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Autore: Sad Angel    01/08/2008    2 recensioni
Per questa fanfiction ho pensato: e se...Bill fosse figlio unico? Se non avesse nessun gemello al suo fianco? Forse le cose sarebbero un pò diverse...
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Hallooooo^^

Hallooooo^^! Sono ancora qua…io continuo ad essere sempre più sconvolta dalla mia mente malata…scusate! Comunque questa volta mentre ero a letto riflettevo e Pam! Illuminazione! E se…

Spero che il primo capitolo piaccia! Buona lettura e grazie a tutti!

 

Einziger

 

“BILL!!!”

Il capo nascosto sotto le coperte, mi chiusi a riccio, tappandomi le orecchie con le mani, ignorando la voce che sentivo.

“BILL! E’ TARDI! PIANTALA DI POLTRIRE A LETTO! ALZATI!”

Sbuffai, mugugnando piano “…non voglio…” prima di farmi ancora più piccolo, come se, così facendo, sarei riuscito a sparire e mia mamma mi avrebbe lasciato in pace. Cinque minuti poi lei, rassegnata, entrò con passo deciso nella stanza, strappando dall’unico letto presente, in cui giacevo io, la coperta e spalancando la persiana, lasciando entrare il sole. Di riflesso, nascosi la testa sotto al cuscino, accecato dalla luce.

“…Neeeein…” mugugnai, ora perfettamente udibile mentre lei mi levava il cuscino dal capo.

“…Su, Billie…” iniziò con voce dolce “…i vestiti sono sulla sedia e la colazione è già in tavola…” dopo di ché si allontanò velocemente, portandosi via il cuscino, di modo che non potessi ricominciare a dormire.

Rimasi ancora una decina di minuti nel letto poi mi alzai, di malavoglia.

“BILL!” urlò ancora lei dalla cucina “Sono già le 7.35! Muoviti! Non devi fare ritardo a scuola!”

Sbuffai, afferrando i vestiti e gettando il pigiama sul letto prima di correre in bagno dove, con velocità derivata dalla pratica, mi sparai un po’ in aria i miei corti capelli e, utilizzando la matita nera della mamma, mi sottolineai delicatamente la linea degli occhi, prima di tornare in stanza, afferrare la borsa e gettarmi nel “mondo”. Mentre sbattevo la porta, sentii mia madre brontolare perché anche questa mattina avevo saltato la colazione. Non volendo rivelarle il motivo, la ignorai, fingendo di aver già acceso il walkman, cosa che feci non appena in strada.

 

La mia musica nelle orecchie, camminavo con passo lento, guardandomi attorno. Passai davanti alla vetrina di un negozio, mi fermai. Un ragazzino di 13 anni ricambiò il mio sguardo. Osservai la mia immagine riflessa, a lungo. Il magro volto, gli occhi annoiati, nessun sorriso.

Sembri un condannato a morte…, pensai e difatti era proprio così che mi sentivo. Un condannato a morte.

 

Ci eravamo trasferiti da circa un mese, da un piccolo paesino in una vera città, Magdeburg. Papà aveva avuto una promozione ed io e la mamma lo avevamo seguito.

Il Wilhelm che ricambiava il mio sguardo era tutt’altro che un Bill felice: il luogo, in cui avrei già dovuto essere da una buona mezz’ora, era un posto che odiavo con tutto me stesso. La scuola. Non mi ero mai sentito a mio agio nemmeno in quella dove ero cresciuto, dove conoscevo tutti. Il trasferimento di papà, il cambio di città, aveva reso il tutto un vero incubo.

Mentre mi incamminavo verso l’ingresso, le farfalle nello stomaco ed un principio di nausea, avrei voluto con tutto me stesso poter scomparire, essere ovunque eccetto lì.

Attraversai l’ingresso vuoto, per la seconda volta della mia vita, imboccando un corridoio sulla sinistra dove, tra le tante, c’era pure la mia classe.

 

La prima ora di lezione stava per concludersi ed io mi sedetti per terra nel corridoio, aspettando la sgridata che a breve sarebbe arrivata. Il walkman ancora in funzione, mi misi a canticchiare con voce lieve, la testa bassa, appoggiata sulle ginocchia. All’improvviso la porta si aprì con un scricchiolio. Io alzai immediatamente lo sguardo. Uno dei mille compagni di classe di cui non conoscevo il nome uscì dall’aula. Mi vide, si fermò, osservandomi attentamente. Distolsi lo sguardo, riappoggiando il capo, tornando ai miei pensieri. Pochi secondi. Si allontanò.

 

“Entra…Sei in ritardo…”

Finita l’ora di Tedesco, il professore di Matematica mi invitò ad unirmi ai miei compagni, con voce severa.

Mi alzai, lentamente, respirando a lungo. Sentivo gli occhi di tutti addosso, qualcuno ridacchiava, qualcun altro faceva commenti. Improvvisamente desiderai essere momentaneamente sordo, per risparmiarmi tutto questo. Respirai ancora profondamente, tenendo il capo basso, mordendomi le labbra. Solo quando mi fui seduto, il professore iniziò la spiegazione e finalmente l’insopportabile mormorio cessò. Non tentai nemmeno di prestare attenzione e, mentre il professore scriveva formule alla lavagna, lasciai vagare lo sguardo fuori dalla finestra. Non so cosa avrei dato per potermene andare e non dover più tornare, non dovermi più sentire così fuori posto. Sospirai.

 

Driiiin

Aprii gli occhi di colpo. Il capo appoggiato alle braccia, dovevo essermi addormentato ma fortunatamente il ragazzo davanti a me mi aveva involontariamente coperto dallo sguardo del professore, evitando la seconda sgridata della giornata.

Mi sfregai gli occhi assonnati, senza ottenere grandi risultati.

Va beh che la Matematica di norma non è una materia che entusiasma…, mi dissi fra me e me,…ma stavolta l’ho rischiata davvero grossa. E fra poco ho addirittura Chimica! Accidenti!

Spostai la sedia di scatto, alzandomi per approfittare dei pochi minuti di libertà per andare in bagno a sciacquarmi il viso, sperando di sortire qualche effetto.

Uscii in corridoio e sgranai gli occhi. Praticamente tutto l’istituto stava approfittando del momento per trovarsi a parlare. Sentii l’ansia crescere alla bocca dello stomaco quando, non appena ebbi appoggiato il piede nel corridoio, tutti si voltarono a guardarmi.

Un secondo di silenzio. Deglutii, preoccupato. Non mi piaceva tutto questo. Ero fin troppo abituato alle prese in giro, per non sentirne l’odore a chilometri di distanza e questa situazione prometteva davvero male… Accelerai il passo, fingendo indifferenza. I ragazzi e le ragazze si spostavano, mi additavano o ridacchiavano tra loro. Sentii gli occhi bruciarmi per le lacrime trattenute ma deglutii, cercando di non mostrarmi debole davanti a loro. Il bagno era vicino. Pochi passi e sarei stato salvo.

Ehy, tu sei il nuovo arrivato, vero?” domandò un ragazzo corpulento con voce strafottente, facendosi largo fra gli studenti per avvicinarsi a me. Un secondo dopo, accanto a lui apparvero altri due ragazzi, più bassi e più magri.

Nein…, pensai sconfortato,…è solo il secondo giorno che sono qui, non ho ancora conosciuto nessuno ma sto già per diventare la vittima preferita del bullo locale…nuovo record…Perfekt

Presi un bel respiro e lo ignorai, sperando che così lui avrebbe trovato qualcun altro da importunare ma a quanto pareva il bullo non era dello stesso avviso perché mi afferrò con violenza il braccio, trattenendomi “Ehy, dove scappi?!? Aspetta, aspetta!”

Io mi divincolai, con scarsi risultati. Deglutii ancora, temendo ciò che sarebbe successo a breve, rivivendo le scene del passato. “Volevi andare in bagno?” chiese all’improvviso poi, rivolgendosi al resto della scuola che pendeva dalle sue labbra, continuò “Ma non lo sai, carina, che il bagno delle ragazze è in quella direzione?!?

Alla sua battuta scoppiò un boato di risa. Io tremai, cercando di trattenere le lacrime di rabbia. Ero solo. Non avevo nessuno che potesse difendermi e avevo scarse possibilità di poter risolvere la faccenda con la forza bruta.

Scheiße…pensai, meditando di tirargli un calcio nelle parti basse per farlo star zitto,…ma chissà perché quelli che si sentono il “gran uomo di turno” generalmente sfottono gli altri sempre da soli, senza amici che li spalleggiano?!?..., mi domandai sarcastico.

Indeciso sul da farsi, rimasi qualche secondo immobile finché lui, vedendo che non avevo reazione alcuna, iniziò a trascinarmi verso il lato opposto del corridoio. Vedendo avvicinarsi il bagno delle ragazze, impallidii.

Siccome sei nuova, carina, per questa volta ti aiuto volentieri io a trovare il tuo posto…” disse lui con voce divertita, continuando a trascinarmi, nonostante i miei tentativi di opporre resistenza. Osservai i ragazzi attorno, volto per volto, ognuno ridente, domandandomi come si potesse essere così crudeli nel gioire delle disgrazie altrui.

“Lasciami andare!” esclamai al colmo della rabbia generata dal mio ultimo pensiero. “Non sono una ragazza e tu lo sai benissimo!”

Il bullo si ammutolì un secondo, guardandomi in cagnesco, poi rise. “Di cosa ti vergogni, carina?!? Perché devi rinnegare la tua femminilità?!?” e, così dicendo, sotto le risate dell’intero corridoio, spalancò la porta del bagno femminile e mi spinse dentro di peso.

La porta spalancata, vidi il suo faccione ridente, accerchiato da quelli degli altri compagni che si accalcavano, come intorno ad una preda. Li fissai, senza vederli realmente. Davanti agli occhi, le molte scene analoghe degli anni passati.

“Fai pure con calma, carina, tanto non credo che nessuno sentirà la tua mancanza a lezione…” iniziò con voce maligna. Dietro di lui, sorrisi crudeli. Ovunque.

Lo fissai, cercando di non abbassare lo sguardo, di non dargli anche quella soddisfazione.

Driiin.

La seconda campana suonò. Sul volto di molti vidi passare un’ombra, come se pensassero che, purtroppo, dovevano interrompere quel divertentissimo gioco. Il bullo strinse gli occhietti maligni “Comunque…” iniziò, richiudendo lentamente la porta del bagno “…è davvero un peccato che tu sia figlia unica…sarebbe stato interessante scoprire che aspetto avrebbe avuto la tua versione maschile…”

Risa. Tante risa. Io tremai. La porta, praticamente chiusa quando, mentre li sentii allontanarsi, mi abbandonai sull’umido pavimento. Singhiozzai, il più silenziosamente possibile mentre le lacrime cadevano, rigandomi le guance, mischiandosi al trucco. Mi strinsi nelle spalle, cercando inutilmente di farmi forza, una volta realizzato che il bullo aveva ragione. Nessuno si sarebbe accorto della mia assenza. Ero solo. Completamente solo. 

 

 

Continua…

 

 

  
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