Diario di una zombi per bene.
Ho
fame.
Molta
fame.
Sono
giorni che vago ma ormai non è rimasto più nulla.
La
desolazione più completa. Non so che fare, mi guardo intorno smarrita senza
sapere dove andare, preda della fame più cieca. Non ho memoria di me. Non so
chi sono. E questo mi confonde.
Un
fumo acre si spande saturando l’aria intorno, m’irrita il naso, poco più in là
vedo la fonte di quell’odore. Arranco tra i detriti, in cerca di non so nemmeno
io cosa, sono confusa.
Chi
sono io? Come mi chiamo? Da dove vengo, e soprattutto cosa ci faccio qui?
Perché faccio così fatica a rimettere insieme i pezzi di me?
Che
sta succedendo?
Un’autobotte
ribaltata e incendiata ostruisce la via. Corpi carbonizzati sono sparsi ovunque,
rendono l’aria irrespirabile.
Ho paura.
Paura
di ricordare.
Sento
che la realtà poco a poco si sta mostrando ai miei occhi ed io ho paura ad
accettarla.
Non
voglio accettarla.
Ora
ricordo.
Ricordo
tutto e la realtà è come un pugno nello stomaco.
Il
mondo come lo conoscevo non esiste più.
Un
virus.
Un
maledetto virus ha distrutto tutto, senza che ce ne accorgessimo, fino a che
non è stato troppo tardi. Pochi sono sopravvissuti… Ed io ora me ne rendo conto,
guardandomi riflessa in una vetrina, non sono tra questi.
Il
mio corpo si sta decomponendo ma nonostante questo cammino e a volte riesco a
dire persino due parole…
La FAME
però è opprimente, cancella tutti gli altri pensieri. Ho provato a resisterle
ma ho fallito miseramente. Più mi oppongo a questo desiderio di carne e sangue,
più divento brutale quando cedo.
Mi
odio per questo.
Credo
di essere stata un essere pensante in passato, che aveva dei diritti e dei
doveri, ma ora…
Ora
di me non è rimasto più nulla, solo carne putrefatta che ha FAME.
Aggiro
il camion e continuo a vagare per questa città, senza una meta. Un rumore
attira la mia attenzione; altri come me in cerca di cibo, forse unendomi a loro
avrò più fortuna...
Il
mio istinto prende il sopravvento sul poco raziocinio che mi è rimasto.
Forse
sono così “lucida” rispetto i miei simili perché non sono morta e risorta ma mi
sono ammalata e ho cominciato a mutare piano piano. Prima ero un essere umano…
Qualche
settimana dopo mi sono tramutata in questa “cosa”.
Non
ricordo nemmeno com’è successo, improvvisamente ho perso tutta la mia umanità,
ciò che mi muove è solo il desiderio di nutrirmi, carne e sangue.
Il
virus è stato subdolo , prima ha infestato i vivi; passando inizialmente per
una banale influenza poi, in seguito ad una mutazione ha risvegliato i cadaveri
dei morti dell’ultimo anno. Scatenando l’apocalisse.
Infine
si è arrestato, nessuno sa come, risparmiando una piccola parte della
popolazione.
La
mandria si sposta ed io la seguo, il mio io pensante è ridotto ai minimi
termini. Mi muove solo l’istinto.
Ho
fame.
Li
sento agitati, annusando l’aria capisco perché: carne fresca, sangue.
Deglutisco, pregustando il sapore dolce della carne che mi aspetta.
Vorrei
resistere… Ma il sapore è dolce… La lingua saetta improvvisa tra le mie labbra
decomposte. Mi basta seguire il branco e li vedo. Un piccolo gruppo di umani,
ciò che in passato ero anch’io ma ora sono solo cibo.
Ed
io ho fame.
Troppa.
Sento
il loro respiro affannoso: ci hanno visto.
Provo
pena per loro.
Il battito
del loro cuore che pulsa il sangue al cervello, la parte più prelibata, schizza
alle stelle. Mi attira incredibilmente. I miei pochi scrupoli scompaiono di
fronte quel desiderio atavico.
In
preda al panico sparano, urlano. Qualcuno di noi cade colpito dai proiettili,
la cosa non mi tocca anzi, sono quasi felice, significa più cibo per me;
continuo inesorabile verso la fonte di quel sangue pulsante che mi chiama.
Mi
avvento sul più piccolo del gruppo, seguita da un paio della mia specie, credo
che una volta il mio cervello li chiamasse bambini, ora non m’importa. Affondo
i denti nella carne sottile del collo, vicino la giugulare.
Morte
istantanea.
Non
voglio che soffra! Almeno questo glielo devo. Sento il suo sangue dolce e caldo
che m’inonda la bocca. Che sensazione piacevole…
Gli
spari sono cessati, gli umani sono morti ed io mi gusto il mio pasto in
compagnia, i deboli tentativi della mia preda sono stati zittiti immediatamente
dal mio attacco pulito. La sua carne ci sazierà per giorni, forse per mesi, il
tempo non ha molto senso nella mia condizione.
Il
mio essere si rigenera mentre assaporo il mio cibo, per un attimo mi sembra di
essere nuovamente me stessa e provo disgusto.
Vaghi
ricordi affiorano…
Voci,
visi ma sono troppo nebulosi perché io riesca a metterli a fuoco. Un circolo
vizioso: l’umanità che bramo mi sfugge
proprio perché mi nutro di essa.
Il
senso di colpa uccide i ricordi.
Finalmente
sazia mi alzo, e mi rimetto a vagare. Senza una meta, solo uno scopo: nutrirsi
per “sentire” e pagare, per il disgusto di quello che sono diventata, quando i
pochi ricordi che ho di ME, affiorano.
Un
viso spicca su tutti, lo vedo in diverse fasi della vita, prima infante e poi
adolescente, mi sorride... Una parte di
me sorride in risposta.
Vorrei
ricordare. Chi sia però, ancora non mi è dato sapere… lo voglio!
È
mio!
Sento
il desiderio di possederlo, di strappare le sue carni e nello stesso tempo la
ripulsa a quell’istinto, perché ho la certezza che se il mio desiderio si
esaudisse ne proverei rimorso.
Perché
poi?
Sono
passati un po’ di giorni dal mio ultimo pasto. I ricordi vanno e vengono. Il
mio cervello si dissolve sempre più.
Il
viso nella mia mente mi perseguita.
Si
fa nitido e poi nebuloso. Voglio ricordare, ma per farlo devo nutrirmi,
mangiare il cervello di altri esseri umani e non voglio.
Non
voglio fare questo per riacquistare la mia umanità.
Il
prezzo è troppo alto.
Però
la FAME è inesorabile. Mi spinge a cercare carne umana, senza che io possa
fermarmi.
Cerco
sempre di non infettare nessuno.
Ricordo
ancora come il virus si è sparso, e non voglio esserne complice per quanto mi è
possibile. Li sbrano fino al midollo in modo che delle mie vittime non rimanga
nulla che possa rinascere. Ma nonostante la certezza di non creare altri come
me, mi sento un mostro.
Sono
un mostro, uno zombie. “Merda”.
La
mandria di cui faccio parte si sposta rapidamente, quasi con la stessa velocità
con cui all’inizio si è sparso il virus che ci ha distrutto.
Siamo
nei pressi di quel che resta di un quartiere residenziale, case e strade che
una volta brulicavano di vita e ora sono solo scheletri vuoti. In questo
paesaggio c’è qualcosa di familiare.
Alberi
che mi sembra di ricordare facessero ombra al mio passaggio, odori conosciuti
mi spingono verso una palazzina di tre piani, grigia, attorniata da una cancellata
di ferro arrugginita e un giardino.
Il
viso che tormenta i miei ricordi si fa più vivo che mai.
Qualcuno
è barricato all’interno… Questo pensiero mi distrae, la mandria è agitata, lo
sono anch’io… “Hummm… Buona… Carne in scatola”.
Un
ghigno si stende sulla mia bocca emaciata. Penso che se mi vedessi in uno
specchio mi farei paura da sola.
Dobbiamo
riuscire a entrare. La FAME si fa opprimente ma la cancellata è solida. Non
riusciremo a oltrepassarla, mi volto e vedo altre palazzine di fronte, hanno un
libero accesso nessun recinto blocca la via. M’incammino da quella parte, mezza
dozzina di noi mi seguono.
Entriamo
in una palazzina bassa, di un giallo pallido, scrostato. La luce della
portineria va a scatti, l’energia elettrica non se né ancora andata. Le scale
sono semi ostruite, ma io riesco ad aprirmi un varco al piano superiore, la
FAME mi fa da guida, tre dei nostri mi seguono su per le scale.
Tre
porte si aprono sul primo pianerottolo, i miei compagni entrano in quegli
appartamenti, io proseguo.
Al
secondo piano le porte sono sbarrate ma al terzo una si apre con facilità
permettendomi di entrare in un piccolo appartamento. L’interno non so perché mi
è familiare.
So
esattamente come muovermi. Forse in un’altra vita sono stata qui.
L’odore
che mi accoglie è inconfondibile. Urina e feci, misto a un tipico odore di
morte, di putrefazione; varco il corridoio deserto e m’inoltro verso la fonte
di quella puzza.
Una
vecchia ossuta giace su di un letto sporco di feci. Evidentemente è paralizzata
da qualche malattia.
È
viva.
Lo
sento.
La sua
famiglia deve averla abbandonata all’inizio dell’epidemia. Una flebo ormai
vuota le penzola dal braccio.
Il
bip di un monitor cardiaco è l’unico rumore della stanza. Raggi di un pallido
sole filtrano dalla finestra socchiusa, rendono tutto ovattato.
Ho
fame, voglio mangiarla, ma non riesco a muovermi, mi limito a squadrare lei e
la stanza.
Un
cane morto giace ai piedi del letto. Fedele fino alla fine.
Se
il mio corpo potesse piangere, credo che ora lo farei, ma dalle mia labbra
scappa solo un ringhio di desiderio.
Cibo.
Non
posso.
Cibo.
Non
voglio.
Cibo.
Nn…
La
vecchia è sveglia, i suoi occhi resi ancora più grandi dalla spropositata
magrezza, osservano ogni mio movimento. Non c’è paura nel suo sguardo.
Solo
profonda rassegnazione e forse…
Forse
gratitudine, perché sa che sto per porre fine alle sue sofferenze. La guardo
con desiderio, pregustando l’oblio di piacere che mi darà la carne umana, mi
avvicino lentamente scavalcando la carcassa del cane:
“Sharka vieni qui…” un ricordo potente mi
inonda il cervello: corse insieme ad un bellissimo pastore tedesco femmina, una
pallina rossa, il gelato rubato ad un bambino mentre aspettavamo che il
semaforo diventasse verde… Un veterinario che scuote la testa…
Una
siringa…
Alzo
gli occhi di nuovo di fronte alla mia preda; sono smarrita… I miei occhi
bruciano, vorrei saper piangere. La mia preda come intuendo il mio stato
d’animo mi fissa negli occhi e con un filo di voce mi dice:
-”t..
ti.. pr.. prego.. fallo..”- un rantolo carico di dolore, credo io, ma forse
alle orecchie di qualcun’altro, potrebbe sembrare carico di odio, mi sfugge.
Il
mio cervello si spegne del tutto e brama la carne. Mi avvento sulla vecchia,
squarciandole la gola, il mio affondo è pulito, prima succhio il sangue che m’inonda
la bocca, poi sbrano la carne. Lei con l’ultimo respiro mi dice:
-“gg..grazie”-.
Io
mi perdo nell’oblio.
Della
vecchia non è rimasto che qualche osso spolpato ed io siedo qui, più in colpa
che mai, mentre altri ricordi affiorano impetuosi, vorrei poterli fermare ma
non ci riesco.
Le
mie mani sfiorano il pelo ispido della carcassa del cane, quasi cercassero
conforto in un gesto familiare, vorrei poter guarire ma so che non esiste cura
da ciò che sono diventata.
Mi
faccio schifo.
Mentre
una parte di me si duole della morte della vecchia, un’altra pensa al gusto
dolce della carne umana e ne vuole ancora.
Un
altro viso spicca nella mia mente, ha lo sguardo dolce, gli occhi azzurri, mi
chiama ma non riesco a sentire cosa dice, vedo le sue mani, le sue dita
affusolate; afferrano un passante dei miei jeans, mi attira a sé, mi bacia. Chi
è?
Ricordo
la sua lingua vellutata, il suo fiato dolce che inondava la mia bocca quando
ancora ero viva.
Ora
non lo sono e un altro desiderio possiede il mio corpo.
La
FAME.
Spalanco
gli occhi confusa da me stessa. I ricordi di quando ero umana ancora vivi nei
miei occhi.
Quanto
tempo è passato? Non lo so, improvvisamente sento nuovamente l’impulso a
nutrirmi, è ora che lasci questo luogo. Con un’ultima carezza alla carcassa del
cane mi alzo malferma sulle gambe.
Esco
dall’appartamento e mi avvio lentamente a ritroso sugli stessi passi che mi
hanno condotto fin qui. Di nuovo nella piazza mi accorgo che intorno alla
cancellata che ha attirato la mia attenzione prima, sì è radunata una bella
folla; segno evidente che in quel palazzo si nasconde del cibo succulento.
Mi
avviò, le finestre al secondo e terzo piano si spalancano e una pioggia di
bottiglie incendiarie piove su di noi; la mandria si sfoltisce, io mi riparo
poco distante.
Dall’interno
della palazzina sento provenire delle voci: -“ora è il momento buono! Se
dobbiamo uscire per fare provviste dobbiamo muoverci!”- la voce che sento è di
un uomo, è tesa e affannata, mi sembra familiare.
Escono,
abbigliati in uno strano modo, sembrano “imbottiti” il mio cervello in
decomposizione finalmente connette: “È una tuta da moto con le protezioni” non
so perché ma mi viene da sorridere e un altro ricordo giunge inaspettato.
L’uomo
con gli occhi azzurri mi sorride mentre si abbassa la visiera del casco ed io
armata di cronometro mi accingo ridendo a prendergli i tempi, mentre gli lancio
un bacio di buona fortuna con la mano.
Pagherei
oro per sapere chi è, per sapere chi sono io, o meglio chi ero… cosa sono ora?
Quel
che è certo è che non dovrei esistere.
Si
stanno apprestando per aprire il cancello, sono armati di quelle che mi
sembrano essere delle mazze chiodate, sono in due; un uomo e un ragazzo, non li
vedo in viso indossano entrambi il casco, però qualcosa nella loro
corporatura….
Fa
accelerare il battito del mio cuore decomposto, è una sensazione nuova, non la
riconosco, non è la fame che mi spinge verso di loro, è qualcosa di più
profondo che sento nascere dentro di me, mi blocco.
Li
lascio scappare, loro non mi vedono neanche; sono troppo presi nell’uccidere
quelli di noi che sono sopravvissuti alla pioggia di fuoco. Mi sento male, ho fame ma nello stesso
momento provo nausea.
Mi
accascio contro la carcassa di un’auto e vado come in trance.
Passano
ore?
Giorni?
Non
lo so.
Tornando
a poco a poco in me, o in quel poco di me che è rimasto alzando lo sguardo noto
che c’è di nuovo una piccola mandria nei pressi, sbattono con forza
l’inferriata producendo un rumore sordo e continuo sembra quasi un urlo,
riusciranno ad entrare prima o poi è solo questione di tempo.
Un’altra
grandinata di bottiglie piove dalle finestre e in più i “difensori” escono
armati di picche improvvisate e mietono vittime tra quei pochi sopravvissuti
che ancora brancolano intorno la cancellata, ma io so che non c’è via d’uscita
siamo molti più di loro; è una questione di numeri.
Prima
o poi finiranno le scorte e noi prenderemo il sopravvento, il ragazzo che mi
sembra familiare si ferma e mi vede, fa segno all’uomo accanto a lui; entrambi
rimangono di ghiaccio, vedo le loro labbra muoversi ma tra il crepitio delle
fiamme e il resto non riesco a sentire cosa dicono ma ora ho la certezza che
sanno chi sono.
Loro
sanno chi sono “Cristo!” devo saperlo anch’io.. le mie domande devono avere una
risposta se sono arrivata fin qui un motivo ci sarà. Costi quel che costi devo
entrare………
Continua…..