-Allora, ragazzi, la traccia è questa: dovete parlare della vostra famiglia trattando l’argomento sotto forma di pagina di diario o lettera. Ricordatevi le procedure che abbiamo studiato insieme, così il compito andrà bene. Avete due ore di tempo. Quando suonerà la campanella, dovrete consegnarmi i fogli. Mi raccomando, sia la bella sia la brutta copia. E cercate di scrivere con una grafia comprensibile, per favore! Buon lavoro-.
Le teste dei dodici bambini nell’aula si abbassarono nello stesso momento, ben decise ad iniziare.
Quello era il primo compito in classe dell’anno e la pressione degli studenti era palpabile; l’unica cosa che li rassicurava era che l’insegnante, Levy McGarden, sembrava essere abbastanza comprensiva e disposta al dialogo. Insomma, avrebbero dovuto raggiungere tutti la sufficienza, con quei presupposti.
-Professoressa?-.
-Sì?-.
La giovane si era appena seduta alla cattedra, quando si sentì chiamare. Alzò lo sguardo sulla classe ed individuò chi aveva parlato: -Dimmi, Fernandes-.
-Visto che ho deciso di usare lo “stile diario”, posso essere brutalmente sincero?-.
-Simon, non dovrei essere io a dirtelo… Se hai studiato le regole, sai anche come impostare il tuo discorso-.
-Lo dico per precauzione-, cercò di spiegarsi meglio. -Così si farà un’idea di quello che le proporrò-.
-Preoccupati di scrivere, che alla correzione penserò io-, lo liquidò Levy, estraendo dalla propria cartella un libro ed iniziando a leggere, in attesa che quelle due lunghe ore passassero in fretta.
***
“La mia è proprio una bella famiglia. Non
vedo
l’ora che nasca il mio fratellino! Ormai mia madre ha una
pancia enorme e
quindi dovrebbe mancare poco. Che bello, finalmente avrò
compagnia!”.
Levy
era sola in casa e stava correggendo i temi dei suoi piccoli studenti.
Quello che
aveva appena finito di rivedere era della figlia di Natsu e Lucy
Dragneel: non
poté non darle un giudizio positivo, sia per il contenuto
sia per l’esposizione.
“Oh,
questo è il compito di Simon”, pensò
Levy, estraendo dalla risma di fogli
protocollo il compito successivo. “Vediamo un po’
cosa ha scritto”.
La
maga iniziò a leggere. Di tanto in tanto faticò a
trattenere le risate, ma ciò
non le impedì comunque di continuare quella piacevole
lettura.
Caro
diario,
più passa il tempo, più penso che la mia sia una
famiglia davvero strana.
Mio padre si chiama Jellal, lo sai; mia madre Erza. Tutti
dicono che sono una bella coppia, ma secondo me esagerano.
Insomma, sempre a sbaciucchiarsi…
Mah, io non mi sposerò mai, stanne pur certo. Non voglio
sembrare scemo come mio padre: ci sono momenti in cui fissa la mamma in
un modo
a dir poco insolito. Non so, mi dà l’impressione
che voglia mangiarla; e non lo
dico solo perché ha l’aria di un tipo con la bava
alla bocca.
Mia madre, poi, non gli dice niente. Sembra quasi che
non voglia farlo smettere. Boh, secondo me hanno qualche problema.
Comunque, queste manifestazioni d’affetto sono il
minimo. Pensa che un giorno, rientrando un po’ prima da
scuola, li ho trovati l’uno
sull’altra sul divano. Sono saltati in piedi con la faccia
tutta rossa e mi
hanno detto che stavano facendo la lotta.
Capito? La lotta. Voglio dire, ormai hanno una certa
età, non sono più bambini. E non mi sembra
neanche giusto che loro possano fare
a botte, mentre io vengo rimproverato ogni volta che mi accapiglio con
il
figlio dei Fullbuster.
Povero anche lui, sotto un certo punto di vista: sua
madre è completamente pazza. O almeno questo è
quello che si dice in giro.
Ma torniamo alla mia famiglia, che è già
abbastanza
problematica.
Non ti ho detto che i miei genitori sono maghi. Esatto,
come quelli delle fiabe. Be’, più o meno: diciamo
che non possono far comparire
dal nulla niente se non spade e stelle. Gli incantesimi più
inutili di sempre,
in pratica. Se almeno fossero capaci di far apparire qualsiasi oggetto,
la
mamma smetterebbe di reclamare quelle benedette torte alla fragola per
cui va
matta. Esaspera mio padre a tal punto da indurlo ad andare in
pasticceria e
fare scorte per l’intera settimana.
Ma a quanto pare questo non è niente, se paragonato
al comportamento di mia madre durante la gravidanza.
Papà ricorda sempre con orrore quel periodo. Ora mi
spiego perché non ho fratelli, anche se mia madre insiste
per averne almeno
altri due.
Chissà se mi permetteranno di gonfiarli di botte…
Se
dovessero mai nascere, voglio sperare che siano maschi. Le femmine sono
troppo
delicate e mi danno il nervoso. Prendi la figlia dei signori Dragneel:
non sa
fare altro che lamentarsi dalla mattina alla sera. L’unico
pregio che le si può
riconoscere è che va bene a scuola. L’ammirerei
anch’io per questo, se solo non
fosse nella mia stessa classe.
E va be’, pazienza.
Insomma, la mia famiglia è strana. Tutti dicono che
“è
il destino” che ha unito i miei genitori. Potrà
anche essere vero, ma il fato
ha giocato contro di me: sono troppo, troppo appiccicati. Un
atteggiamento che
mi imbarazza molto è vederli tenersi per mano quando usciamo
tutti e tre
insieme: ora, già mi dà fastidio il fatto che
sono ancora costretto ad
andarmene in giro con loro alle calcagna, figuriamoci sapere che si
comportano
come due piccioncini alla prima cotta. È disgustosamente
romantico e mi mette a
disagio. Tanto ad essere preso in giro sono io, mica loro!
Senza contare che quando andiamo insieme al parco
tendono ad appartarsi. Sul serio, non scherzo! È in quei
momenti che mi chiedo
per quale motivo hanno tanto insistito per fare una passeggiata, se il
loro
unico intento era quello di baciarsi un passo sì e
l’altro pure!
Certe cose dovrebbero tenerle per sé, non
sbandierarle ai quattro venti.
Zia Mira mi dice di avere pazienza, visto che “hanno
patito le pene dell’inferno” per stare insieme.
D’accordo, ma non capisco
perché sia io quello che adesso deve vivere
nell’incubo. Di certo parlare con
mia zia non aiuta per niente: ci manca poco che fondi un fan club che
dia di
matto ad ogni bacio, abbraccio o carezza che i miei si scambiano.
È ridicolo!
Pensasse a zio Laxus, piuttosto…
A proposito di zii: Mirajane sa cucinare
meravigliosamente, al contrario di mia madre, che sarebbe capace di
avvelenarci. Ecco perché dei fornelli si occupa mio padre.
Be’, “occuparsi” è
una parola grossa: diciamo che viviamo alla giornata. O semplicemente
scrocchiamo qualcosa da zia Mira.
Sì, perché l’unico piatto che mia madre
sa preparare
(o almeno questo è quello che crede; in realtà le
sue creazioni sono per lo più
immangiabili) è lo strudel di fragole. Ha rinunciato a fare
dolci più complessi
quando si è resa conto di essere completamente negata per la
cucina. È abbastanza
frustrante, per lei, non riuscire a soddisfare il palato mio e di mio
padre, ma
spero che prima o poi se ne faccia una ragione.
Malgrado i comportamenti frivoli che spesso
mantengono, i miei genitori sono i più buoni del mondo.
Farebbero di tutto per
proteggere la famiglia; a volte penso che arriverebbero a sacrificare
persino
se stessi, se ce ne dovesse essere bisogno. Mi auguro che non accada
mai una
cosa del genere.
Ammetto anche di ammirare la loro unione: per carità,
rimangono sempre troppo appiccicati per i miei gusti, ma sembra proprio
che
niente li possa dividere. Neanche i litigi più gravi
riescono a tenerli a
distanza per più di cinque minuti.
Di recente, per esempio, c’è stato un battibecco
sull’ennesima
torta alla fragola presa in pasticceria.
Mia madre insisteva per mangiarla subito, mio padre
voleva tenerla in serbo per il pranzo del giorno dopo,
perché sarebbe venuta a
trovarci dopo tanto tempo zia Meredy. È la mia zia
preferita, se te lo stai
chiedendo, caro diario: è bella, sa cucinare e mi porta
sempre qualche piccolo
souvenir dall’ultimo paese che ha visitato. Viaggia davvero
molto per lavoro.
Insomma, i miei si stavano contendendo la torta: a
forza di tirare ora da una parte ora dall’altra,
quell’innocente dolce è finito
per terra con un sonoro “splat”. Non ti dico quanto
ha urlato mia madre di
fronte a quella vista apocalittica: per un secondo ho pensato che
sarebbe
ricorsa alle spade per farla pagare a mio padre.
Invece non è successo niente di tutto questo.
È finita anche peggio di quanto potessi immaginare.
I miei si sono inginocchiati per ripulire e sai cosa
hanno fatto?
Hanno iniziato una battaglia di cibo.
Ti giuro, non potevo credere ai miei occhi. È stata
la goccia che ha fatto traboccare il mio vaso interiore.
C’era panna ovunque: sui mobili, sul muro, sui loro
vestiti… Che spettacolo atroce.
Ma il momento clou è stato la riappacificazione.
Non sono ancora sicuro se raccontarti quest’ultimo
particolare. Se ci ripenso, ho i brividi.
Ma visto che sto parlando con te, caro diario, sento
il dovere di finire questa storia. Spero solo che tu non rimanga troppo
traumatizzato.
In questo caso, ti prego di perdonarmi.
Visto che erano coperti di panna e fragole, si sono
resi conto che forse (e sottolineo il “forse”)
dovevano darsi una ripulita. Allora
si sono rialzati, si sono guardati negli occhi e poi mio padre, come se
quella
fosse la cosa più naturale del mondo, ha detto: -Erza, hai
la bocca sporca. Lascia
che ti aiuti-.
E poi…
Caro diario, non vomitare. Ti supplico, non farlo.
Insomma, non solo l’ha baciata (se si fosse limitato
a questo sarei stato comprensivo), ma le ha tolto i residui di panna
con la
lingua.
Con la lingua, capisci?
Oddio, devo ancora riprendermi.
E mia madre non si è opposta, anzi: ha fatto la
stessa, identica cosa a lui.
Non voglio soffermarmi su come sia proseguita e
finita la serata perché, davvero, sarebbe troppo anche per
te.
Sì, questa è la mia famiglia. Voglio bene ai miei
genitori, ma qualcuno dovrebbe dir loro di darsi una calmata. Hanno
degli
spiriti talmente bollenti che si direbbe che le loro teste fumino!
Sii comprensivo nei miei confronti, caro diario. E scusami
ancora se ti ho sconvolto.
Ora devo proprio lasciarti: la campanella sta per
suonare e io devo consegnare il compito alla professoressa McGarden.
Augurami
in bocca al lupo, che di questo passo la sufficienza posso soltanto
sognarmela.
Levy
poggiò il foglio sulla scrivania e si stropicciò
gli occhi, continuando a
ridere fra sé e sé.
-Certo
che ne ha di fantasia-, borbottò, sistemando qualche virgola
qua e là e
sottolineando le espressioni troppo colloquiali. -Erza e Jellal che
lottano con
del cibo. Una torta, oltretutto! No, è davvero impensabile!-.
Riesaminò
il compito e rilesse l’ultima parte: immagini imbarazzanti si
affacciarono tra
i suoi pensieri e la ragazza si sentì arrossire.
-Be’,
in fondo ne sarebbero capaci-, disse tra sé e sé.
-Ma preferisco credere che
non sia vero-.
Ricorse
alla penna rossa solo in altre tre occasioni e infine scrisse il voto:
un sette
e mezzo le sembrò il giudizio più adeguato.
“Simon,
guai a te se dovessi rimettermi a disagio”,
rifletté Levy, passando al compito
seguente. “Però devo anche ringraziarti:
chissà se Gajeel vorrà sperimentare
qualcosa di questo tipo con me”.