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Autore: Elefseya    26/05/2014    2 recensioni
Il risveglio non è così doloroso come aveva immaginato: non ha ancora schiuso gli occhi, ma percepisce che non è il grigiore delle nubi e delle fumose rovine che la sovrasta, bensì luce che varia dal bianco all’oro pallido, dove l’aurora stende le sue dita rosate; brezza leggera accarezza la sua pelle e smuove gli scuri capelli perennemente scompigliati; sul terreno morbido è disteso il suo corpo pesante, circondato da quelle che al tatto paiono ruvide e pungenti spighe che ondeggiano al vento, frusciando.
Paradeisos.

29 Maggio 1453 - Caduta dell'Impero Romano d'Oriente
[ Antica Grecia!centric - Antica Roma ]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Antica Grecia, Antica Roma
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Serie: Hetalia
Titolo: Nunc liberi sumus - κύκνειον ᾆσμα
Personaggi: Antica Grecia (Eirene Mykenon), Antica Roma (Tiberius Iulius Octavianus Augustus)
Warning:
//
Wordcount: 1500
Challenge: Writing Stuff Series
Prompt: Day # 6 - « L'amore è più freddo della morte»
Note: mi prendo la libertà di interpretare come meglio credo la citazione estrapolata dal contesto, e ci tengo a spiegare la mia visione personale~ Prendiamo l'aggettivo "freddo". Il freddo è qualcosa che fa in modo che la materia si "irrigidisca" (scusate ma non tocco libri di scienze da un anno): questo ci potrebbe dare l'idea di qualcosa di solido. L'amore è più solido della morte. Tadà m/
Cosine importanti da sapere:
- La parte del titolo scritta in greco significa "canto del cigno";
- Aurora etcetcetc = "ῥοδοδάκτυλος Ἠώς", come veniva descritta l'alba in Omero. E l'alba viene citata da Gandalf ne Il Ritorno del Re ("sotto una lesta aurora"), ma okay, preziosismo troppo prezioso (?) lol;
- Paradeisos = paradiso, significa "giardino" in greco, da cui deriva la parola "Paradiso". Sta a voi pensare se questo è veramente l'aldilà oppure solo immaginazione;
- La scena con Marte e Venere è presa dal De Rerum Natura di Lucrezio. Ho messo appositamente il nome Afrodite invece che Venere, visto che sono "specchio dei due amanti", quindi di Augustus e Eirene;
- Pax = Eirene = Pace --> latino = greco = italiano.
Sì, tutto spudoratamente ispirato al film "Il Gladiatore".
Disclaimer: Blablabla, come al solito solo la storia è mia, i personaggi/la serie appartengono a Himaruya~



« Nunc liberi sumus »
κύκνειον ᾆσμα


Il risveglio non è così doloroso come aveva immaginato: non ha ancora schiuso gli occhi, ma percepisce che non è il grigiore delle nubi e delle fumose rovine che la sovrasta, bensì luce che varia dal bianco all’oro pallido, dove l’aurora stende le sue dita rosate; brezza leggera accarezza la sua pelle e smuove gli scuri capelli perennemente scompigliati; sul terreno morbido è disteso il suo corpo pesante, circondato da quelle che al tatto paiono ruvide e pungenti spighe che ondeggiano al vento, frusciando.
Del denso sangue non sente più il sapore né l’odore, così come della polvere sollevata a nubi dalla distruzione, del fumo nero e ustionante; delle ferite non si sentono più le fitte; del cuore non si sente più il rantolio accelerato e affaticato; la cassa toracica non è più affannata da una spasmodica aritmia; le orecchie non sono più assordate dalle urla e dagli scoppi e dallo stridere acuto di lame che s’incrociano.
Respira profondamente, e aria fresca le riempie i polmoni.
E capisce che, qualunque cosa fosse quel vivere, ha avuto definitivamente un termine prima con l’oblio e poi con questo risveglio, altrimenti proverebbe tutto quello che i suoi ricordi sfocati tentano di rievocare.
Paradeisos.

«Mi hai fatto aspettare parecchio, Eirene, sai?»
Le parole che si aggiungono al fruscio le solleticano piacevolmente le orecchie assieme al leggero rumore scricchiolante di erba calpestata sempre più vicino. Incredulità e infantile gioia effimera si fanno strada nella mente di lei in un lieve sussulto sorpreso: come non poter riconoscere i passi e la voce dell’uomo al cui fianco è rimasta per secoli, contro il quale e con il quale e per il quale si è battuta più e più volte? I suoi occhi sono ancora socchiusi, ma può con assoluta certezza e precisione immaginare il sorriso -a lungo sognato- di Augustus: radioso come quel luogo pare, e tanto impertinente quanto ingenuo, caldo come la sua stessa voce. 
Nostalgia.
Sorridere le viene tanto naturale come riaprire gli occhi, che finalmente si affacciano alla luce eterea; i mormorii del grano maturo importunato dalla veste ora immacolata della donna e dal suo peso la accompagnano nei suoi movimenti. Il suo corpo si volge leggermente, e finalmente può vedere.
Quasi mille anni.
Tutto rimane uguale ai silenziosi risvegli all’alba, nel silenzio interrotto solo dal respiro pesante e nella penombra del cubiculum: si voltava sempre verso la figura addormentata di Augustus, tendeva una mano per accarezzare quei ciuffi ribelli. Ancor prima che essa potesse sfiorarli, veniva ritratta da Eirene stessa e stretta con timore al petto.
Oppure accadeva che il romano fosse già sveglio, più veloce e ancor più scaltro e riuscisse a catturare un polso di lei: ritrovarsi poi stretta al corpo di Augustus era questione di un secondo, non le veniva concesso nemmeno il tempo per divincolarsi. Ma rideva, eccome se rideva sulle altrui labbra, eccome se tintinnante la sua voce infrangeva il notturno silenzio.
Marte vinto dall’eterna ferita d’Amore, adorante, e Afrodite che lo culla dolcemente dagli affreschi li osservavano, specchio dei due amanti.

Un sospiro profondo.
Già la sua mano ancora soffre per la tentazione di nascondersi tra quei ricci scuri, anche solo per assicurarsi che non sia un’illusione.
Sarebbe davvero doloroso quanto morire ancora.
«Ho cercato di fare come mi hai detto, ma se mi trovo qui non credo di esserci riuscita.»
Un sussurro è la risposta.
E già le viene offerta una mano dal consorte; istintivo è l’afferrarla saldamente con la propria e sbilanciarsi verso di lui: ogni tentativo di ignorarlo non trova ragione di esistere in Eirene. Il suo corpo si scontra contro quello altrui, attirato dalla maggior forza del romano, ma non c’è più ora a dividerli la fredda placca di metallo lucente dell’armatura a cui lei stessa aveva rassegnatamente dovuto fare l’abitudine secoli prima.
La guerra le aveva sì negato il calore umano, e glielo aveva fatto temere più di ogni altra cosa, perché effimero e sempre prossimo alla morte.
Perché distruttivo quando non vi è più.
Ma ora no, c’è solo stoffa dalle morbide pieghe, dove Eirene si rifugia: nonostante il tempo che li ha separati, lei ancora conosce perfettamente ogni singolo centimetro di quel corpo che ora la stringe e a cui si appoggia fiduciosa.
Sa perfettamente dove nascondere il volto sulla spalla altrui, sa dove posare la mano sul suo petto, ne riconosce i battiti cardiaci, il calore. Ancor meglio riconosce il braccio di Augustus attorno alla propria vita che con forza gentile la sostiene, e la mano che le accarezza i capelli con tocchi così lievi ed esasperatamente lenti da quasi non essere percepibili, come fosse lei stessa fatta di cristallo, fragile e da proteggere.
Augustus sa.
E' parte della propria anima, dopotutto. Ne conosce ogni dubbio, ogni tormento, ogni paura, ogni rimpianto.
Deve, deve proteggerla. Almeno dai suoi stessi dannosi pensieri carichi di sensi di colpa.
«Ti ostini a mentire e a sminuirti come al solito, Eirene. Hai fatto quello che potevi nel migliore dei modi, non devi preoccuparti. Sono tutti vivi, è questo quello che conta, e non potevi evitare l’inevitabile.»
La presa di coscienza porta amarezza, che la pervade lentamente facendole storcere il naso e serrare nuovamente gli occhi, mentre il volto preme contro i rilassati muscoli altrui, il sorriso ora una smorfia affranta; ancor più frustrante è il sentirsi così ingiustamente sollevata a quelle parole sussurrate, ad ogni carezza che la mano gentile di lui riserva alla sua guancia.
Ha sempre trovato paradossale la dolcezza con cui Augustus la trattava e la tratta tutt’ora: l’ha visto combattere, ha visto come strappava le vite altrui, la rapidità con cui poteva togliere la luce dagli occhi del suo nemico, eppure a lei sembrava donare vita ogni volta che la sfiorava soltanto e lei si ritraeva veloce. Lui le sorrideva e lei distoglieva lo sguardo, andandosene. E lui ci riprovava finché non otteneva l’effetto desiderato.
«Ti ho tenuta d’occhio spesso da qui.»

Ora nessuna preghiera, nessuna supplica, nessun gioco.
Eirene sospira profondamente -unico modo per rimanere tranquilla-, la stretta alla sua vita si fa più salda e sicura, e la sua stessa mano stringe con più forza la veste di Augustus.
E' lei quella che supplica ora.
Perché il suo animo altro non desidera che abbandonare il peso dei sentimenti portati dalla vita.
«Non volevo, davvero… non volevo lasciarli soli. Non volevo che tu ci lasciassi.»
Ancora non lo guarda in volto, ma può immaginare di nuovo il sorriso che adesso le sta riservando: è il sorriso che la rassicurava prima che lui partisse per una guerra, che calmava la sua rabbia, che rendeva quieta la sua mente; era il sorriso capace di farle sussultare fastidiosamente il cuore e di fare in modo che si abbandonasse a lui. E' il sorriso che l'aveva vinta.
«Sai meglio di me che non possiamo controllare il Destino, o Dio o gli Dei. Ma sono davvero lieto che mi sia stato concesso di vederti.»
Quasi mille anni.
Mille anni in cui non ha potuto sentire la sua voce se non nelle notti insonni, mille anni in cui non ha potuto vedere il suo volto se non nei suoi pensieri. E nulla si avvicinava minimamente alla realtà.
Insopportabile.
Crederci adesso lo è quasi di più.

Rapido quanto improvviso è il movimento con cui Eirene porta entrambe le braccia al collo di Augustus, e la forza disperata e possessiva con cui lo stringe a sé immane; secoli di lacrime mai versate ora le rigano le guance inumidendo la toga altrui: sofferenza e gioia assieme si uniscono in singoli battiti ritmici che scuotono il petto di lei con tanto dolore da farla sentire nuovamente viva e minacciarla di nuova morte.
Fa male.
Come il solo pensiero che anche lui potrebbe sparire di nuovo, assieme a tutto ciò che ha appena perso.

«Sì, mi sei mancata anche tu, Eirene.»
Fa dannatamente male.
Come sentire il suo nome mormorato da quella voce per lungo tempo inudita, e come le lente carezze che percorrono le spalle sussultanti e la schiena tremante, o come le labbra che si posano sui suoi capelli in un lievissimo -e a lungo agognato e sognato- bacio.
Come la stretta che non ha mai smesso di tenerla salda.
Tutte le scuse e i sensi di colpa della donna sono lì, in quelle lacrime amare; tutto l'amore mai cessato è lì, palese e senza vergogna in tutta la sua potenza; tutto il dolore della perdita e dell'abbandono ora liberato e ogni lamento disperso nell'aria e divenuto muto.

Non sa quanto tempo scorra tra le suppliche di far smettere questa tortura, i singhiozzi spezzati e i respiri affannosi, i sussurri inudibili dall'amabile suono che richiamano il suo nome.
Ma tutto finisce.

E non c’è più bisogno di parlare, solo il sollievo che alleggerisce il macigno all'altezza del cuore.

Sta bene.
Lì, qualsiasi posto esso sia.
Ma preferisce pensare che siano i campi immensi della Tessaglia della sua giovinezza, dove, per la prima volta, aveva incontrato Augustus.

«Mea Pax.»

 

29 Maggio 1453 - Caduta dell’Impero Romano d’Oriente







   
 
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