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Autore: DK_    02/08/2008    1 recensioni
Uno sguardo alla travagliata relazione tra Fujin e Seifer. E' classificata R/Arancione a causa dei temi maturi.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Seifer Almasy
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Monster

Una fanfiction su FFVIII.

di DK

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Barcollo nella notte, incespicando lungo le strade sporche e inciampando sul marciapiede. Sono bagnato fradicio fino alle ossa, i capelli mi si sono appiattiti sulla testa e le gocce d’acqua mi appannano gli occhi. La pioggia scende incessantemente sulle case e l'asfalto. E su di me. Non me ne importa, e non ne sono molto sorpreso. Il resto del mondo
Io sono Seifer Almasy, e sto passando una brutta giornata.

Intorno a me, Balamb è calma, addirittura la maggior parte dei bar ha chiuso vista l'ora tarda. Le strade sono vuote eccetto questa. Penso che chiunque sia in possesso di un briciolo di cervello sia già tornato a casa per trascorrere la notte. Casa. Ora, questo è un concetto totalmente estraneo a un ragazzo come me. Per molto tempo non ho pensato ad avere una casa, e dopo quello che ho fatto stasera, non credo che ne avrò mai una.

Suppongo che una confessione sia d'obbligo. Non l’avrei pensato se non mi sentissi realmente colpevole, ma è così.

Non so neanche perché mi sento in questo modo. E' colpa mia? E' colpa di lei? E' colpa di Squall? E' colpa di Dio? Inciampo nei pressi della pompa di benzina al limite della città. La sua grande finestra è scura. Sembra fissarmi senza espressione, come un occhio cieco. Il suo occhio.

Dannazione!

Sarebbe meglio cominciare dal principio.

Se non ricordo male era una bella giornata di sole. Ma sinceramente non ricordo che tempo ci fosse, la nostalgia tende a modificare la memoria. Forse quel giorno sembra così luminoso per ciò che accadde in seguito. Era un bel giorno, un giorno felice, un giorno radioso, e ora che ci penso, fu il giorno in cui persi la mia innocenza.

No, non QUEL tipo di innocenza. Quella se ne sarebbe andata più tardi. Sto parlando di un'innocenza che ha molto più valore. L’innocenza dell’anima, non del corpo.

Quella fu la prima volta che imparai cosa significasse odiare.

Avevo quindici anni, e stavo iniziando ad entrare nella fase più importante dell’addestramento sul campo al Garden. Avevo cominciato ad allenarmi con il gunblade pochi mesi prima ed ero bravo. Dannatamente bravo. I miei progressi spaventavano un po’ gli istruttori, ma a me andava bene. Avevo imparato da molto tempo che incutere timore può essere il tuo migliore amico in un mondo di cui non ci si può fidare.

O meglio, uno dei tuoi migliori amici. Il nostro gruppo era in piedi già allora. Conoscevo Raijin e Fujin da un po', e andavamo d’accordo. Erano dei duri, come me. Non chiedevano niente a nessuno e li rispettavo proprio per questo. Quando non prendevamo nessuno a calci in culo o scatenavamo l’inferno, pensavamo ad un modo per farlo senza essere beccati.

Raijin VENNE beccato quando provò ad introdurre una tarantola nella camera di Shu, e per punizione finì a pulire i bagni del Garden di Balamb. Quindi quel giorno io e Fujin rimanemmo da soli, e la cosa non mi dava poi tanto fastidio. Sì, ero attratto da lei, ma allora non l'avrei mai definito in questo modo. Lei per me era strafiga, rude e meschina, proprio come piaceva a me, e sono abbastanza convinto che lei ricambiasse. Infatti, adesso so che è così. All'epoca però, non ne ero sicuro.

Non c’erano lezioni. Forse era un giorno di vacanza, o un fine settimana. Non ricordo. So solo che non sarà altrettanto facile dimenticare il resto di quella giornata.

Ancora adesso, mi meraviglio del fatto che ricordo tutti gli eventi così bene. Riesco a ricordare quasi tutto quello che ognuno di noi disse o fece, dal momento in cui abbandonammo il Garden a quello in cui capii che i miei sentimenti erano cambiati per sempre.

Probabilmente il trauma ha cristallizzato quel ricordo, imprimendo per sempre sulla mia anima la consapevolezza delle mie azioni, in modo da non farmele mai dimenticare. Una crepa così profonda che neanche un Guardian Force sarebbe in grado di sanare. Tra l’altro, anche se la mia mente avesse fallito, avrei avuto comunque accanto a me un onnipresente promemoria fisico di ciò che accadde.

Io e Fujin ci stavamo allenando con le armi da un po', ed eravamo pronti quantomeno a cercare di cacciare qualcosa di un po' più forte dei Grat che affollavano il centro di addestramento. Inoltre, una giretto fuori dalla scuola era molto allettante. Nessun controllo da capo-classi impiccioni o istruttori, nessuna regola. Non sarebbe stato un esercizio, ma una vera e propria avventura.

Uscimmo a mezzogiorno dal Garden, diretti ad una meta qualsiasi e alla ricerca di guai. Li trovammo, solo non quelli che avevamo immaginato.

“Destinazione?” mi chiese Fujin, con le braccia che oscillavano ai fianchi, gli occhi puntati di fronte a sé. La forte luce del sole che lampeggiava periodicamente sulla girandola di metallo chiodata che teneva in mano mi feriva gli occhi.

“Non lo so, Fuu.” dissi io, facendo volteggiare il mio gunblade dinnanzi a me, come a testarne le potenzialità. “Ovunque ci sia un po’ di azione.”

Lei mi guardò per un momento. I suoi occhi erano diversi da quelli di chiunque altro. Erano rossi, predatori. Facevano pure un po' paura. Mi piacevano. Poi annuì, scostò qualche ciocca di capelli argentei dal viso, e riprese il cammino. La seguii.

Il mondo sembrò trascinarsi pigramente sotto i nostri piedi mentre camminavamo fianco a fianco. Non parlavamo, ci limitavamo a proseguire in un complice silenzio, le nostre spalle si sfioravano continuamente in una maniera non esattamente accidentale. Sembrava che nulla potesse andare storto.

Non mi piace ripensare a quella volta. Mi piace ancora di meno ritornare con la mente a quello che successe dopo. Perché ogni volta che lo faccio, capisco che non riuscirò a riappropriarmi mai più di quel senso di gioia, di pace. Forse posso fingere, ma mi è sfuggito per sempre.

Incontrammo i primi mostri a circa due o tre miglia di distanza dal Garden, al margine di una piccola foresta. Non erano niente di speciale, solo alcuni dei Lesmathor che ogni tanto girovagavano per le praterie intorno a Balamb.

Il loro sciame venne fuori dall’erba alta che ci attorniava, i loro carapaci blu scintillavano brillanti alla luce del sole. Ci muovemmo per affrontarli, i nostri corpi guidati più dall’istinto che da un qualche pensiero razionale.

Finì presto. Fujin lanciò la sua girandola, tagliandone uno in due prima che potesse anche solo avvicinarsi. Gli altri arrivarono in coppia; saltai in mezzo a loro, col gunblade che luccicava. Caddero poco dopo a terra, con il sangue verdastro che gli colava dalle corazze.

Da lì le cose iniziarono a andare male.

Iniziai a fendere l'aria con il mio gunblade con movimenti esperti, attaccando e affondando a vuoto mirando ad un avversario immaginario. Lo giostravo drammaticamente come lo schermidore di una commedia teatrale. Credo che il mio scopo fosse impressionarla. Ridevo.

“Hai visto, Fuu? Li ho stesi, senza il benché minimo sforzo!” Mi voltai, spingendo teatralmente la lama dietro di me. Lei strillò.

Sangue.

Non era molto, ma fu abbastanza da schizzarmi fin sulla giacca bianca, da rivestire tutta la punta del gunblade, da gocciolare dal viso di Fujin e dalla mano che aveva portato all'occhio sinistro.

Il suo occhio!

“Oddio… Fuu!” E mi si mozzò il fiato. Lei si accasciò sulle ginocchia, gemendo e piagnucolando mentre continuava a tenere la mano sull’occhio. Andai da lei, il gunblade scivolò dalle mie dita come se fossero improvvisamente diventate di ghiaccio. Lei si dondolava avanti e indietro, emettendo dei suoni incomprensibili. La sua mano sinistra, quella che nascondeva l’occhio ferito, era già diventata rossa dal palmo in giù. Non sapevo cosa dire. Mi sentivo come se qualcuno mi avesse staccato il cervello.

“Mi dispiace… Mi dispiace tantissimo… Stai bene?” Domandai stupidamente. L’incavo del suo occhio perdeva sangue come un condotto dell’acqua rotto. Lei DOVEVA stare bene.

“Male…” mormorò, così piano da essere udibile a stento. Poi ricadde su di me, il suo corpo divenne un peso morto. Era svenuta per lo shock. Probabilmente era meglio così, il dolore doveva essere terribile. Per un attimo rimasi lì, immobile, il suo corpo schiacciato contro il mio. Il suo viso era poggiato sulla mia spalla, e percepivo il calore che emanava. Stava sanguinando.

Dovevo fare qualcosa.

Non potevo fare niente.

Colpa mia.

Colpa mia.

In qualche modo, riuscii a far rispondere i miei muscoli. Allontanai delicatamente Fujin da me, prendendola per le braccia. La sua testa rotolò mollemente all’indietro, la mano scivolò dalla sua ferita. Finalmente ebbi uno squarcio di ciò che rimaneva del suo occhio e stavo quasi per rimettere lì vicino. Non era per la ferita in sé; in qualità di Cadetti del Garden ci avevano ordinato di vedere film pieni di atrocità per desensibilizzarci. Ma non importa quante volte vedi una cosa nei film, vederla su qualcuno a cui vuoi bene è incredibilmente peggio.

I minuti successivi furono un inferno per me. Mi sembrava di muovermi in un intontimento meccanico: non capivo realmente cosa accadesse intorno a me, ma rispondevo molto semplicemente agli stimoli esterni. Afferrai la mia giacca e ne tagliai una manica con il gunblade, facendone un grezzo bendaggio per l’occhio di Fujin. Lei si mosse appena. Tremava, la sua pelle era fredda e appiccicosa, come mai avrei potuto immaginare. Non c’era niente che potessi fare per lei. Non potevamo ancora tenere in junction un GF fuori dalla classe, e mi sentivo impotente. L'unica possibilità che mi era rimasta era provare a riportarla al Garden.

Rinfoderai il mio gunblade e la cullai tra le mie braccia come se fosse una bambina. Non era pesante. Sembrava fragile, come se potesse rompersi da un momento all'altro, frantumarsi come la bambola di porcellana che la sua pelle chiara la faceva apparire. Forse è la memoria che mi gioca brutti scherzi, ma potrei giurare che cominciò a piovere, come se il tempo volesse rispecchiare il mio umore, o deridere il modo in cui il mio mondo crollò in un istante.

Mi misi a camminare, la sua testa rimbalzava contro la mia spalla ad ogni passo, le sue labbra mi accarezzavano gentilmente il collo. Ancora una volta, l'ultima cosa che provavo erano le sensazioni su cui avevo fantasticato. Era un contatto freddo, vuoto, esanime; il tocco di un cadavere. Non sembrava più Fujin, e mi chiedevo se sarebbe mai tornata ad esserlo. C'era ancora la vecchia Fujin lì dentro? Oppure l'avevo sradicata per sempre dal mondo in un semplice gesto di stupidità?

Fu il tragitto più lungo della mia vita, ed ebbi molto tempo per odiarmi. Era tutta colpa mia. Ero stato di nuovo un idiota, avevo agito d'impulso, avevo agito come un cretino. Come un ragazzino, proprio come un ragazzino… Confuso, spaventato, un bambino che colpisce il mondo intorno a sé in una cieca, gelosa rabbia.

Pregai. Pregai Dio e Hyne e qualsiasi altra cosa mi venisse in mente. Pregai che Fujin potesse star bene. Non meritava di pagare per un mio stupido errore.

Per quando il Garden di Balamb apparve all’orizzonte, le mie braccia bruciavano per lo sforzo e sentivo Fujin più pesante di quanto non mi fosse sembrata prima. All’ingresso barcollai, con il respiro pesante. Vidi già i membri più grandi del Garden correre verso di noi. Una volta capito che avevo trovato la salvezza, le gambe mi si piegarono sotto il mio peso. Non riuscivo più a stare in piedi. Caddi in ginocchio, e dopo aver fatto sdraiare Fujin per terra davanti a me, cascai su di lei. L’ultima cosa che mi raggiunse mentre le forze mi abbandonavano fu il battito saldo del suo cuore.

Era ancora viva. Grazie Dio… Ancora viva.

Non rimasi privo di sensi per molto. Probabilmente fu dopo tre o quattro minuti che riaprii gli occhi e sentii il pavimento freddo contro la faccia. Mi rizzai a sedere lentamente, strofinandomi la fronte che tutto d'un tratto aveva preso a pulsare. Diversi studenti con le uniformi del Garden mi circondavano, sentivo le loro voci eccitate alzarsi e abbassarsi costantemente. Constatai di aver radunato una bella folla.

“Seifer!” tuonò Raijin, con quella sua voce che lo faceva somigliare ad un bue. “Ci avrei scommesso che eri tu, lo sapevo!”

Si avvicinò spintonando un po' tutti, scivolando tra la folla per fermarsi a poco più di un metro da me. Attirai la sua attenzione con un brusco gesto del braccio.

“Dov’è Fujin?” gracchiai. Mi si era seccata la bocca.

“Hey! Non preoccuparti per Fuu, boss! L’hanno portata in infermeria e si riprenderà.” La tensione della sua voce tradiva il tono normalmente allegro.

“Perché non sei con lei?” sibilai, la voce severa, accusatoria. Mi rimisi in piedi con un grugnito.

“Non me l’hanno permesso, sai? Così ho pensato fosse meglio venire a controllare te, boss,” Annuii. Poi notai le persone che mi stavano ancora intorno. Molti di loro erano dei Giovani Cadetti. Nessun istruttore. Sentii di odiare anche loro. Loro non se ne fregavano niente di Fujin. Per loro non era che un intrattenimento. Una piccola cosa per spezzare la monotonia dei loro noiosissimi e piattissimi giorni.

“Fuori dai piedi!” ringhiai, barcollando sui miei passi.

Agitai ferocemente i pugni, scacciando la calca come meglio mi riuscii. Li odiavo quasi quanto odiassi me stesso. Volevo spaccargli il muso, tappezzare i pavimenti di marmo del Garden con i loro denti. Avrei fatto sanguinare quegli imbecilli per un po', gli avrei fatto sentire com'era.

Gliel'avrei fatta vedere a tutti. Si sparpagliarono come uno stormo di quaglie davanti a me. Gli gridai dietro.

“Se a qualche altro verme verrà la brillante idea di fissarmi, giuro che finirà a mangiare con una cannuccia!” “Hey boss, non ora!” m'interruppe Raijin, mettendomi nervosamente una mano sulla spalla. “Non è il momento, capito?”

“Al diavolo.” Ricordai di averlo sentito dire in più occasioni da quello stronzo di Leonhart, e il disgusto che provavo per me crebbe ulteriormente. “Andiamo da lei.”

Non mi piaceva l’infermeria. Non mi piacciono gli ospedali in generale, non mi piacevano allora, e non mi piaceranno mai. Hanno un brutto aspetto, un brutto odore. Qualsiasi emozione, qualsiasi cosa umana, viene strappata via come un pezzo di carne inutile, e rimane solo il bianco chiarissimo come ossa dei pavimenti, delle pareti, del soffitto. Il tanfo del disinfettante, forte e dolciastro, che riempie l’aria di morte sterile. Non volevo che Fujin stesse in un posto come questo. Soprattutto non per colpa mia. Lei era viva. Non apparteneva a quel luogo.

La dottoressa Kadowaki provò a rassicurarmi, ma risultò semplicemente pedante. No, non potevamo vedere Fujin. Sì, stavano facendo il possibile. No, probabilmente non avrebbe potuto più vedere con quell’occhio. Sì, se la sarebbe cavata.

Il mio corpo cadde tremante su una piccola sedia della sala d’aspetto. Se la sarebbe cavata. Era una buona notizia, giusto? Allora perché mi sentivo così male?

Mi avrebbe odiato per questo. L'avevo segnata per sempre, celandole permanentemente metà della luce del mondo. Per niente. Niente. Non perché ero arrabbiato, ma perché ero stupido. Sconsiderato.

“Seifer? Mi stai ascoltando?” La Kadowaki stava ancora parlando con me. Ma non le davo retta. Le sue parole erano come il lamento di un chocobo ferito. Stupide.

Insignificanti. Volevo colpirla per il tempo che mi stava facendo sprecare.

“Che c'è?” chiesi, in tono lento e minaccioso. Un montante… Seguito da un gancio sinistro…

“Com'è successo, Seifer?” Non sembrava aver fatto caso al mio tono. “Sei stato di nuovo un irresponsabile, andando da mostri come quelli. E non provare a dire che non è questo quello che stavi facendo. Dovresti veramente mostrare più maturità.”

Mostrare più maturità.

“Ci sono dei Giovani Cadetti che sono molto più responsabili di te, Seifer. Per esempio, guarda Squall.”

Guarda Squall!

“Fujin aveva già abbastanza problemi di suo, povera creatura. Non avrebbe dovuto pagare per un tuo errore.” Un tuo errore.

Sempre un tuo errore, Seifer.

Non dovresti prenderti gioco di Zell, Seifer.

Non potresti essere un po’ più maturo, Seifer?

Sei un maleducato, Seifer! Sto parlando!

Strinsi ferocemente i pugni, e concentrai lo sguardo furioso su di essi. Se avessi alzato lo sguardo, Raijin e Kadowaki avrebbero capito cosa mi tormentava. Non volevo che nessuno lo scoprisse.

Era difficile ricordare tutte le cose che mi vorticavano per la testa. Il semplice utilizzo in classe dei Guardin Forces aveva già da allora cominciato a ripulire la mia mente. I singoli istanti rimanevano separati, come tante isole in un mare di confusione, perché i ponti della memoria che le congiungevano erano stati demoliti per far spazio alla potenza dei GF. Ovviamente non sapevo nulla di tutto questo, allora. Mi sentivo confuso e arrabbiato, incapace di mettere insieme i pezzi per formare qualcosa di concreto.

A parte questo, mi sentivo un fallito. Ero patetico. Un cavaliere caduto, una cosa inutile, rotta. La gente raccontava leggende dove i cavalieri salvavano le donne che amavano. Di certo quelli che cavavano loro gli occhi non ricevevano molto onore. Erano i cattivi, non gli eroi. Improvvisamente, mi ritrovai a chiedermi se i cattivi fossero veramente tali, o solo stupidi. Solo deboli.

Come me.

“Beh, è ovvio che non mi stai ascoltando. Suppongo tu sia preoccupato per la tua amica.” La voce della dottoressa si ammorbidì. “Starà bene, ma temo che non ci sia modo…

Immagino che rimarrà shoccata per molto tempo. Avrà bisogno che i suoi amici le stiano vicino. E di non essere trascinata mai più in nessuna situazione pericolosa.”

La donna robusta andò fin dietro la sua scrivania, setacciando tutte le carte che vi erano sopra. “Ho una mezza idea di prendere seri provvedimenti per te, Seifer, ma credo anche che ciò che è successo sia stata una punizione molto severa di per sé. Adesso perché non vai a riposarti? Ti farò chiamare non appena lei si sveglierà.”

“No, rimango.”

“Anche io!” urlò Raijin. Ero sicuro che quei pochi minuti che aveva passato in silenzio fossero una specie record per lui.

“Bene.” acconsentì la dottoressa, sedendosi. “Però state tranquilli e non infastidite nessuno.”

Non c’è molto da dire riguardo le ore successive. Stetti seduto, sfogliando meccanicamente vecchie riviste. Le parole e le immagini sulle pagine non avevano nessun significato.

In ogni volto sorridente, rivedevo il sangue scendere dalla sua guancia. In ogni articolo vuoto, risentivo il suo grido.

Alla fine, mi ero appena appisolato in un sonno leggero ed agitato, quando sentii un tocco sulla spalla. Aprii gli occhi e vidi la dottoressa Kadowaki davanti a me.

“Si è svegliata,” disse la donna. “Se volete vederla, venite. Ha bisogno di riposo.”

Raijin ed io la seguimmo per un breve corridoio fino ad una piccola stanza quadrata dove dominava un gran letto. L’unica luce presente proveniva dalla finestra, dove un debole chiarore lunare brillava attraverso le tendine formando strisce che rigavano il muro, il letto, noi. Fujin era lì, la sua sagoma sembrava stranamente piccola e fragile sotto le ruvide coperte bianche. Lei girò distrattamente la testa per vederci entrare. Metà del suo viso era fasciato da una benda bianca.

Colpa mia.

“Ti senti bene, Fujin?” domandò la dottoressa Kadowaki, scribacchiando qualche nota sul suo blocco. Certo che non stava bene. Che accidenti di domanda era quella?

Probabilmente non sarebbe stata bene mai più.

Fujin si limitò ad annuire.

“Riesci a parlare? Puoi dirci cos’è successo?”

Colpa mia.

Dovevo prendermi le mie responsabilità.Colpa mia.

“Mostro…” bisbigliò lei, i suoi occhi si fecero inespressivi e si concentrarono sul soffitto.

“Sì… Proprio come avevo immaginato. Seifer era troppo sconvolto per parlarne. Beh, è una fortuna che tu sia ancora viva. Abbiamo avuto tanti studenti del Garden che hanno incontrato la loro fine proprio in questo modo. Troppi.” Si fermò, infilando il taccuino sotto il braccio. “Ne riparleremo più in dettaglio un’altra volta, Fujin. Per adesso, la cosa migliore è che tu dorma un po'. Hai passato un brutto momento. Le medicine che ti abbiamo somministrato dovrebbero farti sentire un po' assonnata.” Si voltò verso Raijin e me. “Non rimanete troppo, voi due.”

Poi se ne andò, la porta si chiuse con un fruscio dietro di lei.

Fujin si rigirò verso di noi, lo sguardo stanco e pesante. Raijin se ne accorse immediatamente. Dovevo dargliene un merito. Poteva pure fare l'idiota totale per un buona parte del tempo, ma sapeva capire le persone.

“Um… Sono felice di vedere che stai bene, Fuu. Chiamami se hai bisogno di qualcosa… Vado, cioè, vado a farmi un giretto, torno tra un minuto.” E se ne uscì silenziosamente. Beh, silenziosamente per lui.

“Dunque…” Riuscivo a stento a guardarla. “Cos’è questa storia, Fuu? Perché non gliel’hai voluto dire?”

“Seifer…” rispose lei con calma. Sollevò una mano e mi fece cenno di avvicinarmi. La distanza tra me e il letto sembrò allungarsi improvvisamente, un mare di linoleum bianco. Un pericoloso golfo di emozioni.

Tagliai la distanza che mi allontanavano da lei apparentemente al rallentatore, i miei passi erano lenti e misurati. I secondi divennero eternità. Il tempo andò al contrario. E finalmente, arrivai a qualche centimetro da lei.

“Seifer…” Nel buio, afferrò la mia mano. Era calda e soffice, con le sue dita lunghe e aggraziate, e le unghie elegantemente definite. “Lo so che non l’hai fatto apposta.”

“Non è questo il punto,” sbottai. Avrebbe dovuto odiarmi. I deboli non meritavano compassione. In particolare da coloro che avevano ferito con la loro avventatezza. “Non ci sono scuse…Mi… Mi dispiace… Sono stato così stupido… Mi dis-mi-mi dispiace!"

Dannazione. No.

No.

Non piangere.

I ragazzi grandi non piangono.

Gallinaccio.

Nient’altro che un piccolo, debole gallinaccio…

Misi crudelmente a freno il singhiozzo che minacciava di sfuggirmi. Non credo che se ne sia accorta. “Un incidente…” Lei strinse la mia mano. “Solo un incidente.”

La guardai. Sembrava appartenere ad un altro mondo sotto quella luce, il suo corpo era coperto da strisce alternate di luce e buio. Una era ferma sui suoi occhi… sull'occhio. Quell’iride da predatore conteneva un qualcosa tra le sue profondità di rosso che non avevo mai visto prima. Qualcosa di dolce sotto lo strato d'acciaio.

E allora capii. Capii con una certezza assoluta, così come ero certo che la sua mano fosse nella mia, così come ero certo che i miei piedi fossero fermamente piantati per terra, così come ero certo il mio nome fosse Seifer Almasy, che lei mi amava.

E capii che per questo le avrei portato rancore.

Non meritavo niente. Ero diventato il debole che non avrei mai voluto essere. Ero imprudente, invidioso, un ragazzino geloso. Non un uomo. Ero fuori controllo. Non un eroe. Solo un bambino. Un bambino che non riusciva a combinare niente di buono. Un bambino capace solo di infliggere dolore.

Non avevo bisogno dell’amore. Avevo bisogno di odio. Avevo bisogno di dolore. Avevo bisogno di un mondo che mi disprezzasse quanto mi disprezzavo io. Fujin amava un’immagine rotta, una cosa inutile. Se avessi accettato quei sentimenti, sarei andato incontro al fallimento. Avrei semplicemente ammesso che non potevo migliorare neanche un po'.

Così feci scivolar via la mano dalla sua, bofonchiai una scusa in sordina, e lasciai la stanza.

Volevo correre, ma sarebbe stato inutile. Non importa quanto veloce e quanto tu corra, non riuscirai comunque a scappare da te stesso. Invece, mi sembrava di andare alla deriva. Raijin andò a vedere Fujin il momento dopo che io uscii, ma lo riconobbi a malapena. Tutto il Garden sembrava ricoperto di una foschia grigia, e l'attraversai lentamente.

Alla fine mi ritrovai sul ponte di osservazione al secondo piano, con il gunblade stretto in mano. Mi buttai contro la ringhiera, mentre la mia mente cercava di dare un senso ai sentimenti che da un momento all'altro si erano distrutti e poi riformati. Sentimenti di affetto o forse di amore, se allora potevo capire una cosa simile, erano mutati in sentimenti di aggressione e risentimento. E tutto per un'azione avventata e imprudente che aveva rivelato le profondità della mia inutilità, il mio fallimento.

La lama non brillava completamente alla luce della luna, in alcuni punti vi erano ancora macchie del sangue dei mostri… e di Fujin. La punta dell'arma aveva cambiato colore per le scaglie di sangue secco che ancora le aderivano. Me la avvicinai al viso e accarezzai la sua superficie con un dito. Le schegge si staccarono, sbriciolandosi in una polvere sottile che cadde dalla ringhiera, nell’aria.

Così, pensai, ecco a cosa somiglia l’amore finito.

Se solo non avessi dovuto guardarla…

Ma lo feci, ed ogni volta che rivedevo il suo viso, il fallimento e la vergogna si schiantavano dentro di me. Paura, confusione, ripugnanza verso me stesso, ogni emozione aveva un suo posto, e quel posto era la benda nera dell’occhio di Fujin. Era il buco oscuro dove si nascondeva la mia instabilità. Era la pozza buia che rispecchiava la mia inadeguatezza.

Dopo un po', quella ferita cominciò a rappresentare tutto quello che odiavo di me stesso, le ragioni per cui non sarei mai stato l’eroe che avrei voluto essere. La vedevo, immaginavo la cicatrice che avrebbe preso il posto della sua orbita, ricordavo la mia lama imprudente che la lacerava.
Non era un sensazione piacevole.

Non furono soltanto i miei peggior difetti che mi rifletteva addosso che mi spinsero a rifiutarla; fu il fatto che lei sentiva qualcosa per qualcuno con questi difetti atroci. Non volevo essere così, e non volevo che nessun altro volesse che io fossi così. Il fatto stesso che lei provasse qualcosa per l’inutile guscio che ero dimostrava soltanto che aveva un pessimo giudizio. Non ci si poteva fidare dei suoi sentimenti. Non potevo permettermi di accogliere il suo affetto, mi avrebbe affondato.

Ma non la odiavo, non ancora. Quello accadde dopo.

In qualche modo, la nostra amicizia non crollò, soprattutto perché poco tempo dopo entrammo a far parte del comitato disciplinare e a tenerci legati furono le nostre responsabilità. A parte questo, divenne sempre più difficile starle intorno. Provai in tutti i modi a fingermi suo amico, nel tentativo di far sembrare le cose com’erano prima. Per la maggior parte delle volte, credo di esserci riuscito. Tutto andava fin troppo bene, considerando cosa accadde dopo.

Tutto andava fin troppo bene.

Dovrei parlare di Rinoa adesso? Cosa potrei dire? Come potrei descriverla?

Il Sole, la Luna, e le Stelle tutti in uno?

Lei significava molto per me. La turbolenta estate che passammo insieme fu il periodo più bello della mia vita. Quando ero con lei, non mi preoccupavo dei miei errori. Non mi importava degli altri. Io ero l’eroe con l’armatura bianca, e lei la dolce donzella da tenere tra le braccia. Non sapevo come mostrarle il mio amore. Maledizione, a malapena sapevo cosa pensare dell'amore. E anche se l’avessi saputo, non volevo comunque pensarci. Ma io amavo Rinoa. E la amo ancora.

Dannazione a me, la amo ancora.

Squall me l’ha portata via. E questo mi dà un altro valido motivo per odiarlo.

Forse non ho sempre odiato Squall, non lo so. Il tempo e i GF hanno fatto un buon lavoro di pulizia con cose problematiche come i ricordi d'infanzia. Ma so di essere sempre stato geloso di lui. Sempre.

Lui ha fatto tutto quello che ho sempre voluto fare io. Lui è stato tutto ciò che avrei mai voluto essere.

Lui ha salvato il mondo, ha avuto la gloria e la ragazza.

Io ho fallito ripetutamente. Ho trasformato la mia vita in una grottesca parodia dei miei sogni. Ho combattuto dalla parte sbagliata, ho perso la battaglia e la ragazza.

Lui si è fatto strada da solo.

Io ero una marionetta.

Lui era un eroe.

Io ero un fallito.

Lo odio. Lui non ha fatto niente per meritarsi quello che ha. Non ha mai saputo cosa volesse dire soffrire veramente. La sua vita finora è consistita nelle opportunità che gli si sono presentate ogni volta una dietro l’altra. Salvatore del mondo, Comandante del Garden, tutto ottenuto rigorosamente per caso. Io ho dovuto lottare per tutto, guadagnando nulla se non il risentimento del mondo intero.

Sono riuscito a gettar via l’unica cosa che abbia mai significato qualcosa per me, l’unica persona che mi abbia mai voluto veramente bene. L’ho capito solo adesso.

Un vero peccato non averlo capito due ore fa.

La parte successiva è difficile da raccontare.

Riesco a malapena a sopportare il pensiero delle mie azioni. Quello che ho fatto sembra peggio persino di quello che ho commesso quando lavoravo per Artemisia. E in un certo senso, forse lo è. La maggior parte delle persone che ho ferito allora non mi volevano bene.

Dopo che le acque si furono calmate, provai a far tornare la mia vita alla normalità. Non volevo ritornare al Garden; troppi brutti ricordi. Invece, presi tutti i guil che avevo e affittai un piccolo appartamento a Balamb. Il molo lì vicino era silenzioso, placido, una bella differenza dal conflitto che aveva scosso il mondo mesi prima. Incominciai a pescare nel tentativo di dimenticare la mia parte in quel caos, di adattarmi a vivere una vita tranquilla.

Ma era solo una bugia. Sulle ferite al mio cuore e al mio orgoglio si formò una sottile crosta, che avrebbe potuto riaprirsi in qualsiasi momento. Ero stato un attaccabrighe fin dal giorno della mia nascita, e il Garden non aveva fatto che affinare ulteriolmente questo aspetto del mio carattere. Ormai ero un combattente guidato dall’istinto, e vivere un'esistenza pacifica non pareva funzionare. Mi sentivo agitato, nervoso, come se mancasse qualcosa alla mia vita.

Fujin e Raijin lavoravano ancora per il Garden, ma ancora più spesso mi stavano intorno, accettando silenziosamente i momenti in cui li respingevo. Anche loro trovarono un posto in città, e facevamo tutti lavori strani – fondamentalmente, impieghi da mercenari – spazzando via i mostri di cui il Garden era troppo impegnato per occuparsi. La paga non era un granché, ma ci permetteva di tirare avanti.

Il mio compleanno.

Non c’è molto da dire riguardo i preparativi. Il regalo di Fujin e Raijin fu una notte di bevute nel bar locale, e i festeggiamenti consistettero nello scolarci ogni cocktail tutto d'un fiato per diverse ore di fila. Ce ne uscimmo barcollanti solo all’orario di chiusura, con Raijin che annunciava con una voce piuttosto alta persino per lui che sarebbe andato a fare una passeggiata sulla spiaggia.

Non volevo seguirlo. Chissà che cosa avevo in mente. Chissà se ci stavo già pensando.

Io e Fujin vagammo anche noi per un po’, le strade apparivano tranquille e pacate attraverso la confusione causata dall’alcol. Stava cominciando a piovere piano, delle grandi gocce ci schizzavano addosso mentre camminavamo, rendendoci lievemente più sobri. Una brezza leggera soffiava sulle strade, fresca, ma gradevole. Era da molto tempo che non mi sentivo così in pace con il mondo.

Alla fine, andammo a casa mia. Ricordo vagamente di aver detto a Fujin che se voleva poteva entrare. E lei voleva. Parlammo per un po’ di alcune cose sulla mia consunta scusa per un divano. Niente di importante; argomenti semplici. Davvero non ricordo.

Eravamo seduti vicini, le nostre spalle si strusciavano proprio come quel fatidico giorno di qualche anno fa, le nostre cosce l'una accanto all'altra in una calda unione. Il suo tocco era bello. E’ difficile ammettere i miei sentimenti. E’ ancora più difficile comprenderli.

Ma i miei sentimenti non erano cambiati. Anzi, si erano rafforzati in seguito ai disastrosi eventi causati dai piani di Artemisia. Nutrivo ancora del rancore per l’affetto di Fujin, per il suo amore. A parte questo, da quando avevo perso Rinoa, avevo cominciato a detestarla ancora di più.

Rinoa era una ragazza dalla chiacchiera facile, attraente e vivace. Era come la luce lunare, che illuminava la via degli uomini che l’amavano. Sembrava essere veramente viva, unica e speciale. Avevo perso il suo affetto, e al suo posto mi era rimasta un'albina monosillabica e con un occhio solo.

Fujin era un misero premio di consolazione nel gioco dell’amore.

Cosa posso dire? Non c’è niente in grado di difendere le mie azioni. Non amavo Fujin allora, e non penso di amarla adesso. Però volevo ancora usarla. Con la reputazione che mi ero costruito, ultimamente non ero stato esattamente il bersaglio preferito delle ragazze. Ero disposto a conquistare il calore di chiunque.

Così me la sono fatta.

Mi odiate?

Non più di quanto mi odi io.

Volete che ve lo descriva nei minimi particolari? Non penso di averne il tempo, e più ci penso, più mi fa male. Più mi rendo conto di quanto io sia realmente cattivo, più capisco di essere senza speranze e patetico.

Iniziò lei, se non sbaglio, quando si sporse e cominciò a baciarmi il collo dolcemente. Penso che a fare il resto sia stata una combinazione di voglia di sesso, alcol e tutte le emozioni che erano represse dentro di noi. Pochi minuti dopo eravamo nella mia camera da letto, nudi sotto le lenzuola, a fare sesso.

Non ho intenzione di raccontare tutto. Posso dirvi la cosa peggiore, ma lascerei il resto al suo posto. Spensi la luce. Non volevo vedere il suo volto, la benda nera che rappresenta una cicatrice della mia vita. Al buio, lei non sarebbe più stata Fujin. Sarebbe stata soltanto un altro corpo giovane e focoso. Un modo per soddisfare la mia eccitazione.

Non la baciavo, né le permettevo di baciarmi. Non volevo che il suo viso mi toccasse. Non volevo avere il suo occhio così vicino a me. Anche nell’oscurità, potevo quasi sentire quella ferita che si tendeva verso di me, mostrandomi la mia debolezza e la vergogna come un faro.

Era la sua prima volta, e non sono stato molto gentile. Probabilmente le ho fatto male.

Ma so che non me ne fregava niente.

Nemmeno lei sembrava preoccuparsene. Sentii uno o due mugolii di dolore, ma essendo una combattente esperta, aveva resistito a cose peggiori e a quanto pare poteva superare anche cose del genere. Infatti, dopo un po', sembrò piacerle. Emetteva dei piccoli suoni stupidi, chiamava il mio nome. Io invece pensavo a lunghi capelli neri, ad una bocca soffice, ad un naso elegante.

Al buio non importava. Al buio erano solo corpi… Rinoa…

Rinoa!

Più tardi, rimanemmo sotto le coperte, i nostri corpi lucidi a causa del sudore erano ancora premuti insieme dopo i nostri sforzi. La stanza era ancora quasi completamente buia, vi era solo la luce diffusa da una lampione che attraversava il vetro della finestra, punteggiata laddove la pioggia aderiva al vetro. La mia compagna alzò lo sguardo per guardarmi alla luce chiara, sul suo viso uno dei sorrisi più larghi che le avessi mai visto sfoggiare.

Dio, quanto la odiai.

Ero sempre riuscito a reggere l’alcol. Poi, un po’ per la pioggia fredda, e un po’ per le nostre azioni incomincia a smaltire la sbornia. Mi vergognavo. La mia debolezza si era rivelata ancora, la debolezza del mio corpo. Da qualche parte, ne ero certo, anche Squall e Rinoa giacevano nella stessa posizione. Lui aveva tutto ciò che avrei voluto, mentre io ero lì tra le braccia di un patetico di essere umano pieno di cicatrici. Tutto ciò che lei voleva fare era buttarmi giù, tenermi bloccato nella melma dell’imprudenza, della collera e delle debolezze che erano la mia vita. Ero stato bravissimo a scappare da quella prigione, e lei invece mi ci aveva di nuovo trascinato dentro.

Fujin mi strinse tra le sue braccia, avvicinandomi a sé. Io chiusi gli occhi così da non doverla guardare in faccia, ma potevo ancora sentire il suo respiro su di me, delle delicate dita di vento. Lei si contorse piacevolmente sotto di me, ma l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era il suo occhio che bruciava a pochi centimetri di distanza, che bruciava del mio fallimento.

“Seifer…Gr…a..zie,” sospirò. Stupida puttana. Lei non aveva ancora capito che non me ne importava niente. Una cosa del genere non sarebbe piaciuta a nessuno. Suppongo che non sapesse come avrebbe dovuto essere il sesso. Ma non si fermò lì. Continuò.

“Ti amo, Seifer.” I miei occhi si spalancarono per la sorpresa. Lei si sporse in avanti, baciandomi velocemente sulle labbra e ritraendosi come una confusa scolaretta al primo anno del Garden. Stava arrossendo.

Ti odio, Fujin.

Ti odio a morte.

E allora lo dissi. Penso di poter mentire e dire che ero confuso, preso dal momento, o ancora sotto l’effetto dell’alcol. Ma non sarebbe vero. L'ho detto apposta. Per ferirla. Per farle del male così come lei ne aveva sempre fatto a me.

“Oh, anche io ti amo, Rinoa.”

Fujin si irrigidì sotto di me, trasformandosi da una cosa fatta di carne e sangue in un burattino di legno. Girò il suo viso dall’altro lato. Nella luce che proveniva della finestra, riuscivo a scorgere le lacrime che iniziarono a scivolarle dall'occhio, tracciando dei sentieri d'argento sulla sua guancia. La sua voce, quando parlò, era calma. “Allontanati da me.”

Così feci.

Da quel momento qualcosa dentro di me iniziò a rompersi, la mia risolutezza iniziò a vacillare. Mi chiesi per la prima volta da quand'era cominciata se non avessi commesso l'ennesimo errore. Lei aveva provato ad essere sincera, almeno… Forse avrei dovuto dirglielo in modo meno duro… “Fuu, io…” Feci il tentativo di allungare una mano verso di lei, non capendo bene cosa stessi facendo. Diamine, per quel che ne so la mia testa poteva benissimo aver deciso di stringerle la sua.

“Non mi toccare,” sibilò, coprendosi il corpo nudo prima di allontanarsi il più possibile da me. “NON TI AZZARDARE A TOCCARMI, cazzo!

Ero spaesato. Improvvisamente il mondo cominciò a girare velocemente. Troppo velocemente. La ruota della mia vita stava perdendo il controllo, e non c’era modo di fermarla.

“I- I- Io-” Balbettavo. Non balbettavo da anni.

“FUORI!” La sua voce era diventata quella fredda e autoritaria del comitato disciplinare. “FUORI!” Esitando mi avviai fuori dalla stanza, chiudendo la porta dietro di me.

Non sapevo cosa pensare. Mi appoggiai contro la porta, scivolando fino al pavimento, e misi la testa fra le mani. A cosa stavo pensando? Avevo torto o ragione? Non lo sapevo.

Riuscivo a sentirlo attraverso la porta. Il soffice, tenue suono di un singhiozzo. Non avevo mai sentito Fujin piangere prima di allora, e qualcosa di quel suono mi colpì nel profondo. Non riuscii a frenarmi, e pochi secondi dopo aprii delicatamente la porta di una fessura e sbirciai dentro.

Fujin non si era mossa. Era ancora seduta al centro del letto, con le braccia avvinghiate al petto. Si dondolava avanti e indietro lentamente, con i singhiozzi che le sfuggivano dai polmoni, e le spalle che sobbalzavano ad ogni suono. Con quella luce, appariva tenerissima e fragile, la sua bianca pelle color latte che splendeva, il capo chino, l'occhio basso. Le sue gambe erano serrate, e sembrava tremare.

Dopo un po’, capii che il suo doloroso lamento era una parola reale ripetuta all'infinito.

“Brutto… brutto… brutto…”

Avrei potuto andare da lei. Avrei potuto provare a fare qualcosa, qualsiasi cosa, per rimediare allo sbaglio con la persona che avevo ferito. Ma non lo feci, perché avevo troppa paura. L’ho capito solo ora. In quegli istanti, tutto ciò che volevo era andare via da lì.

L’aria dell’appartamento era soffocante, opprimente. Avrei voluto andare in un posto dove poter pensare.

Mi vestii il più rapidamente possibile, raccolsi i vestiti sparpagliati sul pavimento del soggiorno e li indossai. Inoltre mi allacciai il gunblade, molto più per istinto che per una ragione vera, e uscii che era ancora notte.

Così ora sapete come sono arrivato fin qui.

Però la domanda è, cosa devo fare adesso?

Cammino nella campagna fuori Balamb, vagabondando nella prateria, ma allo stesso tempo sento di avere in mente una qualche destinazione. Forse più che fisica è una destinazione mentale; devo continuare a mettere un passo dopo l'altro fino a quando non sarò riuscito a dare un senso a tutto questo.

Forse vagherò per sempre.

Dove ho sbagliato? Cosa ho fatto di sbagliato? E soprattutto, chi è il responsabile?

Forse è Fujin, per essersi aggrappata a me nonostante la mia indifferenza. Forse la sua è solo ossessione e adesso sta raccogliendo le giuste ricompense per le sue azioni.

Non ci credo.

Forse è Squall, per avermi portato via Rinoa. Forse è colpa di lei, perché ha scelto di andare insieme a lui.

Vorrei potermi costringere a crederci.

Forse è colpa di Dio, colpa del mondo, colpa del Fato, per aver gettato degli ostacoli sulla mia via. Non riesco a crederci. Mi sono sempre vantato di essermi creato da solo la mia strada.

E così è.

Io. Solo io. Sempre io.

Colpa mia.

Ora mi è chiaro, adesso che penso al passato. Adesso che riguardo ai miei peccati.

Vero, sicuramente ho mostrato debolezza. Ma l’ho mostrata per le ragioni sbagliate. L’ho mostrata in modi che non me l'avevano fatta considerare come tale.

La mia debolezza non stava nell’aver perso la battaglia contro Squall. Stava nell’essere stato incapace di resistere all’attrazione seduttiva dell’eroismo e del controllo di Artemisia. Stava nel mio rifiuto di unirmi allo schieramento giusto.

La mia debolezza non stava nell'essermi fatto sottrarre Rinoa da Squall. Stava nell’essere stato incapace di dirle cosa provavo, e altrettanto incapace di dimenticarla e andare avanti.

La mia debolezza non stava nell’accettare l’affetto di Fujin, stava nell’averla allontanata, nell’averla ferita. Ero troppo spaventato all'idea che qualcuno potesse vedere il bambino invidioso e spaventato che serbavo dentro di me. Non ho voluto accettare il fatto che non potevo risolvere da solo i miei problemi.

Rifiutandola, ho distrutto l’unica persona che mi abbia mai davvero amato. Spezzandole il cuore, ho rovinato quello che avevamo per sempre.

Solo ora so queste cose. Nella mia testa, ho capito che sono nel caos.

E non mi interessa.

Io amo ancora Rinoa. Io odio ancora Squall. Ho ancora risentimento per Fujin che non è stata nient’altro che un rimpiazzo, una forma quadrata che non riesce ad incastrarsi nel foro rotondo della mia anima. Potrei odiarmi perché la penso in questo modo, ma non riesco a impedirmelo. Una parte di me non si vuole fermare.

Vorrei sapere dove ha cominciato ad andare tutto male. La pioggia sta ancora cadendo, e ora vi si aggiunge il rimbombo dei tuoni. C’è a stento abbastanza luce per poter vedere. Mentre mi perdo nell'erba alta e bagnata, mi ritrovo a domandarmi se mi trovo vicino a quel posto dove, qualche anno fa, un amore ha cominciato a morire.

La mia arma brilla in un lampo di luce quando la estraggo dal fodero e la infilzo nel terreno. Dovrei fuggire lontano. Lontano da Balamb, da Fujin, da ogni cosa. Dovrei lasciarmi alle spalle questo odioso emblema della mia vita passata. Dovrei andare avanti e non guardarmi più indietro.

Ma posso essere davvero sicuro che questo cambierebbe tutto?

Il problema è dentro di me. Sono solo le mie azioni che continuano a distruggere la mia vita e ridurre in pezzi il mio mondo. Il bordo lucido dell’arma mi chiama. Potrei dire addio ai miei problemi facendola finita.

Qual è la cosa giusta da fare? Non lo so.

Non so più niente.

Beh, forse no. Una cosa la so.

Penso alla bugia di Fujin di tanto tempo fa, una fandonia che aveva messo su per proteggermi, una storia con cui aveva sperato di assolvermi dalla colpa. Penso che non sia stata del tutto una bugia, ma forse la cosa più vera che sia mai stata detta su di me.

Un abbaglio di luce. Fisso la superficie riflettente del gunblade.

Un mostro restituisce lo sguardo.

Fine

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Nota dell'autore:E questo è quanto. Giusto una mia rappresentazione del carattere di Seifer. Non è cambiato molto dalla trama originale nella mia revisione, ho solo corretto un po’ di errori da parte mia, ed ho perfezionato la prosa in alcuni punti.

A presto.

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Nota della traduttrice: Ed ecco qui finalmente pubblicata questa meravigliosa storia di DK! A differenza delle altre, questa fanfiction è stata tradotta da Little_Rinoa.

Ringrazio infinitamente la mia cara Youffie per averla betata e il mio amico Riccardo per i consigli.
   
 
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