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Autore: Elfa    28/05/2014    1 recensioni
Gurthang non è un ragazzo come tutti gli altri. Probabilmente perchè in realtà è figlio di un Maia corrotto, o perchè si è risvegliato dopo secoli in una base militare nell'harad, quando avrebbe dovuto essere morto... quello che sa per certo, è che non vuole finire i suoi giorni a fare la cavia.
Intanto a Lasgalen Anarion, figlio di Legolas, è deciso a ritrovare la spada spezzata che uccise il suo fratellastro, quando 600 anni prima Sauron fu sconfitto, e che ora è stata rubata.
E in tutto ciò, i Valar sono ben decisi a non lasciare che gli equilibri della Terra di Mezzo vengano sconvolti di nuovo.
A qualsiasi costo.
-Sequel degli Eredi dell'ombra, cercherò di renderla comprensibile anche ai nuovi lettori-
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Legolas, Sauron
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 4: Non un sogno

 

Nel silenzio generale della notte Alma camminava lungo il corridoio della base, con le scarpe che ticchettavano sul pavimento ad ogni passo. Non si apriva nessuna finestra e l'unica luce era data dalle lampade al neon che ronzavano sul soffitto.

Indossava la divisa militare della divisione scientifica, in quell'assurdo, deprimente verde oliva, con la gonna al ginocchio, giacca, camicia e cravatta. Femminile quanto un orco e maledettamente scomoda.

Si fermò davanti alla porta del laboratorio ed estrasse il badge di riconoscimento. Rubarlo ad uno degli assistenti della Winter era stato facile, ma farne un dublicato le era costato un sacco di soldi. Per sicurezza, aveva anche registrato la voce dell'assistente, giorni prima, ma se c'era un controllo della retina o delle impronte di gitali sarebbe stata fregata. Passò la scheda sul terminale e attese, fino a che la luce non passò da rossa a verde. Andata. E più facilmente di quanto sperasse.

Entrò nella sala, mentre la luce si accendeva di colpo, illuminando tre lunghe file di computer di ultima generazione, disposti davanti ad una vetrata, che dava su una specie di studiolo medico, con apparecchi che lei non aveva mai visto. Sedette davanti ad uno di quelli e digitò la lunga password, incrociando le dita: un computer ne creava una diversa ogni settimana. Accettata. Alma espirò, mentre osservava la lunga fila di cartelle numerate che apparirono sullo schermo. Collegò al computer quella specie di chiavetta usb che il suo datore di lavoro le aveva fatto avere e cominciò a scaricare quel materiale, fino al file n.13.

"Necessaria autorizzazione di livello 1. Digitare nuova password." Lesse, a mezza voce. Ecco... era troppo semplice. Estrasse il cellularte, componendo una lunghissima sequenza di numeri. Un altro consiglio del re, da usare solo in casi di necessità. A quanto ne sapeva lei, era il numero di un hacker di fiducia, che già aveva provato a entrare nei loro sistemi, ma a quanto pareva, la base aveva un circuito chiuso in cui non poteva infilarsi.

 

*

 

Earine Unduin era un elfo piuttosto strano: alta e magra, coi capelli tinti di blu, rasati sui lati e alzati in una cresta col gel, portava un numero ragguardevole di piercing alle orecchie, uno al naso, due sul sopracciglio sinistro, piccoli e d'argento, ad anello, e un altro sulla punta della lingua; La canottiera nera che portava sopra jeans vissuti era di due misure troppo larga e portava il logo di qualche gruppo punk-rock semi-sconosciuto. Il braccio sinistro era totalmente coperto dal disegno di un roseto su cui si affacciavano piccoli uccelli variopinti, attorno al suo collo e scendendo dietro la schiena si snodava una via lattea su cui navigava Earendil, in ultimo, sopra i seni erano tatuate due caffettiere fumanti.

Stava navigando pigramente su internet quando ricevette una chiamata sul cellulare che le aveva lasciato Anarion, la qual cosa la fece improvvisamnte cadere dalle nuvole. Rispose, impaziente.

"Quale è il problema?"

"Necessaria autorizzazione di livello 1. Digitare nuova password." La voce della ladra suonava calda anche attraverso la distorsione del telefono, proprio come Rin si era aspettata guardandola dalle telecamere di sorveglianza.

"Va bene, attacca il telefono al computer. Non credo sarà troppo difficile." La invitò, cambiando schermata e prendendo il controllo del computer remoto. Sorrise, tuffando la mano in un sacchetto di patatine lì vicino. "Si inizia..." Sussurrò, eccitata.

 

*

 

Alma rimase a guardare lo schermo, mentre la schermata cambiava, mostrando ora uno sfondo nero su cui apparivano e sparivano file e file di comandi in codice, mentre Rin, chiunque fosse, cercava di bypassare il sistema. Le ci volle meno di un quarto d'ora, per ritornare alla schermata iniziale.

"Alma? Ci sei?" La voce di donna crepità piano dal telefono senza vivavoce e la ladra portò di nuovo l'apparecchio all'orecchio.

"Sì." Rispose, smettendo di mangiucchiarsi la punta dell'indice. "Ci sei riuscita?"

"Due notizia. Una buona e l'altra cattiva. La buona, è che ho la password. La cattiva, è che appena comincerai a scaricare i dati i gondoriani lo sapranno. Posso bloccare il segnale per un pò, ma dovrai lasciare il cellulare collegato e anche così non posso darti più di sei minuti, dopo che avrai scaricato tutto. Hai modo di andartene in tempo?"

Alma non rispose subito, riprendendo a tormentare l'unghia.

"Bella rogna..." Mugugnò, e Rin rise.

"Già, ma non aspettarti ritocchi al tuo rimborso spese. Mi pare già più che adeguato."

"No, se mi mettono dentro."

"Nel caso ti presto il mio avvocato. Inserisco la pass o no?"

Alma sospirò, chiudendo per un momento gli occhi, riflettendo. Sì... volendo aveva un diversivo adatto. Infilò una mano in tasca, estraendo il piccolo detonatore, molto simile a un telecomando per cancelli. Era collegato a una piccola bomba, un ordigno compatto, he pure avrebbe fatto un bel pò di danni, dando ai militari altro a cui pensare.

"Sicura che riuscirò a scaricare tutto il materiale?"

"Di stretta misura ma sì, ho controllato."

"Allora inizia le danze."

Un'altra risata cristallina si udì dall'altra parte del telefomo.

"E allora Rock'n Roll, Baby!"

 

*

 

In quel bosco autunnale regnava la pace. Gurtangh aveva arrotolato i jeans fino a metà polpaccio, per poter immergere i piedi nel laghetto di acque scure, restando vicino alla riva e assaporando il contatto col fondo limaccioso tra le dita. L'acqua era fredda ma non gelida, poteva restare lì a lungo. Una foglia di quercia, ormai marroncina, si staccò da un ramo, finendo in acqua e mandando a quel contatto piccoli cerchi concentrici.

"E' qui che volevi stare?" Chiese il gatto, stando seduto sulla riva, a una certa distanza dal laghetto.

"Più o meno... questa non è Lasgalen vero? E' tutto un sogno. Sono ancora alla base." Rispose il ragazzo, allungando una mano a prendere la foglia, senza voltarsi verso il gatto.

"Qualcosa del genere..." Concesse quello, prendendo a passeggiare leggero attorno al laghetto.

"Dicevi che sarei stato dove volevo essere." Rispose l'altro, imbronciandosi e abbandonando la foglia per guardare di nuovo il gatto.

"Ci sono state complicazioni."

Gurtangh tornò verso riva, sedendosi sull'erba e srotolando i jeans. "Già... tipo il fatto che sono tutti morti o partiti." Fu il commento amaro del ragazzo. Il gatto non rispose, limitandosi a stringere gli occhi e a muovere pigramente la grossa coda cespugliosa.

"Comunque non qui." Appuntò il felino. Gurth lo guardò, assorto: ormai non poteva più catalogare quel gatto come un sogno, lo aveva visto troppe volte. Quello che non capiva era se era un parto della sua mente, nel qual caso avrebbe dovuto cominciare a preoccuparsi, se era una risposta del suo inconscio agli esperimenti che avevano fatto su di lui, e nemmeno questo lo tranquillizzava, o... cosa? Sospirò, rinunciando a capirci qualcosa e stendendosi indietro, sull'erba della riva, fissando il sole che giocava tra le fronde di quel bosco multicolore.

 

*

 

Un'esplosione lo svegliò, facendolo sobbalzare e mettere a sedere, confuso, mentre cercava di capire cosa fosse successo. Le luci d'emergenza si erano accese, illuminando la stanza di una luce azzurra e fredda, rendendo visibili i contorni spogli della sua piccola stanza all'interno della base.

Dall'esterno arrivavano i rumori di passi affrettati, ordini urlati e il gracchiare degli altoparlanti.

Gurthang scese dal letto, rabbrividendo al contatto dei piedi nudi col pavimento freddo, mentre si avvicinava alla porta automatica. Ovviamente non si aprì, doveva essere saltato l'impianto elettrico... la spinse a forza, aprendo uno spiraglio che gli permettesse di uscire.

Nel corridoio c'era agitazione, tutti correvano, le facce tese e un odore acre, come di plastica bruciata appestava l'aria.

Nessuno badò a lui mentre usciva dalla stanza, cominciando a muoversi incerto lungo il corridoio, indeciso su dove andare.

"Gurthang!" La voce della dottoressa Winter lo fece voltare di colpo. Aveva i capelli sciolti e spettinati ed indossava un improbabile pigiama rosa e infradito bianche da piscina. Gli venne incontro sciabattando, mettendogli una mano sulla spalla, cercando di guidarlo da una parte. "Vieni, c'è stato un incidente ed è scoppiato un incendio, dobbiamo andare da questa parte." Gli spiegò brevemente, tenendo un fazzoletto davanti alla bocca e spingendolo lungo il corridoio.

"Un incendio..?" Il ragazzo ripetè le parole della donna, seguendolo comunque, apparentemente docile, ma voltandosi indietro, fissando i soldati in tuta ignifuga che correvano dalla parte opposta alla loro.

"Di qua saremo al sicuro." lo invitò, continuando a tenere le spalle del ragazzo che la seguiva, docile. Del resto, perhè non avrebbe dovuto? Da una parte c'era il pericolo, dall'altra sarebbe stato al sicuro. Era quello che voleva, no? No? Gurthang si fermò di colpo, guardando ora alle proprie spalle, incerto. Cosa c'era da quella parte di così insormontabile? Il fuoco? L'ignoto? Ripensò alla sua prima fuga, una vita prima: era scappato per non essere usato contro la sua volontà e aveva affrontato ben più che un incendio e l'incertezza del futuro.

"Gurthang!" La voce della dottoressa Winter, impaziente, lo fece sobbalzare e tornare alla realtà. Si voltò a fissarla, fisso, come se la vedesse per la prima volta, prima di scuotere lentamente il capo e fare un passo indietro.

"No." Un mormorio gli lasciò le labbra, lasciando che le parole aleggiassero nell'aria solo per un secondo. Si volse di scatto, percorrendo veloce il corridoio nel senso opposto a quello che avrebbe dovuto. Udì la voce della dottoressa richiamarlo, stridula di incredulo panico, ma non ci badò, concentrandosi solo sul suono ritmico del proprio cuore e sul tamburellare dei piedi nudi sul pavimento.

Man mano che si avvicinava all'incendio l'aria diventava più pesante. Presto si trovò a camminare in un fumo acre che bloccava il respiro, costringendolo a procedere praticamente alla cieca, tossendo e con gli occhi che lacrimavano. Si mosse a tentoni, avvicinandosi ad un muro e lì fermandosi, cercando di capire dove si trovasse. La mano tastò la parete, come saggiandone la consistenza e quanto potesse essere spessa. Non che gli servisse... i suoi poteri più forti erano quelli mentali, bastava che riuscisse a vedere un oggetto, da qualunque distanza, per manipolarlo o distruggerlo, non c'era alcun bisogno di tirar giù la parete a pugni. Eppure, pur sapendolo benissimo, non potè trattenersi dal posare anche l'altra mano sulla parete.

Un passaggio.

Gli serviva un modo per passare.

Come se una lama avesse tagliato della tela, un taglio si aprì nel muro, per poi allungarsi abbastanza da permettere al giovane di passare. Gurthang si trovò in unastanza piena di cubitoli, minuscoli uffici divisi da separè, dove l'aria era appena più respirabile.

"Fin qui tutto bene..." Mormorò, rivolto a sè stesso, voltandosi a richiudere la parete. Non c'era nessuno a sentirlo, ma gli piaceva sentire la propria voce, quella corsa nel fumo gli sembrava irreale come un sogno. Deglutì. "Gatto?" Chiese, alla stanza vuota. Silenzio. Meglio così da una parte... voleva dire che era sveglio. "Dai, Gurth... muoviti, prima che qualche soldato entri qui dentro..." Mormorò a sè stesso, voltandosi e percorrendo il corridoio tra i cubicoli, il passo, svelto, ma senza correre. Quanto era lunga quella serie di ufficetti? Deglutì. Cammini, cammini e non arrivi da nessuna parte. Tipico dei sogni. "Gatto?" Chiese di nuovo, deglutendo. "Ti prego, fa che non sia un sogno." Supplicò, chiudendo per un attimo gli occhi.

Non lo era.

La parete di fondo. Niente più ufficetti, solo una parete, con delle piccole finestrelle poste in alto. Non grate di areazione. Erano persino più piccole, ma erano delle finestrelle chiuse da grate. Anche da lì poteva vedere un cielo lattiginoso. Era notte, ma le luci che illuminavano il cortile erano fortissime.

Lo sguardo azzurro intenso di Gurthang tornò a posarsi sulla parete compatta, aprendo di nuovo uno squarcio nella parete, permettendogli di uscire all'esterno, nel grande cortile.

Il cuore ebbe un sobbalzo mentre il passo si fermava sull'asfalto coperto da uno strato di sabbia, fissando davanti a sè. Troppa luce per vedere le stelle, ma la libertà era a portata di mano, solo oltre due file di recinzioni elettrificate e un muro di cinta sormontato da filo spinato. Sorrise. Corse. Raccolse le gambe e saltò, praticamente volando scoppiò a ridere mentre era in volo, e in quel momento una scarica di mitragliatrice gli squarciò il ventre.

Ricadde pesantemente sull'asfalto, senza nemmeno il fiato per urlare. Le torrette di controllo. Come aveva potuto dimenticarle?

Stringendo i denti per il dolore e la nausea, Gurthang riuscì a voltarsi supino, osservando il danno: la scarica gli aveva squarciato il basso ventre, facendo fuoriuscire le budella. La testa gli girò, disgustato, mentre fissava quel grumo di viscere rosa fuoriuscire come le spire di un serpente da una poltiglia rosso sangue che gli imbrattava la maglia bianca del pigiama. Con una mano cercò di spingersi nuovamente le interiora all'interno di quello squarcio, facendo una smorfia nel sentirle così viscide. Inspirò, trattenendo il fiato, mentre cercava di accellerare il processo di rigenerazione, visualizzandosi il suo corpo sano. A distrarlo ci pensarono dei soldati che, urlando e correndo, parevano intenzionati a venire a prenderlo. Strinse i denti. No, non sarebbe tornato indietro, non quando era così vicino.

Questa voltà riuscì quasi a sentire gli occhi pizzicare mentre usava il suo potere. Osservò i soldati e li respinse, spingendoli indietro. Si sollevarono in aria, come colpiti da un maglio pesantissimo, ricadendo diversi metri più indietro. Uno di loro atterrò proprio contro la recinzione. Gurthang fece una smorfia, osservando il suo corpo cortorcersi con grida orribili, e l'odore della carne bruciata arrivare fino a lui. Non stette a vedere le reazioni degli altri, rimettendosi in piedi. La ferita non era ancora chiusa completamente, ma almeno non rischiava di inciampare nel suo intestino mentre scappava. Di certo, comunque, non si azzardò a saltare, limitandosi piuttosto ad una cosa dolorante. Squarciò la seconda recinzione e ne spinse i lembi lontano per sicurezza.

I soldati si erano rialzati, a parte quello fulminato? Si trovò suo malgrado a sperare di no, ma non si voltò a controllare. Non riusciva a dosare bene la sua forza, aveva colpito per stordire, ma forse era stato troppo forte. O troppo poco. Aprì un'altra ferita nel muro, stavolta quasi distruggendolo, tanta era la sua agitazione, ma il succo era quello. Ora le dune del deserto dell'Harad si aprivano come onde di mare davanti a lui, e come il mare nere e bianche, nella strana luce di un plenilunio.

Corse fuori, lasciandosi la base alle spalle, senza voltarsi a guardare quella prigione di cemento grigio, i piedi che non affondavano che leggermente nella sabbia, fresca sotto alla luce della luna. Appena sarebbe sorto il sole le cose sarebbero state ben diverse, già lo sapeva, ma per il momento, non poteva fare altro che assaporare l'aria fredda della notte, il fresco della sabbia che gli solleticava i piedi. Un vento leggero si alzò, quando raggiunse la sommità di una duna. Meglio così, avrebbe contribuito a cancellare le sue impronte. Gurthang si volse un'ultima volta a osservare la base che si era definitivamente lasciato alle spalle. C'era movimento nel cortile, sembrava che già si organizzassero per cercarlo, eppure non potè fare a meno di lasciarsi andare ad un mezzo sorriso, mentre scendeva dalla parte opposta della duna, mettendo tra sè e i suoi inseguitori più passi possibili, correndo e scivolando sulla sabbia, senza più guardare alle proprie spalle, incontro al deserto.

  
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