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Autore: LondonRiver16    26/05/2014    5 recensioni
Adam si voltò verso di lui per poterlo guardare in faccia.
- Da cosa stai scappando, TJ? Noi due ci siamo sempre detti tutto, perché questa volta parlarmi ti risulta così difficile?
Per una manciata di secondi Tommy non fece altro che perdersi negli occhi del suo ragazzo, che quel giorno e con quel sole splendente erano di un irresistibile color acquamarina, quindi li abbandonò per sistemarsi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, fissare l’oceano che avevano di fronte e confessare tutto in un mormorio che per un soffio non si perse nel vento.
- Perché stavolta riguarda te.
(Seguito di "I'm gonna make this place your home")
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Adam Lambert, Nuovo personaggio, Tommy Joe Ratliff
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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Grazie infinite, un bacio e una fettona di torta agli amaretti e cioccolato a Eclipse Of Flame, and soon the darkness_ e Glambertommy per le recensioni lasciate allo scorso capitolo. E grazie anche a chiunque segue questa storia. Sapete che vi voglio bene, raggi di sole :*

La canzone del capitolo è Perfect (Pink)

Buona lettura ^-^

 




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Il mattino seguente i due ragazzi indugiarono a letto fino a tardi e se Adam, già sveglio verso le otto, trascorse tutto il resto del tempo a leggere e guardare una serie televisiva, Tommy ebbe l’assoluto bisogno di usufruire di quelle ore dormendo della grossa, a riprova che la stanchezza da smaltire era ancora ingente.

Adam non ebbe il cuore di svegliarlo, dato che per una volta non avevano limiti di tempo né coprifuochi da rispettare, perciò fra la sveglia tarda, il tempo di mettere qualcosa nello stomaco e quello necessario a prepararsi per uscire, arrivarono a farsi le quattro del pomeriggio prima che si avviassero in direzione della spiaggia che Adam smaniava di mostrare a Tommy.

Quando ebbero finito di trottare giù dal sentiero acciottolato e raggiunsero il litorale entrambi si tolsero i sandali e Adam prese il più piccolo per mano prima di guidarlo nella direzione opposta al paesello, la sabbia calda che a ogni passo gli massaggiava le piante dei piedi e gli si insinuava fra le dita, lo sciabordio delle onde marine a dirigere la cadenza imprecisa dei loro passi. Passeggiarono a lungo e senza fretta sotto il sole pomeridiano di quella giornata splendida, contemplando l’oceano e scambiandosi sguardi intensi, silenziosi, che inevitabilmente sfociarono in sorrisi più o meno impacciati, più o meno intralciati dall’affetto.

Infine, dopo una mezz’ora, giunsero nel luogo esatto che Adam aveva ben chiaro in mente e dove quasi nulla era cambiato. Non che ci fosse molto che potesse cambiare in una spiaggia tutelata e tanto magnifica come quella di Heavenly Coast, certo, ma Adam non poté trattenersi dal pensare che tutto era rimasto esattamente come quattro anni prima quando vide che il tronco d’albero impallidito dal tempo, dal sale e dalle intemperie se ne stava ancora lì, parallelo alla tavola d’acqua ma abbastanza lontano da scongiurare il pericolo che la marea se lo portasse via, lì in attesa che qualcuno lo raggiungesse per un po’ di compagnia mentre lo sguardo vagava all’orizzonte.

Fu con nonchalance che Adam portò Tommy verso l’albero caduto, morto e modellato dall’incessante vento del mare, ma per qualche ragione quando si sedettero sulla sabbia e appoggiarono la schiena al legno l’atmosfera fra loro cambiò e si fece leggermente più tesa, anche se nessuno dei due aveva ancora aperto bocca.

Avevano smesso di guardarsi. Adam era così concentrato sui centottanta gradi di blu che aveva davanti, mentre Tommy finse di distrarsi un poco appropriandosi di grossi pugni di fine sabbia chiara per poi lasciarla cadere di nuovo, con cura e sfrenata indolenza. Ci volle qualche secondo in più del previsto perché si decidesse a rompere il silenzio, voltando il viso verso il suo ragazzo.

- Come conosci questo posto? Ci sei stato con Kevin? – domandò, fingendo noncuranza.

Il suo era un tentativo convinto di spacciarla per un’ipotesi come un’altra agli occhi di Adam, ma non appena l’ebbe pronunciata il maggiore lasciò il mare per sbugiardarlo con lo sguardo di chi la sa lunga.

- Sì e no – rispose in tutta sincerità. - Hai sentito la nostra telefonata di ieri sera, vero?

Per tutta risposta il diciassettenne abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore, a disagio al pensiero di aggiungere ulteriori menzogne a quello che ultimamente stava diventando un rapporto fragile. – Diciamo pure che l’ho origliata.

Si aspettava un rimprovero, o almeno qualche parola di disapprovazione, che però non arrivarono.

- Non importa – sospirò invece Adam, tornando al Pacifico con occhi un po’ meno assorti. – In realtà sono contento che sia stato tu a introdurre l’argomento, perché è proprio per parlarti di questo che ti ho portato qui – ammise.

Più che notare l’espressione interrogativa di Tommy, la indovinò. Non poteva girarsi ad accertarsene, perché temeva che il contatto con quegli occhi così belli, quegli occhi di cui da mesi era perdutamente innamorato, sarebbe bastato ad arrestare ogni suo coraggioso proposito di aprirgli l’anima. Così andò avanti, imperterrito per quanto lento, affidandosi alla forza donatagli dall’oceano, deglutendo ogni qualvolta sentì di essere sul punto di perdere la voce.

- Vedi, non te l'ho mai raccontato perché ancora oggi se ripenso a ciò che ho fatto mi vergogno da morire, ma nemmeno i miei primi mesi da cittadino libero furono idilliaci.

Sapeva di avere la piena attenzione di Tommy, sapeva di averlo incuriosito a morte, perciò resistette alla tentazione di guardarlo. L'oceano, il suo appoggio doveva essere quel pezzo di oceano che a suo tempo aveva fatto da testimone al suo cambiamento.

- Lo sai, alla fine del gennaio di quattro anni fa lasciai i Powell per poter finalmente cominciare a vivere la mia vita in pace e indipendenza, come desideravo da non so più quanto tempo. Kevin mi aiutò a trovare un posto dove stare, un appartamento che dividevo con altri quattro ragazzi che a loro volta lavoravano o andavano al college. Poi mise una buona parola per me con un suo amico, cosicché ottenni anche un lavoro con cui pagarmi l'affitto e le spese. Di bassa lega, certo, ero ancora un liceale, ma pur sempre un impiego che mi avrebbe consentito di tirare avanti bene fino al diploma.

- Ti avrebbe consentito? - s'intromise a quel punto Tommy, cingendosi le ginocchia con le braccia e aggrottando la fronte, già rapito dal racconto. - Che cosa successe?

- Venni licenziato - ribatté Adam, questa volta chinando lo sguardo sul palmo sinistro, che iniziò a torturare con l'unghia del pollice destro. - La verità è che non volevo saperne, né di lavorare né di studiare. Ero stufo di fare il bravo bambino, di obbedire, e ora che non avevo nemmeno più un despota che mi costringesse a esserlo con botte e insulti non avevo più motivo per trattenermi - confessò nell'onestà più spregiudicata. - E, come se non bastasse, avevo cominciato a frequentare qualcuno che ben presto supportò tutte le mie idee di ribellione e mi esortò fino al punto di farmi licenziare.

Tommy rabbrividì involontariamente e dalle labbra gli uscì solo un mormorio. - Chi?

- Brutte compagnie.

- Quanto brutte? - insistette il più giovane, trepidante, e questa volta Adam voltò il viso verso il suo con uno scatto, gli occhi persi in un imbarazzo mai veramente messo a tacere.

- Droghe. Di tutti i tipi - ammise, cercando invano di rimanere saldo, ma di fronte all'espressione allibita del diciassettenne non poté che nascondersi da un giudizio che sentiva bruciare come carboni ardenti sulla pelle, serrando le palpebre e scuotendo la testa, mentre la voce, alla fine, riusciva a morirgli in gola. - Nemmeno io... nemmeno io so di quale né di quanta merda mi sono fatto in quei mesi, TJ.

Quella frase fece sgranare gli occhi al più piccolo ancora di più delle precedenti, se possibile. Il ragazzo si era immobilizzato, cosicché ora solamente i capelli biondi che gli ricadevano sul lato destro del viso, quelli più lunghi, si agitavano sospinti dalla brezza. Solo da poco si era arreso alla certezza che non si trattasse solo di uno scherzo di dubbio gusto.

- Andasti avanti per mesi? - sottolineò, incredulo. - Perché Kevin non ti diede una mano a uscirne?

- Non gli permettevo di avvicinarsi a me più di quanto non ritenessi di poter sopportare senza abbandonare il mondo al quale ormai ero sottomesso - raccontò Adam. - La mia dipendenza regnava sovrana, Tommy, era lei a governare la mia vita. Quello che era iniziato come un gioco, un modo come un altro per evadere, si trasformò in una caccia senza fine alla dose successiva, quella che mi avrebbe tenuto in vita per qualche ora prima di farmi ricadere in crisi d’astinenza.

Il ventiduenne fece una pausa, ma stavolta Tommy tacque e a lui non restò che spronarsi, obbligarsi a proseguire da solo.

Lo sto facendo per lui, si ripeté. Ne vale la pena, lo sto facendo per lui.

- Kevin mi trovò altri due lavori, ma riuscii a farmi cacciare da entrambi i responsabili in poche settimane. Non avevo più soldi e non avevo mai pagato la mia parte, così i miei coinquilini furono costretti a spedirmi in strada.

- Ma tu lo dissi a Kevin, non è vero? O ad Alison, o…

Ma di fronte alla sue speranze Adam si limitò a scuotere la testa e a rimanere in silenzio per qualche secondo, così da rendere il più giovane ben consapevole di quanto considerava grave quella scelta.

- Non dissi niente a nessuno – riprese solo dopo un po’, quindi accennò col capo al tratto di spiaggia immacolato e silente che avevano davanti. – Venni qui in vacanza, invece, mi rifugiai qui con della gente più fatta di me e l’intenzione di diventare tale e quale a loro, di perdermici completamente nella droga, quel mondo che mi permetteva di nascondermi a tutto il resto e mi faceva sentire così al sicuro.

Il suo tono di voce si era ormai fatto così sottile che il diciassettenne fece fatica a udirlo. Proprio in quell’attimo Adam si voltò verso di lui per poterlo guardare in faccia e solo in quel momento Tommy si rese conto di quanto si fossero fatti malinconici i suoi occhi chiari. Durante tutto il tempo trascorso a raccontare non aveva fatto altro che lasciar affogare gli occhi nel mare il più possibile, forse per difendersi dalla sua stessa fragilità, e se ora aveva deciso di svelarsi era perché si era appena ricordato di non essere lui il centro delle proprie angosce.

- Kevin venne a recuperarmi dopo un paio di giorni, il tempo di scoprire dov’ero andato a finire, e non sai le urla – aggiunse con un mezzo sorriso, tentando di alleggerire un poco il discorso. – Proprio qui, vicino a questo tronco. Mi trascinò via dagli altri solo di qualche metro, per allontanarmi da pasticche e siringhe, prima di cominciare a imprecare come non l’ho più sentito fare e a minacciarmi di ridurmi le ossa in briciole se solo avessi avuto l’ardire di farlo preoccupare in quel modo un’altra volta. Più in avanti mi avrebbe confessato che l’unico motivo per cui non mi tirò un ceffone fu che conosceva la mia storia e quello che avevo passato prima di approdare qui – aggiunse, pensieroso.

- E poi? – lo incitò allora Tommy, bramoso di conoscere il pezzo mancante, e Adam sorrise ancora.

- Poi mi riportò in città, a casa sua. Divenni il suo coinquilino, disse che farmi vivere con lui era l’unico modo che aveva per tenermi sotto controllo, accertarsi che andassi a scuola e che lavorassi per pagare la mia parte. Quando mi diplomai c’erano solo lui e Alison, sai? Ma erano più che abbastanza e fu un grande traguardo per me. Poi vennero vari lavoretti, la breve storia con Kev, i corsi per bartender, il Wreckage… e poi tu – concluse, carezzandogli la guancia, ma Tommy non rispose a quel gesto d’affetto, come se all’improvviso cominciasse a capire che quel racconto a cuore aperto non era stato un semplice regalo.

- Perché mi stai dicendo tutto questo?

Adam non ebbe il minimo dubbio a riguardo. Erano giorni che non pensava ad altro.

- Perché quando sono venuto in questo posto sperduto mi stavo nascondendo, TJ. Stavo scappando dalle difficoltà invece di affrontarle, cosa che magari avrei potuto cominciare a fare chiedendo aiuto a quei pochi che mi erano vicini invece di pretendere di cavarmela da solo fin dal primo giorno. Ecco perché ho pensato fosse il posto giusto per te.

Capendo all’istante quello che non riuscì a non considerare una specie di tranello, Tommy deglutì e fu rapido a distogliere lo sguardo, ma Adam si dimostrò più pronto di lui e gli afferrò una mano con forza, non per fargli del male ma per impedirgli di fuggire ancora.

- Da cosa stai scappando? – lo interrogò quindi, diretto come non si era permesso di essere nell’ultimo quarto d’ora, senza più nascondere la propria ansia. - Noi due ci siamo sempre detti tutto, perché questa volta ti risulta così difficile parlarmene?

Per una manciata di secondi Tommy non fece altro che perdersi negli occhi del suo ragazzo, che quel giorno e con quel sole splendente erano di un irresistibile color acquamarina, quindi li abbandonò per sistemarsi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, fissare l’oceano che avevano di fronte e confessare l’essenza di tutto in un mormorio che per un soffio non si perse nel vento.

- Perché stavolta riguarda te.

Adam s’irrigidì di colpo a quella rivelazione inaspettata e senza nemmeno rendersene conto gli lasciò la mano, mentre il viso gli s’incupiva senza che lui vi potesse porre rimedio.

- Non mi ami più? – domandò di getto.

- Non è questo – rispose Tommy senza il minimo tentennamento, così Adam perseverò.

- Ti piace qualcun altro?

Questa volta Tommy alzò il capo di scatto, offeso. - Ci sei solo tu!

- Allora spiegati – lo incitò il più grande, un tremito d’irritazione nella voce. - In che senso riguarda me? Perché sinceramente non vedo come il tuo comportamento degli ultimi tempi possa essere legato a qualcosa che ho fatto o detto, perciò spiegami!

Si accorse di aver alzato il tono di voce fino a urlare solamente una volta che ebbe terminato e a quel punto era troppo tardi per tirarsi indietro e impedire che lo sguardo che Tommy teneva fisso su di lui s’indurisse fino a celare ogni traccia d’amore per lasciare in superficie solo lo sdegno.

- Ti trovi più a tuo agio adesso, eh? Non sei bravo a raccontare i cazzi tuoi, ma quando si tratta dei miei sei un maestro nel prendertela con me, nel convincermi che la cosa giusta da fare è parlare, vero?

- Che stai dicendo? – replicò Adam, stizzito.

- Sto dicendo che è da prima che ci mettessimo insieme che sono io a dovermi aprire, a dover raccontare tutte le mie sfighe e i miei incubi e lasciare che tu mi consoli, mentre tu sei sempre e solo quello che ascolta e mi dice che è tutto passato, che mi proteggerà, che andrà tutto bene. Ed è magnifico, amo questo tuo bisogno di difendermi, ma… – continuò Tommy, imperterrito, e a quel punto si concesse un sospiro. – Una relazione non è solo questo, Ad. Una relazione comporta che si tratti l’altro come un proprio pari, che si parli da pari a pari.

Il ventiduenne strinse le palpebre, cercando di andare a fondo della questione solo con le proprie forze. - E noi lo facciamo.

- No, non lo facciamo! – esclamò allora Tommy, esasperato. – Quando mai mi parli dei tuoi incubi, Adam? Quando di quello che è successo a te durante i tuoi personalissimi anni di merda? Quando mai mi dici perché sei triste, così che possa essere io, almeno per una volta, a consolare te e non il contrario? Quando mai mi dici cosa senti oltre all’amore che dici sempre di provare per me?

Per Adam sentire quelle parole fu come ricevere una scossa e reagì ritirandosi un poco col busto.

- Io ti amo – scandì, stupefatto dall’accusa che credeva essergli stata rivolta.

- Lo so! – proruppe il diciassettenne prima che potesse aggiungere altro. – Vorrei solo… vorrei solo che non venissi da me solo quando senti che sono io ad aver bisogno di un appoggio, ma anche quando sei tu ad averne bisogno. Ci sono giorni in cui perfino i tuoi occhi sono spenti, Ad – aggiunse con più calma, per quanta tristezza pervadesse quel discorso. – E tu te ne rimani sempre zitto. Perché devo sempre essere io a superare la paura e a parlarti di quello che mi tormenta? Perché non fai lo stesso sforzo? Perché non mi parli dei tuoi problemi?

Adam incassò quelle parole come colpi di mitragliatrice diretti alla sua fragile autostima, fissando l’attenzione su un piccolo cumulo di sabbia e deglutendo tutti i timori che durante l’intero discorso di Tommy non avevano fatto altro che arrampicarglisi su per la gola, quindi reagì nell’unico modo che conosceva per tenersi al sicuro: fuggendo dalla parte di se stesso che più lo terrorizzava.

- Sai cosa penso, TJ? – mormorò, stentando a mantenere un comportamento e un tono di voce controllato, ma Tommy non abbassò lo sguardo. Al contrario di lui, quella volta non scappò, non scelse di mentire né a se stesso né al compagno che stava al suo fianco da quasi un anno. – Penso che portarti qui sia stato un errore. Penso che Rick avesse ragione quando mi ha detto che per il tuo comportamento non andavi premiato con un viaggio, semmai punito, visto che a quanto pare dietro al tuo ritorno all’alcol non c’è nient’altro che l’arroganza di un ragazzino che crede di poter fare quello che gli pare senza rendere conto a nessuno.

Tommy lo interruppe senza paura. – Ancora una volta stai solo evitando il discorso per non…

- Be’, io ti ho raccontato quello che sono stato e più di così non posso fare. Ma visto che ti senti superiore, visto che la cosa riguarda me – lo sovrastò però la voce di Adam, e con uno scatto il ventiduenne si mise in piedi, deciso a non dargli altra corda, stufo anche solo di stargli così vicino.

La pelle gli prudeva e non sapeva chi avrebbe picchiato più volentieri, se Tommy perché aveva fatto riemergere dal buio la sua debolezza più grande o se stesso perché vi stava soccombendo. Una volta in piedi lo guardò dall’alto, quel ragazzino ancora accartocciato attorno alle proprie ginocchia ma con gli occhi responsabili di un adulto, e proprio perché spronato dalla gracilità delle proprie posizioni non esitò a sputargli in faccia tutta la propria rabbia.

- Da questo momento ti arrangi, Tommy. Puoi considerarti libero. Vai a farti fottere, fai quello che vuoi, a me non interessa più.

Non bastò lo sguardo del diciassettenne, che da fermo si tramutò in tradito in un secondo, né le sue labbra che si schiusero per lo stupore, né lo spasmo delle dita di Tommy a fargli rimangiare ciò che gli era appena uscito di bocca. Quelle parole gli avevano assestato una pugnalata al cuore, così come sicuramente l’avevano inferta a Tommy, che da un istante al successivo si ritrovò solo. Solo.

Adam non si diede il tempo di pensare. Gambe e mani gli tremavano, gli occhi gli si erano inumiditi per la collera, non controllava più le espressioni del viso e avvertiva il bisogno insopprimibile di mettersi a correre per sfogare almeno in parte la frustrazione, ma vittima dell’orgoglio si limitò a voltarsi nella direzione da cui erano arrivati e a mettersi a camminare spedito verso casa. L’ira nei confronti di Tommy lo accecava, ma a quanto pare era anche responsabile di aver reso più acuto il suo udito, perché aveva già percorso cinquanta metri prima che il grido del diciassettenne, invaso da indubbi accenni di pianto, gli perforasse i timpani.

- Sei solo un vigliacco! Un vigliacco ipocrita! Vaffanculo, non ti cercherò mai più! Mai più!

Adam non si voltò, non si fermò, l’unico sfogo che si concesse mentre continuava a marciare fu serrare le palpebre con tanta forza che una lacrima scese a corrergli lungo la gota.

E tutto questo a causa del tuo orgoglio, codardo, non fece altro che bisbigliargli all’orecchio la sua coscienza durante la fuga. Tutto a causa del tuo fottutissimo orgoglio, stronzo.





   
 
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