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Autore: Clockwise    29/05/2014    6 recensioni
«Insomma, ho fatto centinaia di ritratti e visto centinaia di modelli, teste, studi, statue e la tua faccia… non sta da nessuna parte.» [...]
«Come fa uno con una faccia da lontra ad essere giudicato bello? Spiegamelo! Sei una lontra!»

Un'artista stravagante alle prese con un ritratto di Benedict Cumberbatch.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera! Primo approdo nel fandom, spero appreziate. Lasciate qualche recensione, mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate. =)
E.




Carboncino e Olio su tela
 

Doveva essere per forza un amico di Bernie, altrimenti non sarebbe potuto rimanere seduto a quel tavolino così a lungo a studiare. Erano almeno venti minuti che se ne stava lì, e non aveva alzato la testa una sola volta. Il che non andava bene, perché ormai lei aveva finito il suo ritratto a testa china ed era curiosa di vedere i dettagli del volto, e magari ritrarlo a tre quarti. Sì, poteva intuire un profilo interessante anche a quella distanza…
Raccolse il bicchiere di caffè ormai freddo, il blocco da disegno, infilò le matite e tutti i suoi vari strumenti in un astuccio e si avvicinò al tavolo dell’uomo.
«Posso?»
Quello alzò la testa, sbattendo le palpebre, ancora immerso nel suo studio.
«Prego?»
«Mi chiamo Mel, sono un’artista, mi sono diplomata l’anno scorso alla Royal Academy, sto per allestire una mostra e sto finendo un dipinto in questi giorni, ma non riuscivo a lavorare bene oggi, così mi sono detta “piuttosto che fare disastri, meglio se chiudi qui”, allora sono uscita e sono venuta qui per fare un po’ di ritratti dal vero e tenermi in allenamento, Bernie mi lascia sempre fare perché ormai mi conosce da anni, e le ho fatto un paio di ritratti da laggiù, prima, mentre stava così a capo chino, perché ha davvero una bella testa, e mi ha incuriosito, e mi piacerebbe farle qualche schizzo più da vicino. Posso?»
Benedict sbatté le palpebre un paio di volte, metabolizzando la mole di informazioni. Come poteva una tale quantità di parole uscire da una ragazza così piccola ed esile?
«C-certo, faccia pure» disse, cordiale, e si affrettò a farle posto sul tavolo. La ragazza lo ringraziò e si accomodò di fronte a lui.
«Posso vedere quello che ha fatto fino adesso?» domandò quasi timidamente, mentre la ragazza temperava una matita.
«Oh, certo.»
Gli porse il blocco.
«Sono solo schizzi, eh, che però potrei provare a ridefinire in studio, o magari utilizzare in un qualche sfondo. Adesso mi impegno di più e faccio un bel tre quarti.»
«Sono belli. Davvero la mia testa è così… grande?» scherzò l’uomo, sollevando un sopracciglio, porgendole il blocco.
«Oh, sì» sorrise lei, voltando pagina e appoggiando il blocco sul tavolo perché fosse in obliquo.
«Ah, sono Benedict, comunque» si presentò lui, porgendole una mano. Lei la strinse frettolosamente con la matita fra le dita, ripetendo il suo nome. Fece per abbassare la testa e iniziare a lavorare, ma si accorse che lui continuava a guardarla con aspettativa.
«Oh, lei faccia pure quello che vuole. Basta che non si muova troppo. Se faccio così…» disse, e spostò la sedia un po’ più a destra. «Ho una visuale fantastica. Cominciamo. Ah, diamoci del tu, le- vuoi? Non mi va di perder tempo con pronomi inutili.»
Benedict annuì, leggermente in imbarazzo, e tornò a chinare la testa. La ragazza si mise a lavoro, la bocca chiusa in una linea concentrata.
L’uomo le lanciò un’occhiata fugace, di traverso. Sembrava una libellula, con quel corpo esile e filiforme, la massa disordinata di lisci capelli scuri e i grandi occhi marroni, nascosti da un paio di lenti da vista tonde e ancora più grandi. Represse un sorriso e tornò a concentrarsi sul copione del suo prossimo spettacolo, nonostante i suo occhi ronzassero di continuo sulla ragazza.
«Hai la faccia più strana che io abbia mai visto.»
Incredulo, Benedict si sentì strattonare il viso verso sinistra, il mento stretto fra le dita della ragazza, che lo fissava esasperata e quasi irritata. Tentò di dire qualcosa, perché strava stringendo davvero troppo, ma si accorse di poter muovere appena le labbra a mo’ di pesce, e che comunque lei non lo avrebbe ascoltato.
«Insomma, ho fatto centinaia di ritratti e visto centinaia di modelli, teste, studi, statue e la tua faccia… non sta da nessuna parte. Voglio dire, guarda» esclamò lei, lasciandogli il mento e puntandogli contro la matita.
«Non rispetta nessun tipo di canone, di classificazione, di categoria, è una cosa snervante. Insomma, dal naso in su» e gli mise la mano che ancora teneva la matita in orizzontale sotto il naso «farebbe pensare a qualcosa di classico, grecizzante, con questa pelle chiara da statua e la fronte dritta e l’arcata delle sopracciglia decisa, però poi c’è quel naso che è all’insù ma non all’insù alla francese, è grande, dritto e all’insù, non fa alcuna curva carina, e questi maledettissimi zigomi» al contrario della sua voce, il tocco delle sue dita era leggero, come se li stesse dipingendo «che sembrano tagliarti la faccia, tanto sono affilati, sanno subito di un qualche guerriero nordico, o di un alto aristocratico snob, e non mi fanno pensare a nessuno stile…»
Mel portò le dita in basso verso la mascella e il mento, lasciando inavvertitamente una traccia di carboncino sulla guancia – aveva il vizio di sfumare con le dita.
«E hai questa mascella niente affatto pronunciata, anzi, hai un viso lungo, un ovale spigoloso, e la mascella debole fa sembrare il collo sproporzionato, troppo grande…»
Benedict si accorse di stare trattenendo il respiro mentre osservava la sua piccola mano sporca di carboncino risalire verso la bocca.
«E queste labbra… Giuro su chi ti pare che non ho mai visto niente del genere. Non hanno un minimo di senso! Sono pallide e grandi, ma non sono carnose, anzi, è come se la pelle si tendesse piatta fino a prendere questa forma che, pure, è assurda… Insomma, guarda il labbro superiore, è grande quasi quanto l’altro e angoloso e sembra… non so, disegnato da un bambino maldestro.»
Dipinse il contorno delle sue labbra con le dita fini, per un attimo dimentica di tutto. Anche lei tratteneva il respiro.
«Stai dicendo che sono una specie di Frankenstein.»
Il fremito delle labbra di lui la scosse come se l’avessero tirata fuori da un sogno.
«No» mormorò, ancora persa, ritraendo la mano.
«Solo che assomigli vagamente ad una lontra. Forse è questo il perché. Non ho mai ritratto una lontra.»
Lo disse con tanta serietà che Benedict scoppiò a ridere, gettando la testa indietro. Anche lei si lasciò scappare un sorriso, ancora assorbita dal sogno che l’aveva avvolta poco a poco, sfiorando il suo viso.
Tornò sul suo disegno, più seria. Stava venendo fuori un bello schizzo, bisognava aggiungere solo un po’ d’ombra sotto lo zigomo, accentuare il naso, scurire le sopracciglia, sfumare le labbra… Alzò la testa per controllare un particolare e venne fulminata dai suoi occhi. Non si era accorta che la stesse guardando.
«Non ci provare, non puoi vedere prima che sia finito, però, aspetta…» avvicinò il viso al suo. «Che razza… Mi spieghi questo che diamine di colore è?» esclamò, evitando per un pelo di ficcargli la matita in un occhio. Benedict rise.
«Non ti va bene niente, quanto sei pretenziosa» la prese in giro. Lei spalancò gli occhi.
«È solo che non riesco a capire, non… Uno direbbe azzurri, ma a guardar bene quello lì, che è più in ombra, tende al grigio, e quest’altro al verde, e sembra che ci sia addirittura del citrino, guarda, proprio vicino alla pupilla…» disse, smarrita nei suoi colori. Poi si riscosse bruscamente.
«Ma insomma, non potevi deciderti a scegliere uno colore solo? Dovevi proprio complicarmi la vita?» sbuffò.
«Ho un viso tanto difficile da disegnare?» chiese allora lui, curioso. Lei sbuffò di nuovo, portandosi una ciocca ribelle dietro l’orecchio.
«Più che altro insensato. Particolarissimo e mai visto, di sicuro indimenticabile. Unico nel suo genere. Ma senza un minimo di senso.»
Benedict si ritrovò a sorridere.
«È una descrizione che può andar bene su di te: particolare, unica nel suo genere, indimenticabile, pazza. Io non ho mai conosciuto nessuno mettersi a fare ritratti e… descrivere e parlare come fai tu» disse, sorprendendo sé stesso: non c’era stato accenno di timidezza.
Lei sollevò un angolo della bocca in un sorriso sbilenco.
«Mr Benedict Cumberbatch ci sta provando con me, questa sì che è una giornata fortunata.»
Allargò il suo sorriso alla faccia sorpresa e imbarazzata dell’uomo.
«Non pensare che non sappia chi sei, un po’ di teatro lo vedo anch’io, non sono così fuori dal mondo. Ti ho visto proprio in Frankenstein. Anche tu sei uno che non si scorda subito.»
Benedict sorrise e abbassò il capo. Di tutto quello che aveva fatto, Frankenstein conosceva.
«E un film su Van Gogh. Avevi un bel barbone.»
Appropriato.
«E hai anche un sorriso stranissimo! Oh, mio Dio. Ti riempi di rughe intorno alla bocca che sembra andarti all’indietro, guarda…» tornò all’attacco, puntandogli la matita. Lui rise ancora.
«Sono seria!» protestò la ragazza. Benedict scosse il capo e le prese il blocco. Mel tentò di protestare debolmente, ma non sortì effetto. Allora si lasciò andare sullo schienale, sgranchendosi le dita e tirando i muscoli delle braccia. Il silenzio dell’uomo si protraeva da un po’ troppo, però.
«Che succede? Non ti piace? Guarda, è da rifinire, ci sono un sacco di dettagli da aggiustare, e pensavo di farlo ad olio, sai, olio e acrilico su tela, una cosa come si deve, potrei perfino infilarlo alla mostra se ci riesco…»
Benedict sorrise quasi malinconico. Non sapeva perché avesse sentito un brivido guardando quel disegno, come se fosse stato il riflesso di uno specchio che vedeva dentro di lui.
L’abilità tecnica era innegabile: il tratto sicuro, le proporzioni giuste, le ombre perfette, la somiglianza impressionante. Ma c’era di più: il Benedict del ritratto sembrava pronto a saltare fuori dal foglio e mettersi a parlare e saltare, con una vitalità e una forza che il vero Benedict sembrava aver dimenticato. Una volta era stato così, pieno di vita ed entusiasmo, pronto a correre, ma adesso sentiva i muscoli irrigidirsi, le spalle cedere spesso e la voce spegnersi e tacere i pensieri. La sua vita era diventata all’improvviso a carboncino, e lui non capiva perché.
Le restituì il disegno.
«È molto bello invece. Sembra… vivo.» Socchiuse piano gli occhi. «Quasi più vivo di me» mormorò.
«Grazie» sorrise lei. «Ho sempre pensato che i ritratti dal vivo siano più belli, più veri di quelli fatti magari su una foto, perché, a parte che un ritratto su una tua foto può farlo qualsiasi fan scatenata senza una vita sociale, mentre io ho l’esclusiva dell’uomo in carne e ossa, anzi, più ossa che carne – davvero, un paio di chiletti non ti farebbero male, ma dovresti stare attento che non ti vadano a finire lì sotto il mento – un ritratto dal vero… Non basta saper disegnare, bisogna anche saper catturare le caratteristiche del soggetto, che non starà mai fermo abbastanza, e la sua essenza, sapergli scavare negli occhi e nelle rughe. È questo il lavoro di un bravo artista, alla fine. Cavar fuori l’anima e metterla su tela. Poi, la tecnica è un altro paio di maniche. Insomma, certi quadri di Picasso o Matisse sembrano fatti da un bambino di cinque anni che disegna con le dita» disse, arricciando il naso in una smorfia buffa. «Però, a guardarli come si deve… si leggono un mucchio di cose.»
«Sai davvero bravissima.»
«Grazie.»
Rimasero per un po’ entrambi in silenzio.
«Come fai?» chiese lui dopo un po’, la voce bassa. Mel alzò gli occhi su di lui.
«A fare cosa?»
«Ad essere così… frizzante, energica, ciarliera… Non sei stanca, non hai paura o vergogna o non so… Lasci uscire la tua anima ad ogni parola, non hai paura di sporcarti le dita di carboncino, lasci che il mondo ti guardi attraverso le lenti. Tutto il contrario di me, che faccio bene solo l’attore e quando non ho una parte, non so dove andare. Come fai?»
Lei socchiuse poco gli occhi, sollevando la bocca in un sorriso dolce. Doveva ricordarsi di aggiungere quelle lievi rughe sulla fronte ed aggiustare la forma degli occhi, renderli più malinconici, saggi ed eterni, come in quel momento.
«Che cos’ho da perdere? Chi mi frena? Ho una vita sola e tanti disegni da fare. Non c’è tempo per domande inutili, Frankenstein.»
Lui spostò lo sguardo annuendo piano, riflettendo in un mondo tutto suo.
Mel nascose in fretta un sorriso malizioso e scarabocchiò un numero su un angolo del foglio, lo strappò, svegliando Benedict dalle sue riflessioni, e glielo porse.
«Aspetterò che sia tu a chiamarmi per chiedermi della mostra e di vedere il quadro finito. È ora di fare un po’ di prime mosse, non ti pare, Frankenstein?»
Benedict prese il foglietto e lasciò indugiare la mano su quella della ragazza, che ebbe modo di notare le dita lunghe e affusolate e prendersi l’appunto mentale di chiedergli di lasciarle fare uno studio delle sue mani.
«Potrei cominciare offrendoti qualcosa?» domandò lui, sollevando un sopracciglio e abbassando la voce. Mel lo guardò dapprima stupita del suo cambiamento improvviso e poi scettica. Ritrasse la mano e gli diede un buffetto in testa.
«Bel tentativo, Frankie, ma non attacca: non sono una tua fan svenevole con la bava alla bocca. Però puoi prendermi un cappuccino al caramello. Tanto caramello. E poi vedi di stare fermo. Hai gli occhi più femminili e strani che abbia mai visto sulla faccia di un uomo, e non riesco a farli come si deve... Sì, penso che lo metterò su tela, è un viso così assurdo che vale la pena…»
«Dovrò proprio venire a questa mostra allora, se non altro per vedere il mio bel faccino» scherzò lui. Lei sollevò il viso dal foglio.
«E chi ti ha detto che sia bello?»
«Ho un sacco di ammiratrici.»
«Cieche o del tutto prive di un sano senso artistico. Sbrigati con quel cappuccino e forse, dico forse, ti faccio venire nel mio studio, così trasformiamo questo carboncino in bell'olio su tela.»
Trasformiamo questo carboncino in un bell'olio su tela. La faceva sembrare una cosa così facile. E chissà, forse lo era. Forse, avrebbe dovuto provarci anche lui. Cosa gli costava?
Benedict rise e alzò una mano per attirare l’attenzione del cameriere, mentre Mel continuava a borbottare.
«Come fa uno con una faccia da lontra ad essere giudicato bello? Spiegamelo! Sei una lontra!»
 
 





 
  
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