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Autore: elfin emrys    25/05/2014    1 recensioni
[FrUK MOLTO stupidina]
Arthur tossì, cercando di attirare l'attenzione del nanerottolo francese, il quale si girò con aria altezzosa e stizzita.
-Parbleau...
-Cosa...?
Il piccolo Francis si avvicinò ad Arthur.
-Come può essere che una fanciulla di cotanta beltà sia in questa dimora da straccione? Quale manigoldo vi ha trascinato qui -contro la vostra volontà, naturalmente- in questo povero luogo?
-Come, scusa?
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Mirabelle

 

Arthur posò il servizio da tè di fronte a sé, sistemandone ogni membro sul tavolo con estrema precisione. Gli era stato regalato da Francia durante il diciassettesimo secolo, se ricordava bene. Ci teneva, nonostante non lo avesse mai ammesso, poiché era l'unico regalo serio che il francese gli avesse mai fatto in tutti quegli anni di conoscenza -vestiti da donna, giocattoli sessuali, Kamasutra e altamente ironici libri di cucina non valevano. E si era rotto. Miseramente.

E, nel salotto a pochi metri di distanza, c'era Francis che attendeva il tè. Con il suo servizio, come sempre.

Scusarsi per aver fatto cadere le tazzine? Impossibile. Lavorare di colla? Deprimente. Arthur sapeva bene che c'era una sola soluzione.

Si sgranchì le dita, poi tirò fuori la bacchetta, agitando lievemente la stellina alla cima. Come faceva la formula? Non la usava da moltissimi anni, ma non aveva tempo di andare a ricontrollare... Francis stava aspettando nell'altra stanza e dopo qualche ora sarebbero arrivati anche gli altri. Dunque, com'era la formula? Ah, sì!

Arthur si schiarì la voce, prima di muovere la bacchetta sulle tazzine rotte, chiuse gli occhi.

-Ehm... nekor si tahw fix erophe!

Non sentì nessun rumore. Aprì piano una palpebra, poi l'altra. Nulla. Le tazzine erano ancora lì, rotte, invariate. Ma come era possibile? Doveva almeno avvenire qualcosa, una qualunque cosa. Era praticamente certo che la formula fosse quella giusta.

Arthur smosse un pochino i cocci con la bacchetta, sconsolato e abbastanza innervosito. Improvvisamente, sentì un rumore. Veniva... dal salotto?

L'inglese uscì dalla stanza. Si avvicinò alla porta del soggiorno: era quasi certo che quell'imbecille del francese avesse fatto cadere qualcosa. Qualcosa di prezioso. Rompendolo, magari.

Non che lui fosse nella posizione di parlare, in quel momento, ma a meno lui stava a casa propria a rompere le cose.

Arthur aprì la porta del salotto, preparandosi a sgridare quel cretino, quando...

-Mon Dieu, ma come ci sono capitato in questa stalla?

L'inglese rimase impietrito sulla soglia. Nella stanza, non c'era Francis, o meglio, c'era Francis, ma era... più basso, sbarbato e... vestito con quelli che sembravano abiti medievali. Vide il ragazzino passare il dito su un tavolino, poi sbuffare.

Arthur tossì, cercando di attirare l'attenzione del nanerottolo francese, il quale si girò con aria altezzosa e stizzita.

-Parbleau...

-Cosa...?

Il piccolo Francis si avvicinò ad Arthur.

-Come può essere che una fanciulla di cotanta beltà sia in questa dimora da straccione? Quale manigoldo vi ha trascinato qui -contro la vostra volontà, naturalmente- in questo povero luogo?

-Come, scusa?

-Una dama della vostra dignità, dal vostro angelico viso, dal vostro portamento... Mai vista una femmina di tanto cortese aspetto! Mi sento... sì, mi sento colpito al cuore!

Arthur alzò un sopracciglio.

-Ma hai sbattuto la testa quando sei atterrato qui?

Francis gli prese la mano e la baciò sul dorso, per poi appoggiarci la fronte.

-La mia spada e il mio coraggio sono a vostra disposizione, monna mia.

-“Monna” a chi? Io non sono una donna!

-Il suo dolce viso e i suoi occhi brillanti dicono tuttaltro, mia giovane signora.

-Ma... Ok, un momento, con calma.

Arthur scacciò il viso dell'altro dalla propria mano, entrando nella stanza e chiudendo la porta dietro di sé. Era evidente che qualcosa era andato storto. L'incantesimo che doveva riparare le tazzine non aveva colpito il servizio da tè. Ma come mai? Era un incanto di riparazione, non avrebbe dovuto fare effetto su esseri viventi.

Arthur si girò verso Francis.

-Che anno è?

-Il 1238, mia dama.

L'inglese si passò una mano sul viso. Che disastro, che disastro! Se Francis era lì e pensava di essere nel 1238, allora non era semplicemente tornato fisicamente a quell'epoca, ma anche mentalmente. Oppure era stato effettuato, per errore, uno scambio: il Francis del ventunesimo secolo nel '200 e il Francis del '200 nel ventunesimo secolo.

Francis si guardò intorno, avvicinandosi e inchinandosi.

-Mia signora, vedo, dalla vostra peculiare peluria sopra agli occhi e da alcune caratteristiche di questa stanza, che voi siete di angla famiglia. Siete, per caso, una graziosa parente di Inghilterra? Lontana, suppongo, vista la vostra deliziosa presenza!

-Sta' zitto.

-Mordace... E' vostro costume, di voi e della vostra famiglia, trattare così gli ospiti?

-Taci.

Francis si guardò intorno.

-Almeno posso conoscere il vostro nome, graziosa pulzella?

Arthur stava per rispondere, ma si bloccò. Forse era meglio non dire nulla. A quanto pareva non l'aveva riconosciuto, probabilmente non si era reso conto di aver viaggiato nel tempo. Era meglio non dire nulla.

-No.

-Neanche le iniziali?

-Neanche.

Francis sorrise.

-Allora posso rivolgermi a voi con un appellativo?

Il ragazzino gli prese delicatamente il viso. Gli sorrise.

-La vostra beltà vi rende onore. Siete... straordinaria, a dir poco. Luminosa, bellissima, come le stelle del cielo, come un angelo.

-Ma io non sono una donna!

-Bella, qual sole, fresca, chiara, come la notte. Il vostro volto mi riempie di meraviglia. Meravigliosa è la vostra presenza in questo porcile!

-Ehi! Questa è casa mia!

-Sì... Merveilleux, mon amour, belle.

Francis sorrise ancora di più.

-Monna Mirabelle! Sì, il vostro nome perfetto, non ne potreste avere altro!

-What?

-Tale mi è il vostro rivolgermi la parola, come le antiche ninfe e le antiche dee!

-Tu stai male!

-Tale è l'acqua casta, ma che dona nutrimento a ciò che è arido e sterile! Femmina, signora... sposa!

-Che...?

-Come una sposa, bianca, velata! Che cammina verso l'altare degna del suo sposo! Egli meravigliato e voi meravigliosa!

Francis, in un impeto, gli prese la mano nuovamente.

-Una moglie, dolce, sensuale nella sua purezza candida! Monna Mirabelle, voi siete tutto questo, per me. Lo so, è follia, è senza pensiero da parte mia dirvi queste parole d'amore così sfacciate!

Arthur tentò di sfilare nuovamente la mano, ma l'altro la strinse.

-Ma la vostra voce, i vostri capelli, i vostri occhi, tutto il vostro essere risuona di selvatico ardore! Sono stato troppo audace nei vostri confronti, datemi la grazia, ma non potrò mai perdonarmi se non riuscirò a portarvi via come mia moglie da questo lerciume.

-Lerciume? Ma come ti permetti?

-So bene che non mi potete sposare ora, adesso, ma vi prego di tenere a mente le mie parole, la mia proposta così inaspettata!

Gli lasciò la mano. Lentamente, portando la propria al petto, al cuore. Arthur lo guardò impietrito. Si avvicinò, gli occhi luminosi fissi in quelli dell'altro.

-...Ma che ti sei fumato?

Francis non sembrò sentire quella risposta alquanto maleducata alla sua appassionata proposta, anzi. Abbassò il capo.

-Vi do il tempo per rispondermi. Vi ho appena conosciuta, eppure mi sembra di conoscervi già.

-Ma va? Davvero?

Arthur non gli diede il tempo di rispondere che lo invitò -gli ordinò- di sedersi. L'altro rimase in silenzio, probabilmente percependo il nervosismo di Monna Mirabelle. Tuttavia, era certo di esserne lui la causa, lui e la sua dichiarazione improvvisa e improvvisata. Se solo avesse saputo che avrebbe dovuto dire cose così importanti, si sarebbe preparato un discorso.

Arthur si sedette di fronte a lui, tenendosi lontano. Era rimasto sconvolto dalle parole che gli erano state rivolte. Gli pareva assurdo che Francis non l'avesse riconosciuto, eppure gli si rivolgeva come una donna, gli aveva fatto addirittura una proposta di matrimonio! Che sfacciato: si conoscevano da neanche due minuti, diamine. Ma, soprattutto, che imbecille per non aver capito l'identità di chi gli stava davanti!

Arthur si toccò i capelli. Lo aveva sempre preso in giro per quelli, eppure in quel momento parevano piacergli. Gli aveva sempre detto che era piuttosto racchio, che non era per nulla aggraziato, invece in quel momento l'aveva rivestito di complimenti, di adulazioni. Arthur si sentì arrossire e si affrettò a coprirsi il viso.

-Monna Mirabelle? State bene?

L'inglese non sollevò il volto.

-Te lo dico per l'ultima volta: non sono una donna, va bene? Piantala.

-La durezza del vostro parlare non mi tange poiché so che dal disprezzo molto facilmente nasce Amore. E il vostro perseverare nel dire che non siete una dama, bensì un cavaliere, non mi convince, poiché il mio cuore ha sussultato appena vi ha vista: ciò non sarebbe potuto accadere se voi fosse del mio stesso sesso. Ma siete di grande ardore, tale da influenzare me pure, tanto da afferrrarmi e trascinarmi verso lande non ancora conosciute. Il mio desiderio per voi è come...

-Shut up!

Doveva andare a prendere il proprio libro di incantesimi e riportare tutto come era prima. E subito.

 

Francis si massaggiò la testa, guardandosi intorno. Sentì dell'erba solleticargli le mani e della rugiada sporcargli i vestiti. Si alzò. Gli pareva di riconoscere quel luogo: gli sembrava dove per anni si era incontrato con Inghilterra, quando erano piccoli. Ma come poteva essere lì? Fino al momento prima stava a casa di Arthur, attendendo il tè con i biscotti, che avrebbe mangiato solo per il gusto di dire che erano disgustosi. Poi aveva sentito un botto e si era trovato lì.

Si guardò intorno, cercando di capire. Se era lì sicuramente era accaduto qualcosa... Che fosse opera di Arthur? Ma perchè mandarlo lì? Era voluto o no?

-Tu chi sei?

Francis si girò.

-Ar...

-Tu chi sei?

Il ragazzino gli puntò un arco contro.

-Sono...

Francis ci pensò un attimo. Era meglio non dire chi era, per non rischiare di cambiare qualcosa nel tempo.

-Sono un semplice forestiero. Il mio nome è... Pierrot.

Il piccolo Arthur parve tranquillizzarsi.

-E perchè sei qui?

-Sono finito qui per caso. Ma voi, piccolo fanciullo, aspettavate qualcuno?

Il bambino sbuffò, mormorò un “Non sono affari vostri” e si allontanò.

Francis lo seguì.

 

Arthur aprì la porta e la richiuse immediatamente dietro di sé.

-Oh, ma, monna mia, un peso tale non può essere portato da lei sola!

-Non toccare questo libro!

L'inglese poggiò il tomo di magia sul tavolo, sbuffando per la fatica che aveva fatto per portarlo su per tutte le scale dai sotterranei. Il giovane Francis lo guardò incuriosito.

-Che cos'è?

-Nulla che ti riguardi.

Arthur gli fece cenno di allontanarsi e l'altro obbedì. Straordinario, non era mai successo prima di allora.

-Non vorrei infastidirvi, monna Mirabelle, ma in quanto vostro futuro sposo, tutto di quello che riguarda voi, riguarda me pure.

-Per l'ultima volta te lo dico. Non. Sono. Una. Donna.

-La vostra fisicità non ha le caratteristiche tipiche di un corpo femminile: effettivamente poco è il seno. Ma tanta è la luce!

-Non hai capito. Non è che ho poco seno, è che non lo ho.

-Ahah, mia futura sposa, non siate così poco lusinghiera verso voi stessa.

-Oh my God...

-La prova che sono follemente innamorato di voi sta anche in questo: ora anche questa lingua imperfetta mi sembra bellissima pronunciata da voi!

Arthur sembrò gonfiarsi.

-Di chi sarebbe la “lingua imperfetta”? Attento a come parli, Francis!

L'altro sorrise, arrossendo.

-Già pronunciate con tanta disinvoltura il mio nome proprio, non ci siamo neppure fidanzati ufficialmente...

Arthur sbarrò gli occhi. No, basta, doveva sistemare la faccenda, porlo davanti al fatto reale che fosse un uomo. E per farlo, c'era un solo modo possibile.

-Ma... Ma cosa fate...?

L'inglese si tolse il gilet, per poi cominciare a slacciarsi frettolosamente la camicia. Francis si coprì gli occhi.

-Quanta impazienza, non vi facevo così passionale! Copritevi, mia signora, non siamo ancora sposati, per Giove pluvio!

Francis cercò con tutto se stesso di non alzare le palpebre, ma la tentazione di sbirciare era tanta. In fondo al suo cuore, c'era una vocina che gli diceva “Ma che te frega delle buone maniere, Francis, stacce! Se si vuole dare a te, che si dia!”. Arthur mostrò il petto nudo.

-Vedi?

-Non vedo niente, non vedo niente.

-Togli quelle mani dagli occhi!

-No! Non voglio disonorarvi! E se mi accadesse qualcosa prima del matrimonio? Chi vi vorrà più sposare. La vostra immensa beltà andrebbe sprecata e chi eriditerebbe il vostro buon cuore, la vostra cortesia? Inoltre, io non bramo il vostro corpo, per quanto sia desiderabile anch'esso, ma il vostro amore, monna Mirabelle!

Arthur arrossì lievemente a quelle parole. Sospirò e si ricoprì. Francis non avrebbe mai aperto gli occhi.

L'inglese aprì il libro dopo aver rivolto un'ultima occhiata al ragazzino. Andò avanti con le pagine. Si fermò un momento nel punto in cui si diceva un incantesimo per non far mai finire un liquido in un contenitore.

-Questo sarebbe perfetto per il tè il pomeriggio...

Arthur sentì un'oscura presenza, alzò gli occhi e vide il giovane Francis chinato a sbirciare sul libro. Girò pagina, alzando il mento. L'altro si risedette in maniera composta. Sembrava volesse dire qualcosa. Dopo qualche secondo di silenzio, si decise a parlare.

-...Magia?

 

-Smettila di seguirmi!

Il piccolo Arthur si girò verso lo sconosciuto. Francis sorrise.

-Voglio solo della compagnia.

-Cerca la compagnia di qualcuno che ti sopporti.

L'inglese ricominciò a camminare, sperando che il suo persecutore se ne andasse, ma a quanto pare questo continuò a seguirlo. Pierrot gli venne accanto.

-Non mi avete detto chi stavate attendendo.

-Un mio acerrimo nemico.

-Aaah, un avversario! Siete in guerra?

-No.

-C'è qualcosa di cruciale da discutere?

-No.

-Posso fare un'altra domanda?

-Quante ne volete, basta che non chiacchierate di cose inutili.

Francis sorrise.

-Se non siete in guerra e non c'è nulla di importante, perchè vi incontrate?

Il piccolo Arthur non rispose.

-Siete nemici, no? Allora se non c'è necessità perchè vi incontrate?

Nessuna risposta.

-Posso almeno sapere l'identità di questo “acerrimo nemico”?

-E' Francia.

Francis fece finta di esserne sorpreso. Stava andando tutto bene. Quando aveva capito la situazione, aveva deciso di comportarsi come una persona esterna alle relazioni fra nazioni. Inoltre, stava cercando di capire qual era la disposizione d'animo di Arthur nel caso fosse servito il suo aiuto per tornare a casa. Poi, ultimo ma non ultimo, era divertente cercare di estorcere informazioni ad Arthur. Voleva approfittarne. Voleva approfittarne per sapere i sentimenti di Arthur verso di lui e verso gli altri: l'inglese non li dimostrava mai, tanto era riservato!

Francis si chinò sopra il ragazzino.

-Cosa pensate davvero di questo “Francia”?

L'altro boccheggiò, arrossendo.

-Ma quante domande fate, che cos'è, un interrogatorio?!

Velocizzò il passo.

 

Arthur fissò Francis, che camminava avanti e indietro per la stanza.

-Ecco spiegato il motivo del vostro fascino, dell'incredibile attrazione che provo nei vostri confronti, nonostante siate evidente appartenente alla stessa famiglia di quell'incivile inglese!

-Ehi!

-Non mi spiegavo la ragione, il senso del mio ardente desiderio nei vostri confronti. Tanto ardente dal fare una proposta matrimoniale senza sapere nulla di voi! Era evidentemente una stregoneria, come avevo fatto a non comprenderlo prima.

Il ragazzo si girò verso l'inglese.

-Voi, monna Mirabelle, mi avete stregato con un incantesimo oscuro e malvagio!

-Davvero?

-Non fate finta di non sapere.

Francis gli si avvicinò, prendendogli la mano e parlando sottovoce con aria concitata.

-Se il mio amore per voi è solo una falsità creata dalla vostra malvagità, se il mio amore per voi non vale nulla, allora vorrei saperlo ora. Cosa guadagnate dall'ingannarmi? Oh, certo, forse avrete un qualche piano malefico, degno di una strega, ma se invece il mio amore è puro e spontaneo, è degno di essere accolto e tenuto caro e prezioso al nostro cuore. La vostra magia ha funzionato, ha trovato posto nelle debolezze del mio animo, sono disposto a credervi se mi direte che non avete usato incanti perchè io mi sia ceduto a voi.

Arthur alzò un sopracciglio, sospirando.

-Io non ho usato nessuna magia su di te.

-Ne siete sicura?

-Non avevi detto che eri pronto a credermi?

Francis sorrise e annuì, allontanandosi dal volto dell'altro e mettendosi seduto, incrociando le mani sul tavolo. Arthur riprese il librone, guardando il francese di sottecchi. Straordinario, gli aveva creduto davvero. Beh, in fondo, era la verità, quell'innamoramento improvviso era evidentemente frutto di una botta in testa che l'altro doveva aver ricevuto passando da un tempo all'altro, Arthur non aveva colpe.

Ricominciò a sfogliare il libro, quando notò che tre pagine erano state strappate. Le guardò incuriosito.

-Ma che...?

Francis lo osservò attentamente.

-Tutto bene, mon amour?

-Sì sì.

Arthur spalancò gli occhi. No... le aveva strappate lui! Ma certo! Cominciò a rigirare i pezzi che indicavano le pagine mancanti. Sospirò. Ma sì, le aveva strappate lui tempo prima: erano incantesimi così utili che aveva pensato fosse meglio averle sempre sotto mano. Come aveva fatto a non pensarci, a non ricordarselo? Tutto quel casino stava accadendo perchè lui non si era reso conto che le pagine giuste le aveva... in uno dei cassetti del comodino!

Si battè una mano sulla fronte.

-Ma quanto sono stupido!

-Monna mia, devo rendervi la mia spada in aiuto?

-No, rimani qui.

-Ma, madama, la mia stessa proposta mi obbliga a pormi in suo aiuto qualunque sia la difficoltà da superare! Cosa insegnerò altrimenti ai miei stessi pargoli, alla mia prole, se non rispetto i giuramenti che io stesso ho pronunciato?

Arthur sospirò.

-Senti, Francis, non so se te ne sei reso conto, ma c'è un po' di differenza fra me e te, mh?

L'inglese fece cenno alla propria altezza e a quella dell'altro.

-Ma, Monna Mirabelle...!

-Fermo qui. Non ti muovere.

Arthur uscì dalla stanza, chiudendo frettolosamente la porta dietro di sé. Francis iniziò a camminare avanti e indietro per la sala, pensando e pensando. Aveva ragione. Fra loro c'era un'evidente differenza di età fisica e questo poteva render difficoltoso il procreare. Eppure, lui era sicuro fosse superabile. Ma come...?

-Ah!

Il ragazzo schioccò le dita della mano, iniziando a guardarsi intorno in cerca di carta e inchiostro.

 

Arthur sbirciò in avanti, vedendo Pierrot osservare attentamente la zuppa che l'inglese gli aveva dato. Non gli piaceva, era evidente. Non piaceva a nessuno, quella robaccia. In realtà, Arthur non aveva neanche capito come era stato possibile che quello straniero fosse in casa sua a mangiare con lui in quel momento. Non era neppure un tipo simpatico. Faceva un sacco di domande, era evidente che lo stesse prendendo in giro. Ma chi si credeva di essere?

Arthur ingoiò un po' di zuppa.

E poi, era evidente che non fosse una nazione, altrimenti non si sarebbe presentato col nome proprio né sarebbe stato così evidentemente e maledettamente francese. Non era mica cieco. Se non avesse saputo che era impossibile, avrebbe certamente pensato fosse stato Francis stesso.

Francis. Chissà perchè quel giorno non era venuto. Era sicuramente in giro con qualche ragazza, il marrano!

Arthur lasciò cadere rumorosamente il cucchiaio sul tavolo, alzandosi indispettito. L'altro lo guardò incuriosito.

-Arthur!

-Non mi chiamare per nome.

-Facciamo un gioco.

-Quale?

-Ognuno di noi fa un indovinello all'altro e se questo risponde bene ha il diritto a fare una domanda. La domanda può essere di qualunque genere e la persona sconfitta dovrà per forza dire la verità. La verità dichiarata non uscirà da questa stanza. Se l'altro non indovinerà l'enigma, non si è tenuti a rivelarne la soluzione.

Arthur ci pensò un attimo. Lui era abbastanza forte con gli indovinelli. Sarebbe sicuramente riuscito a vincere e avrebbe potuto sapere tutto di quello straniero.

-Accetto.

Francis sorrise. Lui conosceva tutti gli indovinelli di Arthur, poteva rispondere a tutto. Invece Arthur non poteva sapere gli indovinelli la cui risposta era costituita da oggetti moderni. Avrebbe potuto semplicemente fare domande la cui risposta era un elettrodomestico o una comodità a lui contemporanea. Certo, era barare, ma non si sarebbe mai perso l'occasione di sentire da Arthur tutta la verità su una qualunque domanda! Era un pensiero davvero troppo allettante!

-Iniziamo?

-Quando vuoi.

I due si sedettero uno di fronte all'altro.

-Prego.

-Inizio io?

-Naturalmente.

Arthur ci pensò su.

-Mmmmh... Da morte ho vita: e son di vita priva tosto ch'io nasco: e morte ho pria che vita: né sia che d'altro padre io nasca o viva.

-La Fenice.

L'altro lo guardò stranulato. Balbettò un pochino, prima di dire “Hai indovinato”. Era evidente che non se l'aspettava.

-Ora ti devo fare una domanda. Vediamo. Hai mai vinto una battaglia per caso? Per un errore di calcolo mal interpretato dall'avversario?

Arthur rimase sorpreso. Si stava aspettando una domanda da francese, una domanda indecente. E invece quella era una richiesta perfettamente legittima. Forse aveva giudicato male lo straniero.

-No.

-Ora tocca me. Ha una tasca, ma nessun indumento.

Arthur lo guardò sorpreso. Iniziò a pensare. Francis sorrise. La risposta era il canguro, ma Arthur non poteva conoscere quell'animale, non in quell'epoca! Aspettò pochi minuti, prima che l'altro si arrendesse. Anche quella volta la domanda fu semplice e innocente. Francis voleva farlo rilassare un pochino, avrebbe pensato poi alle domande interessanti.

Dopo qualche minuto, Francis riuscì a fare la nuova domanda ad Arthur, nonostante le proteste dell'altro. Gli chiese, dunque, il suo colore preferito, poi il cibo preferito. Dunque, decise di andare più a fondo. Gli chiese qual era l'ultimo sogno che aveva fatto. Gli chiese qual era la sua maggiore aspirazione, cosa pensava davvero dei suoi fratelli.

Arthur si asciugò la fronte. Come faceva quel Pierrot a indovinare tutto quanto?

-Veramente senza il mio consiglio, niente conserva i suoi esseri viventi, in più nessun occhio può vedere il mio volto. Chi non sa che dal mio potente potere girano le volte elevate del cielo, il sole splende, e la luna segue il suo corso?

Francis, sadico, fece finta di pensarci e, dopo qualche secondo, sorrise.

-La natura.

Arthur guardò in basso, preoccupato per la domanda che gli sarebbe stata posta. Doveva mantenere la parola, i patti del gioco, doveva per forza rispondere la verità.

Francis lo guardò bene. C'era un'unica domanda cui in quel momento davvero teneva, una che lo prendeva da molto tempo. Una curiosità. Il francese sapeva quasi tutto di Arthur, parlavano moltissimo nonostante tutto, ma c'era effettivamente una cosa che non aveva mai conosciuto. Forse aveva anche un po' paura a scoprirlo.

-Vorrei...

Il ragazzino alzò un sopracciglio.

-Cosa?

-Vorrei sapere chi... chi è la persona che più ami a questo mondo.

Arthur arrossì violentemente, girando il capo per non farsi vedere.

-Non voglio dirlo.

-I patti del gioco erano che doveva sempre uscire la verità.

-Ma io...

L'inglese chiuse i pugni. No, non voleva dirlo. Non si fidava dell'altro. Era un segreto, un segreto troppo importante.

-La verità, Arthur, mi hai dato la tua parola.

Il ragazzino aggrottò le sopracciglia, tormentato. Doveva calmarsi. Calmarsi. Prese un profondo respiro. Fece cenno all'altro di avvicinarsi. Gli sussurrò all'orecchio la risposta.

Francis sbarrò gli occhi.

 

Arthur rientrò nella stanza con i fogli stretti in mano. Li poggiò sul tavolo, mettendoli in ordine. Li guardò per qualche secondo, per poi notare l'impegno che il piccolo Francis stava mettendo nello scrivere qualcosa.

-Che stai facendo?

Arthur si chinò in avanti. Impallidì, strappandogli il foglio.

-Mon Dieu, Monna Mirabelle!

-Ma come ti è saltato in testa?

-Siete stata voi a farmi notare la differenza di statura e di età. Desidero ardentemente essere alla vostra altezza, mon petit bijou. Per questa ragione, per voi, mia signora, stavo dichiarando guerra alla Spagna!

-Tu non dichiari guerra proprio a nessuno!

-Ma siete stata voi a sottolineare la atroce differenza fra noi. Io, così, non merito una donna della vostra elevatura.

-Ma non devi dichiarare guerra alla Spagna!

-Invece devo, Monna Mirabelle, in onore del nostro amore sconsiderato, eppure così tenero.

-Guarda bene che fine fa questa dichiarazione.

Arthur prese il foglio per i due estremi, stracciandolo. Francis lo osservò.

-Vedi?

-Vedo che il vostro affetto nei miei confronti è tale da preoccuparvi per una guerra e che, anche se ancora non degno di voi, siete comunque innamorata di me! Oh, Monna Mirabelle, mi appena reso l'uomo più felice del mondo.

Francis gli prese nuovamente le mani, baciandole.

-Non avevo torto quando parlai della vostra cortesia, della vostra deliziosa...

-Sì sì, basta, grazie.

Arthur si allontanò, pulendosi le mani sul gilet. Si risedette, buttando la dichiarazione strappata in un cestino poco lontano, e cominciò ad analizzare le pagine strappate dal libro degli incantesimi.

-E se dichiarassi guerra all'Inghilterra?

-Ah, allora sì che risolveresti tutto!

-Perfetto! Dove posso...

-Era ironia.

-Siete molto pungente e peperina, Monna Mirabelle. Ma è anche questo parte del vostro immenso fascino.

Arthur gli diede uno scappellotto dietro la nuca.

-E anche di mano svelta, Monna mia!

-Taci.

L'inglese controllò i fogli, sbuffando innervosito quando notò che, effettivamente, aveva usato l'incantesimo sbagliato. Infatti, le parole pronunciate non erano quelle di una magia di riparazione, ma di una magia che serviva a riportare indietro lo stato di determinati oggetti. Nonostante non capisse come l'incanto avesse potuto fare effetto su Francia, il fatto stava cominciando ad acquisire un senso compiuto.

Alzò il capo, notando gli occhi di Francis a pochi centimetri di distanza. Quasi urlò per la sorpresa. Oooh, che pazienza!

-Togliti!

Arthur mise una mano sulla spalla dell'altro, facendolo allontanare. Prese il tomo, ricominciando a girare le pagine.

-Presto tornerai a casa, Francis.

-Che cosa vorreste dire, Monna mia?

-Esattamente quello che ho detto. Ti farò tornare a casa.

-E potrò vedere ancora il vostro mirabile viso?

-Sì e no. Tutti i giorni e fra molto tempo.

Francis alzò un sopracciglio.

-Il vostro parlare mi è oscuro, Monna Mirabelle.

-Non deve esserti chiaro.

L'altro non parlò per qualche secondo, poi si avvicinò con la sedia.

-E quindi dovrò attendere perchè la mia richiesta di unire le nostre casate nel sacro vincolo del matrimonio sia soddisfatta?

-Credo che non verrà soddisfatta mai.

Francis si rabbuiò.

-Non potrò mai cogliere il fiore della vostra amabile bellezza? Mai potrò ricevere in dono da voi stessa la vostra inestimabile virtù? Chi, chi altri si merita un tale onore al posto mio? Neanche un bacio mi è concesso da voi!

Arthur sbirciò verso il ragazzino, vedendolo quasi all'orlo della disperazione. Gli fece pena per qualche secondo, ma poi si riprese.

-Un bacio? Ma siamo matti? Neanche se dovessi morire ora, seduta stante!

-Aaaah! Me tapino! Me miserevole! Mai potrò carpire le vostre giornate, mai potrò sfogliare le pagine del vostro amore! Spinosa, tal rosa, voi siete, ma così pura e semplice, come una margherita di campo! Un bacio, sulle vostre morbide labbra, neppure.

Arthur vide Francis avvicinarsi. Tentò di spostarsi altrove, ma l'altro gli prese il braccio.

-Che indecenza rivolgermi a voi in maniera tanto ardita, mon amour, ma se voi mi concedeste, almeno, solo un piccolo contatto con voi, poiché fino a ora mi avete illuso di potervi possedere un giorno, non vi scorderò mai. Il vostro accordo mi sarà caro per tutti i secoli a venire!

Arthur si alzò, ma l'altro quasi gli si avvinghiò.

-Non fuggite da me, me disperato! Il mio amore verso di voi è disperato! Meravigliosa dama di mirabil fascino, forse non sono degno della vostra considerazione? E se è un incantesimo ciò che mi tiene unito a voi nel cuore e se questo incantesimo dovrà essere sciolto (se esso sussiste, sia chiaro), perchè non potrò avere almeno un ricordo di quanto avvenuto? Perchè ve ne andate? Ho forse acceso il vostro sdegno?

Francis lo lasciò. Pareva profondamente turbato e colpito, come se effettivamente la lontananza da “Monna Mirabelle” gli tartagliasse l'anima. La prospettiva di una vita senza di lei gli pareva, forse, davvero insostenibile.

Arthur sospirò, guardandosi intorno.

-Se non lo verrà a sapere nessuno...

Il volto di Francis si illuminò.

-Ho sentito bene le vostre parole? Mi state accordando il permesso.

-Diciamo. Forse.

Gli occhi del ragazzino quasi si riempirono di lacrime.

-Allora, mi considerate degno di questo segno di amore!

-Non esagerare. Non ho detto che lascerò che tu mi baci!

-Ma allora...

-Non lo accetterò. Però, forse, un bacio sulla guancia ti dovrebbe bastare.

-Sulla vostra gota?

-Sì sì, sulla mia gota, come ti pare. Ma solo in quel punto.

Francis apparve deluso.

-Perchè fai quella faccia? Non hai detto che la tua richiesta era troppo ardita? Io non accetto questa arditezza e ti do solo un assaggio di quello che vuoi. Mi pare ragionevole e onorevole, o come dici tu.

-Ma io...

-Prendere o lasciare. E' la mia ultima offerta.

Francis alzò lo sguardo, fissando la sua amata negli occhi. Pareva molto risoluta. Ma lui aveva sempre quello che voleva.

-Acconsento a questo patto.

Si strinsero la mano, guardandosi negli occhi.

-Benone, avvicinatevi, Monna Mirabelle, con la vostra gota.

Arthur chiuse gli occhi, eseguendo. Tremava. Sinceramente, era una situazione tanto assurda da apparire quanto meno surreale, se non ridicola nel suo insieme. Sentì le mani di Francis sulla nuca, quasi poteva percepire il respiro dell'altro vicino all'orecchio, quando...

Francis sorrise.

-No... no, mon amour, non posso.

-Che?

Arthur si girò, stordito e sorpreso. Mossa fatale. Francis ne approfittò per lasciargli un bacio sulle labbra, veloce, ma ben assestato. L'inglese arrossì di rabbia e vergogna. Ma come aveva osato?

Francis sorrise ancora di più, allontanandosi.

-Perdonatemi, Monna Mirabelle, ma il mio desiderio è stato più forte della mia volontà.

-What? Tu pensavi già di trasgredire! Dillo! Ammettilo!

L'altro scosse le spalle.

-Non sono cose che sono da dire a una dama come...

Francis non riuscì a completare la frase, sentì solo un forte dolore alla mandibola e si sbilanciò all'indietro. Un pugno.

-Ma come ti è saltato in mente!

 

-Non mi guardare così.

Arthur si mise una mano sul viso, cercando di nasconderlo. Francis non lo guardò, fissando il vuoto. Non... non poteva aver capito male. Ma allo stesso tempo non comprendeva.

-Ma tu non avevi detto...

-Lo so benissimo cosa ho detto!

-Ma...

-Sì!

-Ma... Ma... E' Francia.

-Zitto!

Arthur gli puntò un coltello.

-Non provare a dirlo ad alta voce. Questa cosa rimarrà qui fra noi, altrimenti non sarò responsabile delle mie azioni.

Francis annuì, cercando di riprendere fiato. Quella rivelazione l'aveva sconvolto. Rimase qualche secondo in silenzio, riflettendo.

-Ma perchè non glielo dici!

Arthur sbarrò gli occhi.

-Non c'è questione: non glielo posso dire.

-Ma perchè? Io... Io non lo conosco, ma penso che gli farebbe piacere saperlo. Credo. Ma io Francia non lo conosco.

-Lo so che non lo conosci. Se lo conoscessi, capiresti il motivo del mio essere taciturno al riguardo. Non capirebbe. Se solo anche potesse capire la portata dei miei sentimenti, cercherebbe di comprenderli, e invece... E poi, a lui io non piaccio neppure un po'.

-Come fai a saperlo?

Arthur si girò dall'altra parte.

-Mi prende in giro.

-Ma che significa! Se tu gli rispondi, lui si offende?

L'altro scosse le spalle.

-Credo di sì.

-E allora è attento alla tua considerazione.

-Anche se fosse, ciò non significa in alcun modo che una mia dichiarazione verrà accettata. Anzi, sono convinto che, se mai decidessi dei miei sentimenti, ne verrebbero tutti a conoscenza. Dopo avermi rifiutato, se ne vanterebbe in giro!

-Non è vero.

-Non lo puoi sapere.

Francis cercò di calmarsi. Era forse stata una rivelazione, ma era stata una rivelazione che aveva fatto luce su tante cose. Le parole del piccolo Arthur, più spontanee e innocenti dell'Arthur adulto, avevano dato un avvio a una compresione più profonda di quello che l'inglese aveva pensato per tutto quel tempo. Ma non aveva senso. Come aveva fatto a non accorgersene? Nonostante lo amasse anche lui, non aveva mai neppure pensato che l'altro potesse ricambiarlo.

-Ma... Ma se invece lui ti ricambiasse...

-Non ci pensa neppure.

-Ma se lo facesse, tu saresti felice?

-Era una domanda retorica?

-No.

-...Sì... Sì, sarei felice.

-E se invece ti ricambiasse davvero?

-E' un mangiarane, non mi ricambia.

Calò il silenzio.

-E se tu ti innamorassi di un altro?

-Altro?

Arthur sbuffò.

-Non accadrà. E se lo pensasse, sarebbe anche una testa di rapa, oltre che un mangiarane.

Il ragazzino scostò malamente il piatto.

-E non mi guardare con quell'espressione!

-Scusa.

-Scusa un bel niente!

-Comunque, io questo Francia non lo conosco, ma io penso che hai delle possibilità, con lui, ecco. Non ti devi crucciare molto: siete ancora molto giovani, vedrai che in futuro, forse, la possibilità potrà diventare realtà.

Arthur non rispose. Francis lo guardò, preso dalla curiosità.

-Ma poi, cosa ti piace di questo “Francia”? Posso saperlo? Dillo al buon vecchio Pierrot!

-Al buon vecchio pervertito Pierrot. Cosa mi hai fatto dire! Era un segreto e sarebbe dovuto rimanere tale per tutti. Or ora, non so se posso lasciarti andare via come se nulla fosse. Non mi fido di te.

-Il tuo segreto verrà con me nella tomba.

Arthur alzò un sopracciglio, alzandosi e allontanandosi.

-Ecco...

-Forza!

-Io non so come spiegarmi.

-E' bello?

-Non so, forse.

-Come sarebbe a dire?

L'altro scosse le spalle.

-Andiamo oltre. Avrà fascino, almeno.

-Probabilmente, visto tutte le ragazzine petulanti che gli girano attorno.

Non si poteva non notare una punta di acidità, amarezza e gelosia in quella frase.

-Allora sarà simpatico, o, che ne so, intelligente, forse. Colto, coraggioso, un cavaliere! Sì sì, un grande uomo!

-Non so per certo.

Francis si alzò, un po' irritato.

-E allora?

Arthur gli tirò la pezza con cui stava pulendo il tavolo in faccia.

-Non ho ragioni, va bene? Non ho alcuna ragione e adesso smettila di fare domande indecenti e inopportune e vattene a dormire!

Francis ripose il pezzo di stoffa sul tavolo, guardandosi intorno per trovare un giaciglio di paglia. Pensò che ormai l'Arthur più adulto doveva aver trovato il modo di farlo tornare a casa. Decise che appena l'altro si fosse appisolato avrebbe scritto una lettera in cui Francis diceva di essere tornato a casa, senza rivelare la propria identità. Tanto doveva avere un taccuino e una penna in tasca... Già, li aveva appena trovati.

Si sdraiò, attendendo che anche Arthur avesse terminato. Lo vide uscire da casa per sistemare le ultime faccende. Francis approfittò della mancanza dell'altro per scrivere il biglietto. Lo lasciò sul tavolo e poi fece un giro per la camera, trovando un angolino buio pieno di oggetti. Si mise lì a curiosare, ingannando l'attesa.

-Ma questo è... Un mio vestito? Mon Dieu, non credevo che Inghilterra fosse un maniaco!

 

Arthur e il giovane Francis stavano in silenzio da dieci minuti buoni. Nulla pareva smuoversi. Francia, ogni tanto, provava a dire qualcosa, ma veniva zittito da un'occhiataccia di Monna Mirabelle.

Inghilterra stava scrivendo la formula per mandare l'altro a casa su un foglio, in maniera da poterla ben leggere: non voleva far accadere altri incidenti dovuti a parole sbagliate. Appena fatto ritornare il Francis più vecchierello gli avrebbe detto che c'era stato un incidente con un incantesimo, l'avrebbe fatto sedere e avrebbe portato il servizio da tè riparato, finalmente.

Alzò un attimo il capo. Gli era parso di sentire qualcuno bussare al portone di entrata della casa. Rimase qualche secondo teso all'ascolto, poi sbuffò e ricominciò a scrivere.

Arthur guardò Francis con sospetto. Gli fece cenno di alzarsi.

-Stai per tornare a casa tua.

-Senza di voi?

-Senza di me.

L'altro abbassò il capo. Arthur gli mise una mano sulla spalla allontanandolo verso il divano.

-Ora mettiti lì, dove sei arrivato e ora...

Quando fece per ritirare la mano, Francis gliela prese, lasciandovi sopra il dorso un bacio. Fatto ciò, gliela lasciò sorridendo. Arthur gli diede una piccola spinta indietro, coprendosi il viso.

-Il vostro volto è diventato come una rosa in primavera, Monna mia. Arrossite...!

-Shut up!

Arthur tirò fuori la bacchetta magica e la agitò con la destra, mentre con la sinistra teneva il foglio con su scritta la formula.

Aprì le labbra e cominciò a pronunciare l'incantesimo. Appena terminato, alzò lo sguardo, vedendo il giovane Francis salutarlo con la mano. Aggrottò le sopracciglia: il suo sorriso era poco rassicurante.

-Au revoir, mon Arthur!

Francis gli tirò un bacio. L'altro sbattè le ciglia qualche secondo, poi gonfiò le guance.

-What?! Allora sapevi chi ero! Imbecille!

Fece un passo in avanti come per afferrarlo, ma il giovane Francia era già sparito.

 

Arthur tornò in camera. Non vide nessuno, soltando un pezzo di quella che sembrava qualcosa di simile alla pergamena sul tavolo. Lo prese.

Ci vedremo molto presto, Arthur.

Sto tornando a casa!

Pierrot

-Quel lurido manigoldo!

Il ragazzino fece per uscire di casa, quando sentì dei rumori da dietro un agolo. Si avvicinò lentamente. Fortunatamente era ancora armato. Fece qualche passo in avanti e...

-Oh! Oh, Arthur, salve!

-...Francia?

-Oui.

L'inglese lo guardò per qualche secondo. Da quanto tempo era lì? Che... che avesse sentito quello che aveva detto a quel Pierrot? No, non poteva essere!

-Perchè arrossisci?

L'altro gli diede un pugno.

-Fuori da casa mia!

-Ho capito, ho capito, vado!

Francis uscì, tenendosi una mano sul viso. Allontanatosi di qualche metro, si rigirò, per vedere Arthur sulla soglia con un arco in mano, pronto a colpirlo. Forse era meglio correre.

Entrando nel bosco, Francis sorrise. Certo che però quel teppista da grande sarebbe diventato proprio bello!

 

Francis si massaggiò la testa, guardandosi intorno. Sembrava che fosse tornato alla propria epoca! Arthur lo fissava poco lontano, con la bacchetta ancora in mano.

-Francia?

L'inglese poggiò l'occorrente per l'incantesimo sul tavolo, avvicinandosi all'altro, che gli tese la mano.

-...Beh?

-Cosa?

-Non mi aiuti a tirarmi su?

-Ovviamente no.

Francis sospirò, scuotendo la testa. E quello sarebbe lo stesso Arthur che aveva confessato di amarlo?

Si alzò in piedi, pulendosi i pantaloni. Un silenzio imbarazzante calò nella stanza. Entrambi rimasero in piedi per qualche secondo, senza sapere cosa dire.

-Ho sbagliato un incantesimo. Mi serviva per fare in modo che il tè nella teiera non finisse mai. Ecco tutto.

Arthur si allontanò, sistemando il tomo di magia e le carte. Sperava che quella spiegazione sarebbe bastata all'altro, che tuttavia pareva confuso, o indeciso, non capiva bene cosa stessa provando in quel momento. Francis aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiuse.

Sentirono qualcuno bussare.

-Ah, allora avevano bussato. Giusto in tempo per... Che c'è?

-Ecco... Ho incontrato il te di molti secoli fa, sai?

-Anche io ho incontrato il te di tanti secoli fa. Un mangiarane pervertito.

Francis sorrise.

-Sai cosa mi ha rivelato il piccolo te?

-Non ne ho idea.

Arthur si diresse verso la porta per aprirla e scendere al portone di ingresso per fare entrare gli altri. Francis gli prese il polso, fermandolo e girandolo verso di sé.

-Mi ha detto che mi ama!

L'inglese sbattè le palpebre un paio di volte, prima di realizzare le parole dell'altro.

-W... What?

-Sai, è stata una vera sorpresa per me.

Francis gli si avvicinò ancora di più. Arthur si appoggiò alla porta dietro di lui. Non poteva essere. Aveva ammesso da tempo di aver sempre avuto, diciamo, “una cotta” per Francis, tuttavia l'aveva ammesso solo a se stesso. Nessuno l'aveva mai saputo e neppure sospettato lontanamente: era sempre stato molto bravo a nascondere i suoi sentimenti. E poi era inglese, era una persona riservata, lui.

-Perchè non me l'hai mai detto?

Arthur balbettò qualcosa. Che cosa doveva fare? Ammettere, visto che Francis non pareva avere intenzione di prenderlo in giro, dall'espressione del viso? Oppure negare fino alla nausea, sperando che l'altro ci credesse? Rimandare, visto che gli altri stavano attendendo?

-Se non rispondi nulla, darò per scontato che mi ami ancora, sai.

-Senti, ne riparliamo più tardi: facciamo entrare...

-Gli altri aspetteranno.

Francis sorrise, allontanandolo dalla porta per stringerlo.

-Insomma almeno dimostrarlo un po' di più. Se tu ti fossi dichiarato tanto tempo fa, le cose sarebbero andate molto diversamente, sai?

Arthur lo guardò negli occhi, poi chiuse i propri. Erano vicinissimi. Sentì il pollice di Francis sulle labbra, ma al posto di aprirle, lui le chiuse ancora di più. L'altro ridacchiò, prendendogli il mento e avvicinandosi. Arthur si sentì quasi svenire, il respiro di Francis era sulla sua bocca, quasi poteva già sentire la consistenza del bacio.

-Buonasera buonasera! Ma siete sordi? Perchè non ci avete a...

Arthur aprì gli occhi, girandosi verso la porta. Alfred si bloccò, la porta, staccata dal suo posto, stava nella sua mano.

-Ah... ehm... scusa. Scusa scusa, io... riesco e poi... continuate o quello che volete...

L'americano uscì, cercando di riattaccare la porta ai cardini. Calò il silenzio. Francis e Arthur si guardarono, ma ormai l'atmosfera era stata clamorosamente rovinata. Poi, entrambi si allarmarono, sentendo la voce di America dire a qualcun altro “Abbiamo interrotto qualcosa, mi pareva si stessero per bac...”. I due sbarrarono gli occhi, correndo verso la porta chiamando ad alta voce Alfred tentando di coprire le sue parole. Si ritrovarono davanti Russia, Cina, Germania, Giappone e i due fratelli Italia, che li guardarono incuriositi.

Arthur si affrettò a trovare una scusa. Francis si appoggiò al muro.

Evidentemente, avrebbe dovuto aspettare ancora un po'.

 

Note di Elfin:

Un'altra di quelle cose fatte solo per divertirmi. Spero abbia divertito anche voi :) All'inizio soprattutto è un po' veloce, ma già sono 17 pagine, non volevo farla più lunga -.- Sarebbe stata troppo pesante :)

Spero vi piaccia!

Kiss

   
 
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