualcosa di te.»
«L’unico?» ripete perplesso Spencer.
Mike fa un cenno col capo «Sì. Ti assicuro che mi sembravi irraggiungibile con quello sguardo sempre basso e il cappello.» si morde le labbra e prosegue «Mi dispiace di averti detto quelle cose. Mi dispiace di averti trattato male, ma avevo paura.»
«Di cosa?»
Mike sorride triste «Di non avere più un’immagine.»
«E cosa ti ha fatto cambiare idea?» gli chiede avvicinandosi di un passo.
«Del fatto che mi stavo innamorando di te.»
Luke spalanca gli occhi incredulo.
«Anzi, credo di aver avuto un colpo di fulmine; penso davvero di essermi innamorato di te la prima volta che ti ho visto nei corridoi della scuola. Ma ero troppo coglione per rendermene conto.» col pollice e l’indice si massaggia le tempie «Non ti ho perso d’occhio per quasi un mese, poi ho voluto cercare qualche informazione su di te e, beh, ho trovato il tuo blog e non lo so Luke!, mi sei sembrato così simile a me che ho sentito il bisogno di parlarti!»
«Però a scuola continuavi a trattarmi male.»
«Come ho detto: ero un coglione.» borbotta incrociando le braccia al petto «Ma ho smesso appena mi sono accorto in cosa stavo sbagliando.»
«Ed in cosa stavi sbagliando?» lo incalza di domande Spencer e Mike è certo che lo faccia perché vuole tutte le risposte subito, e non in un altro momento e di certo non può non esaudire questa sua richiesta.
«In tutto quello che ero.» si avvicina di un poco, con lentezza, per non spaventare l’altro; sono distanti di un solo passo, ma a Michael sembra una voragine.
«Quando ho notato che anche altri prendevano esempio dal mio comportamento, non solo verso di te, ho capito che stavo dando davvero un segnale negativo. Sono un controsenso vivente, ma non mi piace la violenza.»
Luke alza un sopracciglio, ma rimane in silenzio.
«Quando ho capito cosa ti rendeva schivo mi sono detto “Ehi! Ma non può essere per quello!” e così ho capito come guardavi il mondo; e come il mondo guardava te.» gli sorride timidamente «Continuo a pensare che i tuoi occhi siano la cosa più bella dell’universo.»
«Continuo a pensare che tu sia tutto strano.» risponde abbozzando un sorriso «Ma ancora non lo so se posso perdonarti. Devo pensarci.»
«Va bene.» acconsente mogio Mike avvicinandosi un altro poco, Luke non si allontana.
«A breve ci saranno gli esami. Devo assolutamente passarli a pieni voti; posso darti una risposta una volta che saranno finiti?»
«Due mesi?» domanda scioccato Michael stringendo i pugni.
«Per favore, concedimi un po’ di tempo.»
Donovan ci pensa alcuni istanti «Sì. Lo so che non vorrai parlarmi e sarai concentrato sullo studio, ma ti prego, non togliermi il saluto.» lo implora allungando una mano prendendo quella dell’altro tra le sue dita affusolate.
«Non potrei mai farlo, Mike.» risponde con un sorriso pieno di affetto.
 
***
 
Michael Donovan si è fatto bastare quel sorriso per due mesi. Anche se Luke lo ha sempre salutato ogni giorno, non gli ha mai più rivolto quell’espressione dolce e piena di speranza; nonostante la promessa, erano molte di più le volte che cercava di evitarlo.
C’è rimasto male, Mike, quando ha capito il vero peso dell’errore commesso: ha considerato Luke una sottospecie di Santo, una divinità pronta a perdonargli qualunque peccato – parole scortesi o azioni anche peggiori – eppure non ha tenuto conto del fatto che Luke Spencer è, in verità, un ragazzo di sedici anni con un cuore grande, certo, ma comunque umano.
È seduto sulle scale di cemento dell’ingresso della Westport High School, oggi è l’ultimo giorno di esami; il suo l’ha consegnato esattamente dodici minuti prima ed ora è in attesa che Luke Spencer esca dall’istituto. Non ha preparato alcun discorso, ha deciso di accettare qualunque sia il responso della sua cosina piccolina, qualunque sarà, sa di esserselo meritato. Le mani tremano, ha paura.
Ormai non riesce più a mentire a se stesso.
Sente la porta aprirsi e volta la testa per osservare la figura sottile di Luke uscire all’aria aperta, ha un sorriso soddisfatto sul volto.
Luke scende quei pochi gradini e si siede accanto a Mike che lo guarda con speranza negli occhi color ghiaccio.
«Ehi.» gli dice togliendosi il cappello e Mike emette un sospiro rilassato, quel “ehi” lo ha riportato a molto tempo prima.
«Ehi, com’è andata?»
«Molto bene.»
«Sono contento.» gli sorride gentile mentre con una mano gli scompiglia i capelli e, sì, sono davvero morbidi al tatto.
«Ascolta, Michael, quanto tempo hai a disposizione?»
Mike lo guarda stranito «Penso di non aver capito la domanda.»
Luke sorride mogio «Hai tre anni?»
Ed in quel momento comprende davvero, Michael, che cosa gli sta chiedendo la sua cosina piccolina; non sa se piangere di gioia o di tristezza.
«Sai su cosa ho fatto il saggio di letteratura?»
Luke fa un cenno negativo col capo.
«Sul sonetto numero 116 di Shakespeare.»
«Ma tu odi Shakespeare.» dice l’altro alzando un sopracciglio.
«Oh, lo so. Ma quel sonetto mi ha insegnato parecchie cose.» si schiarisce la gola «Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.» si specchia negli occhi di Luke, l’azzurro gli ricorda il mare calmo, il marrone le coste rocciose della Black’s Beach in California; ama il fatto che nel suo sguardo può vedere ogni cosa.
«Amore non è soggetto al Tempo,» riprende senza distogliere l’attenzione dai mari e dai monti di quegli occhi «pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.»
Spencer rimane in silenzio, beandosi di quello sguardo e di quelle parole, gli sorride divertito «L’hai imparato davvero bene.»
«Lo so, sono davvero bravissimo!»
«Devi capire» inizia con un tono serio Luke «che non ti sto punendo, che questa richiesta viene dalla ragione.»
«Parlamene.»
Luke sospira «Voglio essere la persona giusta per te, Mike. Ed adesso non lo sono. Voglio sconfiggere le mie fobie, il mio senso di colpa… voglio essere migliore di così e se tu sarai con me a proteggermi sempre, non credo di esserne davvero capace. Ho bisogno di farlo con le mie sole forze.»
Michael non sa cosa dire. È certo che tutto questo lo scombussolerà ancora di più, non sa come potrà resistere tre anni senza di lui «Capisco.»
«Davvero?»
«Sì, ma tu non hai paura che io mi stanchi di aspettare?»
Luke sorride «Non ti sto obbligando, Mike. Se fra tre anni esatti, tu sarai qui ad aspettarmi, allora so che tutto quello che ho pensato di te il primo giorno che ci siamo incontrati in questi corridoi è assolutamente vero.»
«E cosa hai pensato di me?»
Luke gli prende una mano tra la sua e ridacchia «Ti piacerebbe saperlo.»
«Beh, effettivamente…»
«Dai tempo al tempo, Michael Donovan, e vedrai che sarai ricompensato.»
«Belle parole, per uno che ha stranamente più forza e coraggio di me.» borbotta stringendo la presa, poggia la testa, sulla spalla dell’altro «Qualunque cosa succederà, so che mi mancherai moltissimo.»
«Lo stesso vale per me.»
Rimangono in quella posizione per un tempo infinito, nel silenzio dell’ormai finita primavera. I loro cuori non parlano, le loro menti non elaborano un futuro che potrebbe non avverarsi. Sono solo lì, ad osservare un cielo limpido di inizio giugno, con la speranza nel cuore e la malinconia nell’anima.

***
 
Luke Spencer è partito il giorno dopo gli esami saltando anche la consegna dei diplomi. Era stato scelto per fare il discorso di chiusura, ma ha lasciato il posto a Phillip Moore che ha accettato sentendosi onorato.
Michael pensa che il discorso di Phil sia perfetto e che racchiuda tutto il cambiamento che lo ha sommerso in quell’ultimo anno di scuola; sente caldo, Mike, nella toga di poliestere blu scuro. Osserva la sedia dove avrebbe dovuto sedere Luke, è tristemente vuota.
 
Finito il discorso, consegnati i diplomi, festeggiato con gli amici e compagni di squadra, Mike si toglie la tunica e, con un pennarello nella tasca dei jeans, si dirige all’interno della scuola; ha ancora una cosa da fare. Cammina piano, lentamente, non ha fretta di andarsene da lì, ci sono troppi ricordi che deve imprimere nella memoria prima di tornare a casa e lasciare Westport, cittadina fatta di mare, pesca e malinconia.
Si ferma in mezzo ad un corridoio, è quello dove ha incontrato gli occhi eterocromatici di Luke Spencer e di cui si è innamorato sin dal primo istante; è trascorso quasi un anno, eppure gli sembra ieri. Sorride riprendendo il suo cammino, ricordando il Sonetto letto e la prima volta in cui si è reso conto di provare dei sentimenti invidiabili per quella cosina piccolina che gli ha sconvolto il modo di vedere le cose; ricorda tutte le volte che lo ha aiutato, anche indirettamente, a sentirsi migliore. Prosegue il tragitto verso l’armadietto che era di Luke e, che da quest’anno, sarà di un nuovo acquisto della Westport High School: si possono notare ancora i tratti lasciati dal gesso della parola “mostro” ed alcuni rimasugli di colore a spray rosa con cui era stato scritto “frocio”.
Sospira forte, come a voler imprimersi per l’ultima volta l’odore che racchiude quell’armadietto. Prende il pennarello nero ed indelebile, sfila il tappo e poi scrive ciò che è sempre stato il piccolo Luke Spencer: un tornado.


 
You grow, you roar
Although disguised
I know you
You’ll learn to know
You grow, you grow like tornado

Richiude il pennarello ed osserva la scritta sullo sportello d’acciaio.
È perfetto!, pensa con soddisfazione.
Contempla il suo lavoro per una manciata di istanti, quanto basta per sentirsi felice; lancia il pennarello verso la pattumiera compiendo un canestro quasi invidiabile.
Sorride, infila le mani nelle tasche posteriori dei jeans e poi si gira.
Ha tre anni per diventare qualcuno che possa rimanere al fianco di Luke Spencer e non vuole perdere altro tempo.
 
 
 
 
***
 
3 anni dopo.
 
 
Michael Donovan sta camminando per i corridoi della Westport High School, sono silenziosi e quasi rispettosi della sua presenza; non sa il perché, ma viene investito da una scarica di emozioni contrastanti. Non gli è mai piaciuta Westport, l’ha sempre detestata, non ha mai avuto alcun legame serio per cui si debba sentire così felice di tornare tra quelle mura; ha sempre pensato, quando frequentava la scuola, che quando se ne sarebbe andato non avrebbe mai più fatto ritorno, nemmeno per salutare il suo coach di basket. Nemmeno suo padre. Ed invece sono cambiate tante cose dal primo anno di superiori: ha trovato delle persone fantastiche sul suo cammino, è riuscito a parlare con suo padre di tutto ciò che stavano facendo insieme di sbagliato, su come avrebbero dovuto vivere una vita migliore entrambi, sul fatto che avrebbero dovuto accettare davvero che l’unica donna per cui vivevano fosse morta. Hanno parlato, brontolato, discusso e gridato per ben due natali prima di riuscire a rendersi conto del dolore che stavano arrecando l’uno all’altro.
Ed è incredibile che, prima di andare a scuola per l’appuntamento con la cosina piccolina, è passato da casa, ha salutato suo padre con un abbraccio pieno di tutte le cose non dette negli anni precedenti e poi hanno fatto colazione insieme.
Cammina ancora sino ad arrivare nel corridoio in cui c’era l’armadietto di Luke, per scoprire se la sua dedica è scomparsa, cancellata dal tempo e dalla candeggina, o se è ancora lì, indelebile.
Aggrotta le sopracciglia notando una figura alta e slanciata intenta ad osservare il vecchio “porta-libri” del suo Spencer; forse è lo studente che lo ha avuto in quegli ultimi anni e, in vista del diploma, senta una nota di malinconia a lasciarlo; non lo sa, ma lo vuole allontanare per poter stare da solo a pensare.
«Non vorrei disturbarti, ma dovrei vedere una cosa…» dice con tono serio, il corpo davanti a lui si irrigidisce e domanda piano «L’hai scritto tu?»
«Sì.» Mike si gratta il collo, quella voce gli sembra di conoscerla.
«Davvero?»
«Già. Vuoi dirlo al preside e farmi espellere?»
«Credevo ti fossi già diplomato anni fa.» ride la figura e Mike si blocca, il respiro gli si ferma in gola ed il cuore perde un battito.
«Luke?» chiede piano, quasi in uno stato di trance, ha paura di essere in un sogno, o peggio, in una candid camera.
Il ragazzo di fronte a lui si volta mostrando un sorriso sereno in volto.
E Mike si sente morire.
È così bello…!, pensa facendo un paio di passi avanti, come attratto verso l’altro; Spencer fa lo stesso per potersi incontrare a metà strada.
«Sei cresciuto» constata notando che, finalmente, non deve abbassare la testa per guardarlo negli occhi «ti ricordavo alto un metro e un tappo.»
«E se ricordi meglio, penso di averti detto più volte che ero solo lento a crescere.»
Michael lo osserva rendendosi conto di quanto è cambiato in quei tre anni a Chicago: è alto un paio di centimetri in meno di lui, il fisico asciutto e snello mostra comunque delle braccia abbastanza muscolose, segno di un allenamento costante. I capelli castani sono diventati corti ai lati con un ciuffo più lungo e scarmigliato al centro, i piercing alle orecchie sono diventati quattro, ma gli occhi, Oh, i suoi occhi!, sono rimasti gli stessi.
Sono luminosi, speranzosi, pieni di vita!
Gli tremano le gambe e Mike è quasi certo che non lo reggeranno per molto.
«Sai» inizia Luke «la scuola ha concesso il permesso di creare un club LGBT. Il discorso di Phil del diploma ha fatto davvero centro.»
Michael ride «Phil è un ottimo oratore.»
«Me ne sono accorto; sono stato davvero fiero di lui.»
Il ragazzo dagli occhi ghiaccio lo guarda confuso «Sei davvero qui, non è un sogno?»
Luke allunga le mani prendendo quelle di Mike tra le sue, sono calde; bruciano di infinito.
«Non è un sogno.»
«Mi sei mancato.»
«Scusami.»
«No, scusami tu.»
«Ma adesso sono qui.»
«Sei davvero qui.»
«E non me ne andrò senza di te.»
«Ed io non ti lascerò andare senza portami con te.»
Si avvicinano ancora, i loro respiri sincroni possono fondersi in uno solo.
«Luke Spencer, ora ci credi che sono innamorato di te?»
«Sarebbe difficile credere il contrario.» sospira sbuffando una risata «Un tornado quindi.»
«Un tornado.» conferma sulle sue labbra.
  
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