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Autore: mikeychan    26/05/2014    0 recensioni
Un'altra vecchia storia. Donatello cambia, apre gli occhi. Ma il suo vero io non è dolce... e si riversa sui fratelli...
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Sembrava ieri quando io e i miei fratelli scorrazzavamo felici nelle fogne di New York; eravamo spensierati e nessuno poteva rovinare quell’armonia. Eravamo piccoli e anche ingenui. 
Non potevamo renderci conto di un oscuro destino che ci avrebbe lentamente bloccati nelle sue spire; saremmo stati dei ninja, difensori di una New York moderna ma mentalmente ristretta. 
Inutile ripetere che le numerose volte che abbiamo salvato ignari passanti dalla banda criminale dei Purple Dragon, loro ci hanno ricambiato a suon di insulti e borsette sulla testa. Quante volte abbiamo combattuto contro Shredder? Mio fratello Leonardo per poco non ci ha rimesso la vita e per non parlare di Michelangelo, quando abbiamo scoperto gli Utrom, Stockman era riuscito, con un corto circuito, a bloccarci nella camera organica, facendoci materializzare. Anche lì, quella che doveva solamente essere “le memorie degli Utrom”, vide Michelangelo ferito da uno Shredder dell’undicesimo secolo.
Shredder? Saki? Io sarei più propenso a chiamarlo Ch’rell, dato che la sua identità è un Utrom malvagio e quello è il suo nome. 
Non voglio assillarvi con il mio passato, solamente ciò che sono diventato. Tutto iniziò una fredda notte di novembre, a casa mia, verso le 23.30

Stavo lavorando a un progetto niente male, una nuova tarta-moto potenziata per mio fratello Raph, che ama scorrazzare sulle strade della Grande Mela. Non avevo idea che quell’idea sarebbe stata catastrofica.
-Ehi, Don!- fu la voce di Raph: -Che stai facendo? E’ tardi, dovresti riposare!-.
Lo guardai sorridente, amavo essere ricoperto di attenzioni, ma ciò non lo avrei mai dato a vedere perché tendo sempre a chiudermi in me stesso; mi sento spesso solo e incompreso per questo progetti e pc diventano un rifugio per me.
-Grazie, ma sai che le idee mi vengono la sera tardi- dissi: -Ad ogni modo, grazie-.
Raphael arrossì appena, in fondo anche lui dentro quella corazza esterna tenebrosa, aveva un cuore d’oro.
-Ok, ti lascio lavorare in santa pace, genio. Buona notte- e abbracciatomi, se ne tornò nella sua stanza.
Quel semplice gesto d’affetto mi riempì di gioia, anche se, in un certo senso, ne dubitavo. A volte, infatti, sembrava che i miei fratelli mi volessero bene solo per ciò che sapevo fare; una specie di robot da sfruttare. Se ero arrivato a questa conclusione un motivo c’era e come: ma intendo parlarne più in la, non ora.

Più lavoravo a un sistema di armi alla moto, più sentivo che non dovevo farlo: non riuscivo a capire perché, eppure non intendevo ascoltare quella vocina insistente nella mia testa. Cosa potevo fare? Decisi che la soluzione migliore era lavorare ascoltando un po’ di musica: mi rilassa sempre. 
Quindi, senza indugiare troppo, afferrai dal cassetto del mio fido banco da lavoro, un cd musicale: Beatles, concerti rock sinfonici, Rascal Flatts, colonne sonore di un noto film, non so se lo conoscete, TMNT. Presi l’ultimo e lo inserii dentro lo stereo e collegandoci un jack, presi la mia cuffia wireless e me la posai sulla testa. Partì la prima traccia, la ascoltai volentieri e mi rimisi al lavoro.

In quasi un’ora di musica, avevo ultimato il mio lavoro: la motocicletta rossa fiammante, aveva nuovi pulsanti sul manubrio e sul quadrante, bastava premerli per avere un mitragliatore in miniatura ma molto potente o un raggio laser, in grado di trapassare qualsiasi materiale: contento di questo, guardai l’orologio nel mio notebook. Erano ormai le ventiquattro e trenta: era tempo di letto per me, quindi raccolsi i progetti in una cartellina e spensi il pc, lo stereo e le luci. Tirai la porta dietro la mia corazza e sbadigliando, me ne andai nella mia camera, dal momento che quello non era altro che il mio laboratorio.

Quella notte, fui tormentato da incubi insistenti che mi costrinsero a rimanere sveglio, fino a che non sentii i passi veloci di Leo, che andava nel dojo ad allenarsi: erano ormai le sei del mattino. 
Completamente stanco, per via della nottataccia, mi alzai e per un secondo, avvertii una strana sensazione: come un piacere malvagio; mi detti delle pacche sulla faccia e aprendo la porta, mi ritrovai davanti un Michelangelo assonnato e con gli occhi rossi.
-Hai di nuovo giocato ai videogame tutta la notte?- chiesi bonario, anche se dovetti ricredermi: Michelangelo sembrava molto triste e ciò che mi faceva rabbia era il mistero di tale sentimento.
-No- fu la sua flebile risposta: -Non ho dormito, per niente-.
D’istinto e come mio solito, mi portai una mano al mento: pensavo a qualche marachella che aveva potuto fare al maestro Splinter o Raph o Leo, ma il libro della mia memoria non portava nessuna nota negativa sulle sue pagine. E allora? Decisi di rifletterci con calma, magari dinanzi a una buona tazza di caffè, che mi serviva assolutamente, visto che di lì a poco, sarei crollato in terra.
Mi diressi in cucina e accesi la luce: ero solo e potevo dedicarmi ai miei pensieri sulla strana espressione di Michelangelo con tutta calma. Presi la caffettiera, riempii il filtro d’acqua, poi aggiunsi il caffè che il solo profumo era molto gradevole; strinsi la filettatura e accesi il fuoco. 
Mi appoggiai con il guscio al bordo del top del piano cottura, non potevo fare a meno di risentire quel “no, non ho dormito, per niente”. Non capivo affatto, ma per un nanosecondo, sentii la rabbia scorrermi in corpo, come se avessi voluto prenderlo a schiaffi; il motivo non mi era chiaro, ma so solo che avrei voluto pestarlo per bene. 

Uno schizzo caldo sfiorò il mio braccio: il caffè era già salito e stava ribollendo. Spensi subito il fuoco e nella mia tazzina viola, mi versai il contenuto. In quel liquido caldo e nero rivedevo ciò che avevo pensato: io che avevo desiderio di far del male a Mik, il mio stesso fratello. Mi convinsi che ero vittima di questi pensieri solo perché era la stanchezza, ma più avanti non ne sarei stato più tanto convinto.
-Buongiorno, Donatello!- mi saluta sorridente il maestro Splinter, flettendo appena la testa. 
Ricambiai e assunsi un’espressione contenta, anche se non fu facile eludere il mio maestro. Gli porsi ugualmente una tazza di caffè e me ne andai nel mio laboratorio, a controllare nuovamente le modifiche che avevo precedentemente apportato alla tarta-moto. 

-Posso costatare che funziona tutto a dovere- mi dissi, anche se sentivo ancora una strana sensazione divorarmi dall’interno: -Ora chiamo gli altri per la “buona novella”!- ironizzai, rialzandomi.
Nel dojo, Leonardo non era l’unico ad allenarsi, era in compagnia di Raphael, sempre in competizione per accaparrarsi le attenzioni di Splinter. Michelangelo, ovviamente non c’era, credevo stesse dormendo, anche se sbucò mogio dalla cucina, con i nunchaku nelle mani.
-Don!- esclamò Raphael, correndo appena verso di me: -Allora?- mi chiese felice.
Ciò mi suscitò un po’ di rabbia: nemmeno un “ciao Don, dormito bene?”, solo alla sua moto. In quell’istante, avrei voluto spaccare il mio lavoro e forse, anche andarmene. Notai lo sguardo avvilito del mio maestro e cercai di assumere nuovamente un’aria pacifica, quella che da sempre mi ha caratterizzato.
-Che cos’ha Michelangelo?- chiese Leonardo a noi due, rinfoderando le katana sul guscio. 
Sembrava preoccupato al massimo, come me del resto. Raph, al contrario, non se ne importava affatto: avrei voluto mollargli un pugno in pieno viso, per fargli abbassare la cresta, ma suppongo che poi, me ne sarei pentito, anche se, l’idea non mi dispiaceva…
Mikey, infatti, era freddo e distaccato e non aveva punzecchiato nessuno con le sue battutacce; decisi ugualmente di provare: lo chiamai una volta, ma lui si limitò a continuare a far oscillare nell’aria i suoi nunchaku; volevo sapere, ma in quel momento, preferii lasciarlo da solo.

Condussi i miei fratelli e il maestro, che era riuscito a convincere anche il mio fratellino, nel mio laboratorio e tolsi il telo grigio, mettendo ben in mostra la corazza splendente della moto: Raph, ci saltò in groppa ed esultava tutti i pregi che aveva il veicolo, senza nemmeno ringraziarmi o elogiare il mio lavoro.
E fu questa la goccia che fece traboccare il vaso: in preda alla rabbia, non feci ugualmente nulla; anzi, mi rimisi al lavoro e detti un ultimo sguardo ai bulloni delle sospensioni: erano appena appena allentati e con una chiave inglese e con Raph che premeva, spazientendomi, li strinsi. Gli porsi le chiavi e attendemmo la sera, perché il giorno non fa per noi, mutanti da strapazzo.

Le ventidue e dieci. Presi la mia borsa con tutti i miei giocattolini preferiti, il telecomando del tarta-furgone e mi accorsi che i miei fratelli erano già a bordo: non mi avevano aspettato!
Avvampai di rabbia e la mia mente fu offuscata da folli pensieri: volevo che almeno Raph si schiantasse contro un camion e finire in coma. Cosa stavo mai pensando! Scossi il capo e respirai a fondo, poi salutai il maestro assorto nella sua meditazione e presi posto sul seggiolino di guida, accanto a Leonardo, che mi guardò serio. 
-Cosa c’è?- gli chiesi infastidito: odiavo essere fissato senza una sola parola, specie se quel qualcuno era Leo.
-Nulla. Oggi sei strano- ammise, sporgendosi dal seggiolino per guardare Michelangelo, che giocherellava con le sue dita, mentre Raph scorrazzava a bordo della sua moto, estremamente felice.
Io, strano? No, ero semplicemente stufo. Non mi consideravano affatto e francamente, cominciavo a capire come si potesse sentire Michelangelo: poco più che un peso, ombra di noi tre, i più grandi.
Il freddo di novembre pungeva e anche a Raph, con un giubbotto rosso e nero addosso, l’aria gelida dava fastidio: quella testa calda! Non sarebbe stato prudente restarsene a casa? Ma mi ascoltano mai? No!
-Donatello…- chiamò flebile Michelangelo: -Perché oggi sei così freddo con me?- chiese con occhi di tristezza. 
Ciò mi fece talmente irritare, che per poco non andai a sbattere contro un lampione della luce: -Come ti saltano in mente certe stupidaggini? E per di più mentre sto guidando! Chiudi il becco se non vuoi che ti faccia una museruola!- tuonai, incurante dell’espressione basita di Leonardo, che mi fissava contrariato, mentre Michelangelo annuì piano, chiedendomi scusa. 
Avevo finalmente dato sfogo alla mia rabbia: ed era bello, potevo farlo ancora se ne avevo voglia. Ero abbastanza grande da cavarmela da solo. Avevo solo sedici anni!

Dalla radio che avevo installato a bordo, Raphael ci comunicò che aveva intenzione di dirigersi al Central Park, nonostante l’alto pericolo di strada sdrucciolevole, causa di lastre ghiacciate sull’asfalto.
-Dammi almeno il tempo di montare le catene alle ruote del furgone!- esclamai stizzito, accorgendomi perfettamente della faccia meravigliata di Leonardo, che mi chiese ugualmente di raggiungerlo, perché non potevamo ragionare con una testa calda simile.
Annuì e sperai in qualcosa si brutto per mio fratello, che continuava a non darmi retta: desideravo con tutte le mie forze che Raphael potesse avere una lezione esemplare.

Raggiungemmo Central Park e Leo, da un contenitore di legno nel retro del furgone, estrasse due giubbini identici ma diversi. Uno era azzurro sui e nero a cerniera e l’altro arancione e nero: uno di noi tre non avrebbe potuto divertirsi sulla neve per via del freddo pungente. Capii immediatamente che ero io a dovermene stare solo soletto, cosa che amavo, quindi non mi slacciai nemmeno la cintura di sicurezza; restai comodamente sul seggiolino a fissare con odio Raph che girava attorno al parco, senza mai cadere, per mia grande sfortuna. 
Ormai era chiaro: stavo iniziando a odiare i miei fratelli e senza rendermene conto, desideravo la loro fine.
Con mio grande stupore, Michelangelo mi porse addosso il suo giubbino e lui si accontentò semplicemente di una sciarpa di lana arancio chiaro. Mi sorrise e se ne andò con Leo, che mi fece segno di seguirlo.
Rimasi di stucco, ma questo non mi fece piacere: Mik provava per me compassione ed io non la volevo. A questo punto, strinsi il pugno e pensai a un modo per vendicarmi definitivamente.
-Non te la prendere- fece Leonardo, poggiando una mano sulla spalla di Michelangelo, che tratteneva a stento le lacrime.
-Don non mi vuol bene e forse lo so il perché!- ammise lui: -Perché stanotte gli ho rotto un altoparlante sulla scrivania! Ma non l’ho fatto apposto!- continuò.
Io avevo sentito tutto e m’irritai ulteriormente: guardai la luna e fu allora che le mie preghiere vennero esaudite! Dinanzi a noi tre, Raph era caduto e si era andato a schiantare contro un albero, cadendo sulla neve inerte.
Ero sbalordito, mi sentivo felice anche se qualche rimorso lo avevo: -Ma che importa? E’ colpa sua, mica mia!-. Eppure sentivo che era stato merito mio…

Sentivo le grida di Leo e Mik che lo soccorrevano e lo adagiavano sui seggiolini del furgone, mentre mormoravano fra loro, escludendomi completamente. Se è vero che avevo fatto cadere Raph, allora avevo ben altro in mente per entrambi: ormai era chiaro, mi stava affascinando quel tocco del male…

Una volta a casa, le colpe ricaddero su di me: Leo notò che uno dei bulloni delle sospensioni era allentato di parecchio e Mik fu il primo ad allontanarsi da me, che opposi resistenza inizialmente, ma poi lasciai perdere: -Non è colpa mia se quando lavoro mi martellate le orecchie, facendomi deconcentrare!- gridai, prima di guardare Raph svenuto nel letto con un braccio rotto e la caviglia slogata.
Più mi allontanavo dalla mia famiglia, più ridevo, più desideravo il dolore, come quello che Raph e Leo mi hanno riservato in questi ultimi anni.

Le due di notte: stavo lavorando al pc, quando sentii un tocco fuori la porta. Mi alzai e aprii: era Leonardo.
Lo accolsi con un gelido sorriso: non mi andava affatto di sentire le sue ramanzine.
-Don…- cominciò con voce mesta: -Perché? Perché hai permesso un simile incidente?- mi chiese.
-Io? La causa dell’incidente di Raph?- sbottai: -Hai qualcosa che non va, Leo! Mi ritieni il colpevole del “delitto”-.
-Sì. Non voglio dire che lo hai fatto apposta, però credo che dopo questo, non possiamo più fidarci di te- spiegò calmo, anche se dai suoi occhi leggevo tutta la sua rabbia per l’accaduto.
-Primo: io non do mai nulla che possa arrecare danno agli altri!- gridai infuriato perché mi aveva dato dell’incompetente: -Secondo: sei tu che hai insistito! Io volevo evitare, ma tu no!-. Ormai volevo soltanto qualcosa di brutto per Leo, che perse la pazienza.
-E allora come spieghi l’incidente? Don, ci hai tradito e anche il maestro la pensa così!-. Leo credeva di avermi in pugno, ma quando fece per allontanarsi, lo spintonai così forte, che cadde in terra. 
Lo zittì con una mano sulla bocca, ed estrassi la sua katana, puntandogliela contro la gola: -Tu dici? Vediamo come ti liberi di me, fratellone- sibilai con una punta di ironia. 
Mi piaceva troppo quello che stavo facendo e per di più ebbi un’idea geniale: -Prova solo a parlarne con gli altri e ti ritroverai la testa staccata dal collo e non chiedermi come faccio-.
Leonardo rabbrividì e filò dritto nella sua camera, a fianco alla mia. Risi, ma proprio tanto: mancavano solo Mik e il maestro e la mia vendetta sarebbe stata completa.

Il mattino seguente, a colazione, Leo e Raph mi evitavano come la peste, non mi rivolgevano affatto la parola e perfino il maestro Splinter m’ignorò completamente. A una parte di me non piaceva per niente questa situazione, ma dall’altra, sentivo che stavo realizzando tutti i miei sogni più proibiti.
-Donatello, potresti aggiustarmi la playstation?- chiede Michelangelo, titubante; credeva, infatti, che potessi nuovamente sbizzarrirmi in risposte fuori dal comune per uno come me. Inutile dire che Raph e Leo lo guardano male: pensai subito che lo avevano messo in guardia da me, il “folle”.
-No, mi spiace. Arrangiati- risposi sogghignando, mentre Mikey si deprimeva; senza volerlo, fece cascare sulle mie gambe la tazza di latte caldo, facendomi scottare.
-MA CHE DIAVOLO FAI?!- tuonai balzando dalla sedia, afferrandolo per le braccia, scuotendolo con forza, finché Splinter non urlò di smetterla.
Michelangelo tremava di paura e non riuscì a spiccicare parola: altrettanto gli altri.
Io ero felicissimo!
-Figliolo, perché tutto questo?- mi chiese cupo Splinter, mentre guardava con la coda dell’occhio i miei tre fratelli.
-Maestro non capisco a cosa tu ti riferisca- risposi serissimo, con uno sguardo che poteva fare concorrenza a quello di Shredder, tanto era diabolico.
-Stai cambiando- ammise il sensei, uscendo dalla cucina, lasciandomi solo. 
In quel momento, avrei voluto ucciderlo, ma non lo feci e soppressi la mia malvagia ambizione…

I giorni passarono, Leo si teneva sempre più alla larga da me ed io mi rintanavo nel mio laboratorio, incapace di pensare alla mia normalità, anche se una tartaruga mutante, non ha nulla di normale.
Michelangelo non faceva più il buffone con le sue battutacce; Raph non scorrazzava più sulla sua moto e Leo trovava sempre il modo per evitare di uscire insieme, noi quattro. La storia mi stava decisamente dando sui nervi: dovevo mettere le cose in chiaro.

Con una scusa, feci incontrare Leo, Raph e Mik su un tetto: io ero nascosto dietro a un muro attendendo. Si sentivano i loro discorsi.
-Perché mi hai fatto venire, Leo?- chiese Raph, un po’ assonnato e infreddolito.
-Guarda che io non c’entro! Sei stato tu a scrivermi il biglietto!- replicò.
-Cosa? Ma se ho ricevuto la lettera di Mikey!- continuò Raph, indicando Mikey, che scosse il capo.
-Io ho letto che eravate nei guai e sono venuto!-, bofonchiò.
-Evidentemente qualcuno ci ha giocati- azzardò Leo guardandosi intorno: -E forse so di chi si tratta!-.
Leonardo, astuto come sempre, lanciò uno shuriken verso il muro dietro al quale stavo nascosto.
-Vieni fuori…- gridò per poi continuare: -DON!-.
Inutile dire che non me lo feci ripetere due volte: saltai velocissimo e comparvi dietro loro tre, con un ghigno sul viso.

-Sei sempre intuitivo, Leo- ironizzai, afferrando il Bo nella mia cintura: -Peccato non servirà-.
-Che vuoi dire?- esclamò esterrefatto mio fratello; era chiaro che era spaventato.
-Accettate ciò che sono ora- mi limitai a dire, mentre mi avvicinavo a loro tre minaccioso.
-Donatello!- gridò Michelangelo: -Cos’è che ti ha fatto cambiare?!- strillò con occhi fiammeggianti.
Io risi: poi guardai la luna e mi voltai di spalle; rimasi per un po’ in silenzio, ma poi, con scatto veloce, col mio Bo li pestai a sangue. Leo giaceva in terra con le mani sull’addome; Raph si lamentava per il braccio e Mikey, lui che era stata la causa delle mie crisi isteriche, gli riservai il trattamento migliore.
Gli spaccai letteralmente il viso; gli detti un potente pugno e lo sbattei con la testa sul freddo cemento del tetto.
Io risi soddisfatto e allargai le braccia al cielo: -Perché sono cambiato?- ripetei sedendomi su un cornicione: -Per farvi conoscere la mia parte oscura. Donatello è realmente questo- e detto ciò, me ne andai, sparendo nel buio della notte…

Francamente non so come mi sia passato per la testa diventare così crudele, ma ognuno ha un lato solare e uno buio; quando il lato oscuro è più forte, beh, non puoi sottrarti.
I miei fratelli? Non lo so, da quella sera me ne sono andato via e non ho mai più rivisto le loro facce.
Ora sono solo un ninja al servizio dei Triceraton: faccio parte dello Squadrone A, o più precisamente sono il capo dei Ninja Assassini; se non altro, alimento la mia sete di sangue.
Pensare di ritornare a casa? Non lo so… Scommetto che i miei fratelli mi considerano morto…
Anche se, dopotutto, “My Dark Side” non è del tutto male…

Farewell, New York’s sewers….
  
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