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Autore: TonyCocchi    25/05/2014    1 recensioni
“Forse era solo un’ennesima illusione la sua. Sai quante donne al mondo, per tutta la vita, hanno cercato di dare un senso romantico, o in qualche modo profondo, ai gesti degli uomini attorno a loro.”
Una sigaretta può rappresentare una piacevole pausa dai propri pensieri, ma inutile farci eccessivo affidamento, torneranno; perché il mondo là fuori in tutto ciò ti aspetta, ti attende al varco, e si domanda quando ti deciderai a raggiungerlo con le risposte alle mille domande che ti sei posto e in cui ti sei ritrovata a girare e rigirare, in un noioso pomeriggio nel tuo appartamento. Riflettere porterà a qualcosa? O forse l’importante è uscire, e basta.
Scritta di puro getto ascoltando musica.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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hetalia sigaretta

Salve EFP! È da parecchio tempo che non posto nulla… mi mancava ^__^

I motivi… sono tanti e dei più vari XP Dalla generica mancanza di tempo a quella d’ispirazione, passando, come in questo caso, a piccole poesie e brani scritti ma poi mai pubblicati.

Tuttavia, a questo racconto breve, venutomi fuori completamente di getto una sera, sono parecchio affezionato, e il “successo” riscosso tra coloro a cui l’ho mostrato mi hanno infine convinto a dargli un po’ più di visione.

Finora ho sempre scritto nelle sezioni anime, e, sebbene questa sia comunque ispirata a uno di essi per quanto riguarda uno dei personaggi (Hetalia per chi lo conoscesse), trasportato però in contesto realistico, ho deciso che sarà la mia prima storia postata come “originale” qui sul sito.

Spero perciò che la mia storia possa piacere anche a voi nuovi lettori di questa sezione in cui “esordisco”, e che qualcuno di voi si farà vivo con qualche commento ^__^

 

Buona lettura!

 

 

“Colonna sonora” (la canzone sulle cui note ho scritto, la propongo anche a voi ^__°):

https://www.youtube.com/watch?v=kioms-kaJGU

 

 

 

Pavla, sola e in silenzio nel proprio appartamento, rivolta alla finestra dalle tendine giallo paglierino, spalancate sulla bella Praga, fumava con lunghi sospiri.

Di tanto in tanto rivolgeva un’occhiata distratta al tavolo del salotto; alla brutta pianta in vaso, regalo di sua cugina, al posacenere perlaceo inzaccherato di fiochi grigi e bianchicci… e ovviamente al suo cellulare.

No, non ci avrebbe pensato.

Ormai era passata avanti certe cose. Star lì a rimuginare su ogni messaggio in attesa del successivo, col mondo fermo nel frattempo.

Stava semplicemente fumando, non aspettava alcunché, men che meno lui.

No, non ci avrebbe pensato nemmeno a rispondergli.

Una nuvola oscurò il sole appena un poco. Praga, antica e fascinosa come sempre, sembrava un quadro lì fuori. Quanta gente l’abitava, e quanti uomini.

Uomini. Suo eterno tasto dolente.

Duravano poco, e quando no, decisamente troppo. E non sai cosa sia meglio: non affezionarcisi per non rimanere delusa, o rimpiangere la propria stupidità strappando un biglietto lasciato sul comodino, per poi riprendersi spaccando un’altra odiosa pianta in vaso che non sapeva perché parassitavano casa sua.

A lei le piante piaceva godersele di fuori; pensò che non sarebbe stato male farsi una passeggiatina, a rischiarare un po’ i suoi polmoni dopo il più nocivo e irrinunciabile dei suoi passatempi.

Il cellulare lo lasciò qui?, si ritrovò a pensare.

Perché poi?

No, non ci avrebbe pensato nemmeno a richiamarlo.

Quel Gilbert. Quel tedesco megalomane e tracotante; quell’intrallazzatore albino amante della birra e delle Audi, come un fedele stereotipo della sua terra natia; quell’insopportabile e adorabile idiota; quell’ennesimo “vorrei ma non ci casco” nella sua vita.

Senza accorgersene la sigaretta era già finita, lasciandole in bocca il solito amaro, più quello per il dispiacere fosse finita così presto.

Gettò la cicca nel vaso al centro del tavolo e accavallò l’altra gamba, ritrovandosi a pensare a che fare.

Quanto si annoiava.

A lei piaceva uscire quando c’era ancora luce, per godersi i riflessi del tramonto, che le piacevano ovunque, vuoi tra gli alberi di un parco, vuoi sulle facciate dei palazzi, o sui rosoni delle chiese e delle cattedrali. La nuvoletta si tolse di torno, ricordandole che di tempo ce n’era, per un'altra sigaretta come per quei tanto agognati quattro passi che le ronzavano in testa, complicati ancora una volta da una domanda che non riusciva a comprendere da dove saltasse fuori.

Da sola o in compagnia?
Da sola, che diamine.

Gilbert, preso com’era, sarebbe accorso da lei a qualsiasi ora del giorno o della notte. Ma a lei, a dispetto dell’apparenza un po’ acida, non era una a cui piaceva rompere le palle alla gente.

Anche se in questo caso “la gente” in questione si era proposta da sé, e ormai già da una buona ventina di minuti.

Che andasse al diavolo. Si sa, bello mio: è sempre bello, fino a un certo punto, ma poi qualcosa non girerà.

E a quel punto il dolore che proverai sarà inversamente proporzionale al tempo e ai desideri sprecati.

Picchiettò col dito sul posacenere.

Si era resa conto di essersi preoccupata per lui.

Macché, era lei l’unica lì attorno che fosse degna delle sue preoccupazioni.

Gilbert Beilschmidt. Chiassoso, arrogante, sembrerebbe ci sappia fare invece finisce col rivelarsi un ingenuo con troppe pretese, come un bicchiere che spera che lucidandosi eguaglierà un diamante. Voleva davvero finire per stare con uno come lui?

Uno i cui capelli geneticamente candidi servivano a rispecchiare quell’innocenza tanto nascosta quanto dolce che albergava in lui al di là di tutte quelle balle che sparava.

Ebbene si, riteneva ci fosse una certa dolcezza nel modo in cui, nelle serate passate al loro solito bar, ormai già alticcio, le offrisse una birra dopo l’altra, senza provare a trattenere le risate per ogni stupidata, senza badare se il suo aspetto perfetto si scompiglia comicamente ad ogni sorso, non desiderando nient’altro che vederla ridotta allo stesso modo.

E lei prontamente accettava. Perché le piaceva l’alcol, perché quando è gratis non si rifiuta mai, e perché in quei momenti sembrava volerle dire: “Non mi frega niente se faccio figuracce, basta che tu le faccia con me.”

Che tu sia allegra, ubriaca, scema, umana come me.

Forse era solo un’ennesima illusione la sua. Sai quante donne al mondo, per tutta la vita, hanno cercato di dare un senso romantico, o qualche modo profondo, ai gesti degli uomini attorno a loro.

Il suo genere non ce la faceva proprio a non andare oltre, e lei, quanto a rimuginii, si poteva dire fossero una costante di ogni momento morto.
Come quello, in cui il sole veniva di nuovo coperto e lei giocherellava col pacchetto di sigarette, guardando ogni tanto lo schermo del cellulare, nel caso si illuminasse.

Resistette alla tentazione di rileggere il suo messaggio.

Gilbert non era poi tutto fumo e niente arrosto, altrimenti non sarebbe stato quello che a prima vista non avrebbe esitato a definire “un partito gradevole”.

O con più trasporto “un belloccio con un carattere del cazzo.”

Ce l’aveva anche lei un carattere del cazzo, per questo sapeva riconoscerli.

Ed in virtù di tale carattere l’aveva lasciato offrirle cene, birra, sigarette (che, a detta di lui, non fumava mai, ma che comprava appositamente nel caso una bella tipa gliele chiedesse), lo stereo della sua auto quando alla radio uscivano i pezzi che la facevano sballare, e poi sesso, tanto bel sesso; per poi sparire, più o meno in un lampo, come più le aggradasse, prima che il graffio diventasse ferita. Quello almeno era il solito piano.

Da quando si era decisa a fare la stronza ne erano caduti di uomini per lei, tanto sconfitti dal suo scudo di gelida disillusione che ora neppure si ricordava i loro nomi.

E ora si stringeva le braccia, con preoccupazione e rabbia; stavolta non era lui ad essere insistente, era lei a non essere abbastanza convinta che, nel tempo di qualche settimana o giorno, lui non sarebbe stato altro che una faccia sfocata, ricoperta da una nevicata di capelli albini, in cui al massimo avrebbe riconosciuto quell’onnipresente e un po’ antipatico sorriso sorniore.

Non sapeva decidere se adorava di più quella sua espressione o i momenti in cui spariva; quando tornava coi piedi per terra, prendendo ad ascoltare i suoi guai serio come un impresario di pompe funebri e attento come il suo migliore amico; l’istante in cui il giocherellone che mentre scopavate ti ha parlato tutto il tempo, anche se e proprio perché sa che ti imbarazza, prendendoti in giro come parte del divertimento, abbassa cresta e ghigno e struscia la guancia sul tuo collo, mormorandoti a voce bassa quanto sia felice di stare lì in quel momento, un attimo appena prima che tu lo prenda a calci.

Frugò nella tasca in cerca dell’accendino.

Quell’attimo fatale di distrazione, e lo schermetto del cellulare emanò un tenue bagliore.

Chiuse una mano a pugno, come a impedirle di correre come una scolaretta innamorata dal suo fidanzatino che l’aspetta fuori scuola, e lasciò che fosse l’altra, a un tratto elevata al ruolo di emanazione del suo lato adulto e scostante, ad avviarcisi in tutta calma.

 

Scusa, come non detto, sbagliato a controllare l’agenda…

Che palle! >__<

Dai, ci si becca presto!

Mi raccomando, meno bronci, anche se capisco senza di me possa essere difficile U__U

XD

Sto scherzando! Magari stasera?

 

Gil il Magnifico

 

Che imbecille.

Imbecille due volte.

E con lei erano tre.

Reclinò la testa.

Nulla di fatto, la proposta era volata via velocemente come era apparsa.

Dopo tutto quel pensare, si sentì improvvisamente svuotata.

Magari stasera…

Si passo una mano tra i capelli, tirandoseli anche un po’: significava sarebbe rimasta in quello stato fino a sera?

Imprecò e restò immobile con un certo senso di disprezzo verso sé stessa: si sentiva molto pianta in vaso in quel momento.

Cercò di nuovo l’accendino. Ma poi si alzò, aprì le finestre, respirò, e lo lanciò sul tetto del condominio dirimpetto.

Liberatorio alquanto, pensò sbuffando un risolino.

Alla fine se non altro era giunta alla decisione che voleva prendere: passeggiata da sola. Aveva vinto anche stavolta, no?

Ma Pavla seppe per certo che non le bastava. E che era tornata di un passo indietro, all’epoca in cui si ha ben chiaro che, a volte, è bello perdere.

 

La mano bambina passò sui tasti confusa e delicata come una carezza.

 

Perché no?


PS: Fanculo

 

Non gli venne in mente altro da scrivere: al momento pensarci le dava un cerchio alla testa. Arrivò all’ingresso, infilò la sua giacca preferita color verde scuro, annodò la cintura alla vita, e uscì di casa con un rumore di chiavi scosse, concertino tintinnante che durò giusto il tempo di rimetterle in tasca.

  
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