Fanfic su artisti musicali > Austin Mahone
Segui la storia  |      
Autore: Tellie    25/05/2014    0 recensioni
«Perché torni qui ogni volta? Continui a farti del male.» intrecciò le nostre dita, inginocchiandosi di fianco a me.
«Cercavo delle risposte.» sospirai, guardandolo negli occhi.
«Se le trovassi, sarebbero bugie.» sfregò le dita sul dorso della mia mano.
Io sapevo cos’era successo. Ero sicura di ciò che avevo visto. Lui non c’era. Come poteva dire che stavo sbagliando? Come poteva dire che non avevo ragione?
«Beau, non ha detto quelle cose a caso.» affermai sicura, cercando di mantenere il contatto con i suoi occhi.
«E tu invece sai che è sempre stato bugiardo. In quell’occasione, più del dovuto. Non devi ancora pensare a ciò che ha detto.» mi rimproverò, stringendomi fra le braccia.
*
«Ci pensi mai?» chiese, al che io lo guardai perplessa «l’orizzonte. Cioè, lo guardi e ti viene voglia di raggiungerlo. Ma quando poi ci sei, ne vedi un altro dal punto in cui sei arrivato, e quindi vuoi arrivare anche a quello.»
«Quindi, è meglio la ricerca del raggiungimento, per te?» domandai, cercando di cogliere il vero significato delle sue parole.
«Dipende da cosa si raggiunge.» si voltò a guardarmi, e potei notare una sfumatura azzurra nei suoi occhi.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I




La casa sulla riva del mare non era mai cambiata, era rimasta sempre la stessa con gli stessi mobili del 2004, le stesse pareti e le stesse stanze. Il paesaggio, si sa, cambia sempre, anche nel più minimo particolare: la sabbia era sempre del colore dell’oro, come la pelle che avevo sempre voluto, abbronzata al punto giusto, ma nonostante i giorni passati lì, ero sempre rimasta bianca come la schiuma del mare. L’acqua cristallina rifletteva la luce arancione del sole del pomeriggio, il quale batteva sulla pelle come se l’accarezzasse dolcemente. Tutto era rimasto com’era: la casa, il mare, la sabbia, il sole. Anche nella casa non avevo toccato nulla: da quel giorno ad oggi avevo lasciato tutto invariato, non avevo spostato neanche un grammo di polvere. L’unica ad essere cambiata ero io. Non dipendeva da me: con le situazioni, tutti cambiamo. Sono proprio le situazioni estranee che fanno cambiare le persone, proprio perché il modo in cui affrontarle è sconosciuto: come potevo saperlo io che andava a finire così?
«Becca, dove sei?» la voce di Beau mi chiamò in lontananza.
Mi conosceva troppo bene: come faceva? Io di me non conoscevo niente: credevo di fare certe cose, e invece reagivo tutta al contrario. Pensavo certe cose, speravo certe cose, e invece era tutto diverso, tutto a rovescio. La vita non è mai come ci si aspetta: qualche volta ci si avvicina, altre fa un buco nell’acqua.
«Eccoti. Perché ti nascondi sempre?» si sedette sulla sdraio di fianco alla mia.
«Non fa differenza se mi nascondo o se rimango in pubblico.» sbuffai, continuando a guardare il mare.
Era una cosa che mi rilassava, vedere le onde infrangersi sulla riva, la schiuma che spariva, per poi ripetersi un altro milione di volte. Era un po’ come me: spariva, poi tornava e spariva di nuovo, senza che nessuno ci facesse particolarmente caso.
«Sai anche tu che non è vero» replicò lui, mettendosi a sedere e per guardarmi negli occhi «e poi, cazzo, mettiti qualcosa addosso, che poi, oltre alle sigarette, mi tocca portarti anche le medicine.»
Mi posò sulle spalle il giubbotto di pelle, sperando che mi facesse caldo –cosa che non succedeva-: era sempre stato così, Beau, sempre così protettivo e geloso di me. Si preoccupava sempre, nonostante creassi solo problemi: mi portava le sigarette di nascosto –le comprava lui perché i miei non volevano-, si occupava di me qualsiasi cosa avessi, anche il più lieve raffreddore, mi cacciava sempre fuori dai guai, e mi iniettava una carica di autostima che, purtroppo per lui, durava poco. Bloccai il suo polso prima ancora che potesse allontanarsi; gli presi una mano, e la strinsi fra le mie.
«Perché torni qui ogni volta? Continui a farti del male.» intrecciò le nostre dita, inginocchiandosi di fianco a me.
Già, perché? Aveva ragione, era da masochisti continuare a venire in questa casa, perché portava alla mente solo brutti ricordi. Eppure, eccomi qui.
«Cercavo delle risposte.» sospirai, guardandolo negli occhi.
Pessima mossa, mi ripetei nella mente, i suoi occhi erano così azzurri da fare quasi paura, ogni volta riuscivano a leggermi dentro e per me era la fine, perché non potevo mai nascondergli qualcosa che, tanto, la scopriva poco dopo. Era una cosa con cui andavo avanti ormai da parecchio tempo, non ne voleva sapere di farsi dimenticare. Per essere ricordati, basta che il proprio nome sia scritto da qualche parte dove tutti possono leggerlo. Ma nonostante tutti i giornali, le riviste e i video fossero stati archiviati, io me lo ricordavo ancora come se fosse accaduto due secondi prima.
«Se le trovassi, sarebbero bugie.» sfregò le dita sul dorso della mia mano.
Io sapevo cos’era successo. Ero sicura di ciò che avevo visto. Lui non c’era. Come poteva dire che stavo sbagliando? Come poteva dire che non avevo ragione?
«Beau, non ha detto quelle cose a caso.» affermai sicura, cercando di mantenere il contatto con i suoi occhi.
«E tu invece sai che è sempre stato bugiardo. In quell’occasione, più del dovuto. Non devi ancora pensare a ciò che ha detto.» mi rimproverò, stringendomi fra le braccia.
*
Conclusi il tema, lanciando la penna nell’astuccio ed alzandomi, strascicando la sedia sul pavimento, anche abbastanza rumorosamente. Consegnai la bella copia alla prof, poi uscii di classe, indisturbata, inosservata: tirai fuori le Marlboro dalla tasca della felpa di Beau e andai in giardino, quel giardino immenso attorno alla scuola, dove mi era capitato di stare quando c’era un po’ di sole. Iniziai a fumare in pace, senza che mi sentissi un peso –strano-, dato che lì non c’era nessuno.
«Quale dubbio esistenziale di porta a fumare, Annie?» ormai non ci facevo neanche più caso.
Piombava così all’improvviso che non mi faceva più paura. Rispetto a prima, rispetto a due anni fa, avevo fatto un grande miglioramento: prima mi si raggelava il sangue nelle vene, adesso lo consideravo solamente una zanzara fastidiosa. E poi, usava sempre quel soprannome inutile, sperando di farmi perdere le staffe: non sarebbe successo, non di nuovo.
«Cercavo di non pensare a quanto fai pena. Mi dispiace per te.» guardai il cielo, perché se mi voltavo verso di lui, forse gli avrei tirato un pugno.
«Mi fai sempre l’onore di inserirmi fra i tuoi pensieri.» mi soffiò direttamente all’orecchio, sedendosi poi accanto a me.
 «Parliamoci chiaro: che cosa vuoi, Derek?» lo guardai, alzando un sopracciglio.
Sentii la sua risata arrivarmi all’orecchio: mi dava solo fastidio. Per tanto tempo lo avevo ammirato, quasi adorato per il suo aspetto, ora volevo solamente sputargli in un occhio.
«Impaziente come sempre, eh Annie?» ridacchiò, ricambio il mio sguardo «vedo che non perdi le vecchie abitudini.»
«Neanche tu ti smentisci, Derek.» continuai a guardarlo negli occhi, portando la sigaretta alle labbra.
«Mi chiedevo solamente dove hai lasciato il tuo amico. Strano che non si sia ancora messo nei guai.» dichiarò, mettendosi le mani in tasca.
«Lascia stare Beau.» il mio tono di voce diventò fermo e sicuro, mentre speravo che un fulmine potesse colpirlo in quell’istante.
Beau non si tocca, stronzo.
«Uh, la piccola Annie tira fuori gli artigli per il suo amico..» un sorrisetto gli si stampò in faccia.
«Va’ via, Derek.» Beau comparve alle mie spalle, lo sguardo puntato sul biondo.
Il suo sguardo era freddo, impassibile, fisso sul ragazzo di fronte a lui: non batteva ciglio, non si perdeva neanche un movimento di Derek. Il suo respiro stava diventando mano a mano meno irregolare, ma cercava di non darlo a vedere.
«Ci mancava solo lui. Che c’è, ti mancava la fidanzatina?» si voltò a guardarlo «non le ho fatto nulla, perlomeno non ancora. Non ti preoccupare.»
«Levati dalle palle. Te lo dico una volta sola Derek.» il moro si avvicinò, mettendosi di fronte a lui.
Non smetteva di guardarlo negli occhi, la mascella contratta, i pugni serrati e lungo i fianchi. Mancava davvero poco, Beau lo avrebbe distrutto di nuovo se non si sarebbe trattenuto.
«Quant’è che non ti metti nei guai? Una settimana forse? Un po’ troppo, direi» Derek si alzò, così che Beau fu costretto ad indietreggiare per far sì che i loro corpi fossero l’uno di fronte all’altro «ah già, dimenticavo la tua perfomance di mercoledì sera.»
Di che parlava? Mercoledì sera? Io e Beau eravamo insieme mercoledì sera, lo avevo invitato da me, ci eravamo guardati un film dopo cena, anche quella passata in camera mia, poi era rimasto con me finché non mi ero addormentata e si era fatto trovare nel mio letto al mio risveglio. Beau esce di notte, ma non quando c’è scuola, o almeno lo fa di rado, rispetto a prima. Stavo cercando di capire quando avrebbe potuto fare ‘’la sua performance’’ –a detta di Derek, poi quello sparava un sacco di stronzate mirate a far discutere me e Beau-, ricordando la serata di mercoledì.
«Arrivo più tardi. Leggero contrattempo.» mi aveva detto, prima di venire da me.
Merda, che mi stava nascondendo?
«Brutto figlio di put-» iniziò a dire il moro, alzando il pugno.
«Beau» lo fermai «non ne vale la pena.»
Derek non la smetteva di sorridere: questo era ciò che voleva, far mettere nuovamente nei guai Beau. E c’era riuscito parecchie volte: lui diceva qualcosa di troppo, e l’altro alzava le mani. L’impulsività di Beau non aveva ancora trovato un limite. Il moro sospirò, rimettendo il braccio lungo il fianco.
«Non finisce qua.» lo minacciò, portandomi via di lì.
Il biondo aveva ancora stampata in viso quella faccia a schiaffi che notai prima di voltarmi, sotto l’ala protettiva del moro che mi portò un braccio attorno alle spalle, stringendomi a sé e camminando a passo veloce verso l’altro lato del giardino, sperando che Derek non ci raggiungesse di nuovo, altrimenti avrebbe avuto un controllo all’ospedale più vicino di quanto credesse.
«Beau» lo chiamai, a bassa voce, al che non rispose, perciò riprovai «Beau.», ma senza risultato.   Mi stava ignorando volutamente, ancora preso dall’ira: sapevo che, quando era incazzato, era intrattabile –come se da normale non lo fosse- e che andava lasciato stare, ma qui mi stava nascondendo qualcosa e la sua reazione già me lo faceva capire. Mi misi di fronte a lui, bloccandogli la strada.
«Cos’hai fatto mercoledì sera prima di venire da me?» lo guardai fisso negli occhi «non provare a dire niente, perché non ci credo. So benissimo che Derek vuole soltanto dividerci, ma tu mercoledì hai fatto tardi, e non inventarti una qualsiasi cazzo di scusa perché sono stanca di essere tenuta all’oscuro da ciò che fai.»
Soppesò le mie parole, pensandoci, valutandole. Continuava a guardarmi, le pupille che quasi tremavano, l’espressione immobile che non faceva trapelare niente. Sospirò, abbassando lo sguardo, portandomi contro il suo petto, fra le sue braccia, inspirando il suo profumo. Mi accarezzava i capelli con una mano, mentre con l’altra mi teneva stretta a lui, come per paura.
«Scusa» pronunciò «tu hai il diritto di sapere. E’ solo che.. non è facile per me. E’ un’abitudine che non riesco a far smettere.»
«Sei ancora tornato lì? Beau, lo sai che ti fa male..» alzai lo sguardo.
«Lo so! Il problema è che ne sono consapevole! E nonostante tutto, continuo lo stesso! Mi sento in colpa verso me stesso, non sai quanto..» scosse la testa afflitto.
«Ma non credo che Derek stesse parlando solo di questo.» lo fermai, cercando di farmi dire di più.
Strinse le labbra, prendendosi un attimo. «Dopo l’incontro, quello che avevo sconfitto venne fuori a cercarmi. Voleva farmi fuori, perché lo avevo messo al tappeto, e con lui anche due suoi amici, che avevano di conseguenza perso soldi. Prima cercava solamente di infastidirmi, poi era diventato una palla al piede e lo spinsi. Aveva un coltellino, voleva tagliarmi la gola» deglutì, ed io trattenni il fiato «sono riuscito a schivarlo, mandandolo a terra di nuovo e gli ho tirato qualche calcio nello stomaco. La polizia era nelle vicinanze, così sono scappato non appena ho sentito la sirena, e poi sono arrivato da te.»
Beau aveva un’attitudine naturale nel mettersi nei guai. Non lo faceva apposta, ma era più forte di lui. Ma era anche contro di lui, in quanto le situazioni non le creava, né faceva sì che accadessero. Era la sua caratteristica principale.
«Non riesci a resistere ad una qualsiasi situazione in cui potresti far male a qualcuno, eh?» sorrisi amaramente.
«Soprattutto se qualcuno vuole fare del male a me o a te. Io mi so difendere da solo. Ma quando riguarda te.. ci vedo rosso come i tori, hai presente?» chiarì, passandomi una mano fra i capelli.
*
Mi tolsi velocemente le scarpe per evitare di sporcarle subito, e le infilai nella borsa, con i calzini all’interno. Sentii subito la consistenza della sabbia sotto la pianta del piede, fresca ed asciutta. Scivolava fra le dita con facilità, quando presi a camminare. La borsa rimbalzava poco più sopra del ginocchio destro, e ormai non ci facevo neanche più caso, perché altrimenti avrei dovuto sistemarla ogni due secondi. Arrivai al molo di legno, e mi sedetti sulla sabbia proprio lì di fianco, distendendo il telo. Mi piaceva osservare le persone che facevano avanti e indietro, immaginando la loro vita e ciò che potevano fare, mi distoglieva dai miei pensieri e preoccupazioni.
«Mi hai fregato il posto.» mormorò una voce dietro di me, al che mi voltai.
Dietro di me stava in piedi un ragazzo dalla pelle chiara, gli occhi marroni come nocciole, i capelli castani che spuntavano dal cappello nero che aveva in testa, i jeans neri stretti ed un cappotto grigio di panno lasciato aperto, facendo intravedere il maglioncino blu.
«Credo ci sia un errore,» risposi «io vengo sempre qui. Questo è il mio posto.»
«Ed è anche il mio. Il mondo non è mica di una persona sola, sai?» sorrise debolmente.
«Ma ne basta una a renderlo di merda.» confessai, scrollando le spalle, tornando a guardare l’orizzonte.
Lo sentii ridere. «Su questo ti do ragione» si avvicinò «posso?»
Annuii, al che si sedette di fianco a me. Incrociò le gambe, e si mise ad osservare lo stesso punto su cui avevo puntato lo sguardo prima. «Ci pensi mai?» chiese, al che io lo guardai perplessa «l’orizzonte. Cioè, lo guardi e ti viene voglia di raggiungerlo. Ma quando poi ci sei, ne vedi un altro dal punto in cui sei arrivato, e quindi vuoi arrivare anche a quello.»
«Quindi, è meglio la ricerca del raggiungimento, per te?» domandai, cercando di cogliere il vero significato delle sue parole.
«Dipende da cosa si raggiunge.» si voltò a guardarmi, e potei notare una sfumatura azzurra nei suoi occhi.
Distolsi lo sguardo prima che potessi diventare rossa, puntandolo in basso, sulla sabbia, poi di nuovo sul mare.
«Non mi hai neanche detto come ti chiami.» si ricordò.
«Tu non me l’hai chiesto.» risposi.
«Te lo sto chiedendo adesso.» ritentò.
«Tu non mi hai detto il tuo.» replicai.
«Austin. Mi chiamo Austin.» si presentò.
«E come faccio a sapere se è il tuo vero nome?» domandai.
«Che caratterino!» ridacchiò.
Tutta colpa di Beau, pensai. Era stato lui a dirmi –ad impormi- di non fidarmi di nessun ragazzo che mi si presentasse accanto, dopo quello che era successo. «Non dare relazione ad alcun ragazzo, soprattutto che non conosci, se non ci sono io nelle vicinanze. E anche se lo conosci, non parlarci.» mi aveva ordinato, ed ogni volta che uscivo con qualche mia amica, me lo ripeteva. Come se avessi tre anni, come se non sapessi come va il mondo. Ma Beau non lo vuole accettare, non capisce che non sono un fiore delicato, per lui sono ancora come un cristallo in mezzo a palle di piombo, come un agnellino in mezzo a leoni affamati. E come se non bastasse, avevo pure infranto la regola. Come poteva pretendere che rimanessi casta e pura fino al matrimonio? Che poi, conoscendolo, pure al mio matrimonio sarebbe stato lì con il fucile puntato su mio marito. Non poteva pretendere di tapparmi le ali per sempre. Mi faceva piacere che ci tenesse a me e che mi proteggesse, ma sapeva anche lui che sarebbe arrivato un giorno in cui avrebbe dovuto lasciarmi fare da sola.
«Guarda,» frugò nelle tasche, tirando fuori il portafoglio e la carta d’identità «Austin Carter Mahone. Quattro aprile del novantasei» mi fece vedere «ora ci credi? Non dirai mica che ho il documento falso?»
«Mmh.. forse.» sorrisi appena, divertita.
«E ora me lo dici il tuo nome?» ritentò, guardandomi.
«Annie» ero tentata a dire, tanto mi aveva influenzata. Mi rimproverai da sola, imprecando contro me stessa: cosa mi era saltato in testa.. Mi imposi di buttar giù il nodo che mi si era formato all’altezza della gola, cercando di reprimerlo. Era passato così tanto tempo da quando un ragazzo mi aveva chiesto il nome –un po’ perché ero in una fase difficile, un po’ perché Beau era iperprotettivo-, e faceva uno strano effetto.
«Rebecca.» mi presentai a mia volta.
«E’ il tuo vero nome?» sfoderò uno dei suoi sorrisi.
Risi. «Non sono brava a mentire.»
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Austin Mahone / Vai alla pagina dell'autore: Tellie