Il suo riflesso la fissa con un sorrisetto compiaciuto: le labbra ne accennano appena la forma, ma la giovane donna riconosce quell’espressione così fiera. Essa dallo specchio la scruta superba, con irriverente noncuranza, curiosa si sofferma sui dettagli che sia specchio sia padrona conoscono alla perfezione: i capelli raccolti lasciano sfuggire boccoli ribelli che ricadono morbidi sulla fronte e sul collo; gli occhi, variando dal verde al dorato andando verso la pupilla, brillano come gli ori che illuminano stanza e che adornano la donna stessa. Le labbra carnose e ora caricate di rosso amaranto si arricciano appena in quel ghigno da cui trabocca goccia per goccia malcelata tracotanza.
Il primo e il peggiore dei peccati di cui si è macchiata: ridacchiare non farebbe altro che peggiorare la sua altezzosa ed oltraggiosa colpa, ma perché dover nascondere quel moto interiore che la fa gioire?

«Mia Signora.»

Quegli smeraldi misti ad oro che osservavano poco fa il volto della Serenissima stessa ora si concentrano sull’angolo dello specchio dove ella può vedere l’ospite che ha avuto l’ardire di distoglierla dal perdersi in se stessa. Il Doge in persona è lì, avvolto nel damasco cremisi del mantello che va a coprire parte dello stipite della porta cui è appoggiato. La fissa anche lui dallo specchio, un vezzoso sorriso ad adulare ora una corrucciata ed offesa Elena; orgoglio ed ego nutriti da occhi viziosi che la osservano e la dipingono in un ideale ritratto di tutto ciò che non si dovrebbe essere. Il peccato pare abbellire.

«Oh, è già ora.»

Vanità che cammina leggiadra, e una mano guantata di morbida seta viene offerta all'adorante accompagnatore.