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Autore: koechan99    25/05/2014    1 recensioni
Storia di altri semidei impegnati anche loro nelle loro battaglie del Campo Mezzosangue. Ci sono vari punti di vista nel racconto; ho tentato di imitare abbastanza lo stile di zio Rick.
Inizia così, con l'arrivo di Edith al Campo Mezzosangue, dove nasceranno nuove e altre storie. Per scoprire di più, leggete!
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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EDITH

La luce dell’alba filtrava tra gli alberi e illuminò in parte proprio il mio viso, accecandomi; mi alzai cautamente, sbadigliando e con gli occhi lucidi per il sonno, e guardai verso terra, sotto, dall’albero su cui mi trovavo. Una creatura caprina in parte uomo era proprio lì purtroppo, ma, in quel momento, stava dormendo come un ghiro. Iniziai a sistemare velocemente le mie poche cose nello zaino e, dopo di che, scesi, cercando di non far rumore.
“Credo di poter scappare, ora” mi dissi, scivolando giù dal grande tronco.
Intorno a me, il paesaggio era quello della costa nord di Long Island: presentava degli  alberi intricati verde scuro, molto comuni per i boschi, e l’erba era bagnata; in alcuni punti,  spuntavano qua e là cespugli e fiori dalle sfumature violacee. La primavera stava lentamente arrivando, ma il freddo dell’inverno non era ancora stato messo del tutto a tacere. Presi la collana che portavo al collo, rincominciando a osservarla per la milionesima volta: era una bussola completamente argentata esternamente, ma la rosa dei venti disegnata era di una sfumatura del colore delle nocciole.
Lanciai di nuovo un’occhiata alle mie spalle, dove c’era il satiro, del tutto appisolato: era abbastanza grassoccio e le sue corna si vedevano a malapena. E dopo quell’ultima breve osservazione,  mi girai e iniziai a correre.
Beh, non proprio correre, in effetti.  Io non corro normalmente… in effetti, non corro affatto. Io volo. E in quel momento, lo facevo proprio per non farmi sentire, visto che, in quel modo, l’unico suono che provocavo era solo un debole fruscio.
Nelle ultime settimane quella creatura dei boschi mi inseguiva e gli sfuggivo continuamente, arrampicandomi da qualche parte o andando in luoghi dove non poteva raggiungermi su quegli zoccoli.
-Devi venire con me! I mostri potrebbero ucciderti, se non vieni al campo! Sentono il tuo odore da semidea!- urlava a squarciagola ogni volta.
Sinceramente, nemmeno so di cosa stava parlando… di che campo?  Un posto sicuro non poteva di certo esistere; sono persino scappata da mio padre per stare lontana da creature mitologiche inesistenti nel mondo di cui faccio parte … o facevo?  Non lo so più nemmeno io. Scoprire di avere un padre realmente vivo e divino… mi aveva confuso un po’ le idee.
Continuavo a ripensare a tutta la storia degli dei. Magari fosse solo frutto della mia immaginazione, invece no!, puntualmente si presentava uno di quei mostri che mi seguivano continuamente ed apparivano dal nulla.
Infatti, solo dopo aver fatto poca strada dalla creatura caprina, mi si parò davanti un altro mostro: aveva la testa di una donna, ma un piumaggio grigiastro copriva il suo corpo, creando delle possenti ali, e al posto dei piedi aveva degli artigli da pollo. “Ancora una di loro, una donna-gallina gigante” pensai “credo si chiamino arpie”.
-Quanto ancora dovete seguirmi, tu e le tue amiche galline?- sbuffai, annoiata e leggermente innervosita.  Ormai incontrare le donne-galline sembrava una routine, ed era anche abbastanza rompi-scatole.
L’arpia gracchiò e mi squadrò indignata, poi rispose, lanciandomi uno sguardo sbieco per il suo nuovo soprannome. –Fino alla morte, semidea-.
-Sono stanca di essere chiamata così, soprattutto da galline con la faccia da vecchiette rompiscatole- ribattei, afferrando la collana, che si staccò facilmente.
Pigiai il punto centrale della rosa dei venti, che iniziò a diventare sempre più gigantesca e poi sostenuta da un lungo manico. Man mano che crebbe, diventò un bastone argenteo con alla punta qualcosa simile ad una pala eolica tagliente; in poche parole, una specie d’arpione.
L’arpia emise un suono simile a un sibilo. –Un dono di tuo padre, immagino. Ma non importa, non mi fermerà di certo!- e attaccò.
L’arpia sfrecciò verso di me mentre mettevo obliquamente l’arpione, per proteggermi e per mandarla a gambe all’aria. Quasi subito si rialzò da terra, barcollando, ma fui più veloce: le puntai contro l’arma.
- Le tue ultime parole? - chiesi, mentre in faccia mi si allargava un sorriso di soddisfazione.
- Presto verranno altri, altri che proveranno a ucciderti - rispose l’arpia, con un orribile ghigno in viso –nonostante tu sia vicina… -
- Vicina? Vicina a cosa? -
- Al loro campo, con tutti quelli come te, che si… - non finì la frase visto che venne trapassata dall’arpione. Si trasformò immediatamente in polvere, come qualsiasi altro mostro: l’avevo uccisa.
Rimasi lì, con aria assorta e con l’arpione penzolante in mano. Forse il satiro mi aveva spinta fino lì, per tutte quelle settimane, per raggiungere la meta, quel campo di cui parlavano tutte le creature che mi attaccavano.
E se non mi troverò bene? E se fosse solo altro dolore?” Quella sensazione di ansia crescente ed incessante era dentro di me e non potevo sfuggirle.
Non fare la stupida” mi rimproverai mentalmente “Devi affrontare le mie paure. Non puoi scappare per sempre.” Così riposi l’arpione al suo posto, ma, prima di potermi alzare un po’ in volo, sentì dei passi veloci. Capì subito chi era: si trattava del satiro che avevo lasciato poco prima sotto l’albero; riconoscevo ormai la sua andatura, anche perché mi aveva inseguito durante quelle stremanti settimane.
- EHI! TU! BIONDINA! – gridava quello, come un forsennato –Aspetta un attimo, non scappare da me! -
Scrutai il ragazzotto caprino che correva a perdifiato: sembrava che non corresse da anni, visto il modo in cui trotterellava con fatica, inciampando ripetutamente; ma, molto probabilmente, era per via della sua pancetta e i vestiti umani che sicuramente non gli appartenevano, ossia un paio di jeans che arrivava fino alle pelose ginocchia e una t-shirt con le iniziali ‘CHB’. “Potrò fidarmi?
Non ebbi nemmeno il tempo di pensarci, visto che mi trovai faccia a faccia con lui. Certo, era sudaticcia e paffuta, ma era quello il viso del mio inseguitore.
Riprendendo fiato, esclamò: - Perché continuavi a correre? Stavo cercando di parlarti! Devi venire con me, siamo vicini al Campo Mezzosangue. -
- Al che? Non so nemmeno cosa sei, a parte un ragazzo-capra fuori allenamento. -
- Mi sembrava ovvio, non ho potuto minimamente dirti nulla, visto il modo in cui correvi…- mi guardò le scarpe, quasi disgustato, come se la sola occhiata delle mie Vans potesse fargli venire la nausea. Però, invece di vomitare, spalancò gli occhi, diventando rosso. – Come… come mai non sono sporche, le tue scarpe? Come accidenti hai fatto? -
Mi guardai i piedi; portavo semplicemente delle Vans nere e bianche, pulitissime… giusto. Non avevo corso, a differenza del mio interlocutore. A quanto pare, volare non era una cosa normale per quelli come me… quindi, sono una delle poche con questo talento? La paura dell’essere diversa aumentò.
- Senti, io so volare, va bene? Anche se a basse altezze, ma so volare. – Mi alzai almeno di venti centimetri da terra e atterrai giù aggraziatamente. – Chiaro il concetto? -
Il ragazzo-capra annuì, con lo sguardo terrorizzato. Sembrava essersi innervosito capendo le mie abilità, quindi ora il mio “nuovo amico” era innocuo. O almeno così sembrava.
- Bene, allora… – il tipo grassoccio interruppe i miei pensieri  – Io sono Gavin e sono un satiro. Sì, sono un ragazzo-capra, ma non chiamarmi così, è scortese. Sono uno dei satiri del Campo Mezzosangue e…-
- Continuate tutti a nominare questo Campo Mezzo-Non-so-che-cosa aspettandovi che sappia qualcosa – sbraitai, sentendomi un’ignorante, all’oscuro di tutto.
Gavin chiuse gli occhi e sospirò, esasperato.  – Sai almeno cosa sei realmente? Qual è la tua vera natura? –
Nella mia testa esplose una tempesta di parole: ‘semidea’, ‘figlia di un dio’, ‘ragazza semidivina’. Quel pazzo di mio padre si era rivelato un dio con dei grandi poteri e io, in parte, li avevo ereditati. Tutto questa mi terrorizzava, però non volevo assolutamente mostrare cosa mi divorava internamente. Così, semplicemente annuì in risposta, e il ragazzo-capra s’illumino in un sorriso quasi folle:
- Bene, finalmente! Per fortuna, siamo molto, molto vicini alla nostra destinazione. Direi che ho solo bisogno di un po’ d’acqua… ne hai con te, per caso? -
Dell’acqua? Che diamine gli servirà dell’acqua?!” pensai sempre più nervosa, ma sospirai e decisi di dargliela. La tirai fuori dallo zainetto e quello la afferrò, ma invece di berla, si guardò intorno.
- Avrò bisogno di un qualcosa in cui metterla… hai un bicchiere? Una ciotola? – chiese ancora.
Cercai ancora nello zaino, interrogandomi sulle strane richieste del satiro; alla fine presi un bicchiere di plastica. Il ragazzo-capra ci versò dentro dell’acqua ma non la bevve, anzi! Mise per terra il bicchiere e tirò fuori una moneta d’oro, lanciandola direttamente dentro.
- Oh, Iride, accetta la mia offerta… -
Promemoria per me: smettere di usare del tutto telefoni cellulari e quelle stupide ricariche. Non serve a nulla usare cavolate del genere, quando invece posso benissimo fare una videochiamata che fluttua e iridescente semplicemente con un po’ d’acqua e una moneta d’oro mai vista prima.
In ogni caso, nella videochiamata fluttuante apparì un tipo riccioluto con la stessa identica maglietta arancione di Gavin. Sembrava più piccolo di lui, visto che era molto magro e alto, insomma, un manico di scopa; però, in qualche modo, le corna caprine più grandi facevano pensare al contrario.
- Qui parla Gavin – il mio nuovo amichetto caprino, accanto a me, fu il primo a parlare – abbiamo trovato la ragazza, finalmente, e le ho parlato. -
- Bene – disse l’altro, dall’altra parte. La sua voce leggermente stridula risuonava proprio come se stesse parlando da un telefono. – Tutto a posto? Danni? -
- Assolutamente no! Tutto a posto. Credo che siamo al limitare del bosco, arriveremo in un battibaleno, Grover. -
- Bene – ripeté Grover, accennando a un sorriso – Non metteteci tanto. -
E la videochiamata s’interruppe.
- Sei pronta ad andare? – mi domandò Gavin e io annuì.
Per tutto il tragitto, tentò di fare conversazione, ma io non avevo minimamente voglia di discutere. Stranamente udivo il rumore dell’acqua, ma non capivo da dove provenisse. La tensione saliva con l’avvicinarsi alla meta; volevo dare un giudizio attento alla mia - col cinquanta percento di probabilità -  nuova casa, quindi non chiesi nessuna indicazione, ma solo:
- Quanto manca? -
- Siamo quasi arrivati – rispose il satiro, indicando un punto davanti a sé – guarda lì! -
Seguì il dito e vidi che puntava verso un prato in cui erano assenti alberi o cespugli, solo dell’erba bagnata. Quando raggiungemmo la valle, restai di stucco davanti a quell’enorme posto.
Davanti a me c’era una gigantesca arena da dove si sentivano grida, acclamazioni e il clangore delle spade. Vidi che da un lato c’era una struttura in legno da dove sentivo uno strano rumore metallico e dall’altro varie cabine decorate in modi diversi, abbastanza appariscenti. Aggirammo l’arena e camminammo accanto a delle coltivazioni di fragole, di cui, al momento, si occupavano delle ragazze dalla pelle verdognola e altre almeno più normali con la stessa maglietta di Gavin. In lontananza vidi un fiume; sembrava abbastanza lungo e notai che si allungava dentro il bosco da cui eravamo venuti.  Nel frattempo, mentre mi guardavo intorno, il ragazzo-capra si sbracciò per farsi notare da un suo simile e, quando quest’ultimo si avvicinò, capì che era Grover, il ragazzo della videochiamata fluttuante.
- Eccovi qui – sorrise e mi guardò negli occhi attentamente – tu devi essere la semidea che scappava per settimane. Devi essere stanca. Ci dispiace, pensavo fossi al corrente… -
- No – lo interruppi io, anche se in modo scortese. Cercai di fare un piccolo sorriso e ripresi a parlare con un tono più dolce – non importa. Però, ora vorrei delle spiegazioni e abbastanza dettagliate -
Grover stava fissando la collana al collo, per poi ridarmi la sua attenzione; osservandomi, parve leggermente intimorito per poco, ma recuperò subito la sua espressione autoritaria. Mi fece cenno di seguirmi e disse a Gavin che poteva tornare con gli altri, ma lui scosse la testa e bisbigliò qualcosa all’amico, rendendomi quasi ansiosa. Cos’avevano da bisbigliare?
Entrammo nella struttura: sembrava essere abbastanza vecchia, dalle pareti bianche e il tetto blu. Grover mi spiegò che la usavano per tenere riunioni e di solito Chirone era lì.
Per la precisione, Chirone era la persona che mi aspettava dietro una scrivania, dentro quella casa.
Beh, dire “persona” non è esatto. Lo era in parte dalla testa fino alla pancia, rimanendo in giacca e cravatta, accompagnato da un arco e da delle frecce; ma dalla pancia in giù, era un cavallo. Quindi, un centauro, un uomo-cavallo.
- Benvenuta qui al Campo – mi sorrise, cordiale – penso tu abbia visto qualche cosa venendo qui. Beh, qui addestriamo i semidei, ossia i figli degli dei greci… -
- Lo so cosa sono – mormorai io, interrompendolo. Il suo modo formale in qualche modo mi rendeva più insicura. – E so già anche chi è mio padre… -
- Davvero? Quindi sei stata riconosciuta? – spalancò gli occhi per la sorpresa –E chi sarebbe? -
- Eolo, re e dio dei venti. -
Dicono che le parole sono potenti. Dicono che semplicemente saper trasmettere le cose in modo chiaro e conciso, sia un grande potere. Ma non credo che sia alla pari al nome di un dio greco.
Appena ebbi pronunciato quelle parole, alcune finestre dietro Chirone sbatterono per una folata di vento; era estate, eppure quella piccola perturbazione aveva reso la stanza gelida. I suoi occhi rimasero neutri, fissi su di me. Non capivo cosa stesse pensando. Guardai con la coda dell’occhio Grover e Gavin; entrambi avevano l’aria smarrita. Purtroppo, sapevo già della loro reazione.
Eolo era diventato un servo di Gea qualche tempo prima. O meglio, la dea primordiale della terra aveva chiesto agli dei del vento di catturare i Sette, che avevano sulle spalle il compito di salvare il mondo, a causa di una profezia importante. In poche parole, avevano paura che facessi il doppio-gioco come mio padre e fossi una pazzoide come lui.
Sbagliato.
- Io, Edith Quinn, non sono dalla parte di mio padre. E non lo sarò mai. -
Solo con quelle poche frasi, i tre diversamente-umani si rianimarono, anche se ancora in parte intimoriti.
Avrei voluto che smettessero di mettermi in soggezione, ma sapevo che sarebbe stato impossibile. Ma stare al Campo non era male, alla fine. Sembrava un posto tranquillo e sicuro.
“Forse potrebbe essere davvero la mia nuova casa” pensai, con un mezzo-sorriso.
Feci ancora un giro col mio accompagnatore/seguitore; aveva recuperato degli occhiali più piccoli del normale che lo facevano sembrare più colto. Mi sembrò una cosa buffa.
Avete mai visto una capra che fa l’intellettuale?
-Dovremmo sistemarti – mi spiegò lui, gesticolando verso le capanne  - purtroppo non abbiamo mai avuto figli di Eolo al campo. In realtà, pensavo che non ne avesse più avuti. -
Mi guardò in attesa, come per avere una mia reazione, ma feci semplicemente spallucce. Tentavo di nascondere quella trepidazione, quel nervosismo dentro di me, apparendo invulnerabile. 
Durante il tragitto, mi spiegò che in passato c’erano solo dodici capanne, ma un certo Percy Jackson era riuscito a convincere gli dei a farsi riconoscere dai propri figli. Ringraziai mentalmente quel ragazzo, nonostante non lo conoscessi, anche se il suo nome mi suonava familiare. Mi fece vedere le varie capanne: ognuna aveva una struttura e delle decorazioni in base alle divinità a cui era dedicata; a Demetra una piena zeppa di piante e fiori, ad Apollo una splendente alla luce del sole, e così via. Mi ritrovai davanti ad una cabina segnata dal numero 20; era completamente fatta in pietra e appariva imponente all’esterno. Gavin bussò e una ragazza dai capelli castani e lisci e dagli occhi scuri aprì, guardandoci attentamente, con l'aria vigile:
- Sì? -
   
 
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