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Autore: Virginia Of Asgard    28/05/2014    2 recensioni
Racconto le mie vicende con cinismo ed un pizzico di ironia da black humor, molto British. Sarà perché non sono mai stata una persona particolarmente ottimista. Diciamo che tendo a dar ragione a Murphy: "se una cosa può andare storta, lo farà" oppure "sotto ad un grande problema, ce n'è sicuramente un altro più piccolo, che lotta per emergere".
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Dio, com'era stupido, Dio, Dio, Dio! Se fossi stata muta avrei comunicato gesticolando!
«Non sono muta.» asserii fredda, porgendo la sigaretta girata al ragazzo, gli passai l’accendino senza che domandasse, e con l’occasione accesi anche la mia.
«Oh! Incredibile! Molto bene, e quindi dove avresti imparato a girare sigarette?» ridomandò insistente e tedioso.
«a Parigi, ma non ci sono mai stata.» risposi piuttosto infastidita. Lui mi guardò di sbieco, e con fare interrogativo.
«Cazzo, allora è proprio vero quello che si dice di te, Blue: sei fottutamente strana!»
«Lo so.»
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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   Blue.

 Prologue:

Blue è il mio nome. Nome buffo, non mi si addice per nulla. Ho gli occhi verdi, se ve lo state chiedendo. E i miei capelli sono di un rosso ramato; nulla di blu, esteticamente. Eppure ci dovrà pur essere stato un motivo, per il quale i miei genitori mi hanno chiamata così. Non lo so, con precisione, ricordo poco o nulla di loro. So solo che per qualche motivo non potevano o non volevano permettersi l'affidamento di un'altra vita fra le loro mani. Chi lo sa, i motivi possono essere mille e centomila; magari non avevano soldi, o erano troppo giovani e desideravano viaggiare ancora per un po’ e senza intoppi come poteva esserlo... una figlia.
In ogni caso sono morti entrambi in un incidente stradale pochi mesi dopo avermi lasciata ad un orfanotrofio Gesuita.
Non cel'ho con loro, con mia madre o con mio padre. Ho solo diciassette anni, e, sinceramente non ricordo nulla di loro o della loro esistenza. Non che mi importi qualcosa... non ho sofferto quando sono morti, avevo solo tre, forse quattro anni; chi lo ricorda?
In ogni caso sono qui per raccontarvi la mia storia, un
a storia che non comincia anni fa, quando un altro essere umano mi diede la vita, ma comincia da adesso.
 
Liverpool, qualche periodo sconosciuto, negli anni '50. Verso la fine, diciamo.
 
Racconto le mie vicende con cinismo ed un pizzico di ironia da black humor, molto British. Sarà perché non sono mai stata una persona particolarmente ottimista. Diciamo che tendo a dar ragione a Murphy: "se una cosa può andare storta, lo farà" oppure "sotto ad un grande problema, ce n'è sicuramente un altro più piccolo, che lotta per emergere".
Sapete, quei pensieri ed ideali molto alla Leopardi. E' una specie di copertura comoda, per incassare meglio i colpi della vita: mi spiego meglio.
Se una cosa può andar male, beh allora lo farà, rende tutto più semplice alla mia esistenza. Partendo già dal presupposto che nulla andrà a buon fine, se non lo fa, almeno non ci soffro. Mi spiego? Forse non sono molto chiara... un esempio, o meglio un'eccezione che confrema la regola fu il mio incontro con John Winston Lennon, per esempio.
Lui ha preso la mia teoria e tutte le mie sicurezze, e le ha masticate per bene come si fa con una gomma, per poi sputarle ( e sputare me con loro ), senza alcuna pietà.
Dunque, correvano gli anni '50 a Liverpool. La scuola che frequentavo funzionava come un College, però si ostinavano a chiamarlo 'Convitto'; Aveva una funzionalità davvero particolare, io ero mantenuta dai Gesuiti, che avevano deciso di mandare me ed altre due ragazze in questa scuola speciale che conteneva tutti gli indirizzi di studio delle altre normali scuole, ma con una differenza: li si viveva, o meglio si conviveva. Ero arrivata da appena un mese, non conoscevo nessuno, ma con le pettegole presenti (non solo) a Liverpool, non ci si poteva aspettare gran ché. Da quel che avevo sentito, io avevo la nomea di essere quella stramba che non parla a nessuno.
Avrei potuto prendermela per questo. Avrei potuto picchiare Reneé Smith per aver fatto girare quella voce con la fretta di un uragano, ma me ne stetti al mio posto. Avrei potuto ribellarmi se tutto ciò non fosse stato effettivamente… vero.
Nessuna voce inventata, non avevo mai aperto bocca per, diciamo, ‘socializzare’. Non era nel mio interesse. Non che soffrissi di qualche strano tipo di egocentrismo cronico, o altro – anzi, consideravo la mia persona meno di zero, all’epoca – ma il fatto che io fossi diversa era evidente. Avevo un innata passione per la Francia, sapevo parlare francese meglio del presidente, fumavo tabacco francese, vestivo secondo la moda Parigina, e leggevo libri in francese. Amavo la letteratura, la cultura, l’arte. Cose che delle diciassettenni mie coetanee non avrebbero saputo minimamente cogliere. Non che generalizzassi così acidamente, per conto mio. Semplicemente trovavo futili i tentativi di acculturarsi mentre l’unico pensiero all’epoca era abbattere le barriere del proibizionismo genitoriale dandosi al sesso sfrenato e occasionale, all’alchool, ed alle cose illegali come l’erba.
Naturalmente anche io ogni tanto fumavo un po’ d’erba, ero contro al fatto che fosse illegale, era anzi così afrodisiaco e rilassante, l’effetto che dava!
Dunque andavo controcorrente, ma a modo mio, e non trovavo giusto perdere il mio tempo – che avrei dedicato al termine del Purgatorio, di Dante Allighieri, il mio segreto amore dalle medie – in baggianate giovanili. Il ciò mi aveva portata ad un auto-isolamento distruttivo. Mi stavo praticamente perdendo gli anni migliori della mia vita.
Erano le sette di sera, quando lo conobbi.
Stavo uscendo dalla mia stanza per fare due passi, e fumarmi una sigaretta francese in santa pace. Presi il tabacco, le cartine ed i filtrini, e mi preparai ad uscire per riflettere. Nella mano sinistra tenevo la Divina Commedia, rilegata in pelle. Volvevo imparare a memoria la terzina più bella di tutto il libro, a mio dire: quando il conte Ugolino si trovò rinchiuso con i suoi tre figli morenti di fame, ed ancora ci si interroga sulla fine del canto. Non si capisce se l’uomo se li mangiò o se morì di fame con loro.
Dunque uscii in giardino. A quell’ora i ragazzi della mia scuola andavano tutti nei bas Undergound a sentire musica dal vivo, a bere, fumare e parlare delle ultime novità in campo di musica, nel tentativo di rimorichiare.
Io invece restavo al Convitto, ed uscivo ogni tanto per un po’ d’aria e per godermi il crepuscolo.
Mi sedetti su di una panchina, posai la Divina Commedia, e mi misi a girare una sigaretta.
«Hey!» una voce spezzò il silenzio. Alzai lo sguardo e mi trovai davanti a John Lennon, il ragazzo senz’altro più popolare della scuola, assieme a Paul McCartney e Stuart Sutcliffe.
Non risposi, lo fissai in attesa che continuasse ad importunarmi.
«Avresti una sigaretta per caso? Le ho finite, e i tabacchini hanno già chiuso da un pezzo…» disse fissandomi senza alcuna espressione particolare sul volto. Mi chinai a raccogliere il Tabacco i filtri e le ccartine e gli posi il tutto senza fiatare.
«Oh, tu giri, io non so girare… devo imparare… ti dispiacerebbe…?» non finì la frase che mi porse indietro il tutto, pregandomi con gliocchi di girare io al posto suo. Non fiatai e mi misi all’opera.
«Dove hai imparato a farlo?» mi domandò, lo guardai stranita. Forse non aveva capito che io non avevo intenzione di parlare. Ben che meno con lui!
«Andiamo, il gatto ti ha mangiato la lingua? Cazzo lo sai che da quando tu, e quelle altre due ragazze siete arrivate a scuola, non ti ho mai vista aprir bocca con nessuno? Non è che sei muta?»
Dio, com’era stupido, Dio, Dio, Dio! Se fossi stata muta avrei comunicato gesticolando!
«Non sono muta.» asserii fredda, porgendo la sigaretta girata al ragazzo, gli passai l’accendino senza che domandasse, e con l’occasione accesi anche la mia.
«Oh! Incredibile! Molto bene, e quindi dove avresti imparato a girare sigarette?» ridomandò insitsente e tedioso.
«a Parigi, ma non ci sono mai stata.» risposi piuttosto infastidita. Lui mi guardò di sbieco, e con fare interrogativo.
«Cazzo, allora è proprio vero quello che si dice di te, Blue: sei fottutamente strana!»
«Lo so.»
«La smetteresti di comunicare a monosillabi? E’… snervante!»
«Perché mai dovrei comunicare con te, di grazia?»
«Cazzo, scusami! Ti ho chiesto una sigaretta e speravo di fare due chiacchiere come le persone normali, ma a quanto pare tutta quella chiesa ti ha fatto male!»
«Sono Atea.» risposi freddamente, detto ciò mi alzai e tronai dentro senza fiatare o salutare. Lui mi stava altamente antipatico. Rappresentava tutto ciò che andava contro i miei ideali: aveva sverginato una cinquantina di ragazze nella mia scuola, compresa la mia compagna di stanza, Sue; era un puttaniere di alto livello, e le persone così mi facevano salire i nervi alle stelle.


Salve Popolo!

 

Forse qualcuno di voi si ricorda di me, non per il mio nuovo Nik, ma per la mia storia "Non cambierò certo per te, burbero tricheco insolente!"
Che poi non ho più continuato. Dunque sarà passato un'annetto? Si e no dai, approssimiamo xD 
Mi scuso per non aver più aggiornato, certe critiche mi hanno fatto passare la voglia e la fantasia. Sono una persona debole ( appena stata mollata dalla sua ragazza, tra l'altro!) che ha colto l'occasione di tristezza, per ricominciare a scrivere. Tanto lei non tornerà in dietro, ma non ha importanza la mia vita privata.
Che ne pensate di Blue? come l'ho resa? Praticamente è un profilo psicologico di ciò che sono io ( apparte per il francese, lo sapevo, ma l'ho dimenticato... e poi fumo Luky Strike hahahah ma, tralasciamo.) 
Spero non somigli troppo a Giselle, lei è un po' più.. Apatica diciamo, ma bando alle ciance, la smetto di blaterare e mi consegno a voi, avvisandovi che questa,
ATTENZIONE! ATTENZIONE!
E' l'ennesima storia di odio ed amore tra una lei ribelle, ed il mio amato Lennon. Percui se non ve gusta, siete libererrimi di cliccare la X.


Hasta Luego pipol!
   
 
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