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Autore: Haydee    02/08/2008    5 recensioni
...Nella digradante calura del tramonto, mentre il disco rosso del sole spariva tra i palazzi di stucco, colorandoli insieme all'atmosfera di un romantico rosa pastello, si fronteggiavano nel giardino interno, mentre nell'aria aleggiava il profumo degli aranci e il silenzio era rotto dallo zampillare di una fontana... ...Quando vide la sottile falce di luna apparire delicatamente nel cielo rosa, capì che il suo mondo incantato iniziava da lì...
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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T’adoro come la volta notturna

T’adoro come la volta notturna

 

Due settimane dopo, Salisburgo

 

Winter chiuse la valigia e si guardò attorno, in quella stanzetta che l’aveva ospitata per quasi due mesi. Era tempo di tornare a casa, o per lo meno era tempo di lasciare sua sorella a riordinare le idee prima di andare a trovare i loro genitori per il Natale.

Sospirò e si sentì incredibilmente stanca.

Non voleva lasciare sua sorella, aveva il segreto quanto infondato timore di perderla nuovamente.

Inoltre non voleva stare tutto quel tempo da sola con Mitja. Non sapeva nemmeno contare le volte che se l’era ritrovato tra i piedi in quegli ultimi giorni.

Dopo il fattaccio si era tenuto alla larga una giornata intera, però poi era esploso e aveva cominciato a rifilarle scuse su scuse, arrivando quasi a supplicarla di ascoltarlo. Inaudito!

Non voleva sentire, non voleva sapere più nulla. Voleva solo tornare alla sua vecchia vita, a vivere con Phénice, e voleva trovarsi un lavoro onesto del quale sua sorella e i suoi genitori potessero essere fieri. Infatti aveva deciso di riallacciare il rapporto perduto con i suoi, ora che Crystal era di nuovo presente non aveva motivo di star loro alla larga. La loro presenza non le avrebbe più portato alla mente gli avvenimenti orribili del passato, o almeno lo sperava.

Mitja invece era un problema. La assillava giorno e notte con la sua presenza e con quello sguardo disperato, non riusciva a sopportare di vederlo in quello stato. Soprattutto perché sapeva che non avrebbe potuto resistere a lungo ai suoi attacchi.

Era come una calamita, la attirava inesorabilmente, e in fondo al suo cuore ne era sempre stata invaghita. Però aveva deciso, doveva smetterla con quelle fantasie. Mitja non era per lei, non lo sarebbe mai stato, doveva soltanto rinchiudere in un angolo quello che provava per lui e guardare avanti, non doveva essere poi così difficile.

Prese la borsa che mise a tracolla e gettò un ultimo sguardo attorno a sé.

Tra meno di un’ora dovevano essere sul treno per Vienna, e da lì avrebbero preso l’aereo per tornare a casa. Era tempo di muoversi.

Raccolse le ultime cose e uscì, spegnendo la luce su quel breve periodo che le aveva regalato una delle gioie più grandi della sua vita nel ritrovare sua sorella, e che le aveva insegnato che non sempre le cose vanno come vorremmo, e che persone che sembrano perfette per noi possono rivelarsi totalmente sbagliate. Il segreto per guardare serenamente a quel periodo era levarsi dalla testa quello che aveva sognato riguardo a Mitja, non c’era altra soluzione.

 

Non appena giunse nella hall trovò sua sorella in lacrime, Friedrich e Mitja che parlottavano in un angolo e Nikolas che tentava in tutti i modi di risollevare il morale della sua mamma porgendole il suo giocattolo preferito:

- Guarda mamma, è bello! Puoi tenerlo tu per qualche giorno, ma non piangere! – cinguettava sventolandole sotto il naso quella che era stata un’automobilina in tempi migliori. Crystal annuì ridendo tra le lacrime:

- Sei gentile Nikolas, ma non mi servirà, puoi tenerlo tu! – esclamò accarezzandogli il capino biondissimo. Il bimbo si imbronciò:

- E allora con che gioco ti consoli? – volle sapere guardandola intristito. Lei lo prese tra le braccia, stringendolo forte a sé:

- Non mi servono giochi, mi basta il mio ometto! – il bambino la abbracciò di slancio, affondando il visetto nella sua spalla:

- Ah beh, allora… - mormorò saputo guardando con un misto di dispiacere e sollievo il suo giocattolo… i suoi averi erano salvi fortunatamente!

Winter si avvicinò con un sorriso triste. Le si spezzava il cuore al pensiero di doverli lasciare tra poco:

- Winter ti stavamo aspettando! – intervenne Friedrich sorridendole e avvicinandosi a sua moglie e al bambino. La ragazza gettò un rapido sguardo su Mitja, e ovviamente lo trovò impegnato a divorarla con gli occhi:

- Sono pronta, forse è meglio andare. – mormorò concentrandosi su Crystal e Nikolas. Sua sorella si alzò e la abbracciò di slancio, stringendola disperatamente:

- Mi dispiace per… - tentò di cominciare, ma Winter accentuò la stretta attorno a lei impedendole di continuare:

- Lascia perdere, ho sbagliato io a illudermi. – mormorò duramente. Crystal avrebbe voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa per non vederla andare via così triste, ma non sapeva cosa.

Aveva dato una sonora strigliata a quel babbeo di Mitja, ordinandogli di far ridere nuovamente la sua sorellina in tempi brevissimi, ma la testardaggine di Winter era una variabile da tenere sempre ben presente. Se si sentiva presa in giro era praticamente impossibile farla ricredere sul conto di una persona. Mitja aveva decisamente un problema con la “p” maiuscola!

Ed evidentemente ne era perfettamente cosciente, almeno a giudicare dalla sua espressione. Era un misto tra il furibondo e il disperato, sembrava che dovesse scoppiare da un momento all’altro e l’unica che sembrava non essersene accorta era proprio la diretta interessata.

Winter guardò l’orologio:

- È tardi, dobbiamo sbrigarci se vogliamo prendere il treno. – esclamò raccogliendo le sue cose e attendendo che sua sorella la seguisse. Dopodiché si incamminò spedita verso l’uscita dell’albergo, mentre Mitja e Friedrich le seguivano a debita distanza, insieme a Nikolas:

- Non sei ancora riuscito a spiegarti, eh? – mormorò l’austriaco evidentemente dispiaciuto. Sua moglie lo assillava giorno e notte con quella storia, era impossibile non sentirsi coinvolti!

- Macché, non riesco nemmeno ad augurarle il buon giorno, mi tiene lontano neanche fossi radioattivo! – borbottò il biondino scoraggiato. Si volse sorpreso quando si sentì tirare per i jeans e incontrò il visetto furbo del bambino:

- Zio Mitja, senti… - cominciò con la sua vocetta sottile facendolo sorridere dopo giorni. Il piccolo aveva preso l’abitudine di chiamare anche lui zio, come faceva con Winter, e la cosa non poteva che fargli piacere. Avrebbe potuto essere veramente suo zio se solo Winter…

- Dimmi diavoletto! – ridacchiò depositando a terra una valigia per chinarsi:

- La zia Winter è arrabbiata con te? – chiese osservandolo con gli occhioni azzurri sgranati. Mitja sospirò:

- Più che arrabbiata è furiosa, non vuole nemmeno parlarmi! – il piccolo annuì comprensivo, con aria saccente:

- Fa come la mamma, anche lei si arrabbia e non parla più con nessuno! – esclamò con un broncetto delizioso. Il ragazzo annuì:

- Lo immagino, sono gemelle! – il piccolo annuì con forza:

- Sì, sono uguali, ma se sono uguali allora anche alla zia passerà! – fece convinto. Mitja incurvò la bocca in un sorriso triste:

- Non credo che la zia Winter cambierà idea, purtroppo! – il piccolo gli batté una manina sulla spalla, imitando comicamente un gesto che probabilmente aveva visto fare da adulti:

- No, no, sono sicuro, non sarà più arrabbiata! – cinguettò convinto, incuriosendo il ragazzo:

- Perché? – gli chiese avvicinandosi a lui. Nikolas gli si appiccicò all’orecchio, intento a non farsi sentire:

- Perché quando la mamma si arrabbia il papà le da tanti bacini qui… - mormorò toccandogli le labbra: - …e poi lei non è più arrabbiata e ci abbraccia ancora! Allora anche tu devi darle tanti bacini sulla bocca, poi lei non sarà più arrabbiata e farete la pace! – Mitja sgranò gli occhi incredulo:

- Piccola peste, e tu come le sai queste cose?? – sbraitò lanciando un’occhiata ad uno scioccatissimo Friedrich:

- Perché ho visto una volta il papà che lo faceva, e la mamma è tornata e abbiamo fatto la pace anche noi! – esclamò galvanizzato dal discorso, mentre suo padre si asciugava il sudore freddo dalla fronte e riprendeva il colorito che gli era consono. Il russo rise rilassato, accarezzando la testa al bambino:

- Sai che ti dico Niky? Hai proprio ragione, farò così anche con la zia Winter! E quando verrai da noi per Natale ti prometto che non sarà più arrabbiata! – ridacchiò alzandosi e raccattando nuovamente le sue valigie: - Andiamo adesso? – esclamò tranquillo e sorridente mentre raggiungeva Winter e Crystal. Ma guarda, il nanerottolo la sa più lunga di me e di suo padre… e ha perfettamente ragione!

 

~~~~~

 

Appartamento del centro, 8:45 am

 

Phénice agguantò la borsa in fretta e furia mentre tentava di infilarsi uno stivale saltellando.

Era in super-ritardo, da quando aveva cominciato il suo nuovo lavoro non lo era più stata, ma naturalmente quella brutta bestiaccia che chiamiamo iella aveva infilato la sua zampaccia schifosa in quel fresco mattino di inizio autunno.

Più precisamente, le pile della sveglia si erano scaricate lasciandola in balia del casino più assoluto. In più aveva dimenticato di accendere la caldaia e l’acqua per la doccia era gelida, il phon aveva rischiato di abbandonarla almeno un paio di volte e non riusciva a trovare la spazzola!

Era perciò piuttosto semplice immaginare il suo aspetto in quel momento: era congelata, scarmigliata, vestita alla meno peggio e completamente disorientata.

A migliorare la situazione si aggiunse uno scampanellio discreto al citofono:

- Ah, perfetto… proprio perfetto!! – esclamò furibonda rovesciando metà del contenuto dell’armadietto del bagno. Un giorno di questi doveva decidersi a buttare tutte quelle boccette inutili… e quando si decideva a tornare la miss-ordinata-Winter??!

Arrancò faticosamente verso l’ingresso e sollevò il citofono con una certa esasperazione:

- See!! – esclamò con malagrazia mentre tentava di finire di infilarsi il secondo stivale. La cornetta tenuta stretta tra l’orecchio e la spalla però era posizionata male perciò non capì chi la cercava:

- Insomma si può sapere chi è?! – strillò scostandosi nervosamente i capelli dal viso, sbuffando rumorosamente e riacchiappando la cornetta normalmente:

- Siamo nervosi stamattina, eh? Sono il cavaliere senza macchia e senza paura, mi apri o preferisci gettarmi la treccia dalla finestra perché la usi come corda?? – chiese una voce divertita dall’altro capo.

Immediatamente tutti i propositi omicidi della ragazza andarono a farsi friggere, mentre le ginocchia diventavano molli e un sorriso assolutamente idiota le si dipingeva sul viso stravolto:

- Oh, Arkel! Ciao, sali! – esclamò pigiando il bottone per aprire il portone d’ingresso e rimanendo aggrappata al muro per non scivolare a terra:

- Grazie, principessa! – lo sentì mormorare con quella sua voce bassa e sensuale, poi avvertì il tonfo della porta che si chiudeva e riacquistò l’uso del cervello.

Presto, doveva fare presto!!

Saltò letteralmente nel bagno, trovò nella vasca la spazzola che tanto aveva bramato, diede quattro rapidissimi colpi che le strapparono metà della sua chioma fulva ma che le diedero una lontana parvenza umana, chiuse con un paio di tonfi assordanti la porta del bagno e quella della sua camera per nascondere il casino che aveva combinato e quando bussarono alla porta era pressoché in ordine.

Inspirando profondamente abbassò la maniglia e accolse Arkel col suo sorriso più dolce:

- Ciao! – mormorò con la mente completamente svaporata, osservandolo in tutto il suo fascino mentre lui la guardava di sottecchi con un mezzo sorrisetto irriverente, appoggiato al muro con un braccio e con un sacchetto nell’altra mano:

- Buongiorno bimba… che hai fatto a capelli, ti sei pettinata con un gatto idrofobo?? – iniziò subito punzecchiandola; se non lo avesse fatto avrebbe finito sicuramente col scivolare su discorsi troppo… pericolosi. Infatti la ragazza mise subito un broncetto adorabile:

- Siamo complimentosi oggi, eh? Niente battutacce per favore, ho avuto un risveglio traumatico! – esclamò riprendendo la sua solita verve e dimenticando per un attimo con chi aveva a che fare. Arkel ridacchiò senza ritegno:

- L’ho notato! Allora, hai già fatto colazione? – si guardò attorno mentre entrava e schivò una ciabatta solitaria sul suo percorso: - Mi spieghi cos’è successo? Hai litigato con i mobili di casa o c’è stato un terremoto? – ghignò divertito dall’occhiataccia che guadagnò un secondo dopo aver parlato:

- Spiritoso! Sono in ritardassimo e ho fatto la doccia gelata, poi il phon non funzionava a dovere, ho perso la spazzola… insomma, un disastro in piena regola, e se sei venuto per infierire attento che io… - ora era a pochi centimetri da lui, gli sventolava l’indice sotto al naso e poteva percepire alla perfezione l’odore del suo dopobarba, fresco e insinuante, e si accorse che non la guardava più tanto divertito; il suo sguardo era intenso e scrutatore, sembrava che tentasse in tutti i modi di leggere qualcosa dentro ai suoi occhi… si zittì, trattenendo il fiato per non rimanere inebriata più del dovuto dal suo profumo, mentre lo osservava con gli occhi sgranati.

Sussultò vedendo il suo viso chinarsi leggermente verso di lei e notando lo scintillio ansioso nei suoi occhi:

- Phénice? - mormorò rauco. Lei socchiuse le labbra d’istinto:

- Sì… - soffiò appena, facendo un mezzo passetto e precipitandogli quasi tra le braccia.

Arkel la divorava con gli occhi, stringendo spasmodicamente il sacchetto nella mano destra mentre la sinistra si alzava lentamente verso quel visetto dolce e delicato. A metà strada si bloccò tornando sui suoi passi e deglutì:

- Hai… già fatto colazione? – chiese ancora alla fine con voce strozzata. Lei sgranò ancora di più gli occhi, chiudendo di scatto la bocca e avvampando all’improvviso. La vide fare due rapidi passi indietro e si morse l’interno di una guancia nervosamente, chiedendosi se tutto quello che stava succedendo era giusto. Non c’era tempo per perdersi in quei pensieri, gli occhi della ragazza era divenuti improvvisamente lucidi:

- In realtà… no, sono di fretta… anzi se non ti spiace dovrei andare! – ribatté lei rigidamente allontanandosi per raccogliere le sue cose. Arkel la seguì nei suoi movimenti esasperato. Perché continuava a sbagliare sempre tutto con lei? Più tentava di fare le cose razionalmente più faceva figuracce! Probabilmente doveva rivedere il suo schema di conquista…

- Posso accompagnarti al museo, sono in auto. Così puoi mangiare qualcosa. – disse alzando il sacchetto maltrattato mentre lei si fermava a soppesarlo.

Doveva accettare o prenderlo a schiaffi? Che gran pezzo di cretino, aveva creduto che volesse baciarla ed era stata sul punto di chiudere gli occhi e di porgergli le labbra, invece voleva darle da mangiare! Per un attimo fu tentata di mandarlo al diavolo, che si strozzasse lui con la sua colazione!

Poi però gli sorrise timidamente, dandosi mentalmente dell’allocca svenevole:

- Te ne sarei grata, non mi va di farmi tutta quella strada in autobus… - rispose infilandosi una giacchetta di velluto e mettendosi la borsa a tracolla.

Arkel si passò distrattamente una mano sulla nuca:

- Ok, allora andiamo? – chiese imbarazzato. Lei annuì e si avviò verso l’ingresso a capo chino, passandogli accanto senza degnarlo di un’occhiata. Il ragazzo la seguì sospirando, chiedendosi quand’è che sarebbe riuscito a fare la cosa giusta con quella piccola peste!

 

~~~~~

 

Villaggio di R****, notte fonda

 

La giovane si rigirò per l’ennesima volta nel suo letto.

Non poteva prendere sonno, era impossibile sapendo che Madian dormiva nella stanza in fondo al corridoio!

Andava avanti così da due settimane ormai, la tensione era arrivata a livelli inimmaginabili e lei stava per esplodere.

Soprattutto perché ancora non aveva capito cosa volesse il ragazzo con quella visita. Quando era arrivato l’aveva abbracciata con un trasporto che l’aveva travolta, lasciandola senza fiato in balia dei sentimenti che provava per lui, poi la situazione si era capovolta e non aveva più nemmeno tentato di sfiorarle una mano.

Che comportamento assurdo!

Si alzò nervosamente, avvolgendosi un sari azzurro attorno al corpo e prendendo a misurare la stanza a grandi passi.

Non riusciva più a sopportare quel clima di snervante attesa, sembrava che tutti, da suo padre ad Ameera, attendessero una sua reazione. Ma che ne sapeva lei di quello che doveva fare??

Quando se lo trovava di fronte all’improvviso veniva assalita dall’impulso di gettargli le braccia al collo e abbandonarsi ai suoi baci e alle sue carezze, poi quando si riprendeva desiderava con tutta sé stessa fuggire in capo al mondo per potergli stare il più lontano possibile.

Per stare il più lontano possibile dalle sensazioni che risvegliava in lei solo guardandola.

 

Ecco cos’era cambiato, il suo modo di guardarla.

Quando erano stati alla villa dei suoi la guardava attentamente per carpire tutte le sfaccettature della sua personalità, ma in un modo quasi timido, ora era diverso.

Era sicuro di sé e quando lo sorprendeva ad osservarla, praticamente sempre, il suo sguardo era deciso e fermo, scintillante e ammaliatore. Sembrava volerla attirare a sé solo con la forza magnetica dei suoi occhi.

Sembrava volerle baciare le labbra con lo sguardo, sembrava che la spogliasse quando abbassava gli occhi sui suoi vestiti… un brivido le percorse la schiena, ma non era freddo. Era il ricordo di come l’aveva guardata quella sera quando si erano incrociati prima di ritirarsi nelle loro stanze.

Sembrava che le volesse dire qualcosa di importante, ma seguitava a tacere, sempre in attesa di qualcosa.

 

Si stancò di quelle quattro mura, cominciava a sentirsi soffocare.

Perciò socchiuse la porta della sua stanza e si avviò scalza lungo il corridoio, cercando di produrre il minimo rumore.

Corse fino in giardino e si fermò solamente sotto a una pianta particolarmente rigogliosa, chiudendo gli occhi e inspirando a pieni polmoni i profumi della notte.

Quando sentì che il suo animo andava calmandosi socchiuse le palpebre e le labbra si distesero in un sorriso.

Poi fece alcuni passi e andò a sedersi sul bordo in marmo della fontana al centro del giardino, osservando pensierosa nell’acqua il riflesso della sua immagine e del cielo trapuntato di stelle in quella nottata meravigliosa.

 

- T’adoro come la volta notturna, o vaso di tristezza, o grande taciturna... – recitò improvvisamente una voce bassa e sensuale dal fondo del giardino.

Haydée si volse lentamente, rimanendo seduta. Sapeva perfettamente a chi apparteneva quella voce, non poteva sbagliarsi.

Madian si avvicinò lentamente:

- …e più ti amo bella, quanto più mi sfuggi / e mi sembri accumulare, ornamento delle mie notti, più ironicamente leghe su leghe a quelle che dividono le mie braccia dall’azzurro infinito. – terminò ormai a pochi passi da lei, senza mai staccarle gli occhi di dosso.

 

Le sorrise con infinita dolcezza, perdendosi in quegli occhi scuri che ormai da tempo governavano la sua vita e gli avevano rubato il cuore, poi si mosse e con un semplice gesto l'ebbe tra le braccia.

La strinse con tutte le sue forze, imprigionandola in quella trappola d'amore dalla quale non avrebbe più voluto farla fuggire, e infilandole una mano tra i capelli sciolti sulle spalle la attirò vicina, per poterle finalmente sussurrare contro le labbra quel "Ti amo" che da troppo tempo premeva per uscire.

Poi capì che l'attimo perfetto era giunto, doveva soltanto catturarlo. Era lì, su quelle labbra morbide che bramava da un'eternità.

 

Bocca contro bocca, anima contro anima.

 

Haydée tremò mentre la mano di lui le saliva alla nuca, poi tutto svanì nel contatto con le sue labbra, fresche e decise, più dolci di quanto avesse mai immaginato.

Sentì la sua bocca muoversi sulla sua, un alito caldo accarezzarla, e quel bacio casto divenne il loro primo, vero bacio.

Travolgente e infinito, unico e irripetibile.

Dimenticò chi era, dimenticò da dove veniva, dimenticò l'odio e la sofferenza, la tristezza e la solitudine, il rimpianto e il rancore. Rispose al bacio con tutto il trasporto della sua anima, con tutto l'amore che celava da tempo immemore. Con tutta l'intensità del sentimento che le sgorgava incontrollato dal cuore.

All'improvviso il mondo, il suo mondo, si era ridotto a quel contatto, a quel gesto intimo e traboccante d'amore.

 

Si avvinghiò a lui con tutte le sue forze, temendo di cadere in un vortice che li avrebbe allontanati irrimediabilmente, ma non successe nulla del genere. Madian era sempre lì, continuava a stringerla, continuava a divorarla insaziabile e dolcissimo, trascinandola via con sé dove niente contava, se non la loro unione.

 

Il loro bacio durò un istante, un giorno, un anno, una vita intera. In lui erano racchiusi i baci di tutta la loro vita, tutti insieme e tutti in una volta. Il più intenso, il più dolce e il più bello che mai fosse stato dato.

 

Quando si staccarono continuarono a respirare insieme, ansimando leggermente e scrutandosi a vicenda negli occhi.

Iridi blu dentro a pozzi scuri come la notte.

 

- Ti amo Haydée. - mormorò accarezzandole una guancia.

 

 

La poesia che cita Madian è di Baudelaire, l’ho tratta dai “Fiori del Male”. Il titolo del capitolo è il titolo della poesia, che poi sarebbe la prima riga.

Vado in ferie signore! Ma niente paura stavolta, i prossimi capitoli sono già finiti e corretti, appena torno do loro un’ultima occhiata e li pubblico, promesso!

Grazie a tutte.

  
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