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Autore: zambycherokee    29/05/2014    5 recensioni
Quella notte Carol ripensò più volte a Sophia: a come l’avesse persa esattamente come Daryl aveva perso Merle, a come la sua disperazione per la perdita della figlia ricalcasse dopo così tanto tempo quella di Daryl. Carol sapeva quanto loro due fossero legati, quanto i loro dolori così diversi ma così simili li tenessero uniti.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Peletier, Daryl Dixon, Merle Dixon, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Daryl si sforzò di convincersi che ciò che stava vedendo in quel momento non era reale.
Che quel colorito cadaverico fosse soltanto un’illusione, così come il sangue che sgorgava dalla bocca di quell’essere. Come il corpo maciullato steso a terra, appartenente ad un giovane ragazzo che per breve tempo aveva soggiornato alla prigione. Non si ricordava come diavolo si chiamasse, e in quel momento era la cosa che di meno gli importava.
Di fronte a lui c’era suo fratello Merle, o almeno ciò che un tempo era Merle.
Un flebile lamento uscì dalla bocca del più giovane dei due fratelli, mentre alcune sporadiche lacrime cominciavano a scendergli lungo le guance.
Merle se n’era andato, un’altra volta, ma adesso era per sempre. L’aveva lasciato da solo, l’aveva abbandonato senza dire nulla, esattamente come aveva sempre fatto, fin da quando Daryl aveva memoria.
Rilasciando gemiti sofferenti, Daryl respinse l’avanzata del fratello verso di lui, il quale ormai non aveva altro scopo se non quello di uccidere, di dilaniare, di divorare. Il minore sentì un groppo alla gola farsi sempre più pesante, sentì la rabbia montare lenta dentro di lui. Nella sua mente troppi pensieri si accavallavano, troppi ricordi, troppe speranze distrutte. Tutto ciò che Merle era stato, tutto ciò che Merle non era mai stato, e tutto ciò che avrebbe potuto essere, finiva là. In un’avanzata barcollante, accompagnata da grugniti affamati.
A questo Daryl pensava nel momento in cui riuscì a gettare al suolo il vagante e accoltellarlo con furia sulla testa, fino a spappolargli il cervello, mentre il sangue si mischiava alle lacrime, alla terra, al sudore. Mentre i suoi singhiozzi spezzavano l’aria, mentre altri rari zombie cominciavano ad avvicinarsi a loro.
Colpiva con ferocia, colpiva con tutta la rabbia repressa e il dolore nascosto che da troppo tempo soggiornavano dentro di lui, colpiva buttando fuori tutto ciò che di taciuto era rimasto nel suo animo.
Tu hai causato tutto questo. Tu, tu, tu, solo tu, tu sei sempre stato l’errore fin dall’inizio.
Tu ti sei alleato con quel figlio di puttana, tu hai portato due dei nostri da lui, tu hai fatto esplodere questa guerra, tu hai deciso tutta questa merda, tu, solo tu, tu Merle, tu.
E il coltello affondava sempre più nel cranio dell’ormai defunto Dixon, sempre più sangue andava a macchiare i vestiti e il terreno, sempre più rabbia e disperazione annebbiavano la mente di Daryl. Colpiva sempre più forte, punendo Merle per il peccato più grande che avesse mai potuto compiere: essere sempre stato il suo punto debole.
 
 
Daryl non pianse più.
Dal momento in cui si alzò e si allontanò dal corpo del fratello, fino a quando arrivò alla prigione, Daryl non pianse più.
Con la sua espressione fredda ed impassibile allontanò le domande dei compagni – “Cosa diavolo è successo? Ehi amico, sei macchiato di sangue dalla testa ai piedi, si può sapere cosa diamine è accaduto?” – e arrivò rapidamente alla sua cella.
Non pianse più nemmeno quando si sedette su quella sottospecie di letto, quando chiuse gli occhi, premendosi i palmi delle mani sulla fronte.
Nemmeno quando le immagini di ciò che aveva appena vissuto, di ciò che aveva appena fatto, si riversavano rapide nella sua mente.
Nemmeno quando i ricordi di Merle lo riportavano indietro nel tempo, a quando era solito trotterellargli dietro nelle loro scorribande, prima dell’apocalisse.
Daryl ricominciò a piangere solo quando udì la voce di Carol sussurrare piano il suo nome, dopo che la donna era entrata silenziosamente nella cella. Singhiozzando piano, il volto rigato dalle lacrime, e gli occhi stretti forte, Daryl lasciò che la donna si adagiasse dietro di lui sul letto, per poi cingergli la vita con le braccia e appoggiare la testa sulla sua schiena.
- Se n’è andato, lui se n’è andato. – ripeteva, quasi come una cantilena.
Le permise di spogliarlo, di levargli di dosso quei vestiti impregnati dell’odore del sangue e di sudore, le permise di passargli lungo il corpo una pezza bagnata, per lavare via quelle macchie rosse. Il sangue di Merle.
Carol dormì con lui quella notte. O meglio, la trascorse accarezzando e stringendo forte Daryl contro il suo petto, lasciando che lui si sfogasse, stretto a lei, alternando singhiozzi violenti a grugniti di rabbia.
Quella notte Carol ripensò più volte a Sophia: a come l’avesse persa esattamente come Daryl aveva perso Merle, a come la sua disperazione per la perdita della figlia ricalcasse dopo così tanto tempo quella di Daryl. Carol sapeva quanto loro due fossero legati, quanto i loro dolori così diversi ma così simili li tenessero uniti.
- Non sei solo, Daryl, non lo sei mai. – furono le sole parole che Carol gli ripeté fino alla mattina successiva.
 
 
Daryl non si accorse del momento in cui riuscì ad addormentarsi. L’unica cosa di cui si rese conto appena sveglio era che Carol non c’era. Era solo nel letto e si ritrovò a sobbalzare spaventato, sentendo il cuore accelerare i battiti. Si tirò su a sedere di scatto ed era sul punto di chiamare disperato la donna, quando si morse sistematicamente le labbra dandosi del coglione.
Non fare la femminuccia, porca puttana.
Merle.
Era la voce di Merle.
Serrò i pugni attorno alle lenzuola, fremendo per pochi istanti.
Strizzò forte gli occhi e gettò via le lenzuola, facendole finire sul pavimento lurido, poi si alzò rabbioso e si recò fuori dalla cella.
Merle era morto. Punto. Era abituato alle continue partenze del fratello, che avessero o no ritorno, non importava. Era abituato, era questo l’importante. Non sarebbe stato diverso, sarebbe andato avanti lo stesso anche questa volta.
Quando si ritrovò in mezzo al gruppo, riuniti chi per preparare le armi, chi per mangiare qualcosa, si rese conto del fatto che Carol aveva riferito ciò che era accaduto.
Vide le espressioni dei suoi compagni, sentì le pacche sulle spalle.
Sentì la stretta di Rick. E quella di Glenn, di Hershel, tutti quanti.
Poi però vide i sorrisi: non erano là per renderlo oggetto di compassione, non erano là per dirgli “ci dispiace che il tuo stramaledetto fratello che ci ha messo in una situazione di merda sia morto”. Erano là per farlo sentire a casa.
Vide i sorrisi di tutti quanti.
Vide quello di Carol, che emergeva dal fondo della stanza, dove cullava dolcemente la piccola Judith, guardandolo per qualche istante.
Ricordò i baci che lei gli aveva lasciato sugli occhi bagnati, qualche ora prima, le carezze sulla schiena, la stretta delle sue mani.
Ricordò quelle parole.
Non sei solo, Daryl.

Non lo sei mai.
   
 
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