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Autore: Fiore xx    23/05/2014    0 recensioni
Appena uscita dalla stazione, vide un tizio correre verso di lei, e dire che andava di fretta era niente; quando la sorpassò senti una fitta al fianco che le tolse il fiato per qualche secondo, non capì bene cos'era successo.
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«Che ti succede?» chiese lui allarmato per poi accucciarsi accanto a lei «Sei Anna, giusto?» proseguì, lei mugugnò qualcosa, che lui interpretò per un sì.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Scolastico
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It's a Crazy Life
 
Someday, we'll look back if we get out alive,
It's a crazy life
Someday, we'll get out of this crazy life
We'll get out alive
 
Sogna di volare, sogna di sentire, ali sopra il vento, cerca le mie mani, apri quel cassetto tirane fuori tutto, non pensare a niente, cerca di volare.
La sua canzone preferita prese ad echeggiare nell'aria -segno che l'ora di alzarsi-, si rigirò più volte nel letto, con qualche difficoltà trovò l’aggeggio e lo spense con una manata. Poi con un calcio si liberò delle coperte e sbarrò gli occhi.
Si alzò e preso quello che avrebbe indossato in seguito, s’infilò sotto il getto tiepido della doccia; incalzò un paio di jeans scuri e una felpa dello stesso colore, raccolse i capelli in una coda e si diresse in cucina.
«Buongiorno Spritz!» appena sentì l'ingresso di Anna nella stanza, il piccolo Jack Russel le corse incontro; sorridendo, Anna richiamò la piccola peste: «Dai vieni qui!» gli diede un pezzo di carota. Mentre gustava la verdura appena guadagnata, Anna ne approfittò per fare una breve colazione. «Hey birbante! Lasciami i pantaloni!» Spritz, infatti, per richiamare l'attenzione della padroncina tirava i pantaloni o i lacci delle scarpe. Dopo qualche coccola lo lasciò andare nella propria cuccia, si lavò i denti e, raccolta la borsa, uscì di casa. Direzione stazione.
Quel giorno fu costretta a prendere il treno, in quanto era previsto uno sciopero dei lavoratori; date le esperienze passate avrebbero bloccato la strada e lei non poteva permettersi di assentarsi da scuola. Pedalò più velocemente possibile, era in ritardo: “Strano” pensò sarcasticamente. Legò la sua amata bicicletta con tre catene: una per ciascuna ruota e una per legare il telaio al palo. Corse giù per le scale, salì al binario 3, girò a sinistra e fece per inserire i soldi, ma la biglietteria automatica era sparita; si guardò attorno con aria spaesata, finché la scorse al binario di fronte. Riprese la sua maratona mattutina, riuscì nell'intento di comprare un biglietto e balzare su un treno per Venezia; dentro la carrozza poté riacquistare un po' di fiato e dare una sistemata a quella che era rimasta di una coda di cavallo.

Appena uscita dalla stazione, vide un tizio correre verso di lei, e dire che andava di fretta era niente; quando la sorpassò sentì una fitta al fianco che le tolse il fiato per qualche secondo. Non capì subito l'accaduto, ma ripreso a respirare e appoggiata una mano sotto la felpa sulla parte dolorante, comprese di aver subito un accoltellata. La cosa più brutta fu che nessuno si accorse di niente, nonostante la scalinata fosse gremita di gente. Rimase qualche istante ferma sul posto, indecisa sul da farsi, poi cercò un bagno e vi si chiuse dentro. Sollevò la felpa, con un fazzoletto di cotone -che casualmente si trovava in una tasca dei jeans- imbevuto d'acqua tamponò la ferita, si sistemò alla meglio e si diresse a scuola.
Si accomodò al proprio posto, e appena la professoressa diede loro il via, iniziò a riempire quel foglio.
Mancavano poche righe, quando il dolore prese a farsi più forte; con fatica completò la risposta, e consegnato il compito, uscì dall'aula: quel tempo era previsto per recuperare l'intervallo perso.
«Ehi Annina!» Cristina, una sua compagna la invitò ad unirsi al gruppetto: stavano confrontando le risposte della simulazione, ma lei con un cenno e un sorriso tirato rifiutò e si rifugiò al bagno.
Qualche istante dopo sentì un tintinnio di chiavi familiari, il ragazzo che l'aveva colpita al cuore entrò, la fulminò come al solito e si chiuse in uno dei bagni. Di lui non sapeva niente, nemmeno il nome, era nuovo in quella scuola e lei con la sua migliore amica l'aveva soprannominato “S.I.” (soggetto ignoto). Cominciò a respirare affannosamente, un senso di calore la prevalse; quando il ragazzo uscì,
la trovò accasciata a terra, che si contorceva per il dolore.
«Che ti succede?» chiese lui allarmato per poi accucciarsi accanto a lei «Sei Anna, giusto?» proseguì, lei mugugnò qualcosa, che lui interpretò per un sì.
«Ho...una...ferita...sul fianco» disse ansimando «Ma te vai pure in classe, ti prenderai una nota a stare qui fuori, io ce la faccio. Ora mi alzo e rientro.» sapeva che non era vero, ma nonostante la gravità della situazione, a chiedere aiuto si sentiva quasi in colpa.
«Ascolta, non me ne frega un cazzo della nota. Qui tu stai male e hai bisogno d'aiuto, che tu lo voglia o no io non ti lascio da sola.» le disse con un tono che non ammetteva repliche «Ora però, collaboriamo. Okay?» Anna annuì leggermente.
Le sollevò la felpa, vide che il fazzoletto ormai poteva essere strizzato da quanto sangue c'era. Strabuzzò gli occhi, si stava facendo prendere dal panico, ma era meglio non darlo a vedere. La ragazza in risposta prese a tremare, imprigionata nelle convulsioni, poi chiuse gli occhi.
«No no! Anna! Anna, svegliati cazzo!» la scosse con delicatezza, ma lei non diede segni; così messo un braccio dietro la schiena e uno sotto le ginocchia, la sollevò e corse (per quanto gli era possibile, a causa dei pantaloni di qualche taglia superiore) veloce, dentro la prima aula che gli si era presentata davanti. «Vi prego aiutatemi! La ragazza sta morendo...» esclamò.
Notò la presenza di Carlo, il suo amico e vicino di casa, giunse alla conclusione che quella era la classe della ragazza. I compagni rimasti in aula per concludere la simulazione di seconda prova, alzata la testa dal foglio, si fecero prendere dallo spavento, uno quasi non svenne così come la professoressa, mentre altri corsero verso di lui.
«Oddio! Che le è successo?» chiese Michela, spaventata nel vedere la migliore amica in quelle condizioni.
«Io... Io... Non lo so. Cioè so solo che ha una grossa ferita sul fianco!» rispose.
«Okay, appoggiala pure qui! Ora cercherò di rianimarla. Te tienile la mano, incoraggiala.»  Luca, che aveva effettuato un corso di Primo Soccorso, analizzò la ferita ed ebbe la stessa reazione del ragazzo precedente.
«Dai Anna, avanti! Ce la puoi fare!» incitava la migliore amica.
Nel frattempo Luca testò che il polso era debole, così passò al massaggio cardiaco. «Per favore Anna, apri gli occhi...». Senti qualcuno stringergli la mano. «Sì così! Forza!» esclamò pieno di entusiasmo e la ragazza aprì gli occhi.
«Non pensavo di morire così giovane, ma se la morte è così mi piace. Sto lasciando questo Mondo tra le braccia del ragazzo che mi piace, tutti la desidererebbero!» affermò lei in una fase di enfasi e semi-incoscienza.
«No non è così. Tu ce la farai, promettimelo!» lei gli donò un sorriso sincero e si lasciò nuovamente andare. «No ti prego...» sussurrò con tono supplichevole.
Poi arrivarono i soccorsi, chiamati precedentemente dall'insegnante, caricarono Anna su una barella, e poi chiesero se qualcuno voleva accompagnarla. I compagni votarono per Michela.
«Giovanotto qual è il tuo nome? Vado ad avvisare la tua classe che ti muovi anche tu con lei!» disse la professoressa, mentre si faceva aria con il foglio delle domande.
«Federico Benetti». Entrambi si diressero nella rispettiva aula.
«Benetti le avevo detto solo...» il professore si interruppe vedendo la maglia sporca di sangue «Ma che sta succedendo qui?» domandò allarmato.
«Ragazzo vai pure, parlo io con il tuo docente!» intervenne la professoressa. Lui raccolse il proprio zaino sotto gli sguardi allibiti dei compagni, li incenerì con uno sguardo e si fiondò nella barca dell'ambulanza.

«Ah Signore! Non può andarsene anche lei!» sospirò Michela.
Ormai era da quasi un'ora che erano lì fuori in sala d'attesa per sapere qualcosa.
«Perché dici “anche lei”? Hai già perso qualche amico?» le chiese lui continuando a fissare il vuoto.
«È -fece una breve pausa e un respiro profondo- una storia un po' cruda.» Si voltarono entrambi a guardarsi, e l'espressione di Federico si fece preoccupata. «Te la racconto, ma non proferire parola con lei. Quando sarà pronta lo farà e te lo dirà.» lui annuì facendole segno di proseguire. «L'anno scorso, di notte, una banda di ladri è entrata nel suo palazzo. Hanno derubato e ucciso i suoi nonni e una vicina. E poi hanno assassinato anche i suoi.» la ragazza sospirò e concluse «Sentendo le urla, si chiuse nella sua stanza. Fingendosi morta è sopravvissuta.»
Federico la guardò sconvolto, ma non ebbe tempo di commentare in quanto un dottore uscì.
«Ragazzi, la situazione è molto seria. Dobbiamo operarla, ma vi dico subito che potrebbe non farcela. Scusatemi, vado a prepararmi.» Michela quasi non svenne, per fortuna il nuovo amico la sorresse. Già, erano diventati amici in quella strana occasione.
Gli altri compagni arrivarono due ore dopo, mentre Federico era andato a cambiarsi una maglietta nel bagno dell'ospedale. Si sedettero con l'amica in attesa di risposte.
«Micky, da quanto è dentro?» chiese una di loro con cautela. La ragazza guardò l'orologio posto nella parete di fronte e rispose.
«Da più di tre ore...» gli altri la guardarono stupiti. «No, non sento il bisogno di cambiarmi, spiegami come fai a pensare queste cose quando hai un'amica che sta lottando per vivere?» esclamò in lacrime, rispondendo ad uno sguardo di una che la guardava accigliata.
«Ma Fede? Non era venuto con te?» domandò Carlo
«Sì sono corso a cambiarmi, dovevo prendere aria così ho colto l'occasione» rispose il soggetto in questione «Dottore, co-come sta?» alla parola “dottore” tutti si girarono e accerchiarono quella figura.
«Ha perso molto sangue, e non ce l'ha fatta. Vogliate scusarmi, vado a sistemare delle carte sul fatto accaduto.» Il medico si dileguò, mentre ai ragazzi ci volle un po' per elaborare le parole uscite da quella bocca, poi scoppiarono in un pianto generale; si consolavano a vicenda. Carlo si accorse che Federico non dava segni di vita, quasi fosse caduto in una fase di trance, così gli si avvicinò. «Ehi amico!» prendendolo saldamente per le spalle, lo scosse leggermente «Per favore di qualcosa!» stava iniziando a preoccuparsi seriamente.
«Non può essere morta...» sussurrò con un filo di voce «Mi aveva promesso che sarebbe rimasta sveglia!». Poi qualche secondo dopo, prese ad agitarsi. «Non dovevi morire, cazzo!» tuonò, arrabbiato e colpendo con un pugno il muro. I compagni di Anna si girarono a guardarlo, Michela ne rimase stupita. «Se trovo quel fottuto bastardo che ti ha ridotto così lo ammazzo con le mie stesse mani!»
«Ehi, Fede.» Michela lo richiamò. «Calmati. Lei non vorrebbe vederti così triste, le piaceva il tuo sorriso. Posso capire come ti senti, ne abbiamo parlato prima; ma arrabbiarsi così non la riporterà in vita.» disse con tono diplomatico la migliore amica. Sembrava che il ragazzo avesse interpretato le parole e tutto si fosse riappacificato, invece si alzò, diretto verso la sala operatoria. Carlo lo seguì e prontamente lo afferrò per un braccio, lo fece voltare e lo imprigionò con lo sguardo.
«Togli la tua mano dal mio braccio.» disse a denti stretti.
«Oh no. Ora tu prendi e sposti le tue chiappe sulla sedia; quando il dottore darà il consenso, andrai da lei.» rispose il più grande con tono deciso.
«Se fosse stato veramente un dottore l'avrebbe salvata.» ribatté l'altro.
Il soggetto in questione, quasi sentitosi chiamare in causa, uscì di corsa dalla sala.
«Ragazzi! Ringraziate il cielo o chiunque ritenete responsabile: Anna è viva! Il  suo cuore ha smesso di battere per settanta interminabili secondi, poi ha canticchiato testuali parole: “Someday, we'll look back if we get out alive, It's a crazy life. Someday, we'll get out of this crazy life, We'll get out alive!” e poi ha aperto gli occhi sorridendo». La classe scoppiò nuovamente a piangere, di gioia questa volta. Anche gli occhi di Federico brillavano, ma non avrebbe mai pianto davanti a tutte quelle persone.
«Grazie ragazzone! L'hai salvata un'altra volta. E' proprio vero che la musica è parte di ognuno di noi, ci accompagna e spesso ci salva.» Michela aveva pronunciato quelle parole a voce alta, senza rendersene conto, e tutti la guardavano confusi. «Ciò che ha detto Anna, è un pezzo del ritornello di una canzone di Slash, il suo chitarrista preferito, ha deciso che vuole continuare a vivere: per lei, per noi, per te.» concluse guardando l'S.I. «Ora, dottore, possiamo entrare a darle anche solo un saluto?» si rivolse all'uomo in camice bianco che annuì sorridendo.
«Certo, ma non affaticatela troppo, è ancora debole!»
«Bene. Spero che voi tutti siate d'accordo con me. Federico è giusto che entri tu; se Anna è viva, lo dobbiamo solo a te.» disse, gli altri acconsentirono.
«Perfetto. Mi segua, la stanza è la 237.»
Michela non poté non sorridere: erano il giorno e il mese di nascita di Slash.
 


Spazio Autrice
Buonasera!
È la prima volta che scrivo una OS. La trama mi balenava in mente da qualche tempo, ma sapevo che non sarei riuscita ad estendere la storia.
Spero comunque sia piaciuta a qualcuno; vi va di farmelo sapere?
Fiore.
   
 
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