Hallooooo^^!
Sono ancora qua…io continuo ad essere sempre più
sconvolta dalla mia mente malata…scusate! Comunque
questa volta mentre ero a letto riflettevo e Pam!
Illuminazione! E se…
Spero che il
primo capitolo piaccia! Buona lettura e grazie a tutti!
Einziger…
“BILL!!!”
Il capo nascosto sotto le coperte, mi
chiusi a riccio, tappandomi le orecchie con le mani, ignorando la voce che
sentivo.
“BILL! E’ TARDI!
PIANTALA DI POLTRIRE A LETTO! ALZATI!”
Sbuffai, mugugnando piano “…non voglio…”
prima di farmi ancora più piccolo, come se, così facendo, sarei
riuscito a sparire e mia mamma mi avrebbe lasciato in pace. Cinque
minuti poi lei, rassegnata, entrò con passo deciso nella stanza, strappando dall’unico
letto presente, in cui giacevo io, la coperta e spalancando la persiana,
lasciando entrare il sole. Di riflesso, nascosi la testa sotto al cuscino, accecato dalla luce.
“…Neeeein…”
mugugnai, ora perfettamente udibile mentre lei mi levava il cuscino dal capo.
“…Su, Billie…”
iniziò con voce dolce “…i vestiti sono sulla sedia e la colazione è già in
tavola…” dopo di ché si allontanò velocemente,
portandosi via il cuscino, di modo che non potessi ricominciare a dormire.
Rimasi ancora una
decina di minuti nel letto poi mi alzai, di malavoglia.
“BILL!” urlò ancora
lei dalla cucina “Sono già le 7.35! Muoviti! Non devi fare ritardo a
scuola!”
Sbuffai, afferrando i vestiti e gettando
il pigiama sul letto prima di correre in bagno dove, con velocità derivata
dalla pratica, mi sparai un po’ in aria i miei corti capelli e, utilizzando la
matita nera della mamma, mi sottolineai delicatamente
la linea degli occhi, prima di tornare in stanza, afferrare la borsa e gettarmi
nel “mondo”. Mentre sbattevo la porta, sentii mia
madre brontolare perché anche questa mattina avevo saltato la colazione. Non
volendo rivelarle il motivo, la ignorai, fingendo di aver già acceso il
walkman, cosa che feci non appena in strada.
La mia musica nelle orecchie, camminavo
con passo lento, guardandomi attorno. Passai davanti alla vetrina
di un negozio, mi fermai. Un ragazzino di 13 anni ricambiò il mio
sguardo. Osservai la mia immagine riflessa, a lungo. Il magro volto, gli occhi
annoiati, nessun sorriso.
Sembri un condannato a morte…, pensai e difatti era proprio così che mi sentivo. Un condannato
a morte.
Ci eravamo trasferiti da circa un mese, da
un piccolo paesino in una vera città, Magdeburg. Papà
aveva avuto una promozione ed io e la mamma lo avevamo
seguito.
Il Wilhelm che
ricambiava il mio sguardo era tutt’altro che un Bill felice: il luogo, in cui avrei già dovuto essere da una
buona mezz’ora, era un posto che odiavo con tutto me stesso. La scuola. Non mi
ero mai sentito a mio agio nemmeno in quella dove ero cresciuto, dove conoscevo
tutti. Il trasferimento di papà, il cambio di città, aveva reso il tutto un
vero incubo.
Mentre mi incamminavo
verso l’ingresso, le farfalle nello stomaco ed un principio di nausea, avrei
voluto con tutto me stesso poter scomparire, essere ovunque eccetto lì.
Attraversai l’ingresso vuoto, per la
seconda volta della mia vita, imboccando un corridoio sulla sinistra dove, tra
le tante, c’era pure la mia classe.
La prima ora di lezione stava per concludersi ed io mi sedetti per terra nel corridoio,
aspettando la sgridata che a breve sarebbe arrivata. Il walkman ancora in
funzione, mi misi a canticchiare con voce lieve, la testa bassa, appoggiata
sulle ginocchia. All’improvviso la porta si aprì con un
scricchiolio. Io alzai immediatamente lo sguardo. Uno dei mille compagni di
classe di cui non conoscevo il nome uscì dall’aula. Mi vide, si fermò,
osservandomi attentamente. Distolsi lo sguardo, riappoggiando il capo, tornando
ai miei pensieri. Pochi secondi. Si allontanò.
“Entra…Sei in ritardo…”
Finita l’ora di Tedesco, il professore
di Matematica mi invitò ad unirmi ai miei compagni,
con voce severa.
Mi alzai, lentamente, respirando a
lungo. Sentivo gli occhi di tutti addosso, qualcuno ridacchiava, qualcun altro
faceva commenti. Improvvisamente desiderai essere
momentaneamente sordo, per risparmiarmi tutto questo. Respirai ancora
profondamente, tenendo il capo basso, mordendomi le labbra. Solo quando mi fui
seduto, il professore iniziò la spiegazione e finalmente l’insopportabile
mormorio cessò. Non tentai nemmeno di prestare attenzione e, mentre il
professore scriveva formule alla lavagna, lasciai vagare lo sguardo fuori dalla finestra. Non so cosa avrei
dato per potermene andare e non dover più tornare, non dovermi più
sentire così fuori posto. Sospirai.
Driiiin
Aprii gli occhi di colpo. Il capo
appoggiato alle braccia, dovevo essermi addormentato ma fortunatamente il
ragazzo davanti a me mi aveva involontariamente
coperto dallo sguardo del professore, evitando la seconda sgridata della
giornata.
Mi sfregai gli occhi assonnati, senza
ottenere grandi risultati.
Va beh che la Matematica di norma non è
una materia che entusiasma…, mi dissi fra me e me,…ma
stavolta l’ho rischiata davvero grossa. E fra poco ho
addirittura Chimica! Accidenti!
Spostai la sedia di scatto, alzandomi
per approfittare dei pochi minuti di libertà per andare in bagno a sciacquarmi
il viso, sperando di sortire qualche effetto.
Uscii in corridoio e sgranai gli occhi. Praticamente tutto l’istituto stava approfittando del
momento per trovarsi a parlare. Sentii l’ansia crescere alla bocca dello
stomaco quando, non appena ebbi appoggiato il piede nel corridoio, tutti si
voltarono a guardarmi.
Un secondo di silenzio. Deglutii,
preoccupato. Non mi piaceva tutto questo. Ero fin troppo abituato alle prese in
giro, per non sentirne l’odore a chilometri di distanza e questa situazione
prometteva davvero male… Accelerai il passo, fingendo indifferenza. I ragazzi e
le ragazze si spostavano, mi additavano o ridacchiavano tra loro. Sentii gli
occhi bruciarmi per le lacrime trattenute ma deglutii, cercando di non
mostrarmi debole davanti a loro. Il bagno era vicino. Pochi passi e sarei stato
salvo.
“Ehy, tu sei
il nuovo arrivato, vero?” domandò un ragazzo corpulento con
voce strafottente, facendosi largo fra gli studenti per avvicinarsi a me. Un
secondo dopo, accanto a lui apparvero altri due ragazzi, più bassi e più
magri.
Nein…, pensai sconfortato,…è
solo il secondo giorno che sono qui, non ho ancora conosciuto nessuno ma sto
già per diventare la vittima preferita del bullo locale…nuovo record…Perfekt…
Presi un bel respiro e lo ignorai,
sperando che così lui avrebbe trovato qualcun altro da importunare ma a quanto
pareva il bullo non era dello stesso avviso perché mi
afferrò con violenza il braccio, trattenendomi “Ehy,
dove scappi?!? Aspetta, aspetta!”
Io mi divincolai, con scarsi risultati.
Deglutii ancora, temendo ciò che sarebbe successo a breve, rivivendo le scene
del passato. “Volevi andare in bagno?” chiese all’improvviso poi, rivolgendosi
al resto della scuola che pendeva dalle sue labbra, continuò “Ma non lo sai,
carina, che il bagno delle ragazze è in quella direzione?!?”
Alla sua battuta scoppiò un boato di
risa. Io tremai, cercando di trattenere le lacrime di rabbia. Ero solo. Non
avevo nessuno che potesse difendermi e avevo scarse
possibilità di poter risolvere la faccenda con la forza bruta.
Scheiße…pensai, meditando di tirargli un
calcio nelle parti basse per farlo star zitto,…ma
chissà perché quelli che si sentono il “gran uomo di turno” generalmente
sfottono gli altri sempre da soli, senza amici che li spalleggiano?!?..., mi
domandai sarcastico.
Indeciso sul da farsi, rimasi qualche
secondo immobile finché lui, vedendo che non avevo reazione alcuna, iniziò a
trascinarmi verso il lato opposto del corridoio. Vedendo avvicinarsi il bagno
delle ragazze, impallidii.
“Siccome sei
nuova, carina, per questa volta ti aiuto volentieri io a trovare il tuo posto…”
disse lui con voce divertita, continuando a trascinarmi, nonostante i miei
tentativi di opporre resistenza. Osservai i ragazzi attorno,
volto per volto, ognuno ridente, domandandomi come si potesse essere
così crudeli nel gioire delle disgrazie altrui.
“Lasciami andare!” esclamai al colmo
della rabbia generata dal mio ultimo pensiero. “Non sono una ragazza e tu lo
sai benissimo!”
Il bullo si ammutolì
un secondo, guardandomi in cagnesco, poi rise. “Di cosa ti vergogni,
carina?!? Perché devi rinnegare la tua femminilità?!?”
e, così dicendo, sotto le risate dell’intero corridoio, spalancò la porta del
bagno femminile e mi spinse dentro di peso.
La porta
spalancata, vidi il suo faccione ridente, accerchiato da quelli degli altri
compagni che si accalcavano, come intorno ad una preda. Li fissai, senza vederli realmente.
Davanti agli occhi, le molte scene analoghe degli anni passati.
“Fai pure con calma, carina, tanto non
credo che nessuno sentirà la tua mancanza a lezione…” iniziò con voce maligna.
Dietro di lui, sorrisi crudeli. Ovunque.
Lo fissai, cercando di non abbassare lo
sguardo, di non dargli anche quella soddisfazione.
Driiin.
La seconda campana suonò. Sul volto di
molti vidi passare un’ombra, come se pensassero che, purtroppo, dovevano
interrompere quel divertentissimo gioco. Il bullo strinse gli occhietti maligni
“Comunque…” iniziò, richiudendo lentamente la porta
del bagno “…è davvero un peccato che tu sia figlia unica…sarebbe stato
interessante scoprire che aspetto avrebbe avuto la tua versione maschile…”
Risa. Tante risa. Io tremai. La porta, praticamente chiusa quando, mentre li sentii allontanarsi,
mi abbandonai sull’umido pavimento. Singhiozzai, il più silenziosamente
possibile mentre le lacrime cadevano, rigandomi le guance, mischiandosi al
trucco. Mi strinsi nelle spalle, cercando inutilmente di farmi forza, una volta
realizzato che il bullo aveva ragione. Nessuno si
sarebbe accorto della mia assenza. Ero solo. Completamente solo.
Continua…