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Autore: Jeles    29/05/2014    0 recensioni
Sin da quando si è piccoli sognamo un futuro. Desideriamo crescere il più in fretta possibile per realizzare tutti i nostri desideri e sentirci adulti, fino a che non lo diventiamo davvero. E scopriamo di non volerlo più poi così tanto. Daisy è una ragazza di 26 anni, studente e lavoratrice. Dopo aver solcato il mondo degli adulti, non ha mai avuto un attimo di tregua. Quando poi sa che la sua vita sta per cambiare radicalmente, si ferma a pensare. E, come si dice, la notte porta consiglio. Durante la fatidica sera prima del suo cambiamento, riceve un'inaspettata sorpresa dal suo passato che bussa alla porta.
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Scolastico
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Dopo aver sistemato ordinatamente i calzini all'interno della valigia, la chiusi con delicatezza, e ricontrollai almeno una decina di volte i documenti.
- Ok, il passaporto ce l'ho, il biglietto anche, la tessera per entrare in azienda pure... Direi che sono apposto! Chissà come sarà il mio capo, Vincent Ruff, il nome promette bene, spero solo che il colloquio di domani vada liscio, ok che mi hanno già assunta, ma sempre meglio fare bella figura. -
Riposi sopra il comodino il cellulare in carica con la sveglia pronta per le cinque di mattina, non si è mai troppo mattinieri, e mi infilai sotto le coperte, spegnendo la luce accanto. Me ne stetti con le braccia incrociate dietro la nuca, mentre il mio sguardo si posò sul soffitto della stanza, e sospirai nostalgica.
- ... Sembra proprio che me ne dovrò andare di qui... Peccato, speravo di rimanere in città, ma il lavoro è lavoro, e se voglio il pane devo guadagnarmelo in qualche modo. Sono sicura che Anna starà già cercando una sostituta per questa stanza! -
Allusi alla proprietaria della casa, e lasciai il mio orecchio in ascolto del silenzio di quella sera. Di solito le altre coinquiline non dormono fino a tardi, parlando e mangiando tutte insieme. Ricordai con una lacrima questi bei momenti, ma forse fu davvero il caso di cambiare aria. Pensai alla nuova città, al nuovo appartamento, al nuovo lavoro, e a cosa prometteva per me il futuro, io che sin da piccola sbagliavo in ogni cosa! Dal ragazzo che mi tradiva, alla falsa migliore amica, all'errore della scuola, e ancora.. Probabilmente se fossi stata più sveglia avrei evitato certi errori. Avrei vissuto in modo migliore i miei anni delle scuole medie, avrei legato di più con persone con cui non parlavo nemmeno, non mi sarei fatta sopraffare dal costante bisogno di farmi notare come una componente del gruppo, e avrei sfruttato quell'età per fare la ragazzina libera. Già, probabilmente avrei cambiato molte cose...

 

BIP BIP BIP BIP BIP BIP

- … Huh? .. Strano.. ero sicura di aver impostato la sveglia con la suoneria del telefono che squilla.. che ore sono..? -
Faticai moltissimo ad alzarmi. I miei occhi vagavano in quel buio impenetrabile, e solo dopo dieci minuti buoni che riprese a suonare la sveglia mi decisi a sollevarmi. Mi sentii stranamente più leggera. Con le mani andai a stropicciarmi gli occhi, e cercai poi velocemente il cellulare per disattivare l'allarme, ma non lo trovai.
- Ma che.. dove accidenti l'ho messo..? -
Continuai imperterrita a cercare sopra il comodino andando a tentoni, finché non sentii una voce provenire da fuori che mi raggelò il sangue.
- Daisy! La colazione è pronta! E alzati, o farai tardi a scuola! -
Sbarrai gli occhi a quella voce. Era la voce indimenticabile e melodiosa di mia madre. Deglutii, e decisi di sollevare la mano per cercare quel solito vecchio comodino sopra il letto dove tenevo la sveglia quando ero giovane, e la trovai lì, che suonava. La spensi. Lentamente mi alzai dal letto, mi mossi con la memoria verso le tende della mia cameretta, e le aprii senza indugio, per poi voltarmi e guardare a bocca aperta la mia vecchia stanza: aveva ancora le pareti rosse, con qualche poster di band musicali attaccati al muro, il fedele e grande armadio che teneva tutto il mio disordine, e la scrivania dove ero solita fingere di studiare. Osservai con un sorriso pieno di ricordi quel porta penne azzurro su cui vi avevo attaccato mille adesivi, e respirai per bene l'ambiente.
- ... Deve essere un sogno... Ma dai che bello... -
Convinta, mi misi a girare per la stanza, adocchiando la divisa scolastica sopra la sedia, e la giacca nell'attaccapanni dietro la porta, finché non la spalancò con furia mia madre.
- Cosa stai combinando?! Sono già le sette e mezza, muoviti se non vuoi perdere l'autobus! E guarda che io non ti porto a scuola! -
Sobbalzai a quella sgridata, pareva in modo assolutamente realistico, mentre i miei occhi color miele osservarono la figura giovane e vivace di mia madre. Sospirai, e decisi di acconsentire a questo gioco.
- Non serve a nulla che mi cambi e vada a scuola, in ogni caso il passato è già fatto.. ma credo che sarà più divertente ripercorrerlo! -
Senza più alcun indugio, mi fiondai in bagno per lavarmi, e mi soffermai di fronte allo specchio. Con le mani andai ad accarezzare i miei capelli corti e tinti di arancio, avevo ancora quel colore orribile che mi ero fatta per errore tingendomi i capelli a casa. Risi di fronte a quello spettacolo, quindi tornai in camera per cambiarmi velocemente lasciando tutto in disordine com'era, e mi precipitai in cucina, dove mia madre mi aspettò con una ciotola di cereali inzuppati nel latte caldo.
- Veloce a mangiare, che tra cinque minuti l'autobus è qui! -
- … Va bene, va bene! -
- ... Ah, a proposito.. Eddie è ripartito stamattina, e ti saluta... -
Si ammutolì all'improvviso, e la vidi di spalle in un movimento lento e quasi rammaricato mentre lavava le tazze da caffè. Persino il suo corpo parlava per lei. Eddie è il mio fratellastro, e sin da quando scoprii la faccenda dell'uomo prima di papà con cui stette mia madre, mi rifiutai di accettarlo come membro della famiglia. Anche mia madre la trattai male per molto tempo, e, a pensarci, fu proprio nel periodo delle scuole medie che venne tutto a galla. Quel che ritenevo il miglior fratello del mondo, era divenuto una macchia indelebile di cui si era sporcata mia madre, e non potei accettarlo, né fare finta di niente, soprattutto da quando mio padre morì di malattia.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, dopodiché mi alzai di scatto dal tavolo, e mi diressi verso la porta di casa.
- Lo saluto anch'io.. ora vado, ciao! -
Assurdo! Avevo dimenticato quel periodo in cui ce l'avevo a morte con mamma e Eddie. Certo, con l'età ho ripreso un pò i contatti con lui, ma mi dispiace ricordare che loro avevano vissuto in modo triste questa situazione.
Richiusi la porta alle mie spalle, e mi avviai con gran sorriso verso la fermata dell'autobus. Quanto tempo era passato dall'ultima volta! Non era cambiato niente: uscita di casa vidi i soliti vecchi chiacchieroni, le donne del bar, il giornalaio... E poi la fermata, dove la maggior parte delle volte mi trovavo con Alice, la mia migliore amica, e lei fu proprio lì, sorridente, in attesa. Alla sua vista deglutii, ed il mio cuore batté forte dall'ansia. Ricordo ancora il giorno in cui litigammo fortemente, e fu da quel momento che non la vidi più. Dunque perché mai avrei dovuto parlarle? La ignorai.
- Ehi Daisy, aspettami! Ascolta, c'è una cosa che vorrei dirti... -
Spalancai gli occhi a quella richiesta. Possibile che fosse la mattina del litigio? Doveva essere proprio QUELLA mattina? Avrei solo voluto godermi una mattinata di scuola con dei compagni che non vedevo da anni, non desideravo arrivare depressa e giù di morale. Ah. Ma quel litigio è già successo, giusto? Potevo evitarlo.
- Certo, dimmi tutto! -
Enunciai allargando un ampio sorriso, al che lei mi sorrise a sua volta.
- Domani è il compleanno di Jade, giusto? Volevo fargli un piccolo regalo, ma non ho la più pallida idea di cosa fargli! -
Ah, ecco, il compleanno di Jade. Dunque vuol dire che litigheremo due giorni dopo quella data.
Grandioso.
- Che ne dici di confessargli i tuoi sentimenti e farla finita con il girarmi attorno fingendo di essermi amica per stargli vicino? -
Non ebbi un briciolo di esitazione, la guardai dritta negli occhi, mentre lei rimase a bocca aperta. Le sue sopracciglia si corrucciarono, e scoppiò a piangere. Quando litigammo odiai quel suo lato da frignona, e lei piangeva spesso. Spostai lo sguardo, verso la strada, lasciando che la mia schiena potesse osservare quella ragazzina in lacrime che cercava di zittirsi e di pulirsi con le mani. La detestai davvero molto a quel tempo, ma ritornando indietro dopo anni e anni che non la vedevo, mi sembrò davvero triste avere l'unico ricordo di lei che fosse un litigio acceso e una faccenda mai chiarita. Sospirai, e cercai nello zaino un pacchetto di fazzoletti, successivamente glielo porsi aperto.
- … Forse sono stata troppo diretta, mi dispiace, non volevo farti piangere. Ma io so cosa pensi di lui, e non preoccuparti che tra me e lui finirà presto. -
Per qualche strano motivo mi rincuorai io a quelle parole, anziché lei. Alice tornò a piangere a dirotto, mentre io sorrisi al cielo, e le diedi qualche pacca sulla spalla, finché non arrivò l'autobus. Lei frettolosamente cercò quantomeno di asciugare le lacrime, tenendo stretto nel naso il fazzoletto, mentre io salii dietro di lei, e cercai subito con lo sguardo i compagni di classe che prendevano l'autobus con noi. Rivolsi un ampio sorriso quando lì vidi lì, al solito posto, in fondo al grande veicolo. A stento ricordai le nostre solite chiacchierate, e mi diressi senza indugio verso di loro che mi salutarono da lontano, mentre Alice si accomodò velocemente in un posto a caso per calmarsi; tuttavia mi ricordai che quella strada verso quei ragazzi, la feci tutti i giorni, dunque perché non soffermarsi un istante ad osservare gli altri componenti di quel pullman? I miei occhi vagarono tra i ragazzi dei primi posti, i mattinieri che abitavano più lontani, nonché quelli definiti da sempre “sfigati”, che studiavano di prima mattina, o chiacchieravano indossando quegli enormi occhiali da vista derisi da molti. A vederli in quel momento, li trovai adorabili. Subito dopo ci furono i ragazzi più silenziosi, che attaccavano le cuffie e non ascoltavano più il mondo, oppure si incollavano allo schermo di qualche console, ma in ogni caso, per loro il mondo si riduceva a quel passatempo. E tra loro notai un ragazzetto biondo con gli occhiali dalla montatura azzurra che fissò l'ambiente fuori. Per qualche motivo, mi sembrò di averlo già visto, ma non lo ricordai in quel frangente. Finalmente raggiunsi la mia compagnia, in fondo, circondati dal resto dei gruppi chiassosi, e mi buttai tra le loro braccia, accomodandomi vicino a loro a parlando con grande entusiasmo. Ma dimenticai un fattore importante. Non ero più una ragazza delle medie, e quei discorsi infantili mi fecero venire la nausea sin da subito. Davvero quegli amici non furono in grado di discutere di cose seriamente divertenti, o più importanti?
- Daisy. E' da prima che ci guardi ma non dici nulla, parla anche tu! Sei la nostra reginetta tra noi, no? -
- Giusto Daisy! Sbaglio o oggi dovevi mostrarci i tuoi occhiali da sole nuovi? Ormai si avvicina l'estate, non vedo l'ora di uscire tutto il giorno e divertirmi! -
- Oh anch'io! Al diavolo la scuola, ancora qualche mese e abbiamo finalmente finito queste medie infernali! Non ne posso più di studiare! -
Sospirai pesantemente a quelle affermazioni.
- E menomale che le scuole medie sono solo l'inizio. Scusa ma tu non volevi fare un liceo scientifico? Non ti conviene lamentarti per quel poco che studiamo. -
Il gruppo mi guardò con espressione allibita di chi fissa un alieno, e scoppiarono poi a ridere come delle scimmie.
- Questa era divertente Daisy! Davvero divertente. -
Avevo dimenticato che un insulto del genere per renderlo comico bastava riderci su. Che peccato, ed io che volli davvero dargli una piccola lezione. Mi girai verso il finestrino, e rimasi per quell'ultimo quarto d'ora di tragitto in silenzio, lasciando le mie orecchie in ascolto dei discorsi strazianti di quelli che definivo a quel tempo i migliori amici che si potessero desiderare. Non appena ci fermammo di fronte la scuola, non vidi l'ora di scendere e di respirare l'aria scolastica. Lo ammetto, per la prima volta, ammetto che mi mancò. Non appena misi piede su quell'asfalto malmesso, sollevai le braccia e mi sgranchii un poco, ma notai subito un ragazzo venirmi incontro.
- Daisy! -
Che nostalgia. Quel Jade che tanto odiai era lì di fronte a me, ancora puro ma con probabili pensieri sporchi. Gli sorrisi.
- Ehi Jade, da quanto.. -
Lui rise di gusto alla mia frase, e mi abbracciò afferrandomi dai fianchi, lasciando che tutti ci guardassero. Dimenticai anche che ero priva di pudore in questi casi.
- Ma come, ci siamo visti appena ieri, e già ti mancavo? -
Il suo sorriso era dolce come il miele, misto ad un espressione chiaramente maliziosa, e spinse il volto in avanti per cercare di appoggiare le sue labbra sulle mie, giusto per darmi un bacio stampo, ma non glie lo permisi. Voltai il capo quasi schifata a quel suo tentativo, e con le mani tolsi le sue dai miei fianchi. Mi distanziai.
- Ehi, che ti prende? E' successo qualcosa? -
Mi morsi il labbro inferiore. Mi resi conto che malgrado non fosse successo ancora nulla, provai un grande rancore per quel ragazzo, e di certo non potei fare finta di niente di fronte a quel volto detestabile. Sospirai poco dopo, sorridendogli.
Solo in quel momento ricordai il biglietto che avevo trovato qualche giorno prima addosso a Jade, e che avevo nascosto nello zaino, illusa che mi avrebbe dato valide spiegazioni se glie l'avessi fatto vedere. Ma in passato quel biglietto non glie lo mostrai mai, e me ne pentii, perché successe esattamente quello che c'era scritto. Era un caldo invito da parte di Alice per spendere la sera del suo compleanno insieme, dove compiranno un atto a mio tradimento, ed io, ovviamente, non li perdonai mai. Ma, seriamente, non volli in alcun modo disturbare quella quieta mattina, era un sogno giusto? Ed io volli godermelo, per cui senza aggiungere altro, sfilai il biglietto dallo zaino e glie lo ficcai nella tasca della sua giacca, dandogli due pacche, per poi avviarmi all'interno della scuola.
- Per ora nulla, ma forse è meglio parlarne in un luogo meno affollato, non credi? -
Lo lasciai spiazzato, il suo sguardo era confuso e spaesato, ma non mi voltai neanche un istante, e mi diressi verso la mia classe. Ricordai ancora quel lungo corridoio dove spesso giocavo a fare la reginetta del gruppo, e per commemorare quel sogno, mi affiancai a loro, e camminai esattamente come a quel tempo. Ah, che nostalgia!
- Ehi Daisy, cos'è successo prima con Jade? -
Un ragazzo del gruppo, Sean, mi portò una mano sulla spalla, e attirandomi a lui mi fissò dritta negli occhi, mentre io gli sorrisi allegra come una pasqua.
- Oh, nulla, solo una piccola discussione! -
Gli risposi, portando poi la mia mano a togliere la sua di dosso. E' assurdo, ma, solo in quel momento mi resi conto di quanto Sean teneva in realtà a me. Era un prezioso amico, non mi lasciava un minuto, ricordo che litigai spesso con Jade per questa faccenda, ma non lo ritenni poi così importante, diversamente da lui. Anni dopo lo ricontrai con una dolce ragazza, sembrava felice, per cui non riallacciai i contatti con lui, vederlo così vivace mi tranquillizzò.
Comunque, proseguii verso la classe, e finalmente varcai la soglia di quella stanza. Come al solito, con l'autobus perennemente in ritardo, io e gli altri arrivavamo spesso per ultimi, per cui in aula di solito trovavamo i nostri compagni e il professore di turno che ci aspettavano, ma quella mattina non vi fu alcun docente. Camminai lentamente tra i banchi, toccandoli quasi in una carezza, mentre osservai quei ragazzini con cui non ebbi quasi mai a che fare. E difatti, molti di loro mi resi conto di averli dimenticati. Quando finalmente giunsi in fondo alla classe dove fui vicina di banco di Sean, nel momento in cui stetti per accomodarmi, spuntò quel ragazzino biondo con gli occhiali dell'autobus. In mano stringeva un fazzoletto bianco a pois rossi, il mio preferito, e me lo porse gentilmente.
- .. Ti era caduto questo quando sei scesa dal pullman.. -
- Uhm, grazie, ma chi sei? -
Forse decisi le parole sbagliate. Quando gli feci quella domanda lui divenne rosso come un peperone, mentre tutti gli altri del mio gruppo risero di gusto a quella che credevano una battuta.
- Ehi, sei forte oggi, Daisy! Hai sentito brufolo? Sparisci! -
Mi sentii tremendamente in colpa, ma quando mi voltai verso di lui si era già diretto verso il suo banco, dopo aver gettato il fazzoletto per terra. Irata, presi per il colletto della camicia il ragazzo che lo insultò: David.
- Cosa diamine ti è preso? Come ti permetti di parlar male ad una persona che non ti ha fatto niente! -
- Ma se sei tu la prima che l'ha sempre evitato! Ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque, e non gli chiederò scusa, hai visto che brufoli giganteschi? Sembra una peste, fa schifo! -
- Fa schifo? Ma tu ti sei mai guardato in faccia? Oh scusa, dimenticavo che tu guardi i chili di fondotinta con cui copri i tuoi brufoli, e non la tua faccia! -
- Ehi basta così! -
Sean si mise in mezzo tra me e David e ci diede una pacca sulla spalla ad entrambi, ma fu evidente che lui era fuori di sé, e senza dir nulla si limitò a girare i tacchi per andare a sedersi. David era, forse, l'unico elemento che meno sopportavo del gruppo. Testardo e stupido, era evidente che seguiva la massa solo per mettersi in mostra, e sin da quando entrò nella nostra cerchia non lo accolsi mai con grande entusiasmo, certo, non di fronte agli altri almeno. Ci litigai spesso, e tornare a bisticciare con quella testa calda mi fece nuovamente venire una certa nostalgia. Che buffo!
Comunque, mi chinai a terra per raccogliere il fazzoletto, e nel momento in cui volli tornare dal ragazzo biondo di prima, la professoressa entrò in classe. Mi sedetti, e tesi l'orecchio per ascoltare la lezione di letteratura, che forse mai ascoltai seriamente a quel tempo.
Le tre ore di lezione volarono, e fui felice di aver ascoltato dietro ad un banco una professoressa interessante come quella di lettere, e la schizofrenica di inglese: avevo dimenticato che spesso parlava da sola, povera donna, chissà che problemi aveva. Quando mi alzai dal banco, il solito gruppo mi aspettò vicino alla porta dell'aula, e Charlotte, una ragazza vivace e bellissima dai capelli corvini, mi attese con un largo sorriso stringendo per mano David. Giusto, loro due stavano assieme, che coppia imprevedibile. Chissà che combinarono dopo le scuole medie. Comunque David, intimidito dalla presenza di Charlotte, si avvicinò a me non appena li raggiunsi.
- Scusa! -
Lui sembrò quasi stizzito, ma lasciò velare un'espressione sincera, mentre io spalancai gli occhi a quella parola, e gli allargai a mia volta un sorrisetto
- .. Anch'io ti chiedo scusa. Pace? -
Dal volto di David spuntò un sorriso largo come una casa, ed annuì tutto contento, mentre Sean mi riposò la mano sulla spalla.
- Allora, andiamo al solito posto a mangiare? -
Eravamo soliti recarci nella scala antincendio dietro la scuola, e ce ne stavamo spesso lì a parlare del più e del meno, ma spostandogli per l'ennesima volta quella sua mano, negai l'invito.
- Spiacente, ma oggi no, ho altro da fare! -
Senza degnare di una sola spiegazione, uscii velocemente dalla classe, e corsi fuori nel giardino della scuola. Mi guardai attorno, e fu pieno di studenti il cui chiacchiericcio fu quasi musica per le mie orecchie; mi mancò, mi mancò davvero, ma non era il momento di mettermi ad ascoltare i battibecchi altrui. Senza indugi, percorsi quel piccolo tratto cementato che portava dal giardino scolastico alla serra dietro la scuola, ed una volta giunta, trovai seduto su quel muretto di fronte alle piantine il ragazzo con gli occhiali.
- … Albert Stein.. Giusto? -
Gli sorrisi, infilando le mani nelle tasche ed avvicinandomi a lui. Albert si spaventò quasi nell'udire la mia voce, e sollevò lo sguardo su di me, annuendo alle mie parole, per poi tornare a mangiare il proprio panino. Sospirai nervosa, e mi decisi a sedermi su quel muretto, tenendo una certa distanza da lui, ma sedendomici comunque vicino.
- Senti Albert, mi dispiace per prima. Davvero, non era mia intenzione, io.. -
Lui sospirò quasi infastidito, e non appena terminò il panino balzò giù dal muretto, accartocciando la plastica che conteneva il suo pranzo.
- Non avrei dovuto sorprendermi che ti fossi dimenticata della mia esistenza, d'altronde, mi hai sempre ignorato. Comunque non preoccuparti, non dirò a nessuno che sei venuta a chiedermi scusa. Ora se non ti spiace, torno in classe. -
Le sue parole mi ferirono come un coltello nel petto. Corrucciai la fronte, e, con un salto, scesi anch'io da quel muretto, posandogli la mano sulla spalla per voltarlo verso di me. Quando si voltò potei finalmente vederlo chiaramente in volto. I ciuffi biondi lo coprivano così spesso che non potevo lontanamente ricordare il suo viso. Volli scostare quei capelli dal volto, ma lui si spaventò e fece un passo indietro.
- A che gioco stai giocando ora, Daisy? -
- Ah, no.. -
Sbuffai, e mi portai la mano dietro la nuca, andando a grattarmi la folta chioma riccioluta.
- No, scusa, non volevo. Ah! Sai che ti dico, fai quello che vuoi, io ero venuta qui per chiederti scusa, non per sentirmi così abbattuta perché il ragazzino muto, che pretende di essere notato anche quando si nasconde, si è sentito in imbarazzo di fronte a tutti. Quell'insulto non era giusto, e l'ho detto a David, ora ho anche chiesto scusa a te, che altro dovrei fare? .. Senti ci vediamo in classe, ok? Ciao. -
Alzai i tacchi, e portando ambedue le mani dietro la nuca camminai con passo veloce verso il giardino della scuola, lasciando Albert alle spalle. Che nervi! Proprio quando ricordai almeno il suo nome, lui mi si rivolse contro, che tipetto arrogante! Ma forse mi innervosii troppo. Comunque, tesi bene l'orecchio per ascoltare se il compagno di classe mi stesse seguendo, e così fu, a quanto pare anche lui si diresse verso l'interno della scuola. Mi fermai. Aspettai giusto una manciata di secondi perché mi raggiunse, ed egli stesso si fermò intimidito di fianco a me. Soddisfatta da quella reazione, gli lanciai un sorriso, per poi proseguire insieme a lui il tragitto verso la classe. Non sembrò poi così male come persona in quel momento. Ma storsi il naso quando vidi aspettarmi proprio di fronte all'aula la mia compagnia. Spostai le mani dalla testa, lasciando le braccia distese lunghi i fianchi, e mi diressi verso Sean, che tra tutti sembrava aspettasse proprio me. Albert invece cercò di infilarsi in classe senza guardare in faccia nessuno, ma venne fermato dalla gamba di Sean che gli sbarrò la strada.
- Che stai facendo, Sean? Lascialo entrare. -
- Abbiamo sentito quello che hai detto a questo tizio. Non mi interessa come o perché gli hai parlato in modo così amichevole, ma se vuoi restare con noi ti conviene stare lontana dai perdenti, e lui non ti porterà niente di buono. L'hai stregata, vero piccola pustola? O forse non riesci a startene per conto tuo e le hai mostrato pena per quel povero essere che sei? -
- Basta così! -
Senza esitazioni diedi uno schiaffo in pieno volto a Sean, mentre Albert, che tremante era già pronto a sorbirsi mille insulti e scappare in bagno, ebbe gli occhi sbarrati di fronte a quella scena, e non solo lui. Tutta la compagnia compresi gli altri ragazzi che stettero per rientrare in classe assistettero al colpo, stupiti.
- Cosa DIAVOLO ti prende, ragazzina?! Ti ricordo che se non fosse stato per me non saresti mai entrata a far parte della nostra cerchia! Ti ho aiutata e ti ho trattata come una principessa, e questo è ciò che mi merito?! -
- Oh no, Sean. Ti ringrazio per quello che hai fatto per me, ma se questa è la natura del TUO gruppo allora tranquillo, me ne vado io senza che tu mi spinga. Non ci tengo a stare con della gente ipocrita che prende in giro i ragazzini più deboli. Non ho altro da aggiungere. -
Feci per entrare in classe, ma mi fermarono Alice e Jade, che nel frattempo arrivarono durante il litigio. Sbuffai molto pesantemente alla loro vista, mentre Alice si avvicinò stringendo il biglietto che avevo infilato nella tasca di Jade quella mattina.
- Daisy, io... -
- No, Alice, non c'è niente da spiegare. E' evidente che stando con me e Jade ti sei presa una bella sbandata, e lui non ti rifiuta, visto che siete venuti qui insieme proprio per giustificarvi, o mi sbaglio? No, no, non voglio sentire nulla. Mettetevi insieme ma toglietevi dalle palle, vorrei potermi godere questa giornata in pace, grazie. Albert, andiamo.. -
Albert, che tra tutti mi sembrò assolutamente la persona più pura che potessi incontrare, annuì ingenuamente alle mie parole, e mi seguì sino all'infermeria, dove lì, una volta chiusa la porta, potei distendermi su quel letto che mai trovai più comodo, e socchiusi gli occhi cercando un po' di riposo. Per qualche minuto vi fu un silenzio tombale, irrotto dalla voce infantile di Albert.
- … Grazie per prima. Credevo fossi pronta a gettarmi in pasto ai tuoi amici, ma invece mi hai difeso. Grazie davvero. E, ehm.. mi dispiace per la faccenda di Jade.. -
- Non preoccuparti, quella faccenda era già chiusa da tempo, quindi stai tranquillo. -
Mi mostrò un dolce e tenue sorriso, e scattò di nuovo in segno di spavento quando io sollevai il busto da quel comodo giaciglio. Risi alla sua reazione, ed avvicinai le mie mani verso il suo volto tremolante.
- Ehi, tranquillo, non ti faccio nulla! Abbi fiducia in me, ok? -
Gli sfilai gli occhiali appoggiandoli al comodino vicino, e con delicatezza sollevai quei ciuffi dal viso per portarglieli dietro le orecchie. Lui tenne gli occhi perennemente chiusi, e quando li riaprì vidi per la prima volta il volto chiaro e luminoso di Albert. Aveva una carnagione così bianca che decorava perfettamente quegli occhi colorati di un azzurro ghiaccio molto opaco, ed il viso era certamente circondato da diversi brufoli qua e là, ma non li trovai disgustosi.
- Ecco, vedi? Ora oltre a te anche la tua faccia respira! Non ti senti meglio? -
Arrossì un poco, ed annuì lievemente, per poi tornare a cercare gli occhiali sul comodino, ma esitò, voltandosi prima verso di me.
- .. Cos'è cambiato stamattina? Perché sei così gentile con me? -
- … Perché mi pento.. Mi pento di non averti conosciuto anni fa, mi sono persa proprio un bravo e bel ragazzo. Sono sicura che a vent'anni anche quelle oche che ti prendono ora in giro morirebbero per la tua bellezza!”
Risi di gusto a quella battuta, ma lui rimase ancor più confuso di prima.
- Come scusa? -
- Oh! Giusto, tu.. tu all'improvviso te n'eri andato da scuola! E' stato il giorno dopo di un forte litigio.. Ti avevamo tanto preso in giro.. non dirmi che era per oggi per quel fazzoletto.. Albert tu non te ne andrai, siamo amici ora, giusto? -
Gli presi le mani senza nemmeno pensarci, trovandomi faccia a faccia con lui seduta sul bordo di quel letto, mentre lui deglutì a quel gesto, e abbassò poi lo sguardo.
- Non so di cosa stai parlando né come fai a saperlo ma.. Si, io mi trasferirò. Domani. -
Spalancai gli occhi a quell'affermazione, e mi feci sempre più preoccupata.
- Perchè? Ne hai abbastanza di noi, vero? -
Lui scosse il capo, regalandomi finalmente un sorriso ed osservandomi negli occhi.
- I miei hanno deciso di divorziare, e.. io verrò affidato a mia madre. E' inevitabile, devo seguirla, e lei vuole andarsene il più lontano da qui, ovviamente.. -
La sua voce divenne a poco a poco più tremolante, ed io gli strinsi le mani.
- E tu? Come ti senti? -
Dapprima le gote gli divennero rosse, poi toccò agli occhi, da cui uscivano piccole lacrime che scivolavano per le guance.
- Io mi sento sotto un treno! Stavamo così bene insieme, perché devono separarsi proprio ora? Perché devono rovinare tutto?! Io.. Io fino a stamattina non vedevo l'ora di cambiare scuola, ma ora tu.. ora tu sei mia amica, giusto? -
- Certo che lo sono! -
Lo abbraccia senza nemmeno esitare, lasciando che potesse sfogare i suoi lamenti e le sue lacrime, mentre gli accarezzai gentilmente quei lisci capelli biondi. Solo quando cominciò a calmarsi presi la parola.
- .. Ascolta, so che sarà dura. Per te è inaspettato, e sarà difficile abituarti ad avere come famiglia una sola madre, ma vedila da un altro lato. I tuoi genitori non hanno voluto mentire a se stessi, e nemmeno a te. Piuttosto che destinarti un'adolescenza piena di litigi, hanno preferito non rovinare la tua crescita, ed essere felici, anche se separati. E anche tu vuoi che i tuoi siano felici, no? -
- Certo che lo voglio.. Assolutamente.. -
- Allora non cercare una via impossibile per far tornare tutto come prima. Se il destino lo vorrà, si riappacificheranno, altrimenti, saranno felici ognuno per la propria strada. E starà a te fare da ponte per non perdere mai i contatti con nessuno dei due. Sono pur sempre i tuoi genitori, e che lo vogliano o no, sono entrambi importanti per te. Dai ora, fammi un bel sorriso! -
- ..Eheh.. Ci sentiremo, vero Daisy? -
- Certo che ci sentiremo. Ogni giorno se lo vorrai! E ti verrò a trovare, passeremo giornate intere insieme, magari anche tu di tanto in tanto potresti tornare qui, vedrai, ce la spasseremo! -
- Si! E io ti farò visitare la nuova città in cui andrò ad abitare.. Ora sono contento.. -
- Hai visto..? Non è poi così male questa nuova sistemazione. Dai ora, torniamo in classe, o la professoressa si chiederà dove siamo finiti! -
- Ok.. -
Dopo aver sciolto l'abbraccio, Albert rimase per qualche secondo con il volto vicino al mio ad osservarmi, poi tossì imbarazzato, e mi diede una mano per permettermi di scendere dal letto. Gli sorrisi, balzando giù, ma sentii un improvviso mancamento delle gambe, e per poco crollai a terra.
- Daisy?! Va tutto bene? -
Volli rispondergli. Volli dirgli che stavo bene e che potevamo metterci in cammino, ma dalla mia bocca non uscì un sibilo. Il mio sguardo cominciò a roteare in quella stanza, e quando soffermai gli occhi su Albert, vidi che a poco a poco la sua figura stava sbiadendo. Cercai con la mano di afferrarlo mentre lui assunse un'espressione sempre più preoccupata.
- Daisy?! DAISY!! Daisy...! -

 


DRIIIIN. DRIIIIIIN. DRIIIIIN. DRIIIIIN.
- Ma che diamine.. -
Per qualche minuto mi rigirai su quel letto, ma quando la suoneria ripartì, mi alzai subito con grande fretta. Mi agitai un poco nel cercare il cellulare sul comodino, e velocemente balzai giù dal materasso, andando ad accendere la luce della stanza. Abbassai lo sguardo affranta dal non trovare la mia vecchia cameretta, bensì quella bianca stanza semivuota, piena solo di scatole e valigie, pronte per essere spedite, e di qualche cartolina qua e là. Con le mani andai persino a toccarmi quei lunghi e crespi capelli per sicurezza, e riguardai l'orario del cellulare. Erano le cinque del mattino, e dovevo prepararmi per uscire.
Durante l'intera mattinata non smisi neanche un secondo di pensare a quel bellissimo sogno così realistico che sembrava vero. Pensai alla faccenda di Alice e Jade, alla compagnia, a Sean, a David, anche a Charlotte, ma soprattutto ad Albert. A quel taciturno ragazzo dal volto così coperto che a momenti avrebbe potuto facilmente camuffarsi per non farsi riconoscere. Alla sua gentilezza, alla sua timidezza, a quella voce così celestiale, e al suo volto angelico. Ripensai così tanto a quello che successe in sogno, che mi ritrovai senza accorgermene già seduta in quell'aereo diretta alla nuova azienda dove avrei lavorato. Volli distrarmi, e sfilai dalla borsa il biglietto da visita dell'agenzia, leggendo il nome del direttore che mi avrebbe accolta quella mattina.
- Vincent Albert Ruff.. Che nome lungo, poteva risparmiarsi il secondo nome. -
Quando vidi il nome di Albert scritto su quel foglietto, posai il mio indice su di esso, lasciando la mia mente assorta da ogni tipo di pensiero relativo.
Finalmente raggiunsi l'aeroporto, e potei scendere da quell'aereo infernale. Non detesto i viaggi, tuttavia agghindarmi per un colloquio con abiti poco comodi rende decisamente scomodo il viaggio. Senza indugi, uscii da quel grande edificio, e presi un taxi, diretto all'azienda che doveva assumermi. Rimasi un'ora a contemplare il paesaggio esterno durante quel tragitto: sarebbe divenuto paesaggio della mia nuova abitazione, per cui, tanto meglio abituarsi da subito. Ma non mi dispiacque quella vista, l'ambiente fu verde e fresco, e l'aria sembrò rigenerante, chissà, magari era la giusta sistemazione per me. Quelle riflessioni mi diedero una certa carica, tuttavia dovetti interromperle quando l'autista mi informò di essere arrivata a destinazione. Deglutii. Pagai il taxi e scesi dalla macchina portando con me una cartelletta blu in pelle: era fonte del mio orgoglio, per cui ero sicura che avrei fatto un figurone con quella. Varcai le porte scorrevoli dell'azienda, e dopo aver sistemato velocemente i capelli, sorrisi verso la segretaria, informandola del mio arrivo. Lei mi suggerì cordialmente di attendere in una saletta vicina, nel frattempo che il direttore si fosse liberato, e così feci. In verità mi aspettai di trovarmi il direttore già pronto ad accogliermi, ma per quella volta, non mi arrabbiai come facevo di solito. Aspettai quasi mezz'ora, finché non venne verso di me una ragazza diversa.
- E' lei la signorina Daisy Dallas? -
Mi alzai velocemente da quella sedia, ed annuii, ora nervosa più che mai.
- Mi segua, il direttore è pronto a riceverla. -
Prendemmo l'ascensore per salire al terzo piano, e solo allora mi resi conto che quella struttura era davvero enorme, tuttavia avrei preferito che i minuti che ci dividevano da quell'incontro fossero un po' di più, ma non feci nemmeno in tempo a pensarlo, che le porte dell'ascensore si erano già spalancate.
- Prego da questa parte. -
Percorremmo un lungo corridoio, su cui vi erano fiancheggiate diverse aule, adibite probabilmente ad incontri importanti o a riunioni del personale, e raggiungemmo l'ultima stanza in fondo, su cui vi era la targa del direttore. La ragazza bussò tre volte, e da dentro una voce profonda ci parlò.
- Avanti, prego. Signorina Floyd, lei può pure tornare alla sua postazione, a Daisy Dallas ci penso io. -
La ragazza spalancò la porta spingendomi un poco perché io potessi entrare, quindi richiuse la porta alle mie spalle, e sentii i suoi tacchi allontanarsi. Sospirai nervosa, e mi voltai verso la larga cattedra della stanza, spalancando gli occhi alla vista del direttore: su quella sedia vi era seduto un uomo biondo dai capelli corti e curati, con un paio di occhiali azzurri che mostravano i suoi di occhi blu chiaro, mentre indossava un formale completo composto da giacca e cravatta un po' sfilacciata..
- Ciao Daisy. Finalmente ci rivediamo. -
Lui era proprio Albert. Albert Stein.

  
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