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Autore: bellamysguitar    27/05/2014    0 recensioni
Elettra Settimi si trasferisce dal Veneto alla Sardegna non si sa bene per quale motivo. La sua vita è un disastro. Si ritrova a ventisei anni senza un soldo, senza un lavoro, senza un fidanzato e a vivere con i nonni materni in quell'isola esclusa dal resto del mondo. In Veneto Elettra era abituata alla bella vita: shopping, aperitivi, discoteca a più non posso. Si ritrova perciò ad accudire i suoi due cuginetti pestiferi per guadagnare cinquanta euro, soldi che non le permettono di mantenere nemmeno quel catorcio di macchina che si ritrova.
Quando capisce che la cosa più importante di cui ha bisogno è qualche spicciolo, decide di cercarsi un lavoro.
Viene assunta per pietà in un bar non molto lontano dalla casa dei nonni. La sua totale inesperienza le fa combinare un guaio dopo l'altro e procura continue risate al titolare, Federico. E' proprio in quel bar che conosce Mauro, amico del capo. Mauro ha trentuno anni e la sua vita è incasinata quanto quella di Elettra, ma prende il tutto alla leggera.
Sigaretta dopo sigaretta, tra i due nasce un'amicizia "da aperitivo". Che poi possa diventare qualcos'altro, nessuno lo sa. Sta al destino deciderlo.
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Cosa l'avesse portata in Sardegna, isola, reputata da lei, esclusa dal resto del mondo, ancora non l'aveva capito. 
Probabilmente le sue origini... ma no, molto più probabilmente la pressione delle zie che volevano una baby sitter affidabile per i loro bambini. 
Così, a ventisei anni spaccati, con una laurea e senza lavoro, Elettra si ritrovava a correre dietro a due bambinetti, fuori di testa come le rispettive madri e con il bisogno costante di dover stare sempre al centro dell'attenzione di ogni presente. 
Elettra in Sardegna di amici non se n'era fatti molti, a parte quei quattro buzzurri che le avevano presentato le zie. 
In Veneto era abituata ad uscire ogni giorno con le amiche, shopping, aperitivo, cenetta a casa di qualcuno ed a ballare fino alle cinque della mattina. Routine. 
Ma ormai, a dover stare appresso a quei due marmocchi, di bella vita ne faceva ben poca. Anche perché non aveva una lira nemmeno per un tozzo di pane. 
-Cercati un lavoro, idiota! 
Le ripeteva almeno quattro volte al giorno la sorella Arianna, ventiduenne che nel frattempo si manteneva bene in Veneto, con il suo lavoro da segretaria di cassamortari stabile e il suo ricco fidanzato, un certo Nikolas, un austriaco con un frontone che ricopriva tutta la provincia di Belluno. 
Ecco, lei nemmeno un fidanzato aveva, o meglio, ce lo avrebbe potuto pure avere, ma quelli che si trovava economicamente erano messi peggio di lei. E lei, si sa com'è, ne voleva uno ricco, e certamente in Sardegna non l'avrebbe trovato. 
Si chiedeva come quella poco di buono di sua sorella avesse fatto a trovare un fidanzato così pieno di soldi, era un principe, un duca o qualcosa di simile, fatto sta che usave la banconote da cinquanta come carta igienica. 
Sbuffò, mentre il più grande dei marmocchi urlava come un matto e reclamava attenzioni. Aveva voglia di ficcargli un calzino in bocca per farlo azzittare, ma poi si rese conto che non era la soluzione migliore. 
-Matti, cosa vuoi? 
disse lei al bambino, come se quel poppante di un anno che a malapena si reggeva in piedi potesse risponderle. 
Fece qualche strano verso e indicò con il ditino il corridoio della casa: Elettra sapeva dove volesse andare, in bagno. No, non doveva fare alcun bisogno, per Mattia era ormai un'abitudine andare a vedere la lavatrice e toccare uno per uno i pulsanti, spostare le manovelle, togliere i panni dal cesto e gettarli a terra, facendo esasperare la povera cugina. 
Avrebbe voluto che Mattia fosse stato come Andrea, il suo fratellino di ormai diciotto anni, che quand'era piccolo bastava piazzarlo davanti alla televisione per farlo stare zitto. Ma figuriamoci se quel marmocchio avrebbe apprezzato la tv, lui voleva essere portato a zonzo per casa, a guardare le foto, le tende, i peluche della zia, tutto, tranne che la televisione. 
-Mattia andiamo a in salone a vedere la tv? 
Il bambino si girò e la guardò con gli occhioni spalancati, per due secondi nemmeno, per poi tornare a giocare con la sua adorata lavatrice. 
Elettra sbuffò di nuovo. Perché non se ne era rimasta in Veneto? Magari un lavoretto l'avrebbe pure trovato. Maledetto quel giorno in cui aveva deciso di andarsene a vivere in quell'isola. 
Lo schermo del suo cellulare si illuminò, mostrando la foto del blocco schermo. 
Whatsapp. 
Aprì l'applicazione e trovò due nuovi messaggi: Gaia. 
 
16:26 
Gaia Lopez
-Ciao Pulce! Quando torni a Treviso? Ci manchi tantissimo qua, anche so ormai te lo dico ogni giorno. Io, Lucia e Susanna non siamo più le stesse senza di te. Please come back baby! 
-Ah, ho visto il ragazzo di tua sorella. Fa orrore. 
 
Sorrise, mentre Mattia continuava a giocherellare con la lavatrice. Gaia, Lucia e Susanna erano le sue migliori amiche dai tempi dell'asilo. A legarle era sempre stata la passione per le arti, il canto, la danza, la musica in generale. Fin da piccole avevano voluto seguire sempre insieme lezioni di danza di ogni tipo, classica, moderna, hip hop, latina americana, insomma, erano piuttosto brave. 
Le mancavano tanto, più di sua madre. Era cresciuta con loro e stare in un'isola senza le sue tre migliori amiche era come stare in carcere. Anzi, il carcere sarebbe stato anche migliore, forse. 
 
16:28 
Elettra Settimi 
-Salve bella spagnola! Tornerò a Treviso probabilmente quando, come Arianna, troverò un fidanzato ricco sfondato che mi pagherà il viaggio in aereo, sai, l'Alitalia è un po' cara, soprattutto se non hai un soldo. 
Piuttosto, perché non venite a trovarmi voi, prima che io uccida uno dei due marmocchi? 
 
Scrisse velocemente, per poi appoggiare lo smartphone sul primo mobile disponibile. Afferrò Mattia e lo prese in braccio, intenta a portarlo lontano dal bagno, mentre lui continuava a far storie ed a tirare forti calci sulla sua pancia. 
Che odio.
So chiuse la porta del bagno alle spalle e mollò il bambino sopra al divano, accendendogli la televisione su uno di quei canali per bambini, preferibilmente con Peppa Pig. 
A volte Elettra sarebbe voluta essere cogliona come Peppa Pig, o forse sarebbe voluta essere semplicemente un porco da allevamento. Relax. 
Dopo aver lasciato il piccolo a guardare (finalmente) la televisione, afferrò la sua borsa degna di una Mary Poppins moderna e si mise alla ricerca del suo pacchetto di sigarette. Ne aveva proprio bisogno. 
Tirò fuori da quella gigantesca borsa occhiali da vista, occhiali da sole, pacchetti di fazzoletti, chiavi del catorcio, pacchetti di gomme da masticare, quindici accendini, forcine, elastici per capelli e bracciali, poi uno spiraglio di luce: in un agolo della sua borsa, sotto una boccetta di profumo vide il suo pacchetto di Marlboro rosse e le parve come un miraggio. Si affrettò a tirarlo fuori e ad afferrare uno dei tanti accendini sparsi per il tavolo. Uscì in veranda e senza alcuna delicatezza tirò fuori una sigaretta dal pacchetto, ficcandosela in bocca e accendendola. 
Inspirò profondamente il fumo, lo sentiva in bocca, lungo la gola e infine nei polmoni. Una sensazione di calma la avvolse totalmente e per un attimo tutti i suoi problemi si volatizzarono. 
Riaprì gli occhi, dopo un paio di tiri e puntò lo sguardo sul pacchetto. "Il fumo uccide". 
Fottiti. Pensò Elettra, buttando fuori il fumo. 
Fumava più o meno da quando aveva quindici anni. Aveva cominciato un po' per gioco, convinta che prima o poi sarebbe riuscita a smettere. Fesserie. 
Era profondamente convinta che nessuno potesse riuscire a smettere di fumare, quando si comincia non si finisce più. 
Rise, pensando alle sue sigarette. Non aveva un euro per comprare un panino, ma il suo pacchetto da dieci non mancava mai. A volte le sembrava che le sigarette fossero più importanti del cibo. 
Il cibo la faceva ingrassare, il fumo no, e per lei questo era già molto. 
Quando sua madre l'aveva beccata a fumare, la prima cosa che le disse fu: "Il fumo fa male". Elettra la guardò scettica, senza un filo di paura nello sguardo e con molta nonchalance rispose: "Di qualcosa bisognerà pure morire, no?". 
Non avrebbe mai dimenticato la faccia che fece la mamma quel giorno. Epica. 
In quel momento sentì la porta di casa aprirsi e buttò in fretta ciò che ne rimaneva della sigaretta dal terrazzo, affrettandosi a raggiungere il salone dove si trovava il piccolo Mattia. I genitori erano finalmente tornati. 
Dopo pochi secondi vide la faccia di Laura, sua zia, fare capolino dallo stipite della porta, cercando con lo sguardo l'adorato figlioletto. 
-Laura! 
esclamò Elettra con un finto entusiasmo degno dei migliori attori. 
La zia la salutò con un sorriso.
-Allora, com'è andata oggi con Mattia?
chiese premurosa la mamma, notando forse qualche stranezza nel comportamento di Elettra. 
-Tutto perfetto! 
sì, come no. 
-Bene- sospirò Laura - scusami ma oggi non posso darti niente, te ne darò domani! 
Elettra sorrise, un finto sorriso comprensivo, anche se in realtà pensava che aveva un tremendo bisogno di soldi. 
Forse era arrivata l'ora di trovarsi un lavoro, ma un lavoro vero. 
-Non preoccuparti! - sorrise - ora scusami, ma devo proprio andare! A domani. 
recuperò tutte le sue cose sparse per il tavolo e raggiunse in un men che non si dica la porta, andandosene da quella casa degli orrori. 
Superò il cancello e mise le mani nella borsa, alla ricerca disperata delle chiavi della macchina. 
Naturalmente, si trovò nuovamente a dover svuotare la borsa sopra al cofano di quel catorcio che aveva al posto di macchina e dopo aver rovistato fra i mille oggetti sparsi trovò finalmente le tanto ambite chiavi. 
Mentre guidava, dentro la sua auto puzzolente e un po' vecchia si rese conto che aveva veramente bisogno di un lavoro, ma un lavoro vero, non doveva accontentarsi di fare la baby sitter ai suoi cuginetti. 
Che palle, mi sembro mia sorella, pensò facendo una facciaccia. Sì, in effetti fare discorsi sul sostanziale bisogno di qualche lira in più non era decisamente da lei. 
Forse stava crescendo. 
No, probabilmente il fumo cominciava a darle alla testa. 
 
 
Quel catorcio andava più lento di sua nonna a piedi. Era insostenibile ed altrettanto imbarazzante spostarsi per il paese con quel coso. Sentiva lo sguardo di ogni vecchietto che gironzolava con il suo fidato bastone addosso alla sua macchina-catorcio. 
Gli svantaggi di vivere in Sardegna. 
Alcune volte le veniva irrimediabilmente la voglia di tornarsene in Veneto, peccato che i genitori l'aveva gentilmente invitata a cavarsela da sola ed a non farsi più vedere finché non avrebbe avuto un'entrata fissa. 
Sì, era nella merda. 
E sì, trovarsi un lavoro era questione di vita o di morte. 
Aveva una laurea in farmacia, aveva studiato a Padova, facendosi ogni giorno quei sessanta e passa chilometri buoni buoni di autostrada per tornarsene a casa, a Treviso. Che poi alla fine, poco ci aveva fatto con quella laurea. 
A volte pensava che il suo destino fosse fare la hostess in qualche aereo internazionale, peccato che lei e qualsiasi altra lingua oltre l'italiano non andavano decisamente a braccetto. 
Sbuffò. Ormai solo quello poteva fare. A ventisei anni suonati aveva lavorato solamente nel bar di sua madre, in centro a Treviso. Qualcosa sapeva fare. Sì, qualche caffè, o qualche drink, ma niente di specifico. 
E allora le venne un lampo di genio: un bar. Certo, poteva lavorare in un bar. Se la sua esperienza non fosse bastata, avrebbe mostrato la scollatura. Niente di più facile. 
Così decise di posteggiare l'auto e girarsi a piedi tutti i bar del paese, qualcuno, sperava, l'avrebbe presa alla fine, no?
 
Il primo bar che trovò fu un bar puzzolente, scuro e pieno di facce decisamente poco raccomandabili. Il padrone sembrava decisamente un boss della mafia, o forse un bandito sardo, chi poteva saperlo. 
-Hai mai lavorato in un bar? 
chiese l'uomo, ma Elettra si concentrò a guardare quella goccia di sudore che gli scendeva giù per quella fronte unta. Che schifo
-Sì, ho lavorato nel bar di mia madre. 
-Sai, sei una bella ragazza, non mi serve che tu sappia fare caffè.
ammiccò il boss. 
Elettra provò un estremo senso di disgusto, tanto che rifiutò il lavoro, e per l'ansia che quell'uomo le aveva procurato, lungo il tragitto alla ricerca di un altro bar si fumò due sigarette. Evviva la salute! 
 
Il secondo bar che trovò aveva un nome strano e la faccia di un cane stampata sulla vetrina. Non capiva esattamente il senso di quell'immagine, ma un po' per la simpatia della foto e un po' per il tremendo bisogno di un impiego, si decise ad entrare. 
Le pareti erano completamente azzurre, di una tonalità così forte che era sicura le avrebbe recato fastidio, per qualche strano motivo, agli occhi. 
Si guardò intorno. C'era un bambino seduto ad un tavolino, impegnato a gustarsi una crepes alla nutella e non molto lontano da lui un cane. Lo stesso cane che era stampato sulla vetrina! 
Elettra guardò il cane che sbavava osservando il povero bambino e rimase di stucco. 
-Ma che cazzo..? 
si lasciò sfuggire, un po' sconvolta da non sapeva bene cosa. 
Poi finalmente comparve qualcuno dietro al bancone. 
Era un ragazzo sulla trentina, un po' bruttarello per i suoi gusti, con un frontone forse più grande di quello del magnate austriaco, fidanzato della sorella, che la osservava tranquillamente, sorridendo. 
-Scusa, avrei bisogno di parlare con il proprietario. 
-Sono io il proprietario. 
-Ah. 
Silenzio.
-Piacere, Elettra Settimi. 
disse, porgendogli la mano. 
-Federico. 
rispose quello, aumentando la presenza di "c" nel nome, facendolo risultare "Federicco". Ah, i sardi e la loro strana cadenza. 
-In realtà vorrei sapere se qui avete bisogno di personale da assumere. 
-Mostrami il tuo curriculum. 
...quale curriculum
-Io non ho un curriculum. 
rispose seria e si gustò l'espressione spaesata di Federicco
-Qualcosa sai fare? 
ci pensò su un attimo.
-Sì! - esclamò, vedendo forse una piccola speranza di essere assunta - ti prego, non saprò fare tutti i drink, ma ho un urgente bisogno di soldi, ho bisogno di questo lavoro! 
Federicco sorrise, o forse rise, non lo capì bene. 
-Visto che mi stai abbastanza simpatica, per ora basta che fai qualche caffè e servi i drink che io preparerò. Sei assunta. 
disse lui tranquillamente. Sì, sì, sì! 
-Grazie mille! Quando si comincia? 
chiese lei entusiasta più per il fatto di poter vedere finalmente qualche euro che di aver trovato qualcosa da fare oltre a guardare bambini. 
-Domani, alle quattordici, cominci con il turno di pomeriggio. Puntuale. 
-Certo, come no! - esclamò lei - Batti il cinque! 
protese la mano in avanti e il ragazzo la guardò confuso. 
Beh, cosa ci si può aspettare da Elettra Settimi? 

  
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